Rito
Romano – XXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 31
agosto2014
Ger
20, 7-9; Sal 62; Rm 12,1-2; Mt 16,21-27
Rito
Ambrosiano – Domenica dopo il martirio di San Giovanni il
Precursore
Is
65,13-19; Sal 32; Ef 5,6-14; Lc 9,7-11
1)
Parole scandalose1.
Può
sembrare strano che Pietro diventi pietra d’inciampo a Cristo pochi
istanti dopo averLo riconosciuto come Figlio del Dio vivente. Eppure,
anche se è la diretta e immediata continuazione del racconto
evangelico di domenica scorsa, il brano di oggi presenta l’incapacità
di Pietro a capire Cristo quando parla del suo destino di Crocefisso.
Sono due momenti di uno stesso episodio, che presenta due aspetti
apparentemente contraddittori. Da una parte la fede di Pietro e
l’autorità di servizio a lui affidata per aver “capito” chi è
Cristo. Dall’altra l’incomprensione del mistero della Croce da
parte del Primo degli Apostoli e il rimprovero rivoltogli da Gesù.
La debolezza di Pietro non contraddice il suo essere roccia per la
Chiesa. Essa vuol dire che Pietro è tale per grazia, in virtù di
un’elezione divina, e non per le sue qualità naturali.
Tuttavia
nel Vangelo di questa domenica c’è anche dell’altro: Gesù vuol
fare percorrere ai suoi discepoli, noi compresi, un cammino dalla
fede in Lui, Figlio di Dio, alla fede in Lui, Figlio sofferente
dell’uomo, passione di Dio per l’uomo. Si può, infatti,
accettare che Gesù sia Signore, ma rifiutare che Egli debba
soffrire. Si può confessare che Gesù è Figlio di Dio, e tuttavia
non accettare che Egli è un Dio crocefisso.
Pietro,
e noi con lui, è ancora prigioniero della logica degli uomini e
tenta di impedire che Gesù si conformi alla logica di Dio. Allora
Gesù risponde al discepolo : “Va dietro di me, satana”, cioè
mettiti dietro2
di me per seguirmi e imparare come ragionare come Dio e non come gli
uomini, e seguire la Via di Dio e non le vie degli uomini. E perché
sia chiaro che cosa significhi veramente seguire Lui, ancora una
volta Gesù ricorda ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire
dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Rinnegare
se stessi significa rinunciare alla propria idea di Dio, per
accettare quella di Gesù: non più un Dio glorioso e potente, ma un
Dio che si svela nell'amore e nel dono di sé.
Cristo
rinnova oggi il suo invito insistente a ciascuno di noi, affinché
prendiamo ogni giorno la nostra croce per seguirlo sulla via
dell’amore totale a Dio Padre e all’umanità: “Chi non prende
la propria croce e non mi segue – ci dice, – non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà
perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt
10,38-39). Come le sue anche le nostre braccia devono aprirsi per
offrire e non per prendere, per dare la vita e non per possedere
quella degli altri
E’
la logica del chicco di grano che muore per germogliare e “dare la
vita”, (=far nascere) (cfr. Gv 12,24) deve “dare la vita”
(=morire). Gesù stesso “ è il chicco di grano venuto da Dio, il
chicco di grano divino, che si lascia cadere sulla terra, che si
lascia spezzare, rompere dalla morte e, proprio attraverso questa, si
apre e può così portare frutto nella vastità del mondo”
(Benedetto XVI).
2)
La logica sapiente della Croce.
Dio
non è la proiezione dei nostri desideri ma Amore che si dona: questa
è fondamentalmente la logica della Croce, sia per Gesù sia per i
suoi discepoli. L’esistenza cristiana implica il gesto quotidiano
di prendere la croce di ogni giorno su di sé. Con Cristo la Croce
svela che il Figlio di Dio potente e glorioso si manifesta non con la
forza che uccide, ma con l’amoroso dono di sé a Dio e al prossimo.
Nella Croce si manifesta l’amore gratuito e misericordioso di Dio.
In
effetti la Croce se non fosse sofferenza carica dell’amore di Dio
sarebbe assurda e inutile.
Potremmo
anche dire che rinnegare se stessi significa cambiare la logica della
propria esistenza: non più una vita vissuta a vantaggio proprio, ma
una vita vissuta come dono per condividere la salvezza ricevuta come
grazia.
