venerdì 28 febbraio 2014

Provvidenza: la tenerezza dell’Amore.

Rito Romano – VIII Domenica del Tempo Ordinario – 2 marzo 2014
Is 49,14-15; Sal 61; 1 Cor 4,1-5; Mt 6,24-34
Dio ha sempre cura di noi.

Rito Ambrosiano – Ultima Domenica dopo l'Epifania detta “del perdono”
Os 1,9a;2,7a.b-10; Sal 102; Rm 8,1-4; Lc 15,11-32
Il perdono della tenerezza.


1)La fede1sconfigge la preoccupazione2
La liturgia di questa domenica ci propone come prima lettura un brano del profeta Isaia che ci assicura che Dio non ci dimentica mai e come Vangelo un brano del Discorso della Montagna, in cui Gesù invita a non confidare nella ricchezza chiamata mammona3, ma in Dio provvidente, che ha cura del creato e della creatura per eccellenza: l’uomo.
Il rischio evidente che Gesù denuncia è quello di confidare nella forza del denaro per garantirsi la vita, magari tenendo il piede in due scarpe. Questo atteggiamento denota una vita ambigua, condotta senza la piena adesione a Dio e priva di un'incondizionata dedizione al suo servizio, che è per la vita senza fine, mentre il servizio alle cose materiali è una risposta finita al nostro desiderio di infinito.
E’ significativo che Gesù presenti l'alternativa tra Dio e la ricchezza con il termine servire. In effetti se non ci serviamo del denaro in modo intelligente ed evangelico, c’è il rischio serio e sicuro di diventare servi del denaro, preoccupati solo di accumularlo e immiserendo per questo motivo i nostri rapporti personali, compreso quello con Dio.

Abbiamo in questo versetto (Mt 6, 24) una variazione sul tema della beatitudine dei poveri (cfr Mt 5,3) che il testo che segue declina in un modo nuovo, nella linea della fiducia nella provvidenza di Dio. Infatti in Mt 6. 26 e ss, Gesù descrive il giardino del mondo e ci invita a guardare al mondo con occhi di fede. Con la fede si vede in azione la sollecitudine del Padre per ogni cosa: Egli ha cura di tutto anche dei gigli del campo e degli uccelli del cielo e, ancora di più, è provvidente verso gli uomini, figli amati, fatti a sua immagine.
Dunque, la fede, vale a dire l'intelligenza umana riempita da un Altro (al quale ci si abbandona liberamente, volontariamente ed intelligentemente), è la condizione per capire e vivere il Vangelo di oggi. Da un punto di vista puramente terreno alla domanda: “E’ vero che gli uccelli del cielo sono nutriti dal padre celeste (Mt 5,26)?” la risposta è “No”, perché anche loro devono faticare e volare per trovare erbe e insetti per nutrirsi. Come, materialmente parlando, non è vero che i gigli del campo non lavorano, perché dentro la pianta c'è un lavorio enorme. 
Anche il mangiare e bere non pare che ci siano dati in aggiunta, perché il cibo e l'acqua non cadono dal cielo. 

Da un punto di vista materiale tutto dipende da noi. In effetti se non ci si dà da fare, non si mangia e non si beve. 
Ma dal punto di vista della fede, tutto dipende da Dio: “Gli uccelli sono nutriti dal Padre celeste”? “Certo”. E i gigli sono vestiti meglio di Salomone? Certamente (cfr. Mt 5, 28.31-33).
Eppure, nonostante i tanti segni della provvidenza amorosa del Padre, l'uomo spesso viene meno nella fiducia in Dio e non si abbandona al Suo amore. Come ci ricorda la Scrittura, fin dall'inizio del tempo, l'uomo sceglie di fare piuttosto la sua volontà staccandosi così dall'Autore Eterno. Creato con una scintilla di divino nel suo spirito profondo, promessa di vita eterna, l'uomo nella sua libertà ha davanti a sè la scelta: “La vita o la morte, a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà” (Sir 15,17).

