venerdì 24 aprile 2020

Camminare con Cristo e condividere la sua vita

III Domenica di Pasqua – Anno A – 26 aprile 2020

Rito Romano
At 2,14a.22-33; Sal 15; 1 Pt 1,17-21; Lc 24,13-35


Rito Ambrosiano
At 19,1b-7; Sal 106; Eb 9,11-15; Gv 1,29-34
L’Agnello di Dio in cibo per noi

Una premessa.
L’episodio dei due discepoli di Emmaus è molto noto e personalmente mi piace molto perché esso è anche la narrazione della storia di ognuno di noi. Inoltre, la struttura di questo racconto è la stessa struttura che ha la Messa. Cosa fa Gesù? Si fa compagno di strada dei due discepoli che da fuggitivi diventano pellegrini facendo della locanda di Emmaus un “santuario”. In questo luogo reso sacro dalla presenza del Risorto, Cristo, dopo che lungo il cammino aveva parlato loro della Legge e dei Profeti – sono le prime letture della Bibbia –spiega il Vangelo della Passione e, infine a tavola spezza il Pane, che diventa Pane di vita.
E’ allo spezzare del pane che finalmente si aprono gli occhi, dei discepoli perché oggi come allora vediamo che tutte queste parole diventano pane di vita vera. E ancora oggi noi incontriamo il Signore, come ogni persona, e lo riconosciamo attraverso quel che ha fatto, attraverso la Parola che ce lo spiega e attraverso il cambiamento, l’esperienza che avviene in noi, che noi stessi risorgiamo incontrando il Risorto. Il nostro cuore cambia. La nostra vita cambia. I nostri occhi cambiano. Il nostro modo di vedere la realtà cambia. Il nostro modo di sentire e di vivere cambia.
Attraverso il Vangelo, vediamo Cristo Risorto,, lo conosciamo. La sua parola fa ardere il cuore, ci cambia la testa, ci cambia il volto, gli occhi, la bocca, le mani, i piedi; ci ha fatto risorgere. Ecco cosa vuol dire conoscere il Signore, il Vivente: che viviamo anche noi in Lui. Viviamo ormai della sua resurrezione; come siamo stati con-crocifissi con Lui sulla croce e con-sepolti nel sepolcro, così con-risorti con Lui e con-seduti alla destra del Padre con Lui.
Passiamo dalla tristezza alla gioia. Dall’egoismo all’amore. Dall’impossessarsi del pane al condividere il pane. Dal fuggire al camminare verso gli altri. Dal litigare all’andare d’accordo. Questa è la resurrezione, il vero miracolo. Prima eravamo morti come gli idoli morti che adoravamo. Ora diventiamo come il Vivente perché attraverso la Parola incontriamo il Vivente e ci nutriamo di Lui.
E adesso vediamo sinteticamente il cammino da percorrere in Cristo, con Cristo e per Cristo.


1) La strada da Gerusalemme a Gerusalemme, passando per Emmaus.
Il Vangelo di San Luca è incorniciato dal racconto di due fatti: l’annunciazione dell’Angelo a Maria, all’inizio, e l’incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus, alla fine.
Il primo è come una prefazione che ci spiega cosa capiterà ascoltando il Vangelo: la Parola si incarna in noi, come si è incarnata nella Madonna.
Il secondo è la conclusione, che sintetizza che cosa è capitato a chi ha “letto” il Vangelo, ascoltando la Parola con attenzione e seguendola con costanza: si diventa figli nel Figlio di Dio, che spezza il pane di vita con noi e per noi.
In tutto l’anno liturgico, particolarmente nella Settimana Santa e in quella di Pasqua, il Signore è in cammino con noi e ci spiega le Scritture, ci fa capire questo mistero: tutto parla di Lui. E questo dovrebbe far ardere anche i nostri cuori, così che possano aprirsi anche i nostri occhi. Il Signore è con noi, ci mostra la vera via. Anche noi riconosciamo la Sua presenza come i due discepoli riconobbero Gesù nello spezzare il pane, così oggi. Cleopa e l’altro discepolo, di cui il Vangelo non ci dice il nome e che può essere il rappresentante di ciascuno di noi, riconobbero il Messia e si ricordarono dei momenti in cui Lui aveva spezzato il pane. E questo spezzare il pane ci fa pensare proprio alla prima Eucaristia celebrata nel contesto dell’Ultima Cena, dove il Redentore spezzò il pane e così anticipò la sua morte e la sua risurrezione, dando se stesso ai discepoli.
Gesù spezza il pane anche con noi e per noi, si fa presente con noi nell’Eucaristia, ci dona se stesso e apre i nostri cuori.
Nell’Eucaristia, nell’incontro con la sua Parola, possiamo anche noi incontrare e conoscere Gesù, in questa duplice Mensa della Parola e del Pane e del Vino consacrati.
La Parola ha acceso il cuore dei discepoli, il Pane apre loro gli occhi: Lo riconobbero allo spezzare del pane. Il segno di riconoscimento di Gesù è il suo Corpo spezzato, vita consegnata per nutrire la vita. La vita di Gesù è stata un continuo appassionato consegnarsi. Fino alla croce e dalla croce.
La Parola e il Pane cambiarono la direzione del cammino dei due discepoli. La notte non era più un’obiezione al cammino e senza indugio lasciarono un rifugio umano, la locanda di Emmaus, e fecero ritorno al Cenacolo di Gerusalemme, dove la comunità degli apostoli li accolse nella comunione e li confermò nella fede rinata dall’incontro col il Risorto.
Almeno ogni domenica la comunità cristiana rivive così la Pasqua del Signore e raccoglie dal Salvatore il suo testamento di amore al Padre e di servizio ai fratelli, soprattutto con la Santa Messa, che ebbe come primo nome “fractio panis” (frazione, “spezzamento” del Pane di Vita nuova).
Grazie a questo “spezzare il Pane” che non è solamente preghiera, ma atto, gesto di Dio e della Chiesa, l’esistenza umana acquisisce una dimensione eucaristica, perché unisce la fatica umana alla carità di Dio, che ci accoglie come figli nel Figlio. Ci accoglie perché è Padre da sempre e per sempre e ricco di misericordia.
Ai due discepoli di Emmaus Gesù spiegò le Scritture (fractio Verbi = frazione, condivisione della Parola), poi spezzo il Pane (fractio Panis= frazione, condivisione del Pane) e condivise la Vita (fractio Vitae = frazione della Vita nuova e, quindi, definitiva). Oggi Lui fa tutto ciò per noi, noi imitiamo questi due discepoli e non smettiamo di essere pellegrini dell’Infinito.

2) Da viandanti a pellegrini.
Penso che sia corretto affermare anche che San Luca ha costruito il racconto dei due discepoli di Emmaus attorno all'immagine del cammino.
Dapprima un cammino che allontana da Gerusalemme, dagli avvenimenti della passione e dal ricordo di Gesù: potremmo dire un cammino dalla speranza alla delusione (“Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”), un cammino carico di tristezza (“Si fermarono col volto triste”).
Poi - dopo il cammino con lo Sconosciuto - un cammino di ritorno, dalla delusione alla speranza: “Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme”.
L'inversione di marcia è dovuta alla nuova lettura degli eventi che lo sconosciuto ha loro suggerito. Gli eventi sono rimasti quelli di prima (la croce e il sepolcro vuoto), ma ora sono letti con cuore, mente e occhi nuovi.
A questo punto sorge, secondo me, una domanda molto importante: “Come riconoscere il Signore che cammina con noi?”
Ai due discepoli di Emmaus, che avevano ascoltato con commozione la spiegazione di Gesù circa la sua passione e morte, gli occhi si aprirono quando Gesù si sedette a tavola, accettando l’invito a stare in loro compagnia, e compì quattro gesti (prese il pane, ringraziò, lo spezzò e lo distribuì).
Questi gesti riportano indietro, alla cena eucaristica, alla vita terrena di Gesù (una vita in dono come pane spezzato), alla croce che di quella vita è il compimento.
Questi stessi gesti riportano anche in avanti, alla vita della Chiesa, al tempo in cui i cristiani continueranno a “spezzare il pane”. Spezzare il pane è dunque un gesto, in un certo senso riassuntivo, nel quale si concentrano, sovrapponendosi, le tre tappe dell'esistenza di Gesù: il Gesù terreno, il Risorto e il Signore ora presente nella comunità. Lo spezzare il pane, cioè la dedizione, è sempre la modalità riconoscibile della presenza del Signore: è la modalità del Crocifisso, del Risorto e del Signore glorioso presente nella Chiesa. È questo il tratto che fa riconoscere il Signore Gesù.
Quindi noi dobbiamo fare lo stesso percorso dei due discepoli.
In primo luogo dobbiamo riconoscere di aver bisogno di qualcuno che li guidi verso la luce e la verità e questo Qualcuno è lo stesso Gesù che si fa compagno di viaggio nella loro esistenza segnata, in quel momento, dallo scoraggiamento e dalla delusione più nera.
In secondo luogo, abbiamo bisogno di ritrovarsi insieme ed è Gesù stesso a darci l'occasione per farlo con un altro spirito ed in un altro contesto, quello appunto della celebrazione dell'eucaristia. Infatti è Gesù che spezza il pane e i due discepoli riconoscono il Signore e rileggono la loro esperienza di gioia vissuta poche ore prima, insieme a quello Sconosciuto, che gli fa ardere il cuore mentre li catechizza ed insegna loro a guardare la vita nel segno della speranza e della gioia senza fine.
In terzo luogo, come i primi discepoli, noi discepoli del giorno d’oggi, come i primi discepoli abbiamo bisogno di portare agli altri l’annuncio di ciò che abbiamo visto con gli occhi della fede: Gesù stesso. Sull’esempio dei discepoli di Emmaus sentiamo l’urgenza di partire senza indugio per riferire ciò che avevano vissuto, l'esperienza di gioia e fede che facciamo nell'incontrare il Risorto nell’Eucaristia (ma anche negli altri Sacramenti), nella Sacra Scrittura, nella Comunità Cristiana. Per poterlo riconoscere nel povero, poi, ci vuole una purezza angelica (M. Teresa di Calcutta).
Non dobbiamo dimenticare che le prime a portare l’annuncio della risurrezione di Cristo furono le donne. Loro le prime nell’amore, andando al sepolcro di prima mattina, furono le prime nella fede.
Il “genio femminile” da loro vissuto in modo maturo permise loro di “vedere lontano” al di là delle apparenze, di “intuire” e di “vedere con gli occhi e con il cuore1 (l). Nelle Vergini consacrate che vivono nel mondo questo genio femminile si esprime anche in un costante ascolto della Parola, che poi è custodita, creduta, messa in pratica e annunciata. Con la loro verginità esse sono completamente a disposizione dell’Evangelizzazione, Spose di Cristo a servizio del Vangelo. Esse mettono in pratica « Felici coloro che regolano i propri passi sulla parole di Dio », è questa un’antifona che si può cantare dopo la consegna delle insegne di consacrazione (Rituale di consacrazione della Vergini, n. 30).

1 Le parole tra virgolette e in corsivo sono di S. Giovanni Paolo II e si trovano nella “Mulieris dignitatem”.


Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona
Consenso Evang. 325


Delle apparizioni del Signore risorto ai discepoli è necessario trattare non solo per mettere in luce l'accordo che sull'argomento esiste fra i quattro evangelisti (Mt 28,1-20 Mc 16,1-20 Lc 24,1-53 Jn 20,1-21,25), ma anche per sottolineare com'essi concordino con l'apostolo Paolo, il quale nella Prima Lettera ai Corinzi scrive cosi: Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo mori per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto (1Co 15,3-8). Quest'ordine nel succedersi dei fatti non è seguito da nessuno degli evangelisti. Occorre quindi porsi il problema se l'ordine presentato dagli evangelisti non contrasti per caso con quello di Paolo.

Ricordiamoci tuttavia che il racconto non è completo in nessuna delle fonti: per cui la ricerca è da estendersi solo alle cose riferite da più narratori, per rilevare se ci siano contrapposizioni nei loro racconti. Orbene, fra gli evangelisti il solo Luca non riferisce che il Signore fu visto dalle donne, le quali avrebbero visto soltanto gli angeli (Lc 24,4). Matteo afferma che egli si fece loro incontro mentre se ne tornavano via dal sepolcro. Marco in più dice che il Signore fu visto per primo da Maria Maddalena (Mc 16,9), e in ciò s'accorda con Giovanni; solo che sul modo dell'apparizione descritto ampiamente da Giovanni (Jn 20,14), Marco non dice nulla. Diverso il racconto di Luca: egli non solo omette di narrare - come notavo sopra - le apparizioni del risorto alle donne ma nel riportare le parole che quei due discepoli (uno dei quali si chiamava Cleopa) a lui rivolsero prima di riconoscerlo, dà l'impressione che le donne non raccontarono ai discepoli nient'altro se non che avevano visto degli angeli, a detta dei quali egli era vivo. Leggiamo il testo: Ed ecco che in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sessanta stadii da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto.

Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accosto e camminava con loro; ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: " Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino e perché siete tristi? ". Uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: " Tu solo sei cosi forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni? ". Domando: " Che cosa? ". Gli risposero: " Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di avere avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto " (Lc 24,13-24).

Stando a Luca, i due di Emmaus narrarono le cose in modo che gli altri condiscepoli potessero ricordare o ravvivare il ricordo di quanto riferito dalle donne o da coloro che di corsa si erano recati alla tomba appena seppero che il suo corpo era stato portato via dal sepolcro. Luca, per l'esattezza, dice che a correre alla tomba fu il solo Pietro: egli si prostro verso l'interno, vide che c'erano soltanto i lenzuoli sistemati a parte e poi se ne torno indietro stupito in cuor suo per quello che era accaduto (Lc 24,12). Questi particolari nei confronti di Pietro Luca li colloca prima del racconto dei due che il Signore incontro lungo la via e dopo aver narrato delle donne che avevano visto gli angeli dai quali appresero la notizia della resurrezione di Gesù. Pare che Pietro proprio in quel frattempo corse al sepolcro; ma il racconto di Luca su Pietro è da prendersi come una ricapitolazione. Pietro infatti si reco frettolosamente al sepolcro quando vi si reco anche Giovanni, e ciò accadde dopo che dalle donne, e soprattutto da Maria Maddalena, avevano avuto la notizia della scomparsa della salma. Ora questa Maria Maddalena reco la notizia dopo aver visto la pietra rotolata via dal sepolcro; e dopo ancora accadde la visione degli angeli e dello stesso nostro Signore. Gesù dunque dovette apparire due volte alle donne: una volta presso la tomba e un'altra facendosi loro incontro mentre si allontanavano dalla tomba (Mt 28,10 Lc 24,24 Jn 20,14): e tutto questo dovette succedere prima che egli si mostrasse lungo la strada a quei due discepoli, uno dei quali si chiamava Cleopa.

Tant'è vero che questo Cleopa, parlando col Signore che ancora non aveva riconosciuto, non disse che Pietro era andato al sepolcro ma: Alcuni dei nostri si sono recati al sepolcro e hanno trovato le cose come avevano descritto le donne. E dunque verosimile che anch'egli descriva i fatti in forma riassuntiva soffermandosi un poco su quel che da principio le donne riferirono a Pietro e Giovanni riguardo al trafugamento della salma del Signore. Se pertanto Luca dice che Pietro corse al sepolcro riportando le parole di Cleopa, secondo il quale alcuni discepoli si erano recati al sepolcro, il racconto del terzo evangelista va completato con Giovanni il quale afferma che ad andare al sepolcro furono in due; e se in un primo tempo fa menzione del solo Pietro è perché Maria aveva portato la notizia soltanto a lui (Jn 20,6-8). può anche sorprendere quanto riferito da Luca e cioè che Pietro non entro nel sepolcro ma si prostro e vide soltanto i lenzuoli; dopo di che se ne andò via stupefatto (Lc 24,12). Ciò appare in contrasto con Giovanni, il quale attribuisce la cosa a se stesso, cioè al discepolo che Gesù amava, e scrive che fu lui a vedere le cose cosi. Egli, sebbene arrivato per primo, non entro nel sepolcro ma si chino e vide i lenzuoli collocati da una parte. Tuttavia in un secondo momento entro anche lui (Jn 20,6), di modo che i fatti si sarebbero svolti cosi: in un primo momento Pietro si prostro [fuori del sepolcro] e vide (ciò è ricordato da Luca e omesso da Giovanni), ma più tardi entro anche lui ed entro prima che entrasse Giovanni. In questa maniera i due racconti contengono la verità né vi è fra loro alcuna opposizione.”

venerdì 17 aprile 2020

Affidarsi a Dio per essere accolti dalla sua misericordia.

II Domenica di Pasqua – della Divina Misericordia1 – Anno A – 19 aprile 2020
Rito Romano
At 2,42-47; Sal 117; 1 Pt 1, 3-9; Gv 20, 19-31

Rito Ambrosiano
At 4,8-24; Sal 117; Col 2,8-15; Gv 20,19-31

  1. La misericordia di Dio.
In questi giorni di grande preoccupazione per la pandemia che continua a seminare dolore e morte, facciamo fatica ad accogliere la gioia che viene dalla Pasqua, che abbiamo celebrato una settimana fa.
Come è possibile vivere il clima di gioia, che proviene dalla fede in Cristo risorto, se intorno a noi e tra noi c’è malattia, morte e paura? Vivendo in comunione di stupore e in fiduciosa impazienza nella prova.
Che cosa ci porteranno i prossimi mesi? Come sarà lavvenire dellumanità sulla terra? A noi non è dato di saperlo. Umanamente parlando, ci sono segni di speranza, ma con difficoltà si intravede alla fine del tunnel la luce flebile portata da nuovi progressi nella ricerca del vaccino per il Covid-19 e delle cure per chi ne è colpito. Purtroppo, non mancheranno altre esperienze dolorose. Ma in questa Domenica della Misericordia, la luce della divina compassione illumina il cammino degli uomini di oggi. Però non basta dire che Cristo è il Figlio di Dio compassionevole, dal quale noi ricaviamo i nostri sentimenti di misericordia e di fraternità. Lui è anche vittima del nostro male. Lui è l’Agnello innocente, immolato dai nostri peccati, che vince il male con il dono di sé in Croce.
Come gli Apostoli circa duemila anni fa, è necessario che nel cenacolo della storia noi oggi accogliamo Cristo risorto, che mostra le ferite della sua crocifissione e ripete: Pace a voi”. Occorre che la nostra povera umanità si lasci raggiungere e pervadere dallo Spirito, che Cristo risorto le dona. E lo Spirito che risana le ferite del cuore, abbatte le barriere che ci distaccano da Dio e che ci dividono tra di noi, restituendo la gioia dellamore del Padre e quella dell’unità fraterna.
E importante, allora, che accogliamo nella sua integralità l’insegnamento, che ci viene dalla tre letture di questa seconda Domenica di Pasqua. Oggi la liturgia mostra il cammino della misericordia che, mentre ricostruisce il rapporto di ciascuno con Dio, suscita anche tra gli uomini nuovi rapporti di fraterna solidarietà. Cristo ci ha insegnato che luomo non soltanto riceve e sperimenta la misericordia di Dio, ma è pure chiamato a usare misericordia verso gli altri: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Mt 5, 7) (S. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Dives in misericordia, 14).
La misericordia è, infatti, l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro e che apre il nostro cuore alla speranza di essere amati per sempre, qualunque sia la nostra povertà, qualunque sia il nostro peccato. L’amore di Dio per noi non è una parola astratta. Si è reso visibile e tangibile in Gesù Cristo. Per questo è sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare l’amore misericordioso dei cristiani” (Papa Francesco, Udienza alle realtà francesi dedite alla misericordia divina, 13 dicembre 2019).
La misericordia insegnata e praticata da Cristo non perdona soltanto i peccati, ma va anche incontro a tutte le necessità degli uomini. Gesù si è chinato su ogni miseria umana, materiale e spirituale. L'esperienza della misericordia continua a raggiungere l’umanità attraverso il gesto delle nostre mani tese in suo nome verso le persone che soffrono.
La tenerezza misericordiosa e consolante di Cristo si rivolge soprattutto a chi, afflitto da una prova particolarmente dura o schiacciato dal peso dei peccati commessi, ha smarrito ogni fiducia nella vita ed è tentato di cedere alla disperazione. A lui si presenta il volto dolce di Cristo, su di lui arrivano quei raggi che partono dal suo cuore e illuminano, riscaldano, indicano il cammino e infondono speranza.
Per fare esperienza di questa misericordia ripetiamo spesso l’invocazione: Gesù, confido in Te, che la Provvidenza ha suggerito attraverso la Santa polacca, Suor Faustina Kowalska (1905 - 1938
Questo semplice atto di abbandono a Gesù squarcia le nubi più dense e fa passare un raggio di luce nella vita di ciascuno di noi.

  2) Il costato trafitto: sorgente di luce e di misericordia.
Questa domenica, che tradizionalmente era chiamata “Domenica in Albis”, dal 2000 è stata proclamata Festa della Misericordia da San Giovanni Paolo II. Questo Santo Papa ha così voluto evidenziare lo stretto legame che esiste tra il Mistero di Pasqua e la Festa della misericordia: “L’opera della Redenzione è collegata con l’opera della Misericordia” (Sr. Faustina).
E’ vero che, secondo un’antica tradizione, l’odierna domenica aveva il nome di Domenica “in Albis”, perché in questo giorno, nei primi secoli della Chiesa, i battezzati durante della Veglia pasquale indossavano ancora una volta la loro veste bianca, simbolo della luce che il Signore aveva loro donato nel Battesimo. In seguito, avrebbero poi deposto la veste bianca2, ma la nuova luminosità che era stata loro comunicata doveva essere introdotta nella loro quotidianità. La fiamma delicata della verità e del bene, che il Signore aveva acceso in loro, doveva da loro essere custodita diligentemente per portare così in questo nostro mondo qualcosa della luminosità e della bontà di Dio.
E’ altrettanto vero che battesimo2 è il sacramento di misericordia, con il quale Dio non solamente ci perdona il peccato originale ma ci incorpora a Cristo e ci rende Tempio dello Spirito Santo. Questo sacramento “sgorga” dal costato trafitto di Cristo, “sorgente di misericordia, fontana di perdono” (Simeone il Nuovo Teologo, Inno XLV) e il Vangelo di oggi ci mostra l’Apostolo Tommaso che ha il dono della fede mettendo il dito in questo costato, quasi per toccare il Cuore di Cristo compassionevole da cui escono il sangue e l’acqua della grazia: la tenera misericordia di Dio.
Dio non può tradire il suo nome: Amore, che si dona e che perdona. Con il Mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo una nuova creazione è fatta, e come dal costato di Adamo dormiente è stata formata Eva, dal costato di Cristo dormiente sulla Croce Dio Padre trasse la Chiesa3.
La Chiesa è nata dal cuore trafitto di Cristo4 e San Tommaso, perdonato della sua incredulità, ebbe l’impegnativo dono di mettere la sua mano nel costato e di arrivare vicino al Cuore del Crocifisso risorto. Toccò l’uomo e riconobbe Dio, che gli manifestava ancora una volta la Sua misericordia.
A noi come a San Tommaso, Gesù dice: “Metti qua il tuo dito, stendi la tua mano, tocca!” A Tommaso bastò quel gesto. Anche a noi può e deve bastare sapere e fare esperienza che il prossimo, il fratello e la sorella, colui che tende le mani verso di te, voce che non ti giudica ma ti incoraggia e ti chiama, corpo offerto ai dubbi dei suoi amici, è Gesù.
Non non poté sbagliarsi. C’era un foro nelle mani di Cristo, c’era il colpo di lancia nel Suo fianco: sono i segni dell'amore, che Gesù non nasconde, anzi, quasi esibisce: il foro dei chiodi, lo squarcio nel costato.
Guardiamo frequentemente il Crocifisso che c’è in ogni chiesa e, spero, in ogni nostra casa, con gli occhi vedremo piaghe che non ci saremmo aspettati, con le mani del cuore potremo anche noi toccare e credere.
Forse, pensavamo che la Risurrezione avrebbe rimarginato per sempre le ferite del Venerdì santo. E invece no. L'amore ha scritto il suo racconto sul corpo di Gesù con l'alfabeto delle ferite. Indelebili ormai, proprio come l'amore. Ma dalle piaghe aperte non sgorga più sangue, bensì luce e misericordia. E nella mano di Tommaso, guidata da Cristo verso il suo costato, ci sono tutte le nostre mani.

3) Dalla paura alla gioia.
Le porte erano sprangate per paura dei Giudei” (Gv 20, 19). Paura improbabile, ma quasi tutte le paure sono improbabili, però ci sono e sono realissime. Queste paure che ti chiudono totalmente agli altri, che fanno buio nell’esistenza e che fanno del loro cuore e del cenacolo un sepolcro; il cenacolo è il luogo dove Gesù aveva dato il pane, dove adesso entrerà, ma ormai la loro stanza è un sepolcro, vivono di paura, di paura della morte. Come la pietra che chiudeva il Sepolcro non impedì a Cristo di uscire e portare la Luce, le porte chiuse del Cenacolo non Gli impediscono di entrare e di rischiare il luogo ed i cuori dei suoi discepoli. Il Signore è risorto non c'è più ragione di avere alcuna paura. Persino la morte è vinta: di che cosa avere allora paura? “Si rallegrarono al vedere il Signore”: i discepoli passano dalla paura alla gioia. La gioia, dono del Signore risorto, è una partecipazione alla sua stessa gioia.
Non ci sono due gioie differenti, una per Dio e una per l'uomo. In tutte e due i casi si tratta di una gioia che affonda le sue radici nell'amore. Questa gioia non sta nell'assenza della Croce, ma nel comprendere che il Crocifisso è risorto. La fede permette una comprensione vera della Croce e del dramma dell'uomo.
Insieme con la gioia c’è un altro dono da parte del Risorto: la pace. Ricordiamo però che pace e gioia sono “doni” di Cristo e, al tempo stesso, “tracce” per riconoscerLo. Ma occorre infrangere l’attaccamento a se stessi. La pace e la gioia fioriscono soltanto nella libertà e nel dono di sé.
L'offerta di se stessi a Dio, ha recentemente5 spiegato Papa Francesco, “riguarda ogni cristiano, perché tutti siamo consacrati a Lui mediante il Battesimo. Tutti siamo chiamati ad offrirci al Padre con Gesù e come Gesù, facendo della nostra vita un dono generoso, nella famiglia, nel lavoro, nel servizio alla Chiesa, nelle opere di misericordia”. Tuttavia, “tale consacrazione è vissuta in modo particolare dai religiosi, dai monaci, dai laici consacrati, che con la professione dei voti appartengono a Dio in modo pieno ed esclusivo. Questa appartenenza al Signore permette a quanti la vivono in modo autentico di offrire una testimonianza speciale al Vangelo del Regno di Dio. Totalmente consacrati a Dio, sono totalmente consegnati ai fratelli, per portare la luce di Cristo là dove più fitte sono le tenebre e per diffondere la sua speranza nei cuori sfiduciati”. Le Vergini consacrate sono segno di Dio nei diversi ambienti di vita, sono lievito per la crescita di una società più giusta e fraterna, sono profezia di condivisione con i piccoli e i poveri. Così intesa e vissuta, la vita consacrata ci appare proprio come essa è realmente: è un dono di Dio, un dono di Dio alla Chiesa, un dono di Dio al suo popolo.

4) Il perdono come missione.
L’incontro di misericordia di Cristo con Tommaso fu possibile perché Gesù stava in mezzo ai discepoli. Non solo Tommaso, ma lui e la comunità riconoscono il Signore dalle sue ferite, che restano sempre aperte per accogliere tutti. Da esse scaturisce la gioia di chi è amato e l’invio ad amare come siamo amati. La missione della chiesa è la stessa di Gesù, inviato dal Padre verso i fratelli. Per questo siamo creature nuove, vivificate dal suo Spirito, che è amore, dono e perdono da offrire a tutti. Se perdoniamo, siamo come Gesù Cristo ed avremo la sua pace: “Pace a voi”.
Ma è una pace diversa rispetto a quella del mondo. Diversa perché dono di Dio e perché va alla radice, là dove l’uomo si decide per la menzogna o per la verità. Diversa perché è una pace che sa pagare il prezzo della giustizia. La pace di Gesù non promette di eliminare la Croce - né nella vita del cristiano, né nella storia del mondo - ma rende certi della sua vittoria: “Io ho vinto il mondo” (Gv 16,33).
Al dono della pace Gesù aggiunge quello dello Spirito: “Ricevete lo Spirito Santo”: lo Spirito è il testimone di Gesù. Davanti all’ostilità che incontreranno, i discepoli saranno esposti al dubbio, allo scandalo, allo scoraggiamento: lo Spirito difenderà Gesù nel loro cuore, li renderà sicuri e saldi. Anche a noi, discepoli di oggi, lo Spirito offre questa certezza e ci da la forza di portare nel mondo il perdono di Dio.
La Chiesa nel Cenacolo è nata dalla contemplazione dell’amore del Cristo Crocifisso e Risorto ed è inviata a testimoniare e condividere questo amore che perdona.

Nella parola “misericordia” S. Giovanni Paolo II trovava riassunto e nuovamente interpretato per il nostro tempo l’intero mistero della Redenzione, quindi il 30 aprile 2000 questo Papa, che è stato proclamato Santo insieme con Giovanni XXIII, istituì la Festa della Divina Misericordia e volle che fosse celebrata in questa II Domenica di Pasqua.
2  “Il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d'ingresso alla vita nello Spirito (« vitae spiritualis ianua »), e la porta che apre l'accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione: « Baptismus est sacramentum regenerationis per aquam in verbo – Il Battesimo può definirsi il sacramento della rigenerazione cristiana mediante l'acqua e la parola ».(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1213).
3  Cfr Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 5: AAS 56 (1964) 99.
4  Cfr Sant'Ambrogio, Expositio evangelii secundum Lucam, 2, 85-89: CCL 14, 69-72 (PL 15, 1666-1668)
5   Discorso del 2 febbraio 2014.
 

Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona (354 – 430)

Dal Commento alla Prima Lettera di S. Giovanni
(In Io. Ep. tr. 1, 3)

Tommaso toccò l’uomo e riconobbe Dio!
Noi - dice Giovanni - siamo testimoni e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e si è manifestata in noi (1 Gv 1, 2-3), cioè in mezzo a noi; piú chiaramente si direbbe: manifestata a noi. Le cose dunque che abbiamo visto e sentito le annunciamo a voi. Faccia bene attenzione la vostra Carità: Le cose che abbiamo visto e udito noi vi annunciamo. Essi videro presente nella carne il Signore stesso, da quella bocca raccolsero le sue parole e ce le hanno trasmesse. Perciò anche noi abbiamo sentito, sebbene non abbiamo visto. Siamo forse meno felici di quelli che videro ed udirono? Ma perché allora aggiunse: