venerdì 29 agosto 2014

Seguire Cristo, con la croce.

Rito Romano – XXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 31 agosto2014
Ger 20, 7-9; Sal 62; Rm 12,1-2; Mt 16,21-27

Rito Ambrosiano – Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
Is 65,13-19; Sal 32; Ef 5,6-14; Lc 9,7-11

1) Parole scandalose1.
Può sembrare strano che Pietro diventi pietra d’inciampo a Cristo pochi istanti dopo averLo riconosciuto come Figlio del Dio vivente. Eppure, anche se è la diretta e immediata continuazione del racconto evangelico di domenica scorsa, il brano di oggi presenta l’incapacità di Pietro a capire Cristo quando parla del suo destino di Crocefisso. Sono due momenti di uno stesso episodio, che presenta due aspetti apparentemente contraddittori. Da una parte la fede di Pietro e l’autorità di servizio a lui affidata per aver “capito” chi è Cristo. Dall’altra l’incomprensione del mistero della Croce da parte del Primo degli Apostoli e il rimprovero rivoltogli da Gesù. La debolezza di Pietro non contraddice il suo essere roccia per la Chiesa. Essa vuol dire che Pietro è tale per grazia, in virtù di un’elezione divina, e non per le sue qualità naturali.
Tuttavia nel Vangelo di questa domenica c’è anche dell’altro: Gesù vuol fare percorrere ai suoi discepoli, noi compresi, un cammino dalla fede in Lui, Figlio di Dio, alla fede in Lui, Figlio sofferente dell’uomo, passione di Dio per l’uomo. Si può, infatti, accettare che Gesù sia Signore, ma rifiutare che Egli debba soffrire. Si può confessare che Gesù è Figlio di Dio, e tuttavia non accettare che Egli è un Dio crocefisso.
Pietro, e noi con lui, è ancora prigioniero della logica degli uomini e tenta di impedire che Gesù si conformi alla logica di Dio. Allora Gesù risponde al discepolo : “Va dietro di me, satana”, cioè mettiti dietro2 di me per seguirmi e imparare come ragionare come Dio e non come gli uomini, e seguire la Via di Dio e non le vie degli uomini. E perché sia chiaro che cosa significhi veramente seguire Lui, ancora una volta Gesù ricorda ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Rinnegare se stessi significa rinunciare alla propria idea di Dio, per accettare quella di Gesù: non più un Dio glorioso e potente, ma un Dio che si svela nell'amore e nel dono di sé.
Cristo rinnova oggi il suo invito insistente a ciascuno di noi, affinché prendiamo ogni giorno la nostra croce per seguirlo sulla via dell’amore totale a Dio Padre e all’umanità: “Chi non prende la propria croce e non mi segue – ci dice, – non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,38-39). Come le sue anche le nostre braccia devono aprirsi per offrire e non per prendere, per dare la vita e non per possedere quella degli altri
E’ la logica del chicco di grano che muore per germogliare e “dare la vita”, (=far nascere) (cfr. Gv 12,24) deve “dare la vita” (=morire). Gesù stesso “ è il chicco di grano venuto da Dio, il chicco di grano divino, che si lascia cadere sulla terra, che si lascia spezzare, rompere dalla morte e, proprio attraverso questa, si apre e può così portare frutto nella vastità del mondo” (Benedetto XVI).

2) La logica sapiente della Croce.
Dio non è la proiezione dei nostri desideri ma Amore che si dona: questa è fondamentalmente la logica della Croce, sia per Gesù sia per i suoi discepoli. L’esistenza cristiana implica il gesto quotidiano di prendere la croce di ogni giorno su di sé. Con Cristo la Croce svela che il Figlio di Dio potente e glorioso si manifesta non con la forza che uccide, ma con l’amoroso dono di sé a Dio e al prossimo. Nella Croce si manifesta l’amore gratuito e misericordioso di Dio.
In effetti la Croce se non fosse sofferenza carica dell’amore di Dio sarebbe assurda e inutile.
Potremmo anche dire che rinnegare se stessi significa cambiare la logica della propria esistenza: non più una vita vissuta a vantaggio proprio, ma una vita vissuta come dono per condividere la salvezza ricevuta come grazia.
Rinnegare se stessi vuol dire incamminarsi dietro Cristo con la propria croce per salire con Lui sulla Sua Croce. E’, questo, un aspetto da tener bene in conto, perché camminare, progredire, crescere vuol dire diventare capaci del dono di sé che la croce in ultimo esige, ma anche diventare capaci di accogliere il dono che in essa è ricevuto, quello di un amore costoso. Costerà infatti a Dio stesso, molto più che all’uomo, sconfiggere il peccato.
Certo va tenuto presente che, per tutto quello che rappresenta e quindi anche per il messaggio che contiene, la Croce è scandalo e stoltezza. L’Apostolo Paolo lo scrisse con una forza impressionante: “La parola della Croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio... è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1 Cor 1,18-23).
Perché la parola della Croce è così fondamentale della vita e della predicazione di Cristo? La risposta non è difficile: la Croce rivela “la potenza di Dio” (cfr 1 Cor 1,24), che è diversa dal potere umano; rivela infatti il suo amore: “Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio, è più forte degli uomini” (ibid. v. 25). Distanti secoli da Paolo, noi vediamo che nella storia ha vinto la Croce e non la saggezza che si oppone alla Croce.
La Croce di Cristo è sapienza, perché manifesta davvero chi è Dio, cioè potenza di amore che arriva fino alla Croce per salvare l’uomo. Dio si serve di modi e strumenti che a noi sembrano a prima vista solo debolezza. Il Crocifisso svela, da una parte, la debolezza dell’uomo e, dall’altra, la vera potenza di Dio, cioè la gratuità dell’amore: proprio questa totale gratuità dell'amore è la vera sapienza. 
Noi tutti dobbiamo formare la nostra vita su questa vera sapienza: non vivere per noi stessi, ma vivere nella fede in quel Dio del quale tutti possiamo dire: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me”. A ben riflettere, ogni amore è donare un “po’” della propria vita a chi si ama. Gesù la dona tutta e ci mostra che il cuore della sua, ed anche nostra, missione è proprio la Pasqua: solo la sua morte e risurrezione fanno comprendere il significato ultimo di ogni sua opera e parola. Non solo! Quello che Gesù annuncia di se stesso è il significato di ogni esistenza umana e il segreto della stessa creazione. Al centro c'è sempre la domanda sul senso della vita e della morte, il mistero del male e la vittoria ultima dell'amore. La morte è principio della vita e la vita è offerta d'amore di se stessa. Questo spiega la severità del rimprovero a Pietro, paragonato - paradossalmente - al principe del male e della morte. Gesù non può accogliere il rimprovero, perché ora, in Lui, la Morte stessa viene redenta e strappata dal suo vecchio volto. Ora la vita donata totalmente è la suprema obbedienza al Padre, vertice del sacrificio d’amore di Gesù.
La Croce che il Signore ci chiede di prendere, non sono “le croci” inevitabili della limitatezza della condizione umana, quelle che gli altri ci addossano o che ci ritroviamo sulle spalle per una malattia, una costrizione, una difficoltà.
La Croce che Cristo ci chiede di abbracciare è quella che nasce dal seguire lui, dalla libertà di amare, sempre e comunque, senza distinzione fino ad amare il nemico, colui che ti sta facendo del male.
La croce è simbolo e icona dell’amore verginale, perché la croce di Cristo è la pienezza massima dell’amore, umano e divino, per Dio e per ogni uomo, che abbraccia tutti e non esclude nessuno; è la sintesi al massimo grado di amore ricevuto e donato, di amore crocifisso e già risorto o illuminato dai chiarori dell’alba della risurrezione. La croce è il cuore del mondo, così è stato nella storia della salvezza, e questo è il cuore che deve avere la vergine consacrata nel mondo, scegliendo l’amore verginale.
Questo amore verginale è fondamentalmente “amore pasquale”, crocifisso-risorto, dunque deve percorrere quel cammino preciso, perché la persona consacrata abbia gli stessi sentimenti del suo Sposo crocifisso, il Figlio di Dio che dà la vita mentre la riceve dal Padre, e vive una vita nella verginità come un modo di ricevere e offrire la sua stessa vita. La verginità come il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio. Idea, questa, proposta nell’Ordo del 1970, al cap. I, viene pure aggiunto che “le vergini nella Chiesa sono quelle donne che, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, fanno voto di castità al fine di amare più ardentemente il Cristo e servire con più libera dedizione i fratelli ... loro compito è quello di attendere alle opere di penitenza e di misericordia, all’attività apostolica e alla preghiera” (Rituale di Consacrazione delle Vergine, Cap 1,2). Un certo chiarimento al riguardo ci viene dall’omelia inserita nel Rito di Consacrazione delle Vergini: “... Siate di nome e di fatto ancelle del Signore a imitazione della Madre di Dio. Integre nella fede, salde nella speranza ferventi nella carità. Siate prudenti e vigilanti, custodite il grande tesoro della verginità nell’umiltà del cuore. Nutrite la vostra vita religiosa con il Corpo di Cristo, fortificatela con il digiuno e la penitenza, alimentatela con la meditazione della Parola, con l’assidua preghiera e con le opere di misericordia. Occupatevi delle cose del Signore; la vostra vita sia nascosta con Cristo in Dio; vi stia a cuore di intercedere incessantemente per la propagazione della fede e per l’unità dei cristiani. Abbiate una particolare sollecitudine nella preghiera per gli sposi; ricordatevi anche di coloro che, dimenticando l’amore del Padre, si sono allontanati da lui, perché egli li salvi nella sua misericordia. Ricordatevi che siete legate al servizio della Chiesa e dei fratelli; perciò esercitando il vostro apostolato nella Chiesa e nel mondo, nell’ordine spirituale e materiale, la vostra luce risplenda davanti agli uomini, perché sia glorificato il Padre che è nei cieli e si compia il suo disegno di riunire in Cristo tutte le cose. Amate tutti e prediligete i poveri, soccorreteli secondo le vostre forze, curate gli infermi, insegnate agli ignoranti, proteggete i fanciulli, aiutate i vecchi, consolate le vedove e gli afflitti. Voi che siete vergini per Cristo, diventerete madri nello Spirito, facendo la volontà del Padre, cooperando con amore, perché tanti figli siano generati o ricuperati alla vita di grazia”.


1 Etimologicamente parlando la parola “scandalo” non vuol dire cattivo esempio che indica una cattiva strada, ma “inciampo”, un ostacolo che impedisce il cammino, facendo cadere.

2 La parola del vangelo nel testo greco è “opiso” che non vuol dire vai “lontano” da me, ma mettiti “dietro” di me. Gesù non allontana chi ama, gli chiede di seguirlo prendendo la sua croce.


Lettura Patristica

Imitazione di Cristo, II, 12, 1-15

La via regale della croce

       1) A molti sembrano assai dure queste parole: «Sacrifica te stesso, prendi la tua croce e segui Gesù» (Mt 16,24). Ma saranno assai più aspre queste estreme parole: "Andate lontano da me, voi maledetti, nel fuoco eterno!" (Mt 25,41).
Quelli che adesso ascoltano e praticano le parole circa la croce, allora (al giudizio finale) non temeranno di sentirsi gridare quelle altre parole di eterna dannazione.
Quando il Signore verrà all’ultimo giudizio, "allora comparirà nel cielo il segno del figlio dell’uomo (la croce)" (Mt 24,30).
Allora tutti i servi della Croce, che in questa vita imitarono il Crocifisso, si avvicineranno a Cristo giudice con grande fiducia.

       2) Perché dunque hai tanta paura di accostarti alla croce, per mezzo della quale si va al regno?
Nella croce vi è la salvezza, nella croce la vita, nella croce la protezione dai nemici. Attraverso la croce viene infusa nell’anima la celeste soavità, vien data la robustezza alla mente, gaudio allo spirito. Nella croce vi è il compendio delle virtù, nella croce la perfezione della santità. Non vi è salvezza per l’anima, né speranza di vita eterna se non nella croce.
Prendi su dunque la tua croce e segui Gesù; e andrai alla vita eterna.
Ti ha preceduto Lui portando la sua croce, ed è morto Lui prima in croce, affinché anche tu porti la tua croce e muoia volentieri sulla croce; ché se lo imiterai morendo come Lui, lo imiterai anche vivendo parimenti con Lui. E se gli sarai stato compagno nella pena, lo sarai anche nella gloria.

       3) Tutto dunque si riduce alla croce e al morire sulla croce e per giungere alla vita e alla vera pace interna non vi è altra via che quella della santa croce e della quotidiana mortificazione.
Va’ pure dove vuoi, cerca pure quello che ti pare, ma non troverai lassù una via più alta e quaggiù una via più sicura che la via della croce.
Disponi pure e comanda che tutto sia fatto secondo la tua volontà e il tuo parere, ma non potrai che fare questa constatazione: bisogna sempre soffrire qualche cosa o per amore o per forza: vedi dunque che sempre troverai la croce. Difatti: ora dovrai patire qualche dolore nelle membra, ora dovrai subire qualche tribolazione di spirito nell’anima.

       4) Talvolta ti sentirai oppresso per l’abbandono di Dio; talvolta sarai tormentato dal prossimo, e, quel che è più, spesso tu stesso sarai di fastidio a te.
E non potrai sollevarti un po’ o liberarti dal male con qualche rimedio o con qualche conforto, ma ti toccherà sopportare finché a Dio piacerà; poiché Dio vuole che tu impari a soffrire il dolore senza consolazione e che tu ti sottometta a lui senza riserva e che soffrendo tu diventi più umile.
Nessuno partecipa con tanto cordoglio alla passione di Gesù, se non colui a cui sarà toccato di patire qualche cosa di simile a lui.
La croce dunque è sempre pronta e ti aspetta dappertutto. Per quanto tu scappi via non potrai mai sfuggirle; anche perché, dovunque tu vada, per lo meno porterai appresso te e sempre troverai te stesso. Guarda pure in alto, guarda pure in basso, guarda pure fuori, guarda pure dentro... in ogni punto troverai sempre la croce. Ed è necessario che dappertutto tu porti pazienza se vuoi mantenere in te la pace e meritare l’immortale corona.

       5) Ma se tu la porti volentieri, la croce porterà te; e ti condurrà alla desiderata meta, ove, cioè, non c’è più da soffrire, anche se questo non sarà certo quaggiù.
Se invece tu la porti con ripugnanza, la troverai più pesante e aggraverai di più la tua pena, mentre poi non risolvi niente, perché già, tanto, non puoi fare a meno di portarla. Se poi getti via una croce, ne troverai senza dubbio un’altra, e forse più gravosa.

       6) Come puoi tu pensare di poter sfuggire a ciò che nessun uomo ha mai potuto evitare? Chi mai ci fu tra i Santi nel mondo che abbia vissuto senza croce?
Nemmeno Nostro Signore Gesù Cristo, in tutto il tempo in cui visse sulla terra, fu mai un’ora sola senza croce e dolore. "Era necessario" - dice - "che il Cristo patisse tutto questo e risorgesse dai morti per entrare così nella sua gloria" (Lc 24,26 Lc 24,46).
E allora come puoi tu pensare di cercare una via diversa da quella che è la via maestra, cioè la via della santa croce?

       7) L’intera vita di Cristo non fu che croce e martirio... e tu cerchi per te ozio e piacere?
T’inganni, t’inganni, se cerchi qualcos’altro all’infuori del patire dolori: perché l’intera nostra vita mortale è piena di sofferenze e limitata tutt’intorno da una fila di croci. E quanto più in alto uno avrà progredito nella vita dello spirito, tanto più pesanti croci troverà, perché quanto più cresce in lui l’amore verso Dio, tanto più penoso gli riuscirà l’esilio quaggiù.

       8) Costui peraltro, anche se afflitto da tanti lati, non è del tutto privo di sollievo di qualche consolazione: perché, dal sopportare la sua croce, sente che gli viene un accrescimento di merito grandissimo; infatti siccome egli si sottopone alla croce con amore, tutta l’acerbità della pena gli si converte in fiducia di consolazione divina. E quanto più la carne viene straziata dai dolori, tanto più lo spirito si corrobora per l’interna grazia.
Anzi talvolta si è talmente confortati nello stato di tribolazione e contrarietà causate dal desiderio della conformità con la croce di Cristo, che non si vorrebbe più vivere senza dolori e avversità, perché si è convinti di essere tanto più graditi a Dio quanto più numerose e dolorose pene si saranno tollerate per suo amore. Certamente però una cosa simile non è virtù umana, ma è la grazia di Cristo che tali meraviglie opera nella debole carne, conducendola al punto di farle accettare ed amare col fervore dello spirito, ciò che, naturalmente, sempre aborre e fugge.

       9) Non è certo secondo natura portare la croce, amare la croce, castigare e ridurre in schiavitù il proprio corpo, fuggire gli onori, ricevere contumelie serenamente, disprezzare se stesso e desiderare di essere disprezzato, sopportare tranquillamente le cose più avverse e dannose e non desiderare nessuna prosperità in questo mondo.
Se tu riguardi solo a te stesso, vedi subito che con le sole tue forze, non saresti capace di nessuna di queste cose; ma se confidi in Dio, ti sarà data dal cielo la forza; e il mondo e la carne ti diverranno soggetti. Non solo, ma non temerai nemmeno il demonio, il tuo nemico, se sarai armato di fede e segnato col segno della croce di Cristo.

       10) Mettiti dunque come uno scudiero fedele e coraggioso a portare virilmente la croce del tuo Signore, crocifisso per tuo amore. Sii pronto ad affrontare molte avversità e molte angustie in questa misera vita: perché dappertutto così sarà per te; e così troveresti in realtà, dovunque tu volessi fuggire.
È necessario che sia così; e non c’è altro rimedio per liberarsi dalla tribolazione, dai mali, dai dolori, che sopportarli. Bevi dunque con amore il calice del Signore se vuoi essere suo amico e se desideri aver parte con lui. Quanto alle consolazioni, affidale a Dio; ne disponga lui come più gli piacerà.
Tu, dal canto tuo, disponiti a sopportare le sofferenze e figurati che siano grandissime gioie; perché "le sofferenze del tempo presente non possono essere paragonate alla gloria futura" (Rm 8,18) che dobbiamo meritarci, anche se un solo uomo li dovesse patire tutti!

       11) Quando sarai giunto a questo punto, che cioè il soffrire ti sembrerà dolce e gustoso per amore di Cristo, allora puoi star sicuro che hai raggiunto la perfezione, perché hai già trovato il paradiso in terra.
Ma finché il patire ti riuscirà odioso e cercherai di fuggirlo, sarai sempre oppresso dal male; e il patimento ti seguirà dovunque tu fugga.

       12) Se al contrario ti decidi a vivere come devi, cioè a patire e a morire, tosto tutto andrà meglio per te e troverai la pace.
Ricordati che, anche se tu fossi stato rapito fino al terzo cielo come Paolo, non saresti certo per questo assicurato dal patire! Gesù infatti disse a riguardo di lui: "Io gli mostrerò quante pene dovrà soffrire per il mio nome" (Ac 9,16).
Se dunque vuoi amare Gesù e servirlo in perpetuo sappi che devi soffrire.

       13) Ma del resto, magari tu fossi degno di patire qualche cosa per il nome di Gesù! Quale grande gloria sarebbe per te, quanta letizia per tutti i santi di Dio, e, anche, quale mirabile esempio per il prossimo!
Infatti tutti ammirano la forza nel sostenere i dolori, anche se poi sono pochi quelli che vogliono farlo. A ragione poi dovresti soffrire qualche piccola cosa per amore di Cristo, dal momento che tanta gente soffre cose più penose per il mondo.

       14) Sii persuaso che tu devi vivere come chi sta per morire; e che quanto più uno muore a se stesso, tanto più comincia a vivere per Dio. Nessuno è atto a comprendere le cose di Dio, se non si sarà sottoposto a tollerare per Cristo le avversità. Nulla vi è di più gradito a Dio, nulla vi è di più salutare per te in questo mondo, che patire volentieri per Cristo.
E se ti fosse lasciata libertà di scelta, ti converrebbe piuttosto desiderare di soffrire contrarietà per amore di Cristo, che esser deliziato da tante consolazioni; perché, così, saresti più simile a Cristo e più conforme ai santi; infatti il nostro merito e la perfezione del nostro stato non consiste nell’avere molte soavi consolazioni, ma piuttosto nel saper sostenere i grandi dolori e le avversità.

       15) E, a onor del vero, se per la salvezza dell’umanità ci fosse stato qualche metodo migliore e più utile che il soffrire, certamente Cristo ce lo avrebbe insegnato con la parola e con l’esempio! Ma invece Egli ai discepoli che lo seguivano e a tutti quelli che desiderano seguirlo, non dà altra esortazione, ben chiara, che quella di portare la croce: "Se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (Lc 9,23)
Dopo aver dunque letto attentamente e meditato tutte queste cose, ecco qual è la conclusione: "Si entra nel regno di Dio solo attraverso molte tribolazioni" (Ac 14,21).


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