2) La Provvidenza è tenerezza.
Saggezza vorrebbe che noi scegliessimo Dio confidando nella sua Provvidenza. Ma a questo proposito dobbiamo ricordare che Dio è davvero Provvidenza4, ma non nel senso che comunemente si dà a questa parola. E’ troppo poco e quasi offensivo ridurre il Suo rapporto con noi alla sola provvidenza ridotta a “previdenza sociale”. Egli si è impegnato con noi fino alla morte e come dice Gesù non vi è amore più grande che dare la vita per i propri amici. Come possiamo dubitare di questo Amore? Siamo il termine ultimo dell'amore di Dio; Egli nasce, vive e muore per noi, Dio non ci dona solo le cose di cui abbiamo bisogno, ma ci dà Se stesso. Deve essere la nostra massima aspirazione e gioia fare quello che ci chiede.
Se crediamo veramente, non dovremmo essere tristi, perché la tristezza è negazione della fede. Lasciamoci portare da Dio e quello che avverrà in modo non preordinato dalla nostra volontà sarà sicuramente disposto da Colui, che conosce le nostre capacità e agisce per il nostro bene.
A Lui, Sole eterno e luminoso della nostra vita, volgiamoci costantemente come i girasoli lo fanno verso il sole che illumina e dà vita alla terra.
Ogni fiume si dirige necessariamente verso il mare, dove trova il suo sbocco naturale, unendosi e perdendosi in questo. Così avviene per ogni uomo nel mare della misericordia di Dio, la cui provvidenza è come l’alveo in cui il fiume della nostra vita scorre.
Dio è provvidente con la sua Presenza, Lui è il Principio che sostiene ogni essere, da Lui plasmato, nel suo esistere e nel suo agire. La sua Sapienza e la sua Provvidenza governano ogni creatura. L’uomo, però, per scoprire e percepire tale Presenza, deve usare i doni che Dio gli ha dato: l’intelligenza, la volontà e la coscienza, e aprirsi al suo mistero di Amore, nell’umiltà e nella sincerità del cuore. Soltanto se l’uomo riconosce Dio come principio del proprio essere, incontra in Lui la verità luminosa: Il salmo lo esprime molto bene: “E’ in te la sorgente della vita, alla tua luce noi vediamo la luce”. (Sal. 36,10).
Dio è provvidente con la sua tenerezza. Il nostro Padre celeste sa di che cosa abbiamo bisogno (cfr Mt 6.,32) e si prende cura di noi teneramente. Non preoccupiamoci di che cosa mangeremo, berremo o indosseremo. Non dobbiamo aver cura di noi, dobbiamo lasciare che di noi abbia cura il Signore.
La nostra sola preoccupazione sia il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto ci sarà dato in sovrappiù (cfr Mt 6, 33). 
Un'ansia eccessiva per le piccole o grandi necessità quotidiane offusca l'interesse e il ricordo per lo scopo, il fine della vita e toglie senso all’esistenza, può perfino annullare il nostro rapporto con Dio, che teneramente ci chiama.
Il cuore del cristianesimo è la croce e la risurrezione di Cristo, vertice della tenerezza della Trinità e rivelazione della tenerezza di Dio all’uomo. Grazie a Cristo, il cui cuore è stato aperto da una lancia, possiamo dire che siamo nel cuore di Dio. Un cuore accogliente, capace di compassione, di benevolenza infinita e di amore davvero gratuito.
Per essere fedele al Vangelo e al Comandamento nuovo, la Chiesa deve presentarsi al mondo come il “sacramento della tenerezza di Dio”, di un Dio di bontà e di grazia e non di punizione e paura. La teologia della tenerezza deve diventare la pratica della tenerezza e questo mette in discussione e in crisi tutto un modo superficiale e mediocre di essere cristiani, un modo di vivere senza slancio ed entusiasmo. Senza il Vangelo della tenerezza non si può vivere pienamente il vangelo dell’amore, che è Cristo in persona, e non si è capaci di portare agli uomini il lieto annunzio della grazia.
Il Dio di Gesù Cristo chiede a tutti noi di farci evangelizzatori della sua tenerezza, facendo la rivoluzione della tenerezza (Papa Francesco, Es. Ap. Post-sin. Evangelii gaudium, n. 88). Solo in Cristo l’uomo ha la possibilità di vincere la tentazione dell’orgoglio e realizzare il senso della tenerezza come evento di grazia per sé, per la Chiesa e per l’umanità.
In modo particolare sono chiamate a questa tenerezza le Vergini consacrate, che si donano interamente a Cristo non rimuovendo o annullando gli affetti umani, ma radicandoli nel cuore di cristo. La verginità consacrata è la ragione di una tenerezza vera e casta e segno della carità di Dio: “Nella verginità liberamente scelta la donna conferma se stessa come persona, ossia come essere che il Creatore sin dall'inizio ha voluto per se stesso(41), e contemporaneamente realizza il valore personale della propria femminilità, diventando «un dono sincero» per Dio che si è rivelato in Cristo, un dono per Cristo Redentore dell'uomo e Sposo delle anime: un dono «sponsale». Non si può comprendere rettamente la verginità, la consacrazione della donna nella verginità, senza far ricorso all'amore sponsale: è, infatti, in un simile amore che la persona diventa un dono per l'altro” (Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, n. 20.
1 La fede è fondamento - cioè certezza - delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (Eb 11,1). Fede vuol dire che la vita è più di quello che si vede. Fede è riconoscere una Presenza e il cristiano è colui che vive o, almeno, tende a vivere i rapporti alla luce della fede, cioè con la coscienza di questa Presenza.

2 Il concetto di preoccupazione. Il termine greco “merimnao” (preoccuparsi, affannarsi, darsi preoccupazione, angustiarsi) ricorre ben quattro volte (Mt 5,25.31.34 (due volte)). Ma il concetto di preoccupazione degli antichi e della Bibbia non è il nostro. 
Noi ci preoccupiamo perché nostro figlio è in ritardo di mezz'ora: poi arriva e la preoccupazione se ne va via. Ci preoccupiamo per l'esame o perché abbiamo degli ospiti e vogliamo fare bella figura, ecc. La preoccupazione riguarda un aspetto della nostra vita. 
Ma quando il Vangelo parla di preoccupazione non intende una parte, un aspetto, ma la totalità. Preoccupazione è qualcosa a cui si pensa sempre, che prende tutto il nostro pensiero e che assorbe tutto il resto. 
Il testo parallelo di Lc 12,22-31, infatti, è proprio preceduto da un uomo che è tutto preoccupato (cioè pensa solo a quello, è sempre lì, è tutto focalizzato lì) dai suoi raccolti “troppo” abbondanti, per cui pensa a come fare e a dove mettere al sicuro i suoi raccolti. Ma vivere così fa morire (cf Lc 12,20) perché esiste solo quello e nient'altro.

