Solennità
della Trinità – Anno A - 11 giugno 2017
Rito
Romano
Es
34,4-6.8-9; Dn 3,52-56; 2Cor 13,11-13; Gv 3,16-18
Rito
Ambrosiano
Es 3,1-15; Sal 67; Rm 8,14-17;Gv 16,12-15
Es 3,1-15; Sal 67; Rm 8,14-17;Gv 16,12-15
1)“Il
Padre è
l’Amante,
il Figlio è
l’Amato, lo
Spirito Santo
è l’Amore”
(S. Agostino).
Il
dogma della
Trinità non
è il
frutto di
fantasie
poetiche, non
è il
risultato di
elucubrazioni
filosofiche. Non
è neppure
una fredda
formulazione
teologica, che
offre il
pretesto di
dire che
è un
mistero così
distaccato
dalla nostra
vita che
più di
un cristiano
si sente
tranquillamente
autorizzato a
ignorarlo. Il
Mistero della
Trinità è
sì un
Mistero grande,
che supera
la nostra
mente, ma
che parla
profondamente al
nostro cuore,
perché nella
sua essenza
altro non
è che
l'esplicitazione
di quella
densa espressione
di San
Giovanni: “Dio
è
amore”
(1
Gv
4, 8.16).
Se Dio
è amore,
non può
essere solitudine
in se
stesso. Perché
per un
rapporto d’amore
occorre essere
almeno in
due. Amare
soltanto se
stessi non
è amore,
è egoismo.
Dio Amore
è, allora,
almeno uno
che ama
da sempre
e uno
che da
sempre è
amato e
ricambia l’amore:
un eterno
Amante. un
eterno Amato
e un
eterno Amore.
L’Amante
è Dio Padre nell’amore, infinitamente libero e generoso
nell’amare, da null’altro motivato all’amore che dall’amore.
L’Amato,
l’eterno Amato, è Colui che accoglie da sempre l'amore: è
l'eterna gratitudine, il grazie senza principio e senza fine, è il
Figlio nell’amore.
L’Amore
è lo Spirito Santo, nel quale il Loro amore è sempre aperto a
donarsi, a “uscire da sé”: perciò lo Spirito è detto dono di
Dio, fonte viva dell'amore, fuoco che accende in noi la capacità di
ricambiare l’amore con l'amore.
Questo
mistero d’amore è concreto e a noi vicino più di quanto pensiamo,
e lo viviamo nella pratica quando, soprattutto nei momenti più
importanti o critici in cui abbiamo più bisogno di Dio, facciamo il
segno della croce. Segnandoci con questo santo segno, quasi senza
esserne pienamente consapevoli, invochiamo Dio Uno e Trino dicendo:
“Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo”. Non solo
invochiamo Dio Trinità perché ci aiuti, ma Lo lodiamo con la
preghiera “Gloria al Padre, e al Figlio e allo Spirito Santo …
Amen”, che Santa Teresa di Calcutta spesso recitava così: “Gloria
al Padre–Preghiera, e al Figlio-Povertà, e allo Spirito Santo-Zelo
per le anime. Amen-Maria”.
2)
Liturgia di
lode.
Oggi,
dunque, la Liturgia della Chiesa ci invita a celebrare la solennità
della Santissima Trinità, che non è un dogma astratto, che non
incide sulla nostra vita. Il dogma di Dio Uno e Trino ci insegna che
Dio è Amore eterno e infinito: “Dio è amore” (Id.),
rivelandoci che Dio, “è comunione di Persone divine le quali sono
una con l’altra, una per l’altra, una nell’altra: questa
comunione è la vita di Dio, il mistero d’amore del Dio Vivente”
(Papa Francesco), e che noi, fatti a immagine e somiglianza di questo
Dio, siamo chiamati a vivere questa comunione con Dio, in Lui e per
Lui, e tra di noi. D’altronde l’amore è veramente se stesso
nella relazione con un altro che lo costituisce: “Per essere
carità, l’amore deve tendere verso un altro” (San Gregorio
Magno).
Oggi,
la
Chiesa
non
solamente
ci
fa
contemplare
il
mistero
stupendo
da
cui
proveniamo
e
verso
il
quale
andiamo,
ci
rinnova
l’invito
a
vivere
ogni
giorno
“la
comunione
con
Dio
e
tra
di
noi
sul
modello
della
comunione
divina.
Siamo
chiamati
a
vivere
non
gli
uni
senza
gli
altri
o
contro
gli
altri,
ma
gli
uni con gli
altri
e
per gli
altri”
(Papa
Francesco).
Oggi,
la Liturgia della Chiesa ci fa celebrare la festa della Trinità
quale lode a Dio non solamente per quello che Lui fa per noi, ma per
come Lui è in se stesso e per noi. Lui è amore purissimo, infinito
ed eterno. Dio è Creatore e Padre misericordioso, Dio è Figlio
Unigenito, eterna Sapienza incarnata, morto e risorto per noi, Dio è
Spirito Santo che tutto muove, la storia e il mondo, verso la piena
ricapitolazione finale, per far sì che tutti gli uomini possano dire
con tutto il loro essere “Padre nostro”.
Oggi,
in questa
Solennità, da
una parte,
siamo chiamati
a “contemplare,
per così
dire,
il Cuore
di Dio,
la sua
realtà profonda,
che è
quella di
essere Unità
nella Trinità,
somma e
profonda
Comunione di
amore e
di vita”
(Benedetto
XVI).
Dall’altra
siamo invitati
a pregare
perché il
Dio Uno
e Trino
sostenga la
nostra fede,
“ci ispiri
sentimenti di
pace di
speranza, e
ci dia
la grazia
per impegnarci
negli avvenimenti
quotidiani”
(Papa Francesco),
rendendoci
lievito di
comunione e
di consolazione,
di misericordia
e di
perdono, di
grazia e
di compassione.
Questo
implica prendere
sul serio
l’invito
che
Cristo anche
oggi ci
rinnova,
accogliendo e
testimoniando il
Vangelo
dell’amore.
Vivere l’amore
di Dio
e verso
il prossimo,
condividendo
gioie e
sofferenze,
imparando a
chiedere e
concedere
perdono.
Ci
è
chiesto
di
edificare
la
Chiesa
affinché
sia
sempre
più
“popolo
adunato
dall’unità
del
Padre,
del
Figlio
e
dello
Spirito
Santo”.
Questa
bella
definizione
di
San
Cipriano
(De
Orat.Dom. 23;
cfr LG 4)
ci
introduce
nel
mistero
della
Chiesa,
resa
comunità
di
salvezza
dalla
presenza
di
Dio
Trinità.
Come
l’antico
popolo
di
Dio,
essa
è
guidata
nel
suo
nuovo
Esodo
dalla
colonna
di
nube
durante
il
giorno
e
dalla
colonna
di
fuoco
durante
la
notte,
simboli
della
costante
presenza
divina.
2)
La
Trinità
nella
nostra
vita.
Tutta
la vita
cristiana è
accompagnata
dalla Trinità.
Direi
di più,
e spero
di dire
bene, la
Trinità è
la “stoffa”
della nostra
vita. In
effetti, siamo
battezzati
(=immersi) nel
nome del
Padre, del
Figlio e
dello Spirito
Santo e
“siamo chiamati
ad aver
parte alla
vita della
Beata Trinità,
quaggiù
nell'oscurità
della fede,
e, oltre
la morte,
nella luce
eterna”
(Catechismo
della
Chiesa
Cattolica,
263).
E
non il
Battesimo
soltanto, ma
anche tutti
gli altri
Sacramenti della
Chiesa sono
conferiti con
il segno
della Croce
e nel
nome del
Padre, del
Figlio e
dello Spirito
Santo.
In
effetti, siamo
stati confermati
con l’unzione
nel nome
del Padre,
del Figlio
e dello
Spirito Santo.
Nel
sacramento della
Penitenza Siamo
perdonati per
i nostri
peccati nel
nome del
Padre, del
Figlio e
dello Spirito
Santo.
Sempre
in questo
nome gli
sposi sono
uniti in
Matrimonio
ed il
loro amore
è elevato
in quello
di Dio
che si
fa garante
della loro
reciproca
fedeltà.
Nell’Eucaristia
il Dio Trinità, che in se stesso è amore (cfr 1
Gv 4,7-8), si coinvolge pienamente con la nostra condizione
umana. Nel pane e nel vino consacrati è l'intera vita divina che ci
raggiunge e si partecipa a noi nella forma del Sacramento.
Nell’Ordinazione
Sacerdotale i preti sono consacrati nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo. Grazie a ciò il sacerdote si trova inserito
nella dinamica trinitaria con una particolare responsabilità. La sua
identità scaturisce dal ministero della Parola e dei Sacramenti, il
quale è in relazione essenziale con il mistero dell’amore
salvifico del Padre (cfr. Gv 17,6-9.24; 1Cor 1,1; 2Cor 1,1),
con l’essere sacerdotale di Cristo, che sceglie e chiama
personalmente il suo ministro a stare con Lui (cfr Mc 3,15),
e con il dono dello Spirito (Cfr Gv 20,21)”
(Congregazione per il Clero, Direttorio per
il Ministero e la
vita dei Presbiteri, 11
Febbraio 2013).
Nella
malattia e nell’ultima ora, quando il sacerdote ci ungerà , lui
raccomanderà l’anima nel nome del Padre che ci ha creati, del
Figlio che ci ha redenti e dello Spirito Santo che ci ha santificati.
In
questo modo tutta la nostra esistenza di cristiani si trova sotto
l’irradiazione della Trinità, che abita in noi in stato di grazia:
“Noi verremo a lui – ci ha promesso Gesù – e fare la nostra
dimora in Lui”.
Se
quella di essere dimora di Dio, abitazione vivente della Trinità, è
vocazione di ogni cristiano, lo è in modo particolare per le Vergini
consacrate.
Con
dono completo di se stesse nelle mani del Vescovo, queste donne
testimoniano in modo speciale la dimensione trinitaria della vita
cristiana.
In
effetti,
la
verginità
è
in
qualche
modo
la
deificazione
dell’uomo:
“Non
si
può
fare
miglior
elogio
della
verginità
se
non
mostrando
che
essa
deifica,
per
così
dire,
coloro
che
partecipano
ai
suoi
puri
misteri,
al
punto
di
farli
comunicare
alla
gloria
di
Dio,
il
solo
veramente
santo
e
immacolato,
ammettendoli
nella
propria
familiarità
grazie
alla
purezza
e
alla
incorruttibilità”
(San
Gregorio
di
Nissa, De
Virginitate,
1,
1-2;
256
s.)
La
verginità ha dunque origine dalla Trinità e si vive nella Trinità,
legata com’è alla generazione del Figlio da parte del Padre,
portata come dono agli uomini dal Verbo che viene nel mondo allo
stesso modo con cui è generato dal Padre, ossia verginalmente, da
una Vergine. È così che nel cristiano la verginità produce effetti
analoghi a quelli verificatisi “in Maria, l’Immacolata, quando
tutta la pienezza della divinità che era nel Cristo risplendette in
lei (...). Gesù non viene più con la sua presenza fisica, ma vive
spiritualmente in noi e, con sé, ci porta il Padre” (Ibid., 2).
Che
questo ideale di vita caratterizzato dalla verginità almeno
spirituale venga proposto a tutti i cristiani, anche sposati, come
esigenza di perfezione, è chiaro. Ma il Nisseno e gli altri Padri
vedono chiaramente che chi sceglie, sempre per dono di Dio, la
verginità anche corporale astenendosi dal matrimonio, imitando Gesù
e Maria, ritrova l’integrità originaria nella quale l’uomo è
stato creato o, come dice il santo vescovo di Nissa, la condizione
“del primo uomo nella sua prima vita” (Ibid.,
12, 4. 4; 416 s).
Lettura
Patristica
Salviano
di Marsiglia
(405 – 451)
De
gubernatione,
4, 9-10
Chi lavora un campo, lo lavora per conservarlo coltivato. Chi pianta una vigna, la pianta per custodirne le viti. Chi mette insieme un gregge, lo fa per dedicarsi poi a moltiplicarlo. E chi edifica una casa o pone delle fondamenta, anche se già non vi abita, abbraccia il lavoro a cui si sobbarca nella speranza della futura dimora. E perché debbo fermarmi a parlare dell’uomo, quando gli stessi animali più piccoli fanno tutto per la brama di beni futuri? Quando le formiche nascondono nei loro cunicoli sotterranei chicchi di ogni genere, li depositano, li ammassano tutti per amore della loro stessa vita? Le api, quando costruiscono il fondo dei favi o colgono il polline dei fiori, perché vanno in cerca del timo se non per desiderio del miele? E perché si affannano dietro i fiori, se non per amore della futura prole? Dio dunque, che infonde anche agli animali più piccoli l’amore per le loro opere, avrà privato solo se stesso dell’amore per le sue creature? Tanto più che l’amore per ogni realtà buona discende in noi dal suo amore sublime. È lui infatti la fonte, l’origine di tutto; e poiché, come sta scritto: "In lui viviamo, ci muoviamo e siamo" (Ac 17,28), da lui abbiamo ricevuto tutto l’affetto con cui amiamo le nostre creature.
Ma
tutto
il
mondo,
tutto
il
genere
umano
è
una
sua
creatura.
Così
dall’amore
con
cui
amiamo
le
nostre
creature
egli
ha
voluto
che
noi
comprendessimo
quanto
egli
ama
le
sue
creature.
Infatti,
come
leggiamo,
"l’intelletto
contempla
la
Sua
realtà
visibile
per
il
tramite
di
ciò
che
è
stato
fatto"
(Rm
1,20);
così
egli
volle
che
noi
comprendessimo
il
suo
amore
per
noi
dall’amore
che
egli
ci
ha
dato
per
i
nostri
cari.
E
come
volle
-
come
sta
scritto
-
"che
ogni
paternità
e
in
cielo
e
in
terra
prendesse
nome
da
lui"
(Ep
3,15),
volle
anche
che
noi
riconoscessimo
il
suo
affetto
paterno.
E
dirò
solo
paterno?
Anzi
più
che
paterno.
Lo
prova
la
voce
del
Salvatore
nel
Vangelo,
che
dice:
"Tanto
infatti
Dio
ha
amato
questo
mondo
da
dare
il
suo
Figlio
unico
per
la
vita
del
mondo"
(Jn
3,16).
E
l’Apostolo
dice:
"Dio
non
perdonò
a
suo
Figlio,
ma
lo
sacrificò
per
noi.
Come
dunque
con
lui
non
ci
avrà
donato
tutto?"
(Rm
8,32).
Ecco
dunque, come
ho detto:
Dio ci
ama più
che un
padre il
proprio figlio.
Ed è
evidente che
il suo
affetto per
noi è
maggiore
dell’affetto
per i
figli, perché
per amore
nostro non
risparmiò il
suo Figlio.
E che
più? Aggiungo:
il Figlio
giusto, il
Figlio unigenito,
il Figlio
di Dio.
Che si
può dire
ancora? Per
noi: cioè
per i
malvagi, per
gli iniqui,
per gli
empi. Chi
potrà dunque
misurare l’amore
di Dio
verso di
noi?
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