Rinnegare
se stessi vuol dire incamminarsi dietro Cristo con la propria croce
per salire con Lui sulla Sua Croce. E’, questo, un aspetto da tener
bene in conto, perché camminare, progredire, crescere vuol dire
diventare capaci del dono di sé che la croce in ultimo esige, ma
anche diventare capaci di accogliere il dono che in essa è ricevuto,
quello di un amore costoso. Costerà infatti a Dio stesso, molto più
che all’uomo, sconfiggere il peccato.
Certo
va tenuto presente che, per tutto quello che rappresenta e quindi
anche per il messaggio che contiene, la Croce è scandalo e
stoltezza. L’Apostolo Paolo lo scrisse con una forza
impressionante: “La parola della Croce infatti è stoltezza per
quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è
potenza di Dio... è piaciuto a Dio salvare i credenti con la
stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i
Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso,
scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1
Cor 1,18-23).
Perché
la parola della Croce è così fondamentale della vita e della
predicazione di Cristo? La risposta non è difficile: la Croce rivela
“la potenza di Dio” (cfr
1 Cor
1,24), che è diversa dal
potere umano; rivela infatti il suo amore: “Ciò che è stoltezza
di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio,
è più forte degli uomini” (ibid.
v. 25). Distanti secoli
da Paolo, noi vediamo che nella storia ha vinto la Croce e non la
saggezza che si oppone alla Croce.
La
Croce di Cristo è sapienza, perché manifesta davvero chi è Dio,
cioè potenza di amore che arriva fino alla Croce per salvare l’uomo.
Dio si serve di modi e strumenti che a noi sembrano a prima vista
solo debolezza. Il Crocifisso svela, da una parte, la debolezza
dell’uomo e, dall’altra, la vera potenza di Dio, cioè la
gratuità dell’amore: proprio questa totale gratuità dell'amore è
la vera sapienza.
Noi
tutti dobbiamo formare la nostra vita su questa vera sapienza: non
vivere per noi stessi, ma vivere nella fede in quel Dio del quale
tutti possiamo dire: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me”. A
ben riflettere, ogni amore è donare un “po’” della propria
vita a chi si ama. Gesù la dona tutta e ci mostra che il cuore della
sua, ed anche nostra, missione è proprio la Pasqua: solo la sua
morte e risurrezione fanno comprendere il significato ultimo di ogni
sua opera e parola. Non solo! Quello che Gesù annuncia di se stesso
è il significato di ogni esistenza umana e il segreto della stessa
creazione. Al centro c'è sempre la domanda sul senso della vita e
della morte, il mistero del male e la vittoria ultima dell'amore. La
morte è principio della vita e la vita è offerta d'amore di se
stessa. Questo spiega la severità del rimprovero a Pietro,
paragonato - paradossalmente - al principe del male e della morte.
Gesù non può accogliere il rimprovero, perché ora, in Lui, la
Morte stessa viene redenta e strappata dal suo vecchio volto. Ora la
vita donata totalmente è la suprema obbedienza al Padre, vertice del
sacrificio d’amore di Gesù.
La
Croce che il Signore ci chiede di prendere, non sono “le croci”
inevitabili della limitatezza della condizione umana, quelle che gli
altri ci addossano o che ci ritroviamo sulle spalle per una malattia,
una costrizione, una difficoltà.
La
Croce che Cristo ci chiede di abbracciare è quella che nasce dal
seguire lui, dalla libertà di amare, sempre e comunque, senza
distinzione fino ad amare il nemico, colui che ti sta facendo del
male.
La
croce è simbolo e icona dell’amore verginale, perché la croce di
Cristo è la pienezza massima dell’amore, umano e divino, per Dio e
per ogni uomo, che abbraccia tutti e non esclude nessuno; è la
sintesi al massimo grado di amore ricevuto e donato, di amore
crocifisso e già risorto o illuminato dai chiarori dell’alba della
risurrezione. La croce è il cuore del mondo, così è stato nella
storia della salvezza, e questo è il cuore che deve avere la vergine
consacrata nel mondo, scegliendo l’amore verginale.
Questo amore verginale è
fondamentalmente “amore pasquale”, crocifisso-risorto, dunque
deve percorrere quel
cammino preciso, perché la persona consacrata abbia gli stessi
sentimenti del suo Sposo crocifisso, il Figlio di Dio che dà la vita
mentre la riceve dal Padre, e vive una vita nella verginità come un
modo di ricevere e offrire la sua stessa vita. La verginità come il
martirio è un grande atto di
amore in risposta all’immenso amore di Dio. Idea, questa, proposta
nell’Ordo
del 1970, al cap. I, viene pure aggiunto che “le
vergini nella Chiesa sono quelle donne che, sotto l’ispirazione
dello Spirito Santo, fanno voto di castità al fine di amare più
ardentemente il Cristo e servire con più libera dedizione i fratelli
... loro compito è quello di attendere alle opere di penitenza e di
misericordia, all’attività apostolica e alla preghiera” (Rituale
di Consacrazione delle Vergine, Cap 1,2).
Un certo chiarimento al riguardo ci viene dall’omelia inserita nel
Rito di Consacrazione delle Vergini: “...
Siate di nome e di fatto ancelle del Signore a imitazione della Madre
di Dio. Integre nella fede, salde nella speranza ferventi nella
carità. Siate prudenti e vigilanti, custodite il grande tesoro della
verginità nell’umiltà del cuore. Nutrite la vostra vita religiosa
con il Corpo di Cristo, fortificatela con il digiuno e la penitenza,
alimentatela con la meditazione della Parola, con l’assidua
preghiera e con le opere di misericordia. Occupatevi delle cose del
Signore; la vostra vita sia nascosta con Cristo in Dio; vi stia a
cuore di intercedere incessantemente per la propagazione della fede e
per l’unità dei cristiani. Abbiate una particolare sollecitudine
nella preghiera per gli sposi; ricordatevi anche di coloro che,
dimenticando l’amore del Padre, si sono allontanati da lui, perché
egli li salvi nella sua misericordia. Ricordatevi che siete legate al
servizio della Chiesa e dei fratelli; perciò esercitando il vostro
apostolato nella Chiesa e nel mondo, nell’ordine spirituale e
materiale, la vostra luce risplenda davanti agli uomini, perché sia
glorificato il Padre che è nei cieli e si compia il suo disegno di
riunire in Cristo tutte le cose. Amate tutti e prediligete i poveri,
soccorreteli secondo le vostre forze, curate gli infermi, insegnate
agli ignoranti, proteggete i fanciulli, aiutate i vecchi, consolate
le vedove e gli afflitti. Voi che siete vergini per Cristo,
diventerete madri nello Spirito, facendo la volontà del Padre,
cooperando con amore, perché tanti figli siano generati o ricuperati
alla vita di grazia”.
1
Etimologicamente parlando la parola “scandalo” non vuol dire
cattivo esempio che indica una cattiva strada, ma “inciampo”, un
ostacolo che impedisce il cammino, facendo cadere.
2
La parola del vangelo nel testo greco è “opiso” che non vuol
dire vai “lontano” da me, ma mettiti “dietro” di me. Gesù
non allontana chi ama, gli chiede di seguirlo prendendo la sua
croce.
Lettura
Patristica
Imitazione
di Cristo, II, 12, 1-15
La
via regale della croce
1) A molti sembrano assai dure
queste parole: «Sacrifica te stesso, prendi la tua croce e segui
Gesù» (Mt
16,24). Ma
saranno assai più aspre queste estreme parole: "Andate
lontano da me, voi maledetti, nel fuoco eterno!"
(Mt
25,41).
Quelli
che adesso ascoltano e praticano le parole circa la croce, allora (al
giudizio finale) non temeranno di sentirsi gridare quelle altre
parole di eterna dannazione.
Quando
il Signore verrà all’ultimo giudizio, "allora
comparirà nel cielo il segno del figlio dell’uomo (la croce)"
(Mt
24,30).
Allora
tutti i servi della Croce, che in questa vita imitarono il
Crocifisso, si avvicineranno a Cristo giudice con grande fiducia.
2) Perché dunque hai tanta paura di
accostarti alla croce, per mezzo della quale si va al regno?
Nella
croce vi è la salvezza, nella croce la vita, nella croce la
protezione dai nemici. Attraverso la croce viene infusa nell’anima
la celeste soavità, vien data la robustezza alla mente, gaudio allo
spirito. Nella croce vi è il compendio delle virtù, nella croce la
perfezione della santità. Non vi è salvezza per l’anima, né
speranza di vita eterna se non nella croce.
Prendi
su dunque la tua croce e segui Gesù; e andrai alla vita eterna.
Ti
ha preceduto Lui portando la sua croce, ed è morto Lui prima in
croce, affinché anche tu porti la tua croce e muoia volentieri sulla
croce; ché se lo imiterai morendo come Lui, lo imiterai anche
vivendo parimenti con Lui. E se gli sarai stato compagno nella pena,
lo sarai anche nella gloria.
3) Tutto dunque si riduce alla croce
e al morire sulla croce e per giungere alla vita e alla vera pace
interna non vi è altra via che quella della santa croce e della
quotidiana mortificazione.