3 La radice del termine ebraico “mammonà” è “‘mn” da prendere nel senso di “ciò in cui si ripone la propria fiducia”, si capisce quindi perché Gesù ammonisca i suoi ascoltatori: se l'uomo ripone la sua fiducia, la sua fede nella ricchezza, Dio per lui non significa più nulla.


4 In sé Provvidenza significa il mistero del cuore di Cristo. Ma nel linguaggio cristiano, le parole che contengono il mistero, le energie, le gioie e gli interessi di quell’esistenza, nel corso del tempo, specialmente degli ultimi tre secoli (1700 – 1900), hanno avuto una sorte sfortunata. L’esistenza cristiana è scivolata nella mondanità e ne ha assunto insieme le parole. Ora s’aggirano dappertutto nel nostro linguaggio quotidiano termini che derivano dall’ambito sacro della fede e dell’amore cristiani, ma non hanno più in sé molto della loro origine. Più volte un residuo, una vibrazione, un’aura – per il resto sono divenuti mondani, secolari. Così è accaduto anche alla sacra parola “Provvidenza”, che si è secolarizzata in “previdenza”.


Letture patristiche
San Giovanni Crisostomo
In Epist. I ad Timoth. 3

1. Possesso e uso delle ricchezze

       Disprezza le ricchezze, se vuoi possedere le ricchezze; sii povero, se vuoi essere ricco. Tali sono infatti gli inattesi beni di Dio, egli vuole che non per tuo studio, bensì per sua grazia, tu diventi ricco. Lascia a me - egli dice - codeste cose: tu cura le cose dello spirito, per apprendere la mia potenza: fuggi dal giogo e dalla schiavitù delle ricchezze. Fintanto che le tratterrai in tal modo, sarai povero: allorché invece le disprezzerai, sarai doppiamente ricco; e perché ti perverranno da ogni dove, e perché nulla ti mancherà di quanto invece sono carenti i più. Non è infatti il possedere a dismisura che fa ricco, bensì il non mancare di troppe cose. Perciò, quando c’è l’indigenza, il re in nulla differisce dal povero: la povertà infatti è questo aver bisogno degli altri: proprio per questa ragione il re sia povero, poiché necessita del servizio dei sudditi. Non così per chi è stato crocifisso: di nessuno ha bisogno; al vinto sono sufficienti le proprie mani: "Alle mie necessità, infatti" - egli dice -, "ed a quelle di coloro che sono con me, hanno provveduto queste mie mani" (Ac 20,34). Queste cose dice chi, altrove, afferma: "Quasi come chi non ha nulla, e tutto possiede" (2Co 6,10); proprio lui che a Listra ritenevano che fosse un dio. Se vuoi conseguire le cose del mondo, cerca il cielo se vuoi fruire delle cose presenti, disprezzale: senza equivoci, infatti, dice [Gesù]: "Cercate prima di tutto il regno di Dio, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta" (Mt 6,33). Perché ti soffermi sulle piccole cose? Perché resti a bocca aperta davanti a cose di nessun valore? Fino a quando sarai povero e mendico? Guarda il cielo pensa alle ricchezze di lassù: fatti beffe dell’oro, apprendi quale sia il suo vero uso. Nella vita presente - che scorre come rena -, fruiamo soltanto di esso, perciò quasi goccia in paragone all’immensità dell’abisso, di tanto si differenziano le cose presenti in raffronto alle future. Qui non si tratta di possesso, ma di uso, e non neppure possesso in senso proprio: Come mai, infatti, al momento del tuo estremo respiro, che tu lo voglia o no, altri ricevono tutto, e questi a loro volta danno ad altri, che poi daranno ad altri ancora? Tutti in effetti siamo di passaggio, e il padrone di casa è necessariamente più privilegiato del servo: spesso peraltro, morto quegli, il servo rimane, e si gode la casa molto più a lungo di lui. Ma se questi con mercede, anche quello in precedenza con mercede: costruì infatti, mettendo pietra su pietra con grande fatica e impegno. Solo al Verbo appartengono i domini: infatti nella verità della cosa tutti siamo padroni degli altri. Sono nostre solo quelle cose che abbiamo mandato lassù innanzi a noi: quelle che sono quaggiù, non sono nostre bensì dei viventi; anzi ci lasciano quando siamo ancora vivi. Sono nostre soltanto quelle cose che sono opere d’un’anima nobile quale l’elemosina, la benignità.

       Queste cose son dette esterne anche tra gli stranieri: infatti sono fuori di noi. Dunque facciamo in modo che stiano dentro. Non possiamo infatti partire da qui portandoci dietro le ricchezze, però possiamo emigrare portando con noi l’elemosina: anzi, a dire il vero, la mandiamo innanzi, per prepararci un abitacolo nella dimora eterna.


