venerdì 30 giugno 2017

Amare Dio non è andare contro l’uomo

Rito Romano
XIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 2 luglio 2017

2 Re 4,8-11.14-16a; Sal 88; Rm 6,3-4,8-11; Mt 10,37-42


Rito Ambrosiano
Gn 6, 1-22; Sal 13; Gal 5, 16-25; Lc 17. 26-30.33

  1. Il primato dell’amore di Cristo - Amare il prossimo in Dio.
L’inizio del Vangelo di oggi: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me” (Mt 10, 37) suona incomprensibile, per non dire inumano. Ed anche i due versetti successivi: “Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10, 38-39) non sono facilmente comprensibili. Se ragionassimo come gli ebrei e greci di duemila anni fa, considereremmo queste frasi di Cristo folli e scandalose.
Cerchiamo di capirne la sapiente ragionevolezza, tenendo conto di quanto San Paolo afferma: “Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. (1 Cor 1, 22-25).
In primo luogo, per avere questa comprensione dobbiamo domandare a Cristo che invii il suo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con la stessa intelligenza e con lo stesso amore, , con il quale Lui l’ha “letta” per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Sacra Scrittura, Cristo aiutò i due discepoli di Emmaus a scorgere la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della Sua condanna e della Sua morte. Così, la croce, che sembrava essere la fine di ogni speranza, è stata finalmente capita da loro come sorgente di vita e di risurrezione.
In secondo luogo, teniamo presente che il Vangelo di oggi ci dice che:
  • l’amore verso Gesù deve superare l’amore verso il padre e la madre e verso i figli (Mt 10, 37;
  • la croce forma parte della sequela di Gesù (Mt 10, 38);
  • occorre perdere la vita per poterla possedere (Mt 10, 39):
  • Gesù si identifica con il missionario e con il discepolo (Mt 10, 40-41)
  • Il più piccolo dei gesti (per esempio offrire un bicchiere d’acqua) fatto per il più piccolo dei più piccoli ottiene la ricompensa più grande: Cristo stesso.
Alla luce di ciò possiamo capire che l’amore a Cristo non è antagonista dell’amore ai nostri cari. Gesù non chiede tanto di amarli di meno quanto di amarli in Lui.
Per dirla in breve: Cristo dice di non anteporre a Dio ciò che Dio dà. Guardiamo, per esempio, alla testimonianza di Abramo, al quale fu comandato di uccidere il suo unico figlio e tra il figlio e Dio scelse Dio. “Perciò neanche ciò che ti dà il Signore come la cosa più grande, lo devi anteporre a Colui che te l'ha data. E quando Dio te lo vorrà togliere, non ti abbattere, perché Dio occorre amarlo gratuitamente. Quale premio più bello si può ottenere da Dio che lui stesso?” (Sant’Agostino, Discorso 2, 4). E con la sua Alleanza Dio “ridiede” ad Abramo il figlio. In effetti, solo riferiti a Lui i nostri legami e affetti umani trovano fondamento e protezione.
Il Redentore, che sana e santifica l’amore umano, lo eleva nel suo cuore. Dando il primato all’amore di Lui le nostre relazioni sono convertite, guarite e rese vere.
Nella croce pasquale, di morte e di resurrezione, tutto rinasce santamente, anche l’amore fra padre e figlio, fra marito e moglie. Il primato richiesto dal Signore è il principio garante di ogni relazione liberata da ogni deviazione idolatrica: solo Dio è Dio.

2) Il Primato dell’amore di Cristo in famiglia.
Quando il Messia dice che Lui deve essere amato da noi più di nostro padre e di nostra madre, non intende cancellare il quarto comandamento, che è il primo grande comandamento verso le persone1. E neppure dobbiamo pensare che, dopo aver compiuto il suo miracolo per gli sposi di Cana, dopo aver consacrato il legame coniugale tra l’uomo e la donna, dopo aver resuscitato il figlio di una vedova e la figlia di un centurione restituendoli alla vita famigliare, il Signore ci chieda di sradicarci da questi affetti.
Anzi, quando il Redentore afferma il primato della fede e dell’amore a Dio, non trova un paragone più significativo degli affetti famigliari.
Il comando di mettere i legami famigliari nell’ambito dell’obbedienza della fede e dell’alleanza con il Signore non li mortifica. Al contrario, li protegge, li svincola dall’egoismo, li custodisce dal degrado, li porta in salvo per la vita che non muore.
“Quando gli affetti famigliari si lasciano convertire alla testimonianza del Vangelo, diventano capaci di cose impensabili, che fanno toccare con mano le opere di Dio, quelle opere che Dio compie nella storia, come quelle che Gesù ha compiuto per gli uomini, le donne, i bambini che ha incontrato. Un solo sorriso miracolosamente strappato alla disperazione di un bambino abbandonato, che ricomincia a vivere, ci spiega l’agire di Dio nel mondo più di mille trattati teologici. Un solo uomo e una sola donna, capaci di rischiare e di sacrificarsi per un figlio d’altri, e non solo per il proprio, ci spiegano cose dell’amore che molti scienziati non comprendono più. E dove ci sono questi affetti famigliari, nascono questi gesti dal cuore che sono più eloquenti delle parole. Il gesto dell’amore..... Questo fa pensare” (Papa Francesco).
  Infine, oltre a chiederci di amare i nostri cari in Dio, cioè di vivere l’amore nell’Amore, Cristo, nel Vangelo di oggi, ci insegna che per compiere un gesto d’amore basta poco: “Chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”. Ogni gesto di amore, accoglienza, fosse anche il più semplice, il meno impegnativo, quello che apparentemente non conta, non è valutato secondo i parametri dell'economia moderna, dell'utilità, del rendimento, come quello di un bicchiere d'acqua che si dà a chi lo chiede, se fatto con amore e per amore, non perderà davanti a Dio la ricompensa.