Va’
pure dove vuoi, cerca pure quello che ti pare, ma non troverai lassù
una via più alta e quaggiù una via più sicura che la via della
croce.
Disponi
pure e comanda che tutto sia fatto secondo la tua volontà e il tuo
parere, ma non potrai che fare questa constatazione: bisogna sempre
soffrire qualche cosa o per amore o per forza: vedi dunque che sempre
troverai la croce. Difatti: ora dovrai patire qualche dolore nelle
membra, ora dovrai subire qualche tribolazione di spirito nell’anima.
4) Talvolta ti sentirai oppresso per
l’abbandono di Dio; talvolta sarai tormentato dal prossimo, e, quel
che è più, spesso tu stesso sarai di fastidio a te.
E
non potrai sollevarti un po’ o liberarti dal male con qualche
rimedio o con qualche conforto, ma ti toccherà sopportare finché a
Dio piacerà; poiché Dio vuole che tu impari a soffrire il dolore
senza consolazione e che tu ti sottometta a lui senza riserva e che
soffrendo tu diventi più umile.
Nessuno
partecipa con tanto cordoglio alla passione di Gesù, se non colui a
cui sarà toccato di patire qualche cosa di simile a lui.
La
croce dunque è sempre pronta e ti aspetta dappertutto. Per quanto tu
scappi via non potrai mai sfuggirle; anche perché, dovunque tu vada,
per lo meno porterai appresso te e sempre troverai te stesso. Guarda
pure in alto, guarda pure in basso, guarda pure fuori, guarda pure
dentro... in ogni punto troverai sempre la croce. Ed è necessario
che dappertutto tu porti pazienza se vuoi mantenere in te la pace e
meritare l’immortale corona.
5) Ma se tu la porti volentieri, la
croce porterà te; e ti condurrà alla desiderata meta, ove, cioè,
non c’è più da soffrire, anche se questo non sarà certo quaggiù.
Se
invece tu la porti con ripugnanza, la troverai più pesante e
aggraverai di più la tua pena, mentre poi non risolvi niente, perché
già, tanto, non puoi fare a meno di portarla. Se poi getti via una
croce, ne troverai senza dubbio un’altra, e forse più gravosa.
6) Come puoi tu pensare di poter
sfuggire a ciò che nessun uomo ha mai potuto evitare? Chi mai ci fu
tra i Santi nel mondo che abbia vissuto senza croce?
Nemmeno
Nostro Signore Gesù Cristo, in tutto il tempo in cui visse sulla
terra, fu mai un’ora sola senza croce e dolore. "Era
necessario" - dice -
"che il Cristo
patisse tutto questo e risorgesse dai morti per entrare così nella
sua gloria" (Lc
24,26
Lc
24,46).
E
allora come puoi tu pensare di cercare una via diversa da quella che
è la via maestra, cioè la via della santa croce?
7) L’intera vita di Cristo non fu
che croce e martirio... e tu cerchi per te ozio e piacere?
T’inganni,
t’inganni, se cerchi qualcos’altro all’infuori del patire
dolori: perché l’intera nostra vita mortale è piena di sofferenze
e limitata tutt’intorno da una fila di croci. E quanto più in alto
uno avrà progredito nella vita dello spirito, tanto più pesanti
croci troverà, perché quanto più cresce in lui l’amore verso
Dio, tanto più penoso gli riuscirà l’esilio quaggiù.
8) Costui peraltro, anche se
afflitto da tanti lati, non è del tutto privo di sollievo di qualche
consolazione: perché, dal sopportare la sua croce, sente che gli
viene un accrescimento di merito grandissimo; infatti siccome egli si
sottopone alla croce con amore, tutta l’acerbità della pena gli si
converte in fiducia di consolazione divina. E quanto più la carne
viene straziata dai dolori, tanto più lo spirito si corrobora per
l’interna grazia.
Anzi
talvolta si è talmente confortati nello stato di tribolazione e
contrarietà causate dal desiderio della conformità con la croce di
Cristo, che non si vorrebbe più vivere senza dolori e avversità,
perché si è convinti di essere tanto più graditi a Dio quanto più
numerose e dolorose pene si saranno tollerate per suo amore.
Certamente però una cosa simile non è virtù umana, ma è la grazia
di Cristo che tali meraviglie opera nella debole carne, conducendola
al punto di farle accettare ed amare col fervore dello spirito, ciò
che, naturalmente, sempre aborre e fugge.
9) Non è certo secondo natura
portare la croce, amare la croce, castigare e ridurre in schiavitù
il proprio corpo, fuggire gli onori, ricevere contumelie serenamente,
disprezzare se stesso e desiderare di essere disprezzato, sopportare
tranquillamente le cose più avverse e dannose e non desiderare
nessuna prosperità in questo mondo.
Se
tu riguardi solo a te stesso, vedi subito che con le sole tue forze,
non saresti capace di nessuna di queste cose; ma se confidi in Dio,
ti sarà data dal cielo la forza; e il mondo e la carne ti diverranno
soggetti. Non solo, ma non temerai nemmeno il demonio, il tuo nemico,
se sarai armato di fede e segnato col segno della croce di Cristo.
10) Mettiti dunque come uno scudiero
fedele e coraggioso a portare virilmente la croce del tuo Signore,
crocifisso per tuo amore. Sii pronto ad affrontare molte avversità e
molte angustie in questa misera vita: perché dappertutto così sarà
per te; e così troveresti in realtà, dovunque tu volessi fuggire.
È
necessario che sia così; e non c’è altro rimedio per liberarsi
dalla tribolazione, dai mali, dai dolori, che sopportarli. Bevi
dunque con amore il calice del Signore se vuoi essere suo amico e se
desideri aver parte con lui. Quanto alle consolazioni, affidale a
Dio; ne disponga lui come più gli piacerà.
Tu,
dal canto tuo, disponiti a sopportare le sofferenze e figurati che
siano grandissime gioie; perché "le
sofferenze del tempo presente non possono essere paragonate alla
gloria futura" (Rm
8,18) che
dobbiamo meritarci, anche se un solo uomo li dovesse patire tutti!
11) Quando sarai giunto a questo
punto, che cioè il soffrire ti sembrerà dolce e gustoso per amore
di Cristo, allora puoi star sicuro che hai raggiunto la perfezione,
perché hai già trovato il paradiso in terra.
Ma
finché il patire ti riuscirà odioso e cercherai di fuggirlo, sarai
sempre oppresso dal male; e il patimento ti seguirà dovunque tu
fugga.
12) Se al contrario ti decidi a
vivere come devi, cioè a patire e a morire, tosto tutto andrà
meglio per te e troverai la pace.
Ricordati
che, anche se tu fossi stato rapito fino al terzo cielo come Paolo,
non saresti certo per questo assicurato dal patire! Gesù infatti
disse a riguardo di lui: "Io
gli mostrerò quante pene dovrà soffrire per il mio nome"
(Ac
9,16).
Se
dunque vuoi amare Gesù e servirlo in perpetuo sappi che devi
soffrire.
13) Ma del resto, magari tu fossi
degno di patire qualche cosa per il nome di Gesù! Quale grande
gloria sarebbe per te, quanta letizia per tutti i santi di Dio, e,
anche, quale mirabile esempio per il prossimo!
Infatti
tutti ammirano la forza nel sostenere i dolori, anche se poi sono
pochi quelli che vogliono farlo. A ragione poi dovresti soffrire
qualche piccola cosa per amore di Cristo, dal momento che tanta gente
soffre cose più penose per il mondo.
14) Sii persuaso che tu devi vivere
come chi sta per morire; e che quanto più uno muore a se stesso,
tanto più comincia a vivere per Dio. Nessuno è atto a comprendere
le cose di Dio, se non si sarà sottoposto a tollerare per Cristo le
avversità. Nulla vi è di più gradito a Dio, nulla vi è di più
salutare per te in questo mondo, che patire volentieri per Cristo.
E
se ti fosse lasciata libertà di scelta, ti converrebbe piuttosto
desiderare di soffrire contrarietà per amore di Cristo, che esser
deliziato da tante consolazioni; perché, così, saresti più simile
a Cristo e più conforme ai santi; infatti il nostro merito e la
perfezione del nostro stato non consiste nell’avere molte soavi
consolazioni, ma piuttosto nel saper sostenere i grandi dolori e le
avversità.
15) E, a onor del vero, se per la
salvezza dell’umanità ci fosse stato qualche metodo migliore e più
utile che il soffrire, certamente Cristo ce lo avrebbe insegnato con
la parola e con l’esempio! Ma invece Egli ai discepoli che lo
seguivano e a tutti quelli che desiderano seguirlo, non dà altra
esortazione, ben chiara, che quella di portare la croce: "Se
uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce
ogni giorno e mi segua"
(Lc
9,23)
Dopo
aver dunque letto attentamente e meditato tutte queste cose, ecco
qual è la conclusione: "Si
entra nel regno di Dio solo attraverso molte tribolazioni"
(Ac
14,21).
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