2. La fede nella Provvidenza

       Come la retta educazione dell’individuo così anche quella del genere umano, per quanto riguarda il popolo di Dio, progredì attraverso traguardi di tempi, in analogia allo sviluppo delle età, affinché si formasse dalle cose divenienti all’apprendimento delle cose eterne e dalle visibili a quello delle invisibili. Quindi anche in quel tempo in cui da Dio si promettevano ricompense visibili, si inculcava che si deve adorare un solo Dio. Così l’intelligenza umana, anche per quanto riguarda gli stessi beni terreni della vita che fugge, si doveva sottomettere soltanto al vero Creatore e Signore dell’anima. È irragionevole infatti chi nega che tutte le cose, che gli angeli e gli uomini possano concedere agli uomini, sono in potere di un solo Onnipotente. Il platonico Plotino ammette senza esitazione la provvidenza e dimostra dalla bellezza dei fiori e delle piante che essa dal sommo Dio, che ha bellezza ineffabilmente intelligibile, giunge fino alle cose più basse della terra. Dichiara che tutte queste cose spregevoli ed estremamente precarie possono avere i gradi convenienti delle proprie forme soltanto se le ricevono dall’essere in cui permane la forma intelligibile e non diveniente che ha in atto la totalità dell’essere. Gesù lo dichiara con le parole: "Osservate i gigli del campo, non lavorano e non tessono. Ma io vi dico che neanche Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così un’erba del campo che oggi è e domani si getta nel braciere, quanto più voi, uomini di poca fede?" (Mt 6,28-29). Giustamente quindi l’anima ancora legata ai terreni desideri si abitua ad attendere soltanto dall’unico Dio i beni infiniti della terra che desidera nel tempo, perch‚ indispensabili alla vita che fugge, ma spregevoli al confronto con i beni della vita eterna. Così, pur nel desiderio dei beni terreni, non si allontana dal culto a lui che deve raggiungere disprezzandoli e volgendosi in senso contrario ad essi.

venerdì 21 febbraio 2014

Amare nella carità di Cristo.

L’amore è un “dovere” e l’odio non è un “diritto”.

Rito Romano – VII Domenica del Tempo Ordinario – 23 febbraio 2014
Lv 19,1-2.17-18; Sal 102; 1 Cor 3,16-23; Mt 5,38-48
Amare i nemici

Rito Ambrosiano – Penultima Domenica dopo l'Epifania
Bar 1,15a;2,9-15a; Sal 105; Rm 7,16a; Gv 8,1-11
Per Cristo i peccati nostri sono come polvere.

1) Guardare alla Croce.Amate i nemici: un comando realistico?
E’ realmente possibile amare i nemici, e amarli mentre manifestano la loro ostilità e inimicizia, il loro odio e la loro avversione? È umanamente possibile mettere in pratica questo comando di Cristo? L'amore per i nemici alla ragion comune sembra pazzia. Vuol dire che la nostra salvezza è nella pazzia? L'amore per i nemici rassomiglia all'odio per noi medesimi. Vuol dire che arriveremo alla beatitudine solo a patto di odiare noi stessi?
Insomma, perché Gesù chiede di amare i propri nemici, cioè chiede di praticare un amore che eccede le capacità umane?
In realtà, la proposta di Cristo è realistica, perché tiene conto che nel mondo cè troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà” (Benedetto XVI).
Non è facile, ma — ha detto Papa Francesco durante la messa celebrata giovedì mattina, 12 settembre, nella cappella di Santa Marta — è possibile: basta contemplare Gesù sofferente e lumanità sofferente e vivere una vita nascosta in Dio con Gesù.
Per capire e fare ciò dobbiamo prendere sul serio l’invito dell’Apostolo Paolo: “Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo” (Fil 2,5);“Fratelli, scelti da Dio, santi e amati. Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altrise qualcuno avesse di che lamentarsi nei confronti di un altro. Come il Signore vi ha perdonato così fate anche voi”(Col 3, 12-17).
Per poter amare nella carità di Cristo tutti, compresi i nemici, la strada è quella di stampare i nostri occhi su Cristo in Croce e così imparare a sentire come sentiva Gesù, conformare il nostro modo di pensare, di decidere, di agire con i sentimenti di Gesù. Se prendiamo questa strada, viviamo bene e prendiamo la strada giusta. In questa contemplazione dell’amore crocifisso avremo la conferma che Gesù, ci vuol bene. Questo bene è tenerezza e una grande consolazione per noi, è un conforto e anche una grande responsabilità giorno per giorno. E’ un bene che ci è donato e che non possiamo ottenere con lo studio o la pratica: è un dono gratuito di Dio da far responsabilmente fruttificare.
Il mondo - e noi nel mondo - condanna e giustizia, cioè elimina ogni nemico. Nel mondo si fa guerra al nemico, fino all'annientamento. Ma Cristo ci dice di amare il nemico, e la Sua Parola è verità. E’ realtà. Questa Parola d’amore qui ed ora si compie in noi, nemici di Dio intenti, ogni giorno, a eliminare i nemici, smarrendo per via pazienza, perdono e amore. Noi, ricchi di peccati, siamo amati e riamati infinitamente da Dio, ricco di misericordia.
Il cristiano è portato dal Vangelo a vedere in se stesso il nemico amato da Dio e per cui Cristo è morto: questa è l’esperienza di fede basilare da cui soltanto potrà nascere l’itinerario spirituale che conduce all’amore per il nemico! Scrive Paolo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo peccatori e nemici, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8-10).
La nostra vita perduta, riscattata e compiuta nel Suo perdono. Le Sue braccia aperte sono anche oggi il nostro rifugio, la nostra perfezione. Siamo dunque perfetti, compiuti solo nascosti tra le Sue ferite d'amore (cfr San Bernardo di Chiaravalle). “È che questa verità può essere contemplata. E partendo da deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare” (Benedetto XVI, Deus caritas est n.12). Trafitti dalla Sua misericordia diventiamo noi stessi le Sue ferite aperte sul mondo, segno di salvezza, vita e perdono per ogni uomo. Le nostre piaghe quotidiane unite alle Sue piaghe sono la perfezione che salva il mondo.

2) Guardare dalla Croce.
Là, inchiodati alla nostra croce siamo perfetti. Là dove nessuno saluta, là dove si cela il sole e si trafuga la pioggia, laddove il mondo cancella gli ingiusti, i figli del Padre celeste offrono la vita, gratuitamente, per fede amorosa.
dove il mondo odia, i discepoli dell'Amore amano. La nostra vita è così compiuta sulla Croce, Crocifissi con Lui. “Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Certo, l'uomo puòcome ci dice il Signorediventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva (cfr Gv 7, 37-38). Ma per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l'amore di Dio (cfr Gv 19, 34)" (Benedetto XVI, Deus caritas est n.7). E’ Lui vivo in noi ad amare ogni uomo, scende in noi all’ultimo posto, servo di questa generazione per aprire il Cielo ad ogni nemico, nel Suo sangue trasformato in amico. Di più, ogni nemico è fratello agli occhi di Cristo. Come lo siamo stati noi, appena un istante fa, o lo fummo ieri, o lo saremo domani. 

Dunque impariamo a guardare all’altro, al nostro prossimo non più soltanto con i nostri occhi e con i nostri buoni sentimenti, ma guardiamo dalla Croce, dal punto di vista di di Gesù Cristo.
Il suo amico è nostro amico. Al di là dell'apparenza esteriore, con una purezza da angeli potremo scorgere nell’altro la sua attesa di un gesto di amore, di attenzione. Se cerchiamo di guardare l’altro con gli occhi di Cristo, possiamo dargli ben più che le cose necessarie materialmente: possiamo donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno (cfr Benedetto XVI, Deus caritas est n.18). Gli occhi di Dio, che ama tutti donando a tutti il necessario, senza distinzione alcuna, sono gli occhi di Gesù posati su questa umanità attraverso i nostri stessi occhi.
C’è una bellissima intuizione di Berdiaeff: All'inizio Dio disse a Caino: Cosa hai fatto di tuo fratello Abele? Nell'ultimo giorno non si rivolgerà più a Caino ma ad Abele dicendo:Cosa hai fatto di tuo fratello Caino?. Abele risorgerà non per la vendetta ma per custodire Caino. La terra nuova sarà quando le vittime si prenderanno cura dei loro carnefici. Questo è il cuore di Dio. Con il suo infinito amore per noi, Cristo fece così per noi.
Per imparare da lui, occorre andare al Calvario e guardare il Redentore in Croce, poi occorre salire in Croce accanto a lui, e guardare dal suo punto di vista. A questo amore si arriva attraverso un cammino, una ascesi.
L’amore non è spontaneo: esso richiede disciplina, ascesi, lotta contro l’istinto della collera e contro la tentazione dell’odio. Così si perverrà alla responsabilità di chi ha il coraggio di esercitare una correzione fraterna denunciando “costruttivamente” il male commesso da altri. L’amore del nemico non va confuso con la complicità con il peccatore.
Chi non serba rancore e non si vendica, ma corregge il fratello, è infatti anche in grado di perdonare; e il perdono è la misteriosa maturità di fede e di amore per cui l’offeso sceglie liberamente di rinunciare al proprio diritto nei confronti di chi ha già calpestato i suoi giusti diritti. Chi perdona sacrifica un rapporto giuridico in favore di un rapporto di grazia.

 Ma perché tutto questo sia possibile è indispensabile che accanto al comando di amare i nemici ci sia la preghiera per i persecutori, l’intercessione per gli avversari: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5,44). Se non si assume l’altro – e in particolare l’altro che si è fatto nostro nemico, che ci contraddice, che ci osteggia, che ci calunnia – nella preghiera, imparando così a vederlo con gli occhi di Dio, nel mistero della sua persona e della sua vocazione, non si potrà mai arrivare ad amarlo. Ma dev’essere chiaro che l’amore del nemico è questione di profondità di fede, di “intelligenza del cuore”, di ricchezza interiore, di amore per il Signore, e non, semplicemente di buona volontà.
Questo amore a cui Dio ci chiama è un amore che non poggia in definitiva sulle risorse umane, è dono di Dio che si ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa. Ecco la novità del Vangelo, che cambia il mondo senza far rumore. Ecco l’eroismo dei “piccoli”, che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita. Cristo è il primo in questo amore per i nemici e i martiri lo hanno imitato nell’amare fino alla fine. Tuttavia teniamo presente che la vita consacrata è a questo riguardo un martirio incruento, ma quotidiano. Nell’Ordo Virginum le persone sono chiamate alla costante testimonianza, che è un martirio senza spargimento di sangue, perché vivono una esistenza totalmente dedicata alla fedeltà a Dio ed all’intercessione per i peccatori, che si pensano nemici di Cristo, che li ama e che invoca su di loro il perdono del Padre. Nel nascondimento di una vita quotidiana, semplice come quella della Madonna a Nazareth, mostrano che si può imitare l’esempio eminente della Madre di Cristo, nella quale Dio fu il protagonista e la sua verginità fu l’espressione, anche fisica, dell’apertura totale al progetto di Dio. La vocazione di questa donne è di umilmente lavorare e pregare per pacificare la terra, conciliare i fratelli nemici, far risorgere Abele, ricondurre all’amore Caino. (Cfr Due invocazioni della Preghiera litanica nel Rituale della Consacrazione delle Vergini, n. 20 – traduzione letterale dal latino:
O Signore,
  • mantieni e fai crescere nella tua Chiesa la fiamma della verginità beata, ti preghiamo, ascoltaci.
  • Poni tra i popoli una intesa e una pace sincere, ti preghiamo, ascoltaci ).







Lettura patristica
Sant’Agostino, Vescovo di Ippona
“Trattati sulla prima lettera di Giovanni” (1, 9-12)
In questo lo conosciamo se osserveremo i suoi comandamenti. Quali comandamenti? Chi dice di conoscerlo e non osserva i suoi comandamenti è menzognero e in lui non c'è verità. Ma tu torni a chiedere: quali comandamenti? Giovanni ti dice: Chi osserverà la sua parola, veramente in lui è perfetto l'amore di Dio (1 Gv 2, 3-5). Vediamo se questo comandamento non sia l'amore. Ci domandavamo quali fossero questi comandamenti e Giovanni ci risponde: Chi osserverà la sua parola, veramente in lui è perfetto l'amore di Dio. Esamina il Vangelo e vedi se non è questo precisamente quel comandamento. Dice il Signore: Vi un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda (Gv 13, 34). A questo segno noi conosciamo di essere in lui, se in lui saremo perfetti (1 Gv 2, 5). Egli parla di perfetti nell'amore. Ma qual'è la perfezione dell'amore? E' amare anche i nemici ed amarli perché diventino fratelli. Il nostro amore infatti non deve essere carnale. E' buona cosa chiedere per un altro la salute del corpo; ma se questa mancasse, non deve scapitarne la salute dell'anima. Se auguri al tuo amico la vita, fai bene. Se ti rallegri per la morte del tuo nemico, fai male. Forse la vita che auguri all'amico è inutile, mentre quella morte del nemico di cui ti rallegri, può essere a lui utile. Non è certo se questa nostra vita sia utile o inutile, mentre è indubbiamente utile la vita presso Dio. Ama i tuoi nemici con l'intento di renderli fratelli; amali fino a farli entrare nella tua cerchia. Cosí ha amato colui che, pendendo sulla croce, disse: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Non che abbia detto: Padre, costoro abbiano una vita lunga; loro che mi uccidono abbiano a vivere; ma ha detto: Perdona loro perché non sanno quello che fanno. Egli li volle preservare da una morte perpetua con una preghiera piena di misericordia e di forza. Molti tra essi credettero e fu loro perdonato di aver versato il sangue di Cristo. Quando si mostrarono crudeli, versarono quel sangue; quando credettero, lo bevvero. In questo noi conosciamo che siamo in lui, se in lui saremo perfetti. Il Signore ci ammonisce ad essere perfetti quando ci parla del dovere di amare i nemici: Siate dunque perfetti, come è perfetto il vostro Padre celeste (Mt 5, 48). Chi dunque dice di rimanere in lui, deve camminare come lui camminò (1 Gv 2, 6). In quale modo, o fratelli? Che ammonizione è questa? Colui che dice di rimanere in lui - cioè in Cristo - deve camminare come lui camminò. Che ci ammonisca forse di camminare sul mare? No, evidentemente. Ci ammonisce invece di camminare nella via della giustizia. Quale via? L'ho ricordato. Egli, quando era inchiodato alla croce, camminava proprio su questa via, che è la strada della carità. Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Se dunque imparerai a pregare per il tuo nemico, camminerai sulla strada del Signore.”

venerdì 14 febbraio 2014

La Legge della libertà

Rito RomanoVI Domenica del Tempo Ordinario16 febbraio 2014
Sir 15,15-20; Sal 118; 1 Cor 2,6-10; Mt 5,17-37
La legge nuova

Rito Ambrosiano - Domenica VI dopo l'Epifania
1Sam 21, 2-6a. 7ab; Sal 43 (42), 1. 3-5; Mt 12, 9b-21
La legge è per l’uomo




1) La legge1 e il suo compimento2
Nel Vangelo di questa domenica, Gesù afferma di voler portare acompimento la Legge e i Profeti3 (Mt 5, 17). In effetti il Cristo, il Verbo fatto nostra carne per nostro amore non è solamente la Parola della legge, cioè la Via per la quale dobbiamo andare, ma è anche la Verità che adempie la legge, e la Vita che ne premia il compimento.
Qual dunque è ilcompimentodella legge? Pieno compimento della legge è lobbedienza al comandamento dellamore (cfr. Rm 13, 9-10). Lobbedienza diventa così il segno che si vive sotto la grazia dellamore.Se mi amate, osservate i miei comandamenti(Gv 14,15), perché lamore non sostituisce la legge, ma la osserva, lacompie.
Anzi lamore è lunica forza che può osservare veramente la legge. Si può dire ancora di più: EGesù stesso il compimento della legge, in quanto egli ne realizza il significato autentico con il dono totale di sé: diventa Lui stesso legge vivente, personale 4 e luminosa.
Già il salmo 18 paragona la legge di Dio alla luce del sole, quando afferma che icomandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi(18/19,9).
Il Libro dei Proverbi poi afferma cheil comando è una lampada e linsegnamento è una luce(6, 23). Infine non va dimenticato che Gesù stesso presenta la sua persona come rivelazione definitiva usando la medesima immagine:Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita(Gv 8, 12), la luce dellamore. Cristo è Luce senza la quale non possiamo camminare che a tentoni. Lui è Luce che ci fa conoscere noi stessi, comprendere il mondo e sapere dove andiamo.
Camminare alla luce di Cristo vuol dire accettare la croce quotidiana, e ricevere la pace. La pace del cuore è la forza del credente: se siamo perseveranti nellobbedire ai comandi di Dio, la nostra costanza sarà sorgente di felicità.
Preghiamo il nostro Padre nei cieli perché Cristo, nostra Legge5, illumini i nostri cuori, rinfranchi le nostre anime e ci doni la saggezza dei semplici, perché sappiamo sempre camminare nella sua luce anche quando ci sono difficoltà, affanni e pericoli.
Gesù non cominciò a predicare dicendo: “Convertitevi e credete al vangelo affinché il Regno venga a voi”; cominciò dicendo: “Il Regno di Dio è venuto tra voi: convertitevi e credete al vangelo”. Non prima la conversione, poi la salvezza, ma prima il dono della salvezza e poi la conversione.
Nel cristianesimo esistono i doveri e i comandamenti, tuttavia è dal dono che nasce il dovere e non il contrario. La grazia e lamore precedono il comandamento:Noi amiamo perché Lui ci ha amati per primo(1 Gv 4.19).

2) La legge è un dono.
Cristo non ci dice solocosa fare, machi dobbiamo esseree, quindi, ci insegna anche come dobbiamo vivere per realizzare la comunione nellamore a Dio ed ai fratelli. Con losservanza dei comandamenti, noi obbediamo con amore alla legge, che è radicata nellamore di Dio e che indica la volontà di Dio di reggere la nostra vita con i suoi comandi di carità. Con questa osservanza alla sua legge di libertà noi diventiamo piùumani, facendo risplendere in noi limmagine a somiglianza di Dio che ci ha creati per la vita con Lui.
La legge è la parola di Dio, che indica la sua volontà per la vita. Gesù è il primo che ha compiuto questa volontà, che è un dono che Dio ci per vivere da uomini nuovi nellamore. Chi ama compie tutta la legge che è cammino della vita, osservandola sempre.
Dicendo che Lui non è venuto ad abolire la legge ma a compierla, Gesù intende toglierci dalla paura della punizione e radicarci nellamore fiducioso. Lui è lUomo e conosce luomo, comprendendone le debolezza. Sa che una legge imposta con la paura della punizione è rispettata, possiamo dire, tre volte su dieci. Sa pure che una legge che garantisce un premio è osservata sette volte su dieci. Lui vuole aiutarci ad osservarla dieci volte su dieci. Allora da buon fratello maggiore ci ricorda che non solamente la legge fu data da Dio a Mosè sul Monte Sinai, tra tuoni e fulmini, ma che essa è uscita dal Pensiero di Dio, che ce lha donata grazie al suo Amore e lha detta con la sua Parola. Gesù, Uomo che ha Dio come Padre, ci insegna che la santità non è unmestiereper pochi, ma la vocazione di tutti i battezzati.
Santità non è separazione dalla vita quotidiana, dalla quotidiana fatica di vivere, ma vivere nella fiducia e nella confidenza come bambini nelle braccia della loro mamma.
Un esempio significativo è quello di Santa Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo. Che cosa ha fatto questa che noi non possiamo fare? Questa piccola, grande Santa rispose allamore come una giovane donna di 24 anni può fare. Non fece grandi cose6.
La grandezza delle nostre azioni dipende dalla fede che abbiamo nel Suo amore. Imitiamo la piccola Teresa, che credeva con certezza di essere amata da Dio, e così ha sconvolto il Cielo con i suoisemplici, piccoliatti di amore, con un sorriso, con un passo in più in giardino, unofferta del suo dolore dovuto ad un tumore osseo, perché un missionario avesse la forza di riprendere il cammino di evangelizzatore.
Anche i suoi genitori, i coniugi Martin, vissero come la piccola Teresa Martin del Bambin Gesù e, penso, furono loro ad insegnare quello stile di vita che la Santa carmelitana percorse comepiccola via. La piccola via dellinfanzia spirituale di Teresa di Lisieux chiede un cuore puro e povero di una semplice persona come la piccola Teresa che seppe stare a mani vuote davanti a Dio, senzaltro appiglio chela fiducia e nientaltro che la fiducia. Quindi la santità e la felicità sono anche per noi una meta possibile,bastavivere ogni momento della nostra vita quotidiana offrendolo a Dio.
Questo stile di vita è praticato in particolare dalle Vergini consacrate, le quali sono donne semplici, che esprimono i loro talenti nella dedizione a Dio e nel servizio agli altri nella normalità del quotidiano. Proprio nella donazione feriale queste donne scorgono la loro vocazione più profonda a farsi carico della vita anche dove nessun sguardo umano giunge, ma solo lo sguardo di Dio.
LOrdo Virginum è un dono per la Chiesa di oggi, per rendere visibile il Regno di Dio in mezzo a noi. Queste donne sono chiamate afare straordinariamente bene lordinario, in quanto la verginità consacrata nel mondo non ha compiti operativi definiti se non la testimonianza chiara e coraggiosa del Vangelo in ogni ambiente. Loro si donano completamente a Dio rimanendo nel mondo. Esse hanno come segno distintivo quello di mostrare la compassione di Dio che si manifesta con la loro discreta presenza. Questa presenza che si dona, permette agli altri di incontrare la Presenza, che è dono.
La loro vita testimonia che non solamente è possibile fare agli altri quello che si vuole sia fatto a noi, ma fare agli altri quello che Dio fa a noi, amando con amore pulito e vigoroso. La legge dellamore non è dare tanto o poco, ma dare con tanto amore. Con la bocca parliamo, con gli occhi guardiamo, con la mani facciamo, con la vita consacrata la bocca dice parole di lode a Dio, gli occhi contemplano lamore di Dio e le mani si uniscono per pregare Dio e si aprono per donare.

1 E' importante ricordare che la Legge (in ebraico la Torah) per Israele non è un insieme di norme, come la intendiamo noi. Eprima di tutto un dono che Dio ha fatto al suo popolo con lo scopo di far conoscere la sua volontà salvifica. In ebraico Torah deriva dal verbo istruire (yrh) con un particolare riferimento all'istruzione trasmessa dal Pentateuco (i primi 5 libri dellAntico Testamento) e per estensione è attribuita poi a tutta la Scrittura.Naturalmente tale dono è di ordine pratico, comporta azioni concrete da compiere, e quindi la traduzione in greco con nomos legge è corretta.
2 Il compimento portato da Gesù a tale Legge può essere inteso con riferimento a) al suo comportamento personale (ha osservato i precetti della Legge); b) al suo ruolo di adempimento delle Scritture, sottolineato da San Matteo (cfr. capitoli 1-2 e altri passi); c) alla portata del suo insegnamento come espresso nel comandamento dell'amore (cfr. Mt 22,40) dal quale tutti gli altri prendono forza e significato.
3 Legge e Profeti erano le prime due grandi parti della Bibbia ebraica (la terza parte è costituita dai Salmi; per estensione, indicano tutto l'Antico Testamento ed è in questo senso San Matteo la usa (cfr. 7,12; 11,13; 22,40).
4 B. Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, 15.
5 La Torah del Messia è il Messia stesso, è Gesù. In essa, ciò che delle tavole di pietra del Sinai è davvero essenziale e permanente appare ora iscritto nella carne vivente: il duplice comandamento dellamore, che trova espressione neisentimentiche furono in Gesù (Fil 2,5). (J. Ratzinger,  La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, Roma 1967, p 74)
6 Ma poi quali cose sono grandi davvero davanti a Dio? Quale differenza cè fra le imprese di Francesco Saverio e ciò che fece la piccola Teresa? Ogni differenza viene meno davanti alla grandezza infinita di Dio. La vita e la grandezza di una persona sono nulla davanti a Dio. Quello che invece fa grande latto delluomo è che ogni atto raggiunge un Dio che lo ama.



Lettura Patristica
« Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento » -
San Bernardo di Chiaravalle
(1091-1153)
Monaco cistercense e Dottore della Chiesa
In Discorsi vari, 22, 5-6

La grazia, un tempo nascosta e velata nellAntico Testamento è stata rivelata nel Vangelo del Cristo secondo un'ordinatissima distribuzione dei tempi fatta da Dio, che sa disporre bene tutti gli eventi...
In tale mirabile coincidenza c'è questa grande differenza tra due epoche: nel Sinai, il popolo non osava accostarsi al luogo dove il Signore donava la sua legge; nel Cenacolo invece lo Spirito Santo discende su coloro ai quali era stato promesso e che per aspettarlo si erano riuniti insieme in un sol luogo (Es 19,23; At 2,1).
Prima il Dito di Dio operò in tavole di pietra; ora scrive nei cuori degli uomini (2 Cor 3,3).
Un tempo, la legge fu proposta esternamente e spaventava gli ingiusti, ora è data interiormente perché gli ingiusti fossero da essa giustificati. Infatti tutto ciò che fu scritto su quelle tavole:Non commettere adulterio, non uccidere, non desiderare, e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole:Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo:pieno compimento della legge è l'amore (Rm 13,9-10).
L'amoreè stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato(Rm 5,5).