mercoledì 29 novembre 2023

Vigilanti nell’attesa di Dio

Rito Romano

I Domenica di Avvento – Anno B –  3 dicembre 2023

Is 63,16-17.19; 64,2-7; Sal 79; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37

 

 

 

Rito Ambrosiano

Is 16,1-5; Sal 149; 1Ts 3,11-4, 2; Mc 1,1-11

Domenica IV di Avvento – ‘L’ingresso del Messia’ 

 

  

 

 

1) Attesa di una visita e accoglienza.

            Domenica, prima di Avvento. L’orizzonte della preghiera si apre sulla storia, che ha il suo centro in Cristo, il Dio fatto uomo, il Volto buono del destino. Bisogna perciò che noi rinnoviamo la nostra attitudine alla preghiera, intesa nel senso della tensione ad elevarci a Dio, che ci si rivela come la fonte della sapienza e della potenza, della bontà e dell’amore. 

Per questo la Chiesa fa iniziare oggi la Messa con questo bel canto di Introito: “A te, Signore, elevo l’anima mia, Dio mio, in te confido: che io non sia confuso. Non trionfino su di me i miei nemici. Chiunque spera in te non resti deluso”[1]Questo canto d’inizio mostra molto bene la fiducia della Chiesa-Sposa. Ripetiamolo con lei dal fondo del nostro cuore., perché il Salvatore verrà a noi nella misura che l’avremo desiderato e atteso fedelmente.

Dunque, in questa prima domenica di Avvento siamo chiamati a prendere coscienza Cristo che viene a “visitarci come sole che sorge dall’alto”. Si tratta della visita di Dio: Lui entra nella vita di ciascuno di noi, si rivolge a ciascuno di noi perché in ciascuno di noi vuole abitare stabilmente.

Con questa visita Dio entra nella nostra vita e si rivolge a ciascuno di noi. L’Avvento ci invita a elevare la nostra anima per accogliere il Presente che viene. E’ un invito a comprendere che i singoli eventi della giornata sono cenni che Dio ci rivolge, segni dell’attenzione che ha per ognuno di noi. L’Avvento ci invita e ci spinge a contemplare il Signore presente e la certezza della sua presenza ci aiuta a guardare il mondo e la nostra vita con occhi diversi. Ci aiuta a considerare tutta la nostra esistenza come “visita”, come un modo in cui Lui può venire a noi e diventarci vicino, in ogni situazione e in ogni momento perché Lui è l’Emmanuele, il Dio sempre con noi.

Oltre alla “visita”, l’altro elemento importante dell’Avvento è l’‘attesa’ vigilante che – al tempo stesso - è speranza.  L’Avvento, tempo liturgico che rinnova di anno in anno l’attesa della venuta di Cristo, ci spinge a capire il senso del tempo e della storia come tempo favorevole (“kairós”) per la nostra salvezza. Gesù ha illustrato questo elemento dell’attesa in molte parabole: nel racconto dei servi invitati ad attendere il ritorno del padrone, nella parabola delle vergini che aspettano lo sposo. o in quelle della semina e della mietitura. 

Nella nostra vita, siamo in costante attesa: quando siamo piccoli vogliamo crescere, da adulti tendiamo alla realizzazione e al successo, avanzando nell’età, aspiriamo al riposo. Ma arriva il tempo in cui ci si scopre di aver sperato troppo poco se, al di là della professione o della posizione sociale, non rimane nient’altro da sperare. La speranza segna il cammino di ogni essere umano, ma per noi cristiani essa è animata da una certezza: il Signore è presente nello scorrere della nostra vita, ci accompagna e un giorno asciugherà anche le nostre lacrime. Un giorno, non lontano, tutto troverà il suo compimento nel Regno di Dio, Regno di giustizia e di pace. Nel frattempo preghiamo «Io spero nel Signore, l'anima mia spera nella sua parola. L’anima mia attende il Signore più che le sentinelle l'aurora. Israele attenda il Signore, perché presso il Signore è la misericordia e grande presso di lui la redenzione» (Sl 129, 5-7).

 

2) Vigilanza e contrizione.

Il tempo liturgico dell’Avvento celebra la visita di Dio, risvegliando l’attesa del ritorno glorioso di Cristo e, quindi, preparandoci ad accogliere il Figlio di Dio, il Verbo fatto uomo per la nostra salvezza. Ma il Signore viene continuamente nella nostra vita. Pertanto dobbiamo prendere sul serio l’invito di Cristo, che in questa prima Domenica ci viene riproposto con forza: “Vegliate” (Mc 13,33.35.37). Questo “comando” non è rivolto solamente ai discepoli, ma anche “a tutti”, perché ciascuno di noi, nell’ora che solo Dio conosce, sarà chiamato a rendere conto della propria esistenza. Questo comporta soprattutto un umile e fiducioso affidamento alle mani di Dio, nostro Padre tenero e misericordioso, ma anche una carità operosa verso il prossimo e  una sincera contrizione dei propri peccati. 

La preghiera di un cuore che veglia nell’attesa è una preghiera di chi si riconosce nel bisogno. Quando riconosciamo il nostro stato di indigenza è proprio allora che Dio ci ricolma dei suoi doni. Il primo di questi è il perdono, perché la più grande indigenza è il peccato. La preghiera, che è domanda e attesa, è domanda e attesa di perdono. Un’attesa che non domanda ed accetta questo perdono, non attende il Redentore, che ama perdonarci, che ama amarci. Il perdono è la prima espressione del suo amore. La preghiera ha sempre una dimensione di contrizione, che fa dire: “Signore, prima di parlare con me, perdonami” (Ant. Ambr.). Ma alla dimensione penitenziale si unisce quella nuziale, perché nasce dal nostro peccato e fiorisce nello sposalizio con Dio.

La contrizione che sta all’inizio della celebrazione della Santa Messa, o la contrizione che sta dentro il cuore della nostra partecipazione al mistero di Cristo, che è il sacramento della Confessione, questa contrizione deve qualificare il nostro avvento. Senza tale contrizione la nostra attesa di Cristo che per noi viene in una grotta è troppo infantile oppure è troppo leggera e è un po’ superficiale, cioè troppo data per scontato. È solo con la contrizione che l’incombenza di Cristo e l’imminenza di Cristo sono splendidamente vive in noi, e la vigilanza si realizza. 

La vigilanza, dunque, è contrizione. E, esistenzialmente, lungo il cammino della nostra vita, a vigilanza è contrizione carica di amore. 

Per vivere questa attesa contrita, possiamo recitare la preghiera che Sant’Ambrogio di Milano recitava prima dlla celebrazione della Santa Messa: “Re dei vergini e amante della castità e della continenza perfetta, con la celeste rugiada della tua benedizione spegni nel mio corpo il fomite dell’ardente concupiscenza, affinché resti in me la castità del corpo e dell’anima. Mortifica nelle mie membra gli stimoli della carne e donami la perpetua e vera castità insieme con gli altri tuoi doni che veramente a te piacciono, affinché io possa offrirti il Sacrificio di lode con il corpo casto e il cuore mondo”.

La forma di vita, che testimonia in modo evidente che alla contrizione è unita la dimensione nuziale, è quella delle vergini consacrate. Lo sposalizio spirituale con Cristo fa di queste donne delle straniere al mondo, ma intimamente vicine a Dio. Cono convinte di essere un nulla e, agli occhi del mondo, sono disprezzabili, ma agli occhi di Dio sono preziose e care e sono modello per tutti di come vivere l’attesa per accogliere Cristo completamente e senza riserve.

In loro il cuore di Dio si adagia come in una mangiatoia. In loro l’umanità può vedere il riflesso di Dio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Lettura patristica

San Beda il Venerabile,

In Evang. Marc., 4, 13, 33-37

 


       

"State attenti! Vegliate e pregate, perché non sapete quando verrà il momento" (Mc 13,33-34).

       «È come un uomo che, partito per un lungo viaggio, ha lasciato la sua casa e ha conferito ai suoi servi l’autorità di compiere le diverse mansioni, e ordini al guardiano di vigilare. Chiaramente rivela il perché delle parole: «Riguardo poi a quel giorno o a quell’ora nessuno sa nulla, né gli angeli che sono in cielo, né il Figlio, ma solo il Padre". Non giova agli apostoli saperlo affinché, stando nell’incertezza, credano con assidua attesa che stia sempre per venire quel giorno di cui ignorano il momento dell’arrivo. Inoltre non ha detto "noi non sappiamo" in quale ora verrà il Signore, ma "voi non sapete" (
Mt 24,42). Coll’esempio del padrone di casa spiega con maggiore chiarezza perché taccia sul giorno della fine. Questo è quanto dice:

       "Vigilate dunque; non sapete infatti quando viene il padrone di casa, se di sera, se a mezzanotte, se al canto del gallo, se di mattina; questo affinché, venendo all’improvviso, non vi trovi a dormire (
Mc 13,35-36).

       «L’uomo - che è partito per un viaggio e ha lasciato la sua casa, - non v’è dubbio che sia Cristo, il quale, ascendendo vittorioso al Padre dopo la risurrezione, ha abbandonato col suo corpo la Chiesa, che tuttavia mai è abbandonata dalla sua divina presenza poiché egli rimane in lei per tutti i giorni fino alla fine dei secoli. Il luogo proprio della carne è infatti la terra, ed essa viene guidata come in un paese straniero quando è condotta e alloggiata in cielo dal nostro Redentore» (
Mt 28,20).

       Egli ha dato ai suoi servi l’autorità per ogni mansione, in quanto ha donato ai suoi fedeli, con la grazia concessa dello Spirito Santo, la facoltà di compiere opere buone. Ha ordinato poi al guardiano di vegliare, in quanto ha stabilito che incombe alla categoria dei pastori e delle guide spirituali di prendersi cura con abile impegno della Chiesa loro affidata.

       "Ciò che dico a voi, lo dico a tutti: Vigilate!" (
Mc 13,37).

       Non solo agli apostoli e ai loro successori, che sono le guide della Chiesa, ma anche a tutti noi ha ordinato di vigilare. Ha ordinato a tutti noi con insistenza di custodire le porte dei nostri cuori, per evitare che in essi irrompa l’antico nemico con le sue malvagie suggestioni. Ed affinché il Signore, venendo, non ci trovi addormentati, dobbiamo tutti stare assiduamente in guardia. Ciascuno infatti renderà a Dio ragione di se stesso.

       «Ma veglia chi tiene aperti gli occhi dello spirito per guardare la vera luce; veglia chi conserva bene operando ciò in cui crede; veglia chi respinge da sé le tenebre del torpore e della negligenza. Per questo Paolo dice: Vegliate giusti e non peccate; e aggiunge È ormai il momento di destarci dal sonno» (
1Co 15,34Rm 13,11).


 

 



[1] Ant ad Introitum: “Ad te levavi animam meam : Deus meus, in te confido, non erusbescam : neque irrideant me inimici mei : etenim universi qui te expectant non confundentur”. 

Vigilants dans l'attente de Dieu

Rite Romain

Ier Dimanche de l'Avent - Année B - 3 décembre 2023

Is 63, 16-17, 19; 64, 2-7; Ps 79; 1Cor 1, 3-9; Mc 13, 33-37

Rite Ambrosien
Is 16, 1-5; Ps 149; 1Ts 3, 11-4, 2; Mc 1, 1-11
4ème Dimanche de l'Avent - "L'entrée du Messie"


1) Attente d'une visite et Accueil


C’est le premier dimanche de l’Avent : L'horizon de la prière s'ouvre sur l'histoire dont le centre est le Christ, Dieu qui se fait homme, le bon Visage du destin. Il nous faut donc renouveler notre attitude envers la prière, entendue comme une tension qui nous élève vers Dieu, qui se révèle comme source de savoir et de puissance, de bonté et d'amour.
C'est pourquoi l'Eglise fait commencer la Messe d'aujourd'hui avec ce beau chant d'Introït: "Vers vous, ô mon Dieu, j'ai élevé mon âme. En vous, j'ai mis ma confiance, et je sais que je n'aurai point à en rougir : car vous viendrez au temps marqué. En vain les ennemis de mon salut riront de ma patience : quiconque vous attend ne sera point confondu". Ce chant d'entrée montre très bien la confiance de l'Eglise-Epouse. Répétons-le avec elle du fond de notre cœur, parce que le Sauveur viendra à nous dans la mesure où nous l'aurons désiré et attendu fidèlement.


Donc en ce premier dimanche de l'Avent, nous sommes appelés à prendre conscience du Christ qui vient nous rendre visite comme un soleil qui se lève d’en-haut.
Il s'agit de la visite de Dieu : Il rentre dans la vie de chacun d'entre nous, se tourne vers chacun d'entre nous car il veut trouver une demeure stable en chacun d'entre nous.
Dieu entre dans notre vie par cette visite et se tourne vers chacun d'entre nous. L'Avent nous invite à élever notre âme pour accueillir le Présent qui vient.
C'est une invitation à comprendre que chaque événement de la journée est un signe de l'attention qu'il a pour chacun d'entre nous. L'Avent nous invite et nous incite à contempler le Seigneur présent et la certitude de sa présence nous aide à regarder le monde et notre vie avec un autre regard.  L'Avent nous aide à considérer notre existence entière comme "visite", comme un moyen qu'Il a pour venir vers nous et proche de nous, dans toute situation et à tout moment car Il est l'Emmanuel, le Dieu qui est toujours avec nous.
Après la "visite", l'autre élément important de l'Avent est l'attente vigilante qui est en  même temps espoir. L'Avent, le temps liturgique qui renouvèle l'attente pour la venue du Christ d'année en année, nous incite à comprendre le sens du temps et de l'histoire en tant que temps favorable ("kairós") pour notre salut. Jésus a illustré cet élément de l'attente dans plusieurs paraboles : dans l'épisode des ouvriers invités à attendre leur maître, dans la parabole des vierges qui attendent l'époux, ou dans celle de la semence.
Dans notre vie, nous sommes en attente permanente : quand nous sommes jeunes nous voulons grandir ; adultes, nous recherchons le succès ; quand nous avançons en âge, nous souhaitons le repos. Alors, arrive le temps où nous trouvons que nous avons espéré trop peu si, au-delà de la carrière et de la position sociale, il n’y a rien d’autre de laissé pour l’espérance.


L'espérance marque le chemin de tout être humain, mais pour nous les chrétiens, il est animé par une certitude : le Seigneur est présent tout au long de notre vie, nous accompagne tous les jours et Il essuiera aussi nos larmes.
Un jour, pas très lointain, tout trouvera son achèvement dans le Règne de Dieu, Règne de Justice et de Paix. Entre-temps, prions : « J'espère le Seigneur de toute mon âme ; je l'espère, et j'attends sa parole. Mon âme attend le Seigneur plus qu'un veilleur ne guette l'aurore, attends le Seigneur, Israël. Oui, près du Seigneur, est l'amour ; près de lui, abonde le rachat » (Ps 129, 5-7).



2) Vigilance et contrition


Le temps liturgique de l'Avent célèbre la visite de Dieu, en réveillant l'attente du retour glorieux du Christ et donc en nous préparant à accueillir le Fils de Dieu, le Verbe qui se fait homme pour nous donner le salut. Mais le Seigneur vient constamment dans notre vie. Par conséquence nous devons prendre au sérieux l’invitation du Christ qui revient avec force ce dimanche : « Veillez ! » (Mc 13, 33.35.37). Cet « ordre » ne s’adresse pas seulement aux disciples mais aussi « à tous », car chacun d’entre nous, à l’heure que, seul, Dieu connait, sera appelé à rendre compte de sa propre existence. Cela demande surtout une humble confiance dans les mains de Dieu, notre Père tendre et miséricordieux mais aussi une charité active vis-à-vis du prochain et une sincère contrition de ses péchés.

La prière d’un cœur qui veille dans l’attente est la prière de celui qui reconnaît qu’il est dans le besoin. Quand nous reconnaissons notre état d’indigence, c’est à ce moment-là que Dieu nous comble de ses dons. Le premier don est le pardon, car la plus grande indigence est le pêché. La prière qui est demande et attente, est demande et attente de pardon. Une attente qui ne demande pas et accepte ce pardon, n’attend pas le Rédempteur, qui aime nous pardonner, qui aime nous aimer. Le pardon est la première expression de son amour. La prière a toujours une dimension de contrition qui nous fait dire « Seigneur, avant de parler avec moi, pardonne-moi » (Saint Ambr .). Mais à la dimension pénitentielle s’unit aussi la dimension nuptiale, car elle naît de notre péché et fleurit dans le mariage avec Dieu. 

La contrition qui nous avons au début de la célébration de la Sainte Messe, ou la contrition qui se trouve au cœur de notre participation au mystère du Christ qui est le Sacrement de la confession, doit qualifier notre Avent. Sans une telle contrition, notre attente du Christ qui vient pour nous dans une grotte, est trop infantile ou trop légère : dans les faits, elle est un peu superficielle, c'est-à-dire qu’elle est prise pour acquise. C’est seulement par la contrition que l’imminence du Christ et l’arrivée du Christ sont vives en nous, et la vigilance se réalise.  

La vigilance est donc contrition. Et existentiellement, le long du chemin de notre vie, la vigilance est contrition chargée d’amour. 

Afin de vivre cette attente contrite, nous pouvons dire la prière que Saint Ambroise de Milan disait avant de célébrer la Messe « Roi des vierges, qui êtes la Couronne des âmes saintes, éloignez de moi le poison de l'impureté qui se glisse dans mes veines ; mortifiez la loi de mes membres, qui résiste sans cesse à celle de votre Esprit ; afin qu'ayant le corps et le cœur pur, je boive ce Vin délicieux qui rend les vierges fécondes ».

La forme de vie qui témoigne de manière évidente que la contrition est unie à la dimension nuptiale est celle des vierges consacrées. Le mariage spirituel avec le Christ rend ces dames étrangères au monde mais intimement proches de Dieu. Elles sont convaincues d’être un « rien ».  Aux yeux du monde, elles sont méprisables, mais aux yeux de Dieu, elles sont précieuses et chères et sont un modèle sur la manière de vivre l’attente pour accueillir le Christ de façon complète et sans réserve.

Le cœur de Dieu s’étend en elles comme dans une mangeoire. En elles l’humanité peut voir le reflet de Dieu. 

 

Lecture Patristique

Geoffroy d'Admont (+ 1165)
Homélies pour les fêtes, 23

PL 174, 725-726


Voyez, veillez et priez (cf. Mc 13,33; 14,38). Par ces paroles, le Seigneur notre Sauveur n'a pas averti seulement ses disciples auxquels il parlait physiquement, mais en outre, par ces mêmes paroles, il a révélé clairement à nous-mêmes ce que nous devons faire, comment nous devons veiller. Cette triple parole indique nettement comment doit se sauver chacun de nous qui, oubliant tout ce qui est en arrière, désire se lancer vers l'avenir (cf. Ph 3,14), voudrait saisir le sommet de la perfection auquel il tend.

Celui qui, saisi par l'inspiration divine, aura décidé de renoncer au monde et à ses convoitises, selon l'avertissement que la parole divine nous a donné au début de la lecture d'évangile, (
Mc 13,33), doit avoir les yeux ouverts pour comprendre d'emblée, avec sagesse, ce qu'il doit faire ou ce qu'il doit éviter.



Mais, pour quiconque vient à la conversion, il ne suffit pas, pour devenir parfait, de comprendre ce qui est bien, s'il ne cherche ensuite à veiller pour agir de même. C'est pourquoi le Seigneur, après avoir exhorté ses disciples à voir, ajoute aussitôt: Veillez et priez (
Mc 13,33). Il est prescrit à chacun de veiller, c'est-à-dire de s'appliquer à réaliser effectivement ce qu'il a bien compris, et de repousser la paresse d'une vie oisive dans laquelle il se trouvait jusque-là, par la recherche vigilante d'une activité vertueuse. A celui qui veille ainsi, par le zèle d'une vie fervente, le Seigneur indique une voie encore supérieure, puisqu'il ajoute aussitôt: et priez.



Priez est donc prescrit à tous les élus, c'est-à-dire qu'en désirant les biens éternels, on doit rechercher le fruit de son effort fervent dans la seule espérance de la récompense céleste. Il semble que saint Paul prescrivait à ses disciples cette obstination dans la prière, quand il disait: Priez sans relâche (
1Th 5,17). En effet, nous prions sans relâche s i, lorsque nous faisons le bien, nous ne recherchons pour cela aucune gloire terrestre, mais nous nous préoccupons uniquement de désirer les biens éternels. 



Voyez, veillez et priez. Voyez ce qu'il faut faire, en comprenant ce qui est juste; veillez en faisant le bien; priez en désirant les biens éternels. Pourquoi il est si important pour nous de voir, de veiller et de prier, on le voit clairement par les paroles qui suivent: Car vous ne savez pas quand viendra le moment (
Mc 13,33). Donc, parce que no us ignorons quand sera le moment de cette visite, il nous faut veiller et prier sans cesse, c'est-à-dire préparer à cette grâce, par un zèle vigilant, le fond de notre cœur.

 

 

 

 

 

Let us be vigilant waiting for God.

Roman Rite

First Sunday of Advent - Year B - December 3, 2023

Is 63: 16-17.19; 64.2-7; Ps 80; 1Cor 1, 3-9; Mk 13, 33-37

Ambrosian Rite

Is 16: 1-5; Ps 150; 1Ths 3.11-4.2; Mk1.1-11.

IV Sunday of Advent - 'The entrance of the Messiah'

 

  1) Waiting for a visit and welcoming.

            This is the first Sunday of Advent. The horizon of prayer opens on history which has its center in Christ, the God made man, the Good Face of Destiny. Therefore, we need to renew our attitude towards prayer, understood in the sense of tension to elevate ourselves to God who is revealed to us as the source of wisdom and power, goodness, and love.

For this reason, the Church begins Mass today with this beautiful Antiphon “To you, I lift my soul, O my God. In you I have trusted; let me not be put to shame. Nor let my enemies exult over me; and let none who hope in you be put to shame.” This entrance song shows very well the trust of the Church-Bride. With her let us repeat it from the bottom of our heart so that the Savior will come to us to the extent that we have desired him and faithfully waited for him.

On this first Sunday of Advent, we are called to become aware of Christ who comes to "visit us like a sun rising from above." It is the visit of God: He enters the life of each one of us and addresses each one of us because he wants to live steadily in every one of us.

With this visit, God enters our lives and addresses each one of us. Advent invites us to elevate our souls to welcome the Present who is coming. It is an invitation to understand that the individual events of the day are signs that God addresses towards us, signs of the attention he has for each one of us. Advent invites us and pushes us to contemplate the present Lord, and the certainty of his presence helps us to look at the world and at our lives with different eyes. It helps us to consider our entire existence as a "visit", as a way in which He can come to us and become close to us in every situation and in every moment because He is Emmanuel, the God always with us.

In addition to the "visit", the other important element of Advent is the vigilant expectation that- at the same time - is hope. Advent, the liturgical time that year after year renews the expectation of Christ's coming, prompts us to understand the sense of time and history as a favorable time (kairós) for our salvation. Jesus has illustrated this element of expectation in many parables: in the narration of the servants invited to wait for the master's return, in the parable of the virgins waiting for the groom and in the parables of sowing and harvesting.

In our lives we are constantly waiting for something: when we are children we want to grow, when adults we strive to achieve and succeed, and, advancing in age, we aspire to rest. Then, it arrives the time when we find that we have hoped too little if, beyond career or social position, there is nothing left to hope for. Hope marks the path of every human being, but for us Christians it is animated by a certainty: the Lord is present in the flow of our lives, he accompanies us and one day he will dry our tears. One day, not far away, everything will find its fulfillment in the Kingdom of God, the Kingdom of Justice and Peace. In the meantime, we pray “I wait for the LORD, my soul waits, and I hope for his word. My soul looks for the Lord more than sentinels for daybreak. More than sentinels for daybreak, let Israel hope in the LORD, for with the LORD is mercy, with him is plenteous redemption "(Ps 130: 5-7).

 

2) Watchfulness and contrition.

The liturgical time of Advent celebrates God's visit awakening the expectation of Christ's glorious return and, therefore, preparing us to receive the Son of God, the Word made man for our salvation. However, the Lord comes continually into our lives, and we must seriously consider the invitation of Christ, which is strongly re-launched on this first Sunday, "Be watchful" (Mk 13, 33, 35, and 37). This "command" is not only directed to the disciples, but "to all" because each one of us, at the time that only God knows, will be called to give account for his or her existence. This involves humble and confident trusting in the hands of God, our tender and merciful Father, but also loving charity toward the neighbor and sincere contrition for our sins.

The prayer of a heart that keeps vigil in the wait, is the prayer of those who recognize themselves to be in need. When we recognize our state of indigence, it is then that God fills us with his gifts. The first of these is forgiveness for the greatest indigence that is sin. Prayer, which is request and wait, is request and waiting for pardon. A waiting that does not ask nor accept this forgiveness, is not a waiting for the Redeemer, who loves to forgive us and loves to love us. Forgiveness is the first expression of his love. Prayer always has a dimension of contrition that makes us say "Lord, before you talk to me, forgive me" (Ambrosian Rite Antiphon). The bridal dimension is united to the penitential one, because it is born of our sin and flourishes in marriage with God.

Contrition that is at the beginning of the celebration of Holy Mass, or contrition that lies within the heart of our participation in the mystery of Christ, namely, the sacrament of Confession, both must qualify our advent. Without this contrition our expectation of Christ, who for us comes to a manger, is too childish or too light and a bit superficial, that is, too much taken for granted. It is only with contrition that the imminence of Christ is living beautifully in us, and that vigilance is realized.

Watchfulness, then, is contrition. Existentially, along the path of our life, vigilance is a contrition full of love.

To live this craving waiting, we can recite the prayer that Saint Ambrose of Milan used to pronounce before the celebration of Mass, "King of virgins and lover of chastity and perfect continence, with the celestial dew of your blessing, extinguish into my body the incitement of burning lust so that chastity of the body and of the soul may remain in me. Mortify in my limbs the stimuli of the flesh and give me perpetual and true chastity together with your other gifts that you truly love, so that I may offer to you the sacrifice of praise with chaste body and purified heart. "

The form of life that clearly shows that contrition is united to nuptial dimension, is that of the consecrated virgins. Spiritual marriage with Christ makes these women foreigners in the world, but intimately close to God. They are convinced to be nothing, and, in the eyes of the world, they are despicable, but in God's eyes they are precious and dear and a model for all how to live the waiting to receive Christ completely and without reservations. 

In them the heart of God lies down like in a manger. In them, humanity can see the reflection of God.

 

 

Patristic reading

Golden Chain

on Mk 13, 33 – 37

 


Theophylact: The Lord wishing to prevent His disciples from asking about that day and hour, says, "But of that day and that hour knoweth no man, no, not the angels which are in heaven, neither the Son, but the Father."
For if He had said, I know, but I will not reveal it to you, He would have saddened them not a little; but He acted more wisely, and prevents their asking such a question, lest they should importune Him, by saying, neither the Angels, nor I.
Hilary, de Trin., ix: This ignorance of the day and hour is urged against the Only-Begotten God, as if, God born of God had not the same perfection of nature as God. But first, let common sense decide whether it is credible that He, who (p. 270) is the cause that all things are, and are to be, should be ignorant of any out of all these things. For how can it be beyond the knowledge of that nature, by which and in which that which is to be done is contained? And can He be ignorant of that day, which is the day of His own Advent? Human substances foreknow as far as they can what they intend to do, and the knowledge of what is to be done, follows upon the will to act. How then can the Lord of glory, from ignorance of the day of His coming, be believed to be of that imperfect nature, which has on it a necessity of coming, and has not attained to the knowledge of its own advent?
But again, how much more room for blasphemy will there be, if a feeling of envy is ascribed to God the Father, in that He has withheld the knowledge of His beatitude from Him to whom He gave a foreknowledge of His death. But if there are in Him all the treasures of knowledge, He is not ignorant of this day; rather we ought to remember that the treasures of wisdom in Him are hidden; His ignorance therefore must be connected with the hiding of the treasures of wisdom, which are in Him.
For in all cases, in which God declares Himself ignorant, He is not under the power of ignorance, but either it is not a fit time for speaking, or it is an economy of not acting.
But if God is said then to have known that Abraham loved Him, when He did not hide that His knowledge from Abraham, it follows, that the Father is said to know the day, because He did not hide it from the Son. If therefore the Son knew not the day, it is a Sacrament of His being silent, as on the contrary the Father alone is said to know, because He is not silent. But God forbid that any new and bodily changes should be ascribed to the Father or the Son.
Lastly, lest He should be said to be ignorant from weakness, He has immediately added, "Take ye heed, watch and pray, for ye know not when the time is."
Pseudo-Jerome: For we must needs watch with our souls before the death of the body.
Theophylact: But He teach us two things, watching and prayer; for many of us watch, but watch only to pass the night in wickedness; He now follows this up with a parable, saying, "For the Son of Man is as a man taking a far journey, who left his house, and gave his servants power over every work, and commanded the porter to watch." (p. 271)
Bede: The man who taking a far journey left his house is Christ, who ascending as a conqueror to His Father after the Resurrection, left His Church, as to His bodily presence, but has never deprived her of the safeguard of His Divine presence.
Greg, Hom in Evan, 9: For the earth is properly the place for the flesh, which was as it were carried away to a far country, when it was placed by our Redeemer in the heavens. "And he gave his servants power over every work," when, by giving to His faithful ones the grace of the Holy Ghost, He gave them the power of serving every good work.
He has also ordered the porter to watch, because He commanded the order of pastors to have a care over the Church committed to them. Not only, however, those of us who rule over Churches, but all are required to watch the doors of their hearts, lest the evil suggestions of the devil enter into them, and lest our Lord find us sleeping.
Wherefore concluding this parable He adds, "Watch ye therefore: for ye know not when the master of the house cometh, at even, or at midnight, or at cockcrow, or in the morning: lest coming suddenly he find you sleeping."
Pseudo-Jerome: For he who sleeps applies not his mind to real bodies, but to phantoms, and when he awakes, he possesses not what he had seen; so also are those, whom the love of this world seizes upon in this life; they quit after this life what they dreamed was real.
Theophylact: See again that He has not said, I know not when the time will be, but, "Ye know not." For the reason why He concealed it was that it was better for us; for if, now that we know not the end, we are careless, what should we do if we knew it? We should keep on our wickedness even unto the end. Let us therefore attend to His words; for the end comes at even, when a man dies in old age; a midnight, when he dies in the midst of his youth; and at cockcrow, when our reason is perfect within us; for when a child begins to live according to his reason, then the cock cries loud within him, rousing him from the sleep of sense; but the age of childhood is the morning. Now all these ages must look out for the end; for even a child must be watched, lest he die unbaptized.
Pseudo-Jerome: He thus concludes His discourse, that the last should hear from those who come first this precept which is common to all; wherefore He adds, "But what I say unto you I (p. 272) say unto all, Watch."
Augustine, Epist., 199, 3: For He not only speaks to those in whose hearing He then spake, but even to all who came after them, before our time, and even to us, and to all after us, even to His last coming. but shall that day find all living, or will any man say that He speaks also to the dead, when He says, "Watch, lest when he cometh he find you sleeping?"
Why then does He say to all, what only belongs to those who shall then be alive, if it be not that it belongs to all, as I have said? For that day comes to each man when his day comes for departing from this life such as he is to be, when judged in that day, and for this reason every Christian ought to watch, lest the Advent of the Lord find him unprepared; but that day shall find him unprepared, whom the last day of his life shall find unprepared.

 

 

 

venerdì 24 novembre 2023

Regno paradisiaco

Rito Romano

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo -26 Novembre 2023

Ez 34,11-12.15-17; Sal 22; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46

 

 

 

 

Rito Ambrosiano

Is 51,1-6; Sal 45; 2Cor 2,14-16a; Gv 5,33-39

Domenica III di Avvento – ‘Le profezie adempiute’ - Anno B

 

 

 

1) Cristo, Re in Croce.

Questa domenica, ultima dell’anno liturgico, celebra Gesù Re dell’universo. Cristo è Re regge il mondo dalla Croce e ci chiede di partecipare alla sua regalità, mettendoci in ginocchio al suo trono di Amore: la Croce, e davanti ai fratelli,  come Lui, il Re, si mise in ginocchio per lavare i piedi dei suoi Apostoli.

 Durante l’anno liturgico la Chiesa ci fa compiere quel cammino di fede e di carità, che abbraccia la storia della redenzione. Questo cammino liturgico inizia con l’Avvento, il tempo dell’Attesa di Dio fra di noi, che fiorisce nel Natale, che reca la grande e lieta notizia che Dio davvero si è fatto uno di noi. Segue il tempo della conversione, nella Quaresima, che ci prepara alla S. Pasqua e, dopo 50 giorni, l’inizio del cammino della Chiesa con la Pentecoste. In questo ‘pellegrinaggio’ Dio ci accompagna con il Suo Amore e la Sua Grazia, sempre che noi decidiamo di camminare con Lui.

Nella domenica, che conclude l’anno liturgico celebrando Cristo Re, riflettiamo insieme sul significato che questa Solennità ha, meditando la scena del “giudizio universale” (Mt 25,31-46).  Ed è proprio questa pagina evangelica che rivela il senso sconvolgente della regalità di Cristo che ci interpella: abbiamo scelto davvero di essere al seguito di questo Re crocifisso per e dall’amore?

Un Re che ci chiede di fare il bene agli altri e che non chiede per se stesso nulla. Anzi è stato Lui stesso a dare tutto per noi, morendo sulla croce, sacrificandosi per noi. Un Re speciale, fuori dai canoni delle regalità e dei regni di questa terra, che hanno altre prospettive di soggiogare le persone e il mondo alle proprie idee e posizioni

Un Re il cui regno che si costruisce ogni giorno mediante l’opera di quanti credono in Cristo e nei valori da Lui proclamati.

Ce lo ricorda in estrema sintesi il Prefazio della Solennità di Cristo Re: “Tu o Dio, con olio di esultanza hai consacrato Sacerdote eterno e Re dell’universo il tuo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. Egli, sacrificando se stesso immacolata vittima di pace sull'altare della Croce, operò il mistero dell'umana redenzione; assoggettate al suo potere tutte le creature, offrì alla tua maestà infinita il regno eterno e universale: regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”.

Dunque, il regno di Dio non è una questione di onori e di apparenze, ma è “giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17). 

Per capire bene ciò, dobbiamo partire dal trono di Cristo che è la Croce. Sulla Croce elevata sul Calvario Cristo manifesta la sua singolare regalità. Sul Calvario si confrontano due atteggiamenti contrapposti. Alcuni personaggi ai piedi della croce, e anche uno dei due ladroni in croce, si rivolgono con disprezzo al Crocifisso dicendogli :  “Se tu sei il Cristo, il Re Messia, salva te stesso scendendo dal patibolo. Gesù, invece, rivela la propria regalità rimanendo, sulla croce, come Agnello immolato. Con Lui si schiera inaspettatamente l’altro ladrone, che implicitamente confessa la regalità del giusto innocente ed implora: “Ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42). Sant’Ambrogio di Milano commenta: “Costui pregava che il Signore si ricordasse di lui, quando fosse giunto nel suo Regno, ma il Signore gli rispose: In verità, in verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso. La vita è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo là c’è il Regno” (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 10,121).

Rivolgiamoci anche noi con umiltà a Cristo e Lui ci accoglierà nel suo Regno di vita eterna. 

 

2) Preghiera e carità.

Il Regno dove Cristo ci accoglie, che il Redentore ci dà, non è un luogo o qualcosa ma lui stesso. Lui ci dà il suo cuore, la sua parola, i suoi sentimenti. E come risposta lui non vuole qualcosa che abbiamo, ma tutto quello che siamo. Non importa se questa offerta la facciamo come la povera vedova che mise nel tesoro del tempo tutto quello che aveva, era erano poche monete, oppure come Zaccheo offrì la metà dei suoi beni, l’importante è imitare la Vergine Maria che lietamente offri tutto se stessa e divenne sulla terra il paradiso del Figlio del cielo. L’importante è vivere il dono di sé a Dio con letizia.

Per educarci a questa offerta totale dobbiamo vivere la carità facendo la carità, dando agli ultimi. Dando ai poveri diamo a Dio e lui, riconoscente ci accoglie con loro, ai quali dice: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 31 - 46).

A questo riguardo Sant’Agostino commenta: “Nessuno sia esitante a dare l'elemosina ai poveri, nessuno creda che la riceva colui del quale vede la mano; la riceve Colui che ha comandato di darla. Non affermiamo ciò in base a un nostro sentimento o a una congettura umana; ascolta Colui che non solo ti esorta a farlo, ma ti firma anche la garanzia. Avevo fame - è detto - e mi avete dato da mangiare. Dopo l’enumerazione dei loro servizi [i giusti] chiederanno [al Signore]: Quando mai ti abbiamo visto affamato? ed egli risponderà: Tutto ciò che avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, lo avete fatto a me. Chiede l'elemosina un povero ma è un ricco quello che la riceve; si dà a uno che la spende per sé, ma la riceve Colui che la renderà. E non renderà solo ciò che riceve: egli vuole prendere a interesse, promette più di quel che avrai dato. Metti fuori tutta la tua cupidigia di danaro; fa' conto d'essere un usuraio. Se tu lo fossi realmente, saresti rimproverato dalla Chiesa, saresti condannato dalla parola di Dio, ti detesterebbero tutti i tuoi fratelli come un crudele usuraio bramoso di guadagnare sulle lagrime altrui. Sii usuraio, nessuno te lo proibisce. Invece di prestare a un povero, il quale piangerà quando ti renderà, dà a uno che è in grado di restituire e che ti esorta anche a ricevere ciò che promette” (Discorso 86,3).

In questa carità verso il prossimo le vergini consacrate sono un esempio importantissimo. In effetti, ciò che si dà a Dio non lo si toglie agli uomini, perché consacra a Dio con la verginità il suo amore, il suo cuore, i suoi pensieri, la persona consacrata non dimentica e non trascura questo mondo e gli uomini che in esso lottano e soffrono. Il Dio cristiano è Amore cje non riceve, ma dona o, meglio, è un Dio che riceve non per trattenere per sé quello che riceve, ma per ridonarlo accresciuto. Perciò e che si dona a Dio è un amore che si effonde sugli uomini arricchito dall’amore stesso di Dio. Non è un amore impoverito, ma un amore reso più forte e quindi più impegnato e più fecondo. E’ per questo che la gran maggioranza delle opere di carità verso i poveri sono state realizzate da vergini, l’ultima delle quali ad essere canonizzata è Santa Teresa di Calcutta, che si fece missionaria della carità mettendosi a servizio dei più poveri dei poveri, perché totalmente donata a Dio.

 

 

 

 

Lettura patristica

Gregorio di Nissa

Oratio II: De pauper. amandis

Nell’amore dei poveri costruiamo il nostro eterno futuro

       "Io ho avuto fame, ho avuto sete, ero forestiero e nudo, e infermo e carcerato" (
Mt 25,35). "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi (miei fratelli), l’avete fatto a me" (v. 40). Per cui, "venite", dice, "benedetti del Padre mio" (v. 34). Che cosa impariamo da queste cose? Che la benedizione e il più grande bene sono riposti nello zelo e nell’osservanza dei precetti; la maledizione e il massimo dei mali derivano dall’accidia e dal disprezzo dei comandamenti. Abbracciamo allora la prima e fuggiamo questa seconda, finché ci è possibile, affinché delle due noi possiamo avere quella che desideriamo. Infatti, in quello a cui con grande alacrità d’animo ci saremo inclinati, noi saremo stabiliti. Per la qual cosa, il Signore della benedizione, che parimenti accetterà da noi ciò che per sollecitudine e per dovere avremo fatto nei confronti dei poveri, come fatto a lui, rendiamocelo benevolo e costringiamolo almeno in questo tempo in cui a noi, mentre viviamo, è data la grande possibilità di osservare il comandamento; e sono molti che mancano del necessario, molti che sono carenti nello stesso corpo, logorati e consumati dalla stessa violenza del male. Cosicché, noi in questa cosa, cioè, per dirla più ampiamente, poniamo più cura e diligenza nel curare coloro che sono colpiti da gravissimo morbo, per conseguire quel magnifico premio promesso... (Cosa dirò forse degli angeli) quando lo stesso Signore degli angeli, lo stesso re della celeste beatitudine si è fatto uomo per te, e queste sordide e abiette spoglie della carne cinse a sé, unitamente all’anima che di esse era rivestita, affinché col suo contatto egli curasse le tue infermità? Tu invece, che sei della stessa natura di chi è ammalato, fuggi uomini di quel genere. Non ti piaccia, fratello, te ne prego, far tuo il cattivo proposito. Considera chi sei, e di chi ti interessi: uomo (sei) soprattutto, tra gli uomini, che nulla hai di proprio in te e nulla di estraneo alla natura comune. Non compromettere le cose future. Mentre infatti condanni la passione grande nel corpo altrui, pronunci una incerta sentenza di tutta la natura. Di quella natura, poi, anche tu sei partecipe, come tutti gli altri. Per la quale cosa, si decida come di cosa comune...

       Che cosa dobbiamo fare, perché non sembri che noi pecchiamo contro la legge di natura? È sufficiente che deploriamo le loro passioni e che con la preghiera togliamo via la malattia e ci commuoviamo al suo stesso ricordo? O non si richiede che, con dei fatti mostriamo verso di essi la misericordia e la benevolenza? È proprio così. Infatti, il rapporto che sussiste tra le cose vere e le pitture appena abbozzate, è quello che c’è tra le parole separate dalle opere. Dice infatti il Signore che la salvezza non sta nelle parole, ma nel compiere le opere della salvezza. Per cui, quello che c’è comandato per causa di essi, occorre che noi lo facciamo per lui... "Via, lontano da me, nel fuoco eterno: perch‚ ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei miei fratelli, non l’avete fatto a me" (
Mt 25,41 Mt 25,45).

       Se infatti pensassero di conseguire tali cose in quel modo, non arriverebbero mai a subire quella sentenza, allontanando da sé coloro che soffrono, né stimerebbero contagio per la nostra vita l’impegno per gli sventurati. Per cui, se consideriamo che colui che promise è fedele, ottemperiamo ai suoi comandi, senza dei quali non possiamo essere degni delle sue promesse. Il forestiero, il nudo, l’affamato, il malato, il carcerato, e tutto quello che ricorda il Vangelo, in questo misero ti viene posto dinanzi. Egli va errabondo e nudo e infermo, e a causa della povertà che consegue alla malattia, manca del necessario. Chi infatti non ha a casa di che sostentarsi, né d’altronde può guadagnare col lavoro, questi manca delle cose che le necessità della vita esigono. Per tale motivo, quindi, è schiavo perché legato dai vincoli della malattia. Pertanto, in ciò avrai adempiuto l’essenziale di tutti i comandamenti, e lo stesso Signore di tutte le cose, per quello che gli avrai prestato con benignità, avrai legato e obbligato a te (
Pr 19,17). Perché dunque fai assegnamento su ciò che è la rovina della tua vita? Colui, infatti, che non vuole avere amico il Signore di tutte le cose, è a se stesso grandemente nemico. A quel modo, infatti, che viene realizzata l’osservanza dei comandamenti, viene liberato dalla crudeltà (del supplizio eterno) "Prendete" (dice) "il mio giogo su di voi" (Mt 11,29). Chiama giogo l’osservanza dei comandamenti, obbediamo a colui che comanda.

       Facciamoci giumento di Cristo, rivestendo i vincoli della carità. Non rifiutiamo questo giogo, non scuotiamolo, esso è soave e lieve. A chi si sottomette, non opprime il collo, ma lo accarezza. "Seminiamo in benedizione", dice l’Apostolo, "perché possiamo anche mietere nelle benedizioni" (
2Co 9,6). Da un tale seme germinerà una spiga dai molti grani. Ampia è la messe dei comandamenti, sublimi sono le stirpi della benedizione. Vuoi capire a quale altezza si libra il rigoglio di tale progenie? Esse toccano gli stessi vertici del cielo. Tutto ciò che infatti in esse avrai portato, lo troverai al sicuro nei tesori del cielo. Non diffidare delle cose dette, non ritenere che sia da disprezzare la loro amicizia. Le loro mani certamente sono mutilate, ma non inidonee a recare aiuto. I piedi sono divenuti inutili, ma non vietano di correre a Dio. Vien meno la luce degli occhi, ma con l’anima scelgono quei beni che l’acutezza della vista non può fissare... Non c’è infatti chi non sappia, chi non consideri eccellente il premio prima nascosto che viene conferito umanamente e benignamente nelle altrui sventure. Poiché infatti le umane cose signoreggia l’una e medesima natura. E a nessuno è data certezza che a lui in perpetuo le cose saranno prospere e favorevoli. In tutta la vita, occorre ricordare quel precetto evangelico secondo il quale quanto vogliamo che gli uomini facciano a noi, noi lo facciamo loro. Perciò, finché puoi navigare tranquillamente, stendi la mano a colui che ha fatto naufragio; comune è il mare, comune la tempesta, comune il perturbamento dei flutti gli scogli che si nascondono sotto le onde, le sirti, gli inciampi, e tutte infine quelle molestie che alla navigazione di questa vita incutono un uguale timore a tutti i naviganti.

       Mentre sei integro, mentre con sicurezza attraversi il mare di questa vita, non trascurare inumanamente colui la cui nave andò a urtare. Chi può garantire, qui, che avrai sempre una felice navigazione? Non sei ancora pervenuto al porto della quiete (
Ps 106,19). Non sei ancora stabilito fuori dal pericolo dei flutti. La vita non ti ha ancora collocato in luogo sicuro. Nel mare della vita sei ancora esposto alla tempesta. Quale ti mostrerai verso il naufrago, tali verso di te troverai coloro che insieme navigano.

       

Règne paradisiaque.

Rite Romain

XXXIV Dimanche du Temps ordinaire – Année A – Solennité de Notre Seigneur Jésus-Christ Roi de l’univers - 26 Novembre 2023

Ez 34,11-12.15-17; Ps 22; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46

 

 

Rite Ambrosien

Is 51,1-6; Ps 45; 2Cor 2,14-16a; Jn 5,33-39

Dimanche III de l’Avent – ‘Les prophétie accomplies’ - Année B

 

 

 

1) Le Christ, Roi en croix.

Ce dimanche, dernier dimanche de l’année liturgique, célèbre Jésus Roi de l’univers. Le Christ-Roi dirige le monde de la croix et nous demande de participer à sa royauté, en nous agenouillant devant son trône d’Amour : la Croix, et devant nos frères, comme Lui, le Roi, se mit à genoux pour laver les pieds de ses apôtres.

 Au cours de l’année liturgique l’Eglise nous fait accomplir ce chemin de foi et de charité, qui embrasse l’histoire de la rédemption. Ce cheminement commence avec l’Avent, le temps de l’Attente de Dieu parmi nous, qui fleurit à Noël, apportant la grande et heureuse nouvelle que Dieu s’est vraiment fait un de nous. Puis arrive le temps de la conversion, au Carême, qui nous prépare à la sainte Paques et, 50 jours après, le début de la marche de l’Eglise avec la Pentecôte. Tout au long de ce ‘pèlerinage’ Dieu nous accompagne de Son Amour et de sa Grâce, encore faut-il que nous décidions de marcher avec Lui.

En ce dimanche qui clôture l’année liturgique et célèbre le Christ-Roi, réfléchissons ensemble au sens de cette solennité en méditant la scène du « Jugement dernier » (Mt 25,31-46).  Cette page de l’évangile est celle qui révèle, précisément, le sens bouleversant de la royauté du Christ qui nous interpelle : avons-nous vraiment choisi de suivre ce Roi crucifié pour et par amour ?

Un Roi qui nous demande de faire le bien aux autres et ne demande rien pour lui. Au contraire, c’est lui-même qui a tout donner pour nous, en mourant sur la croix, en se sacrifiant pour nous. Un roi spécial, hors des canons de la royauté et des royaumes de cette terre, qui ont en vue d’assujettir les personnes et le monde à ses propres idées et positions. 

Un Roi dont le royaume se construit chaque jour grâce à l’œuvre de tous ceux qui croient en Jésus Christ et aux valeurs qu’Il a proclamées. La Préface de la solennité du Christ-Roi nous le rappelle en quelques mots : « Vous, Dieu, qui avez oint de l’huile d’allégresse votre Fils unique notre Seigneur Jésus-Christ, prêtre éternel et roi de l’univers, afin que s’offrant lui-même sur l’autel de la croix en victime immaculée et pacifique, il accomplisse le mystère de la rédemption de l’humanité, et qu’après avoir soumis à son pouvoir toutes les créatures, il remette à votre majesté infinie un royaume universel et éternel : royaume de vérité et de vie, royaume de sainteté et de grâce, royaume de justice, d’amour et de paix ».

Le Royaume de Dieu n’est donc pas une question d’honneurs et d’apparences. Il est « justice, amour et paix dans l’Esprit Saint » (Rm 14,17).

Pour bien comprendre cela, nous devons partir du trône du Christ qui est la Croix. Sur la croix élevée en haut du Golgotha, Jésus Christ manifeste sa royauté spéciale. Au Calvaire, deux attitudes opposées se font face. Des personnages aux pieds de la croix, mais également un des larrons en croix, s’adressent au Crucifié avec mépris, lui disent : « Si tu es le Christ, le Roi Messie, sauve-toi toi même, descends de la croix ». Mais Jésus révèle sa propre royauté en restant sur la croix, comme Agneau immolé. Prend parti pour lui l’autre larron qui, implicitement, confesse la royauté du juste innocent et implore : « Souviens-toi de moi quand tu viendras dans ton Royaume. » (Lc 23,42). Saint Ambroise de Milan commente : « Celui-ci priait que le Seigneur se souvienne de lui quand il viendrait dans son Royaume, mais le Seigneur lui répondit :  En vérité, je te le dis, aujourd’hui tu seras avec moi dans le Paradis. La vie est d’être avec le Christ, car là où se trouve le Christ se trouve le Royaume » (Traité sur l’Evangile selon Luc, 10,121).

Nous aussi adressons nous au Christ humblement et Lui nous accueillera dans son Royaume de la vie éternelle.

 

2) Prière et charité.

Le Royaume où nous accueille le Christ, que le Rédempteur nous donne, n’est pas un lieu ou quelque chose mais lui-même. Il nous livre son cœur, sa parole, ses sentiments. Et en réponse il ne veut pas quelque chose que nous avons, mais tout ce que nous sommes. Peu importe si cette offrande nous la faisons comme la pauvre veuve qui mit dans le trésor du temps tout ce qu’elle avait, quelques pièces de monnaie, ou bien comme Zachée qui offrit la moitié de ses biens, l’important est d’imiter la Vierge Marie qui, joyeusement, s’offrit toute entière et devint sur terre le paradis du Fils du ciel. L’important est de vivre le don de soi à Dieu avec joie.

     Pour nous éduquer à ce don total nous devons vivre la charité en faisant la charité, en donnant aux plus petits. En donnant aux pauvres nous donnons à Dieu et Lui, reconnaissant, nous accueille avec eux. Il leur a dit : « Venez, les bénis de mon Père, recevez en héritage le Royaume préparé pour vous depuis la fondation du monde. Car j’avais faim, et vous m’avez donné à manger ; j’avais soif, et vous m’avez donné à boire ; j’étais un étranger, et vous m’avez accueilli ; ’étais nu, et vous m’avez habillé ; j’étais malade, et vous m’avez visité ; j’étais en prison, et vous êtes venus jusqu’à moi !” Alors les justes lui répondront : « Seigneur, quand est-ce que nous t’avons vu… ? tu avais donc faim, et nous t’avons nourri ? tu avais soif, et nous t’avons donné à boire ? tu étais un étranger, et nous t’avons accueilli ? tu étais nu, et nous t’avons habillé ? Tu étais malade ou en prison… Quand sommes-nous venus jusqu’à toi ? Et le Roi leur répondra : Amen, je vous le dis : chaque fois que vous l’avez fait à l’un de ces plus petits de mes frères, c’est à moi que vous l’avez fait »(Mt 25, 34 - 40).

A ce propos saint Augustin commente : « Que nul ne craigne de donner aux pauvres ; que nul ne s'imagine que la main qu'il voit est celle qui reçoit. Celui qui reçoit est celui qui t'a commandé de donner. Nous l'affirmons, non point d'après nos inspirations personnelles ni d'après d'humaines conjectures. Prête l'oreille au Sauveur lui-même ; voici ses conseils et les garanties qu'il te donne par écrit. « J'ai eu faim, dit-il, et vous m'avez donné à manger ; » et comme on lui répondait, après avoir entendu (376) l'énumération des services rendus : «Quand vous avons-nous vu souffrir de la faim? » il poursuit « Chaque fois que vous avez fait quelque chose pour l'un de ces plus petits d'entre les miens, c'est à moi que vous l'avez fait. » Celui qui mendie est pauvre mais Celui qui reçoit est riche. Tu donnes à l'un pour manger, un autre accepte pour te rendre ; et il ne rendra pas ce qu'il reçoit: il veut emprunter à intérêt, il te promet plus que tu ne lui donnes. Montre maintenant ton avarice, considère-toi comme usurier. Si tu l'étais réellement, l'Eglise te réprimanderait, tu serais confondu par la parole de Dieu et tous tes frères t'auraient en horreur comme un usurier cruel qui cherche à s'enrichir des larmes d'autrui. Eh bien ! sois usurier ; personne ici ne t'en détourne. Au lieu de prêter à un pauvre qui pleurera lorsqu'il lui faudra payer ; donne à un Solvable qui va même jusqu'à te pousser à recevoir ce qu'il t'a promis » (Sermon 86,3).

Dans cette charité envers le prochain les vierges consacrées sont un exemple très important. En effet, ce qui se donne à Dieu, on ne l’enlève pas aux hommes, parce qu’on le consacre à Dieu purement, avec son amour, son cœur, ses pensées. La personne consacrée n’oublie pas et ne néglige pas ce monde et les hommes qui y luttent et souffrent. Le Dieu chrétien est un Amour qui ne reçoit pas, mais donne, ou mieux encore un Dieu qui reçoit non pas pour garder pour lui ce qu’il reçoit, mais pour le redonner encore plus grand. Donc ce qui se donne à Dieu se répand sur les hommes, enrichi de l’amour même de Dieu.  Ce n’est pas un amour appauvri, mais un amour rendu plus fort et donc plus contraignant et plus fécond. C’est la raison pour laquelle la grande majorité des œuvres de charité envers les pauvres ont été réalisées par des vierges, dont la dernière à être canonisée est sainte Thérèse de Calcutta, qui se fit missionnaire de la charité en se mettant au service des plus pauvres, parce que totalement donnée à Dieu.

 

 

 

Lecture patristique

Homélie attribuée à saint Hippolyte de Rome (+ 236)

Traité sur la fin du monde, 41-43, GCS I, 2, 305-307. 

 


Comme le saint évangile l'affirme avec force, le Fils de l'homme rassemblera toutes les nations; il séparera les hommes les uns des autres, comme le berger sépare les brebis des chèvres: il placera les brebis à sa droite et les chèvres à sa gauche. Alors il dira à ceux qui sont à sa droite: "Venez, les bénis de mon Père, recevez en héritage le Royaume préparé pour vous depuis la création du monde" (
Mt 25,32-34). <>

Venez, vous qui avez aimé les pauvres et les étrangers. Venez, vous qui êtes restés fidèles à mon amour, car je suis l'amour. Venez, vous dont la paix a été la part d'élection, car je suis la paix. Venez, les bénis de mon Père, recevez en héritage le Royaume préparé pour vous.

Vous n'avez pas honoré la richesse, mais fait l'aumône aux pauvres. Vous avez secouru les orphelins, aidé les veuves, donné à boire à ceux qui avaient soif et à manger à ceux qui avaient faim. Vous avez accueilli les étrangers, habillé ceux qui étaient nus, visité les malades, réconforté les prisonniers, apporté votre aide aux aveugles. Vous avez gardé intact le sceau de la foi et vous avez été prompts à vous rassembler dans les églises. Vous avez écouté mes Ecritures et tant désiré entendre mes paroles. Vous avez observé ma loi le jour et la nuit et partagé mes souffrances comme de courageux soldats, pour trouver grâce devant moi, votre roi du ciel. Venez, recevez en héritage le Royaume préparé pour vous depuis la création du monde.

Voici que mon Royaume est préparé et mon ciel ouvert. Voici que mon immortalité apparaît dans toute sa beauté. Venez tous, recevez en héritage le Royaume préparé pour vous depuis la création du monde.

Alors les justes s'étonneront d'être invités à s'approcher comme des amis - ô merveille - de celui dont les troupes angéliques ne peuvent avoir une claire vision. Ils lui répondront d'une voix forte: Seigneur, quand est-ce que nous t'avons vu...? Tu avais donc faim, et nous t'avons nourri! Maître, tu avais soif, et nous t'avons donné à boire? Tu étais nu, et nous t'avons habillé, toi que nous révérons? Toi l'immortel, quand t'avons-nous vu étranger, que nous t'ayons accueilli? Toi qui aimes les hommes, quand t'avons-nous vu malade ou en prison, que nous soyons venus vers toi! (
Mt 25,37-39). Tu es l'Éternel. Avec le Père, tu es sans commencement, et tu es coéternel à l'Esprit. C'est toi qui as tout créé de rien, toi, le roi des anges, toi que redoutent les abîmes. Tu as pour manteau la lumière(Ps 103,2). C'est toi qui nous a faits et modelés avec de la terre, toi qui as créé les êtres invisibles. Toute la terre s'enfuit loin de ta face. Et comment avons-nous accueilli ta royauté et ta souveraineté?

Alors le Roi des rois leur répondra: Chaque fois que vous l'avez fait à l'un de ces petits qui sont mes frères, c'est à moi que vous l'avez fait (
Mt 25,40). Chaque fois que vous avez accueilli et vêtu ces pauvres dont j'ai parlé, et que vous leur avez donné à manger et à boire, à eux qui sont mes membres, c'est à moi que vous l'avez fait. Mais venez dans le Royaume préparé pour vous depuis la création du monde. Vous jouirez éternellement des biens de mon Père qui est aux cieux, et de l'Esprit très saint qui donne la vie.

Quelle langue pourra donc décrire de tels bienfaits? Personne n'a vu de ses yeux ni entendu de ses oreilles, le coeur de l'homme n'a pas imaginé ce qui a été préparé pour ceux qui aiment Dieu (
1Co 2,9).