  1. Il Primato dell’amore nelle vergini consacrate.
L’insegnamento di Cristo, che è presentato oggi nel Vangelo, può essere sintetizzato così:
  1. se ci si ama dando il primato a Dio, nulla ci può separare;
  2. ogni cosa ha senso nell'amore, quando Dio è al primo posto, anche un bicchiere d’acqua.
A questo punto è giusto proporre le vergini consacrate come testimoni speciali di questo primato da dare a Dio. La loro è la testimonianza privilegiata di una ricerca costante di Dio, di un amore unico ed indiviso per Cristo, di una dedizione assoluta alla crescita del suo regno. Senza questo segno concreto della verginità consacrata, il fuoco di carità che anima l’intera chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso del vangelo della croce correrebbe il rischio di smussarsi. Queste donne rendono testimonianza che la verginità permette una vita lieta e vera, fatta di semplicità e di umiltà, di spontaneità e tenacia, dolcezza e fortezza nella certezza della fede operosa nella carità.
  Ad una umanità smarrita senza punti veri di riferimento, le vergini consacrate unicamente all’amore di Dio sono testimoni che l’adesione vitale al proprio fine, cioè al Dio vivente, ha realmente unificato e aperto, mediante l’integrazione di tutte le sue facoltà, la purificazione dei loro pensieri, la spiritualizzazione dei loro sensi, la profondità e la perseveranza della loro vita in Dio.
In breve, testimoniano, in forma luminosa e singolare, che il mondo può essere trasfigurato e offerto a Dio nello spirito delle beatitudini. 

1  I primi tre sono in rapporto a Dio, questo e gli altri sei riguardano l’essere umano.


Lettura Patristica
San Giovanni Crisostomo
In Math. 35, 1 s.


       "Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me. E chi non prende la sua croce e viene dietro a me, non è degno di me" (Mt 10,37-38). Notate la dignità e l’autorità del Maestro. Vedete come egli dimostra di essere il Figlio unico e legittimo del Padre, ordinando agli uomini di rinunziare a tutto e di anteporre l’amore per lui a ogni cosa. Non vi ordino soltanto -egli dice in sostanza - di preferire me ai vostri amici o ai vostri parenti. Vi ordino qualcosa di più, vi dico cioè che se preferite la vostra anima, la vostra vita all’amore che mi dovete, siete ben lontani dall’essere miei discepoli...

       E se Paolo raccomanda con tanta cura ai figli di essere sottomessi ai genitori, non stupitevene. Egli ordina di obbedire ai genitori solo in quelle cose che non offendono l’amore di Dio. È santo rendere ai genitori tutto l’onore e la deferenza che loro è dovuta. Ma se essi esigono da noi quanto non è loro dovuto, non si deve obbedir loro. Ecco perché Luca, citando le parole di Gesù, scrive: "
Se uno viene a me senza disamare il proprio padre e la madre, la moglie e i figli, i fratelli, e persino la propria vita, non può essere mio discepolo" (Lc 14,26). Cristo non comanda di non amare in senso assoluto, perché ciò sarebbe del tutto ingiusto; ma se i genitori e i parenti esigessero per sé un amore più grande di quello che nutriamo per lui, egli dice di detestarli per tale motivo. Questo amore non ordinato, infatti, perderebbe sia colui che ama sia coloro che sono così amati.

       Gesù parla in tal modo per rendere al tempo stesso i figli più forti, quando è in causa l’amore di Dio, e i genitori, che volessero ostacolarli, più miti e ragionevoli. Costatando che Dio ha tale forza e potenza da attirare a sé i figli degli uomini, separandoli dai loro genitori, questi ultimi desisteranno dall’opporsi, ben comprendendo che tutti i loro sforzi in tal senso sarebbero inutili. Ecco perché in questo passo Gesù si rivolge solo ai figli, e non indirizza le sue parole anche ai padri, i quali, però, dalle sue parole sono avvertiti di non tentare mai di allontanare da Dio i loro figli trattandosi di impresa impossibile. Ma affinché i padri non rimangano indignati e non si ritengano offesi da questo comando ch’egli rivolge ai giovani, osservate come prosegue il suo discorso. Dopo aver detto «Se uno viene a me senza disamare il proprio padre e la madre» aggiunge subito «e persino la propria vita». Credete voi - egli dice in sostanza - che io vi chieda soltanto di rinunziare ai vostri genitori, ai vostri fratelli, alle vostre sorelle, alle vostre spose? Non c’è niente di più strettamente unito all’uomo della sua vita: ebbene, se non giungerete a disprezzare anche quella, io non vi considererò né vi tratterò certo da amici, ma in modo del tutto contrario. E non chiede ai suoi discepoli solo di disprezzare la propria vita, ma ingiunge loro di esporla alla guerra, alle lotte, all’uccisione, al sangue.

"
Chi non porta la sua croce e viene dietro a me, non può essere mio discepolo" (Lc 14,27). Vuole insomma che noi siamo pronti non solo alla morte, ma anche a una morte violenta e persino alla più ignominiosa di tutte le morti. Non parla ancora ai discepoli della sua passione, volendo che, ammaestrati prima da tali insegnamenti, più facilmente siano pronti ad accettarla quando dovranno sentirne parlare. Come è possibile non ammirare il fatto che l’anima degli apostoli, dopo tali predizioni, non si sia staccata dal corpo, dato che nel tempo presente si preparavano per loro solo dolori e sofferenze, mentre la felicità che attendevano era solo nelle loro speranze? Come hanno fatto a non scoraggiarsi e a non perdersi d’animo? Non possiamo trovare altra spiegazione per questo straordinario fatto se non la straordinaria potenza del Maestro e il grande amore dei discepoli. Queste sono le ragioni per cui, pur vedendosi destinati a soffrire tribolazioni ben più aspre e terribili di quelle subite da grandi uomini quali furono Mosè e Geremia, rimasero fedeli e si mostrarono pronti ad affrontarle senza obiettare ed opporsi minimamente.

       "
Chi fa risparmio della sua vita la perderà, chi invece la perde per causa mia, la ritroverà" (Mt 10,39). Vedete quale danno subiscono coloro che amano troppo la loro vita, e quale guadagno ottengono coloro che sanno disprezzarla e perderla? Poiché Cristo comanda ai suoi apostoli cose tanto difficili, come la rinunzia ai genitori, ai figli, alla natura, alla parentela, a tutti i beni, a tutti gli affetti terreni e alla vita stessa, stabilisce anche una ricompensa, che è grandissima. Ciò a cui vi sottoponete - egli dice - non solo non vi danneggerà ma, al contrario, vi arrecherà un immenso vantaggio tanto che il peggior male che potrebbe capitarvi sarebbe proprio rinunziare a soffrire tutte queste tribolazioni. Ripetendo un’argomentazione che gli è familiare, si serve dei loro desideri per persuaderli e stimolarli. Perché non volete rinunziare alla vostra vita? Non è forse perché l’amate? Ebbene, egli conclude, se l’amate, disprezzatela, perché allora le gioverete immensamente e dimostrerete veramente di amarla.



venerdì 23 giugno 2017

Testimoni della Provvidenza.

XII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A -  25 giugno 2017
Rito Romano

Rito Ambrosiano

Gen 2,4b-17; Sal 103; Rm 5,12-17; Gv 3,16-21

III Domenica dopo Pentecoste

1) Evangelizzazione e compassione.
La fede ci dice che la nostra vita è custodita dall’amore di Dio, che è Padre e, perciò, è provvidenza.
Il Vangelo di oggi conferma questa fede e Cristo ci ricorda che se Dio che si prende cura anche dei passeri, delle cose deboli come i nostri capelli, certamente si prende cura di noi, ogni giorno.
Dio non è mai assente, è con noi in ogni istante della nostra vita e lo sarà fino alla fine del mondo. Sappiamo di essere nelle mani di Dio, che ha fatto suo il dramma dell’uomo, facendosi carne per salvarci. Lui è sempre presente, si commuove e piange, partecipa, si china sulle nostre ferite, asciuga le nostre lacrime, si china su ciascuno.
Eppure viviamo spesso nella paura. In effetti, la consolante verità che Dio, con volto sereno e mano sicura guida la nostra storia, trova paradossalmente nel nostro cuore un duplice, contrastante sentimento: da una parte siamo portati ad accogliere e ad affidarci a questo Dio Provvidente, così come afferma il Salmista: “Io sono tranquillo e sereno. Come un bimbo in braccio a sua madre è quieto il mio cuore dentro di me” (Sal 130, 2). Dall’altra, però, abbiamo paure e esitiamo ad abbandonarci a Dio, Signore e Salvatore della nostra vita, o perché, offuscato dalle cose, ci dimentichiamo di Dio provvidente, o perché, feriti dalla varie sofferenze e difficoltà della vita, dubitiamo di lui come Padre. In tutte e due i casi la Provvidenza di Dio è come chiamata in causa dalla nostra fragile umanità.
Su questo crinale sottile fra speranza e disperazione si colloca la parola di Dio così splendida da essere umanamente quasi incredibile, così vera da rafforzare immensamente le ragioni della speranza,. La parola di Dio non assume mai tanta grandezza e fascino come quando si confronta con la massima domanda dell’uomo, di ciascuno di noi che si chiede: “Qual è e dov’è il mio destino?”. Il Vangelo ci dice che Dio è qui, è Emmanuel, Dio-con-noi (Is 7, 14), e in Gesù di Nazareth morto e risorto, Volto buono del destino, Figlio di Dio e nostro fratello, Dio mostra di aver “piantato la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1, 14).
Se accogliamo questa risposta che è Cristo, che dimora in noi e noi in Lui non abbiamo più paura perché la paura è vinta dal nostro essere radicati nell’Amore.
Se, oggi accogliamo l’invito di Cristo, che per tre volte ci ripete di non avere paura, non solo vivremo nella pace perché il nostro cuore è consolato, ma saremo testimoni del suo Vangelo di letizia, di compassione portando nelle piazze delle nostre città e nell’intimo delle nostre case la lieta notizia che Dio è tra noi e ci dice: “Non avere cura di te, lascia che di te abbia cura il Signore".
La missione nasce dalla compassione ricevuta da Dio e condivisa tra di noi. Questa compassione non è solo dire che qualcuno ci fa pietà. La parola “compassione” viene da due parole (greca ed ebraica) che fanno riferimento alle viscere, all'utero della madre. Sentire compassione allora è un qualcosa che ci prende dentro, qualcosa di viscerale e mi pare che sia questa l'unica condizione per poter cogliere l'invito di Gesù a non temere, a non avere paura, a confidare in Dio. La missione, il predicare, come dice il vangelo di oggi dalle terrazze, è possibile solo nella misura in cui essa non diventa un fatto di organizzazione, ma di compassione.
Dunque, è giusto (o almeno lo spero) affermare che il primo grande invito che ci fa la Liturgia della Parola di questa domenica è: confidare in Dio. Già nella prima lettura il profeta Geremia afferma: “il Signore è al mio fianco... il Signore ha liberato la vita del povero”, ma anche nel brano di Vangelo, che – attraverso delle immagini - ci racconta di una vita, la nostra, custodita dall'amore di Dio. Di una vicenda, quella di Geremia, assediato da amici e nemici: anche gli amici ce l'hanno con lui, e perché? Unicamente perché ha annunciato il volto di Dio e ha esortato le persone che lo ascoltavano a confidare unicamente in Dio. Per questo Geremia viene preso, legato, frustato nel tempio. Per questo, Cristo è stato crocifisso.
Ma la vita di Geremia e quella di Cristo mostrano che vale la pena confidare in Dio. E’ ragionevole vivere questo abbandono totale e questa amorosa confidenza. Quando lo facciamo, facciamo esperienza di una pace e gioia profonde. E nei momenti di fatica guardiamo a Cristo e alla lunghissima teoria di santi e sante che l’hanno seguito. Come esempio, questa volta cito Nicodemo, che va da Gesù di notte, per paura. La notte è il momento ideale per chi non vuole essere visto. Per chi non vuole farsi vedere a parlare con qualcuno. Chi ha vergogna di mostrare se stesso trova nella notte il momento ideale. La notte di Nicodemo, forse indica la paura di essere se stesso. Indica la paura di essere vero. La notte di Nicodemo indica la sua incapacità e la sua paura di essere libero. Bellissimo poi, che nel momento più difficile Nicodemo vada a chiedere il corpo di Gesù in pieno giorno: come se lo chiedesse urlando da un tetto.

2) Martiri: testimoni esemplari della Provvidenza, confidenti in Dio fino a morirne.
Mi piace molto che nel vangelo di oggi ci sia scritto anche che nulla rimarrà nascosto, sconosciuto a Dio, nemmeno la sofferenza più piccola. Per noi “figli” è una garanzia che anche il disagio o la sofferenza o, al limite, il martirio entrino nel disegno di Dio Padre. L’affermazione : “Non cade un passero senza che Dio lo sappia e lo voglia” non vuole dire: non ci accadrà mai di cadere, ma che tutto è parte del disegno provvidente del Padre onnipotente e provvidente. Ma significa: se vi accade di cadere, Dio lo sa. Dentro alla nostra sofferenza Dio c’è, non siamo abbandonati, c'è la sua presenza come presenza di salvezza, anche se evidentemente non viene percepita, e anche se a livello psicologico non fa un grande effetto, non si sente una grande consolazione; ma dentro ad una dimensione di fede c'è la possibilità di vivere ugualmente questa dimensione di presenza di amore dell’Emmanuele, il Dio sempre con noi .
San Paolo paragona le sofferenze umane e cosmiche a una sorta di “doglie del parto” di tutta la creazione, sottolineando i “gemiti” di coloro che possiedono le “primizie” dello Spirito e aspettano la pienezza dell’adozione, cioè “la redenzione del nostro corpo”. Ma aggiunge: “Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio . . .” e più oltre: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?”, fino a concludere: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita . . . né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 22-39). Accanto alla paternità di Dio, manifestata dalla Provvidenza divina, appare anche la pedagogia di Dio: “È per la vostra correzione (“paideia”, cioè educazione) che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto (educato) dal padre? . . . Dio lo fa per il nostro bene, allo scopo di farci partecipi della sua santità” (cf Eb 12, 7. 10) (S. Giovanni Paolo II).  Vista dunque con gli occhi della fede la sofferenza, anche se può ancora apparire come l’aspetto più oscuro del destino dell’uomo sulla terra, lascia però trasparire il mistero della divina Provvidenza, contenuto nella rivelazione di Cristo, e in particolare nella sua croce e nella sua risurrezione.
L’importante è scoprire mediante la fede la potenza e la “sapienza” del Dio Padre che con Cristo ci conduce sulle vie salvifiche della divina Provvidenza. Si conferma allora il senso delle parole del salmista: “II Signore è il mio pastore . . . Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me” (Sal 22, 1. 4).
Qualsiasi esperienza ci sia portata da ciò che “umanamente” chiamiamo il destino, dobbiamo cristianamente chiamarla Provvidenza, e con fiducia superare la nostra ignoranza e con amore collaborare all’opera redentiva del Dio Figlio. Il suo santo Spirito possa testimoniare nel nostro cuore che siamo veramente figlio di Dio, e che è ragionevole accettare tutti gli avvenimenti della “mano” di Dio.
Il testamento scritto dall’Abate di Tiberine alcuni mesi prima di essere martirizzato ci è di esempio sublime: “Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.
Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
 La mia vita non ha più valore di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.
 Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito” (si veda il testo completo che è proposto al posto della lettura patristica)
A questo punto non ci resta che pregare perché nella certezza dell’amore di Dio noi troviamo la risposta quelle domande a cui nessuna sapienza umana può rispondere. Preghiamo dunque così: “Che tu mi ami è risposta a ogni domanda — fa’ che io lo senta quando giunge l’ora della prova” (Romano Guardini)»

3) Le vergini consacrate: testimoni della Provvidenza.
Nei due paragrafi precedenti ho cercato di spiegare che la Provvidenza divina si rivela come il camminare di Dio a fianco dell’uomo.
Tenendo presente l’Antico Testamento1, ho cercato di mostrare che le parole di Cristo raggiungono una pienezza di significato ancora maggiore. Le pronuncia infatti il Figlio che “scrutando” tutto ciò che è stato detto sul tema della Provvidenza, rende testimonianza perfetta al mistero del Padre suo: mistero di Provvidenza e di cura paterna, che abbraccia ogni creatura, anche la più insignificante, come l’erba del campo o i passeri. Quanto più l’uomo, dunque. 
Ma c’è da tenere presente che ciascuno di noi non solo deve essere grato per l’azione provvidente del Creatore verso di noi, ma abbiamo anche il dovere di cooperare col dono ricevuto dalla Provvidenza. Egli non può quindi accontentarsi dei soli valori del senso, della materia e dell’utilità. Deve cercare soprattutto “il regno di Dio e la sua giustizia” perché “tutte queste cose (i beni terreni) vi saranno date in aggiunta” (cf. Mt 6, 33). 
Un esempio di questa cooperazione al disegno di amore provvidente di Dio è la consacrazione delle vergini, che con il dono totale di se stesse a Dio diventano il riflesso del pensiero e dell’amore di Dio nelle cose e nella storia, lasciandosi impregnare dalla carità sapiente di Dio e di condividerla con i fratelli e sorelle in umanità.
Per questo il Vescovo che presiede il rito di consacrazione dell’OV prega: “O Dio, che ti compiaci di abitare come in un tempio nel corpo delle persone caste e prediligi le anime pure e incontaminate… volgi lo sguardo su queste figlie, che nelle tue mani depongono il proposito di verginità di cui sei l'ispiratore, per farne a te un'offerta devota e pura. Guida e proteggi queste nostre sorelle, che implorano il tuo aiuto nel desiderio ardente di essere fortificate e consacrate dalla tua benedizione … Concedi, per il dono del tuo Spirito, che siano prudenti nella modestia, sagge nella bontà, austere nella dolcezza, caste nella libertà. Ferventi nella carità nulla antepongano al tuo amore; vivano con lode senza ambire la lode; a te solo diano Gloria nella santità del corpo e nella purezza dello spirito; con amore ti temano, per amore ti servano. In te, Signore, possiedano tutto, poiché hanno scelto te solo al di sopra di tutto” (RCV 38).

1  Per esempio, il Salmo 90: “Tu che abiti al riparo dell’Altissimo e dimori all’ombra dell’Onnipotente, di’ al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido» . . . Poiché tuo rifugio è il Signore e hai fatto dell’Altissimo la tua dimora . . . Lo salverò, perché a me si è affidato; lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e gli darò risposta; presso di lui sarò nella sventura” (Sal 90, 1-2. 9. 14-15),


Lettura “quasi” patristica

Testamento di Padre Christian De Chergé,
priore dell’Abbazia di Tibihrine,
Questo Monaco fu martirizzato con altri sei monaci trappisti in Algeria nel maggio 1996.

Se mi capitasse un giorno – e potrebbe essere oggi – di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era “donata” a Dio e a questo paese.
Che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale.
Che pregassero per me: come essere trovato degno di una tale offerta?
Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
La mia vita non ha valore più di un’altra. Non ne ha neanche di meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia.
Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.
Non potrei augurarmi una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che io amo venisse indistintamente accusato del mio assassinio.
Sarebbe pagare a un prezzo troppo alto ciò che verrebbe chiamata, forse, la “grazia del martirio”, doverla a un Algerino, chiunque sia, soprattutto se egli dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’Islam.
So di quale disprezzo hanno potuto essere circondati gli Algerini, globalmente presi, e conosco anche quali caricature dell’Islam incoraggia un certo islamismo. E’ troppo facile mettersi la coscienza a posto identificando questa via religiosa con gli integrismi dei suoi estremismi.
L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un anima.
L’ho proclamato abbastanza, mi sembra, in base a quanto ho visto e appreso per esperienza, ritrovando così spesso quel filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa proprio in Algeria, e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
La mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista: “Dica, adesso, quello che ne pensa!”.
Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione,giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per questa gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo “grazie” in cui tutto è detto, ormai della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, insieme a mio padre e a mia madre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e a loro, centuplo regalato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo “grazie”, e questo “a-Dio” nel cui volto ti contemplo.
E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due.
Amen! Inch’Allah”.
Algeri, 1° dicembre 1993
Tibihrine, 1° gennaio 1994

venerdì 16 giugno 2017

Pane d’amore crocifisso.

Corpus Domini – Anno A - 18 giugno 2017

Rito Romano

Rito Ambrosiano

Dt 8,2-3. 14b-16a; Sal 147; 1Cor 10,16-17; Gv 6, 51-58




  1. Stupore per un dono immenso.
Domenica scorsa abbiamo celebrato la Trinità, mistero di Amore, che è fonte inesauribile di Vita che incessantemente si dona e si comunica, e che fa di noi Sua dimora, dove ogni cosa ritrova Dio, ascolta Dio, sussurra Dio, spera e ama Dio.Dio è amore: per questo Lui è TrinitàLamore suppone uno che ama, ciò che è amato e lamore stesso(SantAgostino, De Trinitate, VIII, 10, 14). Il Padre è, nella Trinità, colui che amala fonte e il principio di tutto; il Figlio è colui che è amatolo Spirito Santo è lamore con cui si amano.
Oggi, solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo o Corpus Domini come ancora si usa chiamarla, siamo inviatati a celebrare nello stupore il mistero della presenza reale del Signore nell’Eucaristia che ci dona il cibo e la bevanda del cielo, per alimentare questa nostra vita terrena e per affrontare il cammino verso la vita celeste.
  Oggi, la Chiesa non solo celebra l’Eucarestia, ma la reca solennemente in processione. Quello che il Redentore ci ha donato nellintimità del Cenacolo, oggi lo manifestiamo apertamente, perché lamore di Cristo non è riservato ad alcuni, ma è destinato a tutti. 
Oggi annunciamo pubblicamente che il Sacrificio di Cristo è per la salvezza del mondo intero. E ciò non vale solo per il passato. Il fatto che Dio ha amato gli uomini al punto tale da mandare il suo Figlio a riscattarli dalla loro misera condizione, non è un passato da rimpiangere come ormai concluso: esso infatti si riversa nel presente. Quell’amore è attuale, vivo e operante oggi in modo stupefacente.
Oggi la Chiesa ci invita ad entrare con stupore in questomistero della fede, che il sacerdote, ogni volta che celebra la Messa così sintetizza, con le ineffabili parole di Gesù in cui si compie il grande dono di Sé:Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Prendete e bevete questo è il calice del mio sangue. Fate questo in memoria di Me(Lc 22, 16).
Nella sua enciclica sull’Eucarestia San Giovanni Paolo II così scriveva manifestando questo stupore: “Quando penso all'Eucarestia, guardando alla mia vita di sacerdote, di vescovo, di successore di Pietro, mi viene spontaneo ricordare i tanti momenti e i tanti luoghi in cui mi è successo di celebrarla... la cattedrale di Wawel, la basilica di San Pietro... in cappelle poste sui sentieri di montagna, sulle sponde di laghi, sulle rive dei mari, l'ho celebrata in altari costruiti negli stadi, nelle piazze delle città. Questo scenario così variegato, me ne fa sperimentare fortemente il carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico. Perché quando viene celebrata sul piccolo altare di campagna, l'Eucarestia è sempre celebrata, in un certo senso, sull'altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato. Il Figlio di Dio si è fatto uomo, per restituire tutto il creato, in un supremo atto di lode, a Colui che lo ha fatto dal nulla... Davvero è questo, il Mysterium Fidei, che si celebra nell’Eucarestia; il mondo, uscito dalle mani di Dio creatore, torna a Lui, redento da Cristo” (Lett. Enc. Ecclesia de Eucaristia, n. 8).
Nella Messa e per il dono di Gesù nell'Eucarestia ognuno di noi deve vivere la stessa meraviglia, gioia e gratitudine, di cui parla S. Giovanni Paolo II nel brano che ho appena citato.
Mettiamoci in adorazione davanti a questo Mistero grande e di misericordia. Il Cristo non poteva fare di più per noi. Davvero, nellEucaristia, il Redentore ci mostra un amore che va finoallestremo(cfr. Gv 13,1), un amore che non conosce misura e confini.
Questo aspetto di carità universale del Sacramento eucaristico è fondato sulle parole stesse del Salvatore. Istituendolo, egli non si limitò a direQuesto è il mio corpo », « questo è il mio sangue », ma aggiunsedato per voi...versato per voi(Lc 22,19-20). Non affermò soltanto che ciò che dava loro da mangiare e da bere era il suo corpo e il suo sangue, ma ne espresse anche il valore sacrificale, rendendo presente in modo sacramentale il suo sacrificio, che si sarebbe compiuto sulla Croce alcune ore dopo per la salvezza di tutti.
 
  1. Mendicare il Corpo di Cristo crocifisso.
Nell’Eucarestia Gesù è presente non come una cosa, ma come una Persona, cioè come un “Io” che si dona a un “tu”, che lo mendica.
Quando andiamo a ricevere la Comunione, tendiamo la mano per ricevere il Signore della vita, siamo, quindi, dei mendicanti che tendono la mano per chiedere la carità del Pane di vita eterna. Riconosciamo di essere poveri che riceviamo tutto. Anzi riceviamo il Tutto, che non è qualcosa ma Qualcuno, che si dona a noi. Il ricevere il Pane di vita è comunione di persone, incontriamo Cristo e il suo Cuore parla al nostro cuore.
In questo incontro eucaristico il Redentore non solo ci parla, ma agisce:ECristo che agisce, che è sullaltare. Eun dono di Cristo, il quale si rende presente e ci raccoglie attorno a sé, per nutrirci della sua Parola e della sua vita. Attraverso lEucarestia, Cristo vuole entrare nella nostra esistenza e permearla della sua grazia. Viviamo quindi l'Eucarestia con spirito di fede, di preghiera, di perdono, di penitenza, di gioia comunitaria, di preoccupazione per i bisognosi e per i bisogni di tanti fratelli e sorelle, nella certezza che il Signore compirà quello che ci ha promesso: la vita eterna(Papa Francesco). La vita è la relazione d’amore col Padre che la dona e coi fratelli che sono figli come te e questa è già vita eterna, è la vita di Dio, ed è quella che Gesù ci vuol comunicare.
Attraverso lEucaristia, si attua una relazione di comunione piena tra Gesù e noi perché possiamo sperimentare quel Dio che ha tanto amato il mondo da dare il proprio Figlio, perché il mondo viva.Mangiare il pane vivo...mangiare il corpo...: mangiare la carne, mangiare l'Amore, mangiare Dio: tutto è estremamente concreto e tutto è di una densità infinita. Mangiare l'Amore incarnato di Dio perché Dio continui ad incarnarsi e la carne dell'uomo sperimenti la vita di Dio: l'amore dell'uomo diventi l'Amore di Dio risplenda la sua Gloria. Tutto è Dio e tutto è così concretamente umano. Tutto è stupendo: tutto richiedesoltantoil coraggio di credere l’ “Amoreinfinito di Dio nell'oscurità della Croce di Gesù.
L’Ostia è strettamente legata alla Croce. Nell'Eucaristia Cristo attua sempre nuovamente il dono di che ha fatto sulla Croce. Tutta la sua vita è un atto di totale condivisione di per amore(Papa Francesco).
L’Eucarestia è il Sacramento della Passione e Morte di Cristo per eccellenza. Gesù l’istituì in un “eccesso” d’amore, nella notte in cui fu tradito, quando, dopo avere benedetto e spezzato il pane e dopo aver benedetto il vino, li distribuì agli Apostoli dicendo: “Fate questo in memoria di me”. La Santa Messa rinnova misticamente la Morte di Cristo, ne proclama la Risurrezione nell’attesa della Sua venuta.
Va però tenuto presente che il sacrificio di Cristo è un sacrificio di comunione e di lode.
Già nellAntico Testamento fra i vari tipi di sacrifici vi era quello chiamatosacrificio di comunioneoofferta di paceperché voleva esprimere lunione tra Dio e il donatore attraverso unofferta di ringraziamento1. La vittima veniva spartita tra Dio, il sacerdote e lofferente. La parte destinata a Dio veniva bruciata sullaltare. Il fedele mangiava dinanzi a Jahwé, quasi in sua compagnia. Era il pasto sacrificale, nel quale si stabiliva una comunione spirituale, unalleanza tra Jahwé e lofferente. Echiara qui lidea dimangiare2 alla mensa del Signore, con Lui, come suoi commensali.
Nella Messa il rendimento di grazie è laspetto più significativo e sorprendentemente si trova fin dallinizio. Notiamo che Gesù, anche prima di risuscitare Lazzaro, alza gli occhi e dice:Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato(Gv 11,41). Ringrazia prima di compiere il miracolo, sicuro che il Padre lo compirà.
Trasformando la propria morte in sacrificio di ringraziamento, Gesù ci fa capire che per lui la passione è un dono del Padre, è la sua glorificazione (cf Gv 12,28-33; 13,31-32). La morte stessa viene trasformata in vittoria; Gesù vince la morte con la morte; la morte sua diventa sacrificio di ringraziamento.
L’Eucaristia domenicale o quella quotidiana dovrebbero avere l’effetto di trasformare tutta la vita in perenne sacrificio di ringraziamento per mezzo di Cristo, e farci vivere ogni evento come un dono. Dico dovrebbe, perché spesso ci accostiamo con distrazione, per abitudine, o con pretesa, per vanità. L’Eucarestia è un dono di misericordia che possiamo ricevere dopo avere chiesto perdono e aver detto: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma dì soltanto una parola e io sarò salvato”.
La Chiesa ha scelto, come ultimo momento in preparazione al ricevimento dell’eucarestia, di riprendere le parole del centurione romano di Cafarnao quando chiese a Gesù di guarire il suo servo fedele, purtroppo paralizzato e molto sofferente: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” (Mt 8,8). L’atteggiamento di estrema umiltà e di profonda fiducia che caratterizzò la domanda di questo ufficiale pagano nel richiedere l’intervento salvifico di Cristo nella sua casa - una vera e propria professione di fede - vuole e deve essere l’atteggiamento di tutti noi, sacerdoti e fedeli (queste parole devono essere dette dal prete insieme con i fedeli) nel momento in cui stiamo per ricevere il Signore nel nostro cuore.

  1. Le Vergini consacrate e lEucarestia.
Di sicuro nessuno di noi è “degno” di Gesù, della sua presenza e del suo amore, ma sappiamo nella fede che ci basta anche solo un suo cenno, una parola, un solo sguardo ed Egli ci può salvare.
Attente a questa parola e con gli occhi del cuore aperti per ricevere questo sguardo, le Vergini consacrate sono testimoni significative di questa umiltà che fa sì che Cristo prenda dimora nel cuore umano e sia portato nel mondo.
Al sacrificio eucaristico di Cristo queste donne uniscono il loro sacrificio nel dono esclusivo di loro stesse a Cristo, in questo modo manifestano in modo speciale la dimensione eucaristica della vita quotidiana di ogni cristiano.
Il sacrificio è necessario alla vera vita, che per essere tale va vissuta eucaristicamente. A nessuno sfugge la forza che questa tentazione possiede nell’odierno panorama culturale. Le sirene del nostro tempo cantano la melodia di una vita senza sacrificio negli affetti, nel lavoro… E in questo modo, di fatto, condannano gli uomini a rimanere incagliati nelle prove della vita quotidiana, illudendoli che queste non dovrebbero esistere.
Come capire e vivere questastrana necessità del sacrificio? Facendo esperienza del dono di e della gratuità.
C’è un rapporto tra la rinuncia e la gioia, tra il sacrificio e la dilatazione del cuore. Il sacrificio compiuto dallamore casto spalanca il cuore, attesta lamore preferenziale per il Signore e simboleggia, nel modo più eminente e assoluto, il mistero dellunione del corpo mistico al suo corpo, della sposa alleterno suo sposo. La verginità consacrata, infine, raggiunge, trasforma e penetra lessere umano fin nel suo intimo, mediante una misteriosa somiglianza con il Cristo, che nellEucaristia ci offre il suo Corpo, Pane di vita.

1 Zebah selamin in ebraico, eucharisto in greco,

2 Ciò si compie nel gesto di Gesù che mangia con i peccatori e soprattutto nellEucaristia. Ilsacrificio di lode (tôdâ = grazie) descritto in Lv 7,11-
17, ricorre spesso nei Salmi (cf Sal 22;116; 107 ...). Lo schema è semplice: una persona si trova in un pericolo, invoca il Signorepromettendo un sacrificio di rendimento di grazie, arriva laiuto desiderato, la persona va altempio per offrire il sacrificio promesso.

Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona
Cons. Evan. 303

Cominciamo l'analisi seguendo Matteo, che scrive: Mentre cenavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzo e lo diede ai discepoli dicendo: " Prendete e mangiate; questo è il mio corpo " (Mt 26,26). Le stesse cose narrano Marco e Luca (Mc 14,17-22 Lc 22,14-23); solo che Luca parla due volte del calice, una volta prima della distribuzione del pane e un'altra dopo. La prima volta è un'anticipazione, frequente in lui; la seconda volta, da non confondersi con quella ricordata prima, sta veramente a posto suo. Il racconto cosi combinato delle due volte rende bene il pensiero com'è espresso anche dagli altri. Quanto a Giovanni, egli in questo contesto non parla affatto del corpo e del sangue del Signore, ma, com'è risaputo, in un altro capitolo ci informa che il Signore tenne su questo tema un amplissimo discorso (Jn 6,12-21). Al presente egli racconta del Signore che si alza da mensa e lava i piedi ai discepoli spiegando loro anche il motivo del gesto che aveva compiuto (Jn 13,2-22).

Nel
proporre questo motivo il Signore, ricorrendo a una testimonianza scritturale, indica velatamente che il traditore era uno che stava mangiando il pane con lui (Mt 22,21 Mc 14,17 Lc 22,14). Terminata questa digressione, egli si unisce al racconto riportato concordemente dagli altri tre. Scrive: Detto questo, Gesù si turbo nello spirito, s'indigno e disse: " In verità, in verità vi dico che uno di voi mi tradirà ".

E
continua ancora Giovanni: I discepoli si guardavano l'un l'altro, incerti di chi parlasse (Jn 13,21-22). Matteo e Marco scrivono: Rattristati, cominciarono a chiedergli uno dopo l'altro: " Sono forse io? "(Mt 26,22 Mc 14,17). Rispondendo Gesù disse (cosi Matteo): " Colui che insieme con me bagna la mano nel piatto è lui quello che mi tradirà ". E continua ancora Matteo inserendo le seguenti parole: Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato! (Mt 26,23-24 Mc 14,20-21). In questo racconto concorda anche Marco, che procede nello stesso ordine. Poi Matteo aggiunge: Rispondendo a Giuda, che lo tradiva e gli chiedeva: " Rabbi, sono forse io? ", gli rispose: " Tu l'hai detto " (Mt 26,25). Nemmeno qui è detto espressamente che fosse proprio lui il traditore. Infatti queste parole potrebbero intendersi come: Ma io non ho detto ecc. , e la frase poté essere pronunciata da Giuda - come del resto la risposta del Signore - in modo che non tutti se ne accorgessero.

3.
Matteo continua con il racconto del mistero del corpo e del sangue del Signore dato ai discepoli, e lo stesso riferiscono Marco e Luca (Mt 26,26-28 Mc 14,22-24 Lc 22,17-20). Quand'ebbe consegnato il calice il Signore torno di nuovo a parlare del traditore, come segnala Luca: Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo dal quale è tradito! (Lc 22,21-22) Da cio si lascia ben comprendere che seguirono a questo punto le parole riportate da Giovanni e omesse dagli altri evangelisti. Del resto anche Giovanni: tralascia dei particolari che gli altri invece riferiscono. Il Signore pertanto passo il calice ai discepoli e poi proferi le parole di cui Luca: Ma ecco che la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. A queste parole sono da collegarsi quelle riportate da Giovanni; Uno dei suoi discepoli, quello che Gesù amava, stava reclinato sul petto di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: " Di', chi è colui a cui si riferisce? ". Ed egli, reclinandosi cosi sul petto di Gesù, gli disse: " Signore, chi è? ". Rispose allora Gesù: " E colui per il quale intingero un boccone e glielo daro ". E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entro in lui (Jn 13,23-27).

4.
A questo riguardo c'è da esaminare in che senso Giovanni non sia in contrasto con Luca, se costui, parlando di Giuda, segnala che il diavolo era entrato nel suo cuore già prima, quando cioè contratto con i Giudei e, ricevuto il denaro, s'incarico di tradire il Maestro (Lc 22,3-5). Non solo, ma Giovanni sembrerebbe essere in contraddizione con se stesso, in quanto sopra dice che prima di ricevere il pezzetto di pane, quando era terminata la cena, il diavolo aveva già cacciato nel cuore di Giuda il proposito di tradirlo (Jn 13,2). Come puo infatti il diavolo entrare nel cuore dei malvagi se non cacciando nei loro disegni perversi altri suggerimenti perversi? Ne segue che in questo secondo momento Giuda dovette esser invasato dal demonio in una maniera più radicale: come, in senso diametralmente opposto, accadde agli Apostoli nel ricevere lo Spirito Santo. Essi lo avevano già ricevuto dopo la resurrezione del Signore quando egli, alitando su di loro, disse: Ricevete lo Spirito Santo (Jn 20,22). Che se poi il giorno di Pentecoste lo Spirito fu loro inviato dall'alto, vuol dire che lo ricevettero in misura più abbondante (Cf. At 2,1 ss). Preso dunque il boccone di pane, non c'è dubbio che anche allora satana entro in Giuda e, come immediatamente prosegue Giovanni, in seguito a questo gli disse Gesù: " Quello che devi fare fallo al più presto ". Nessuno dei commensali capi perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: " Compra quello che ci occorre per la festa ", oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone egli subito usci. Ed era notte. Quand'egli fu uscito, Gesù disse: " Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. E Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito "(Jn 13,27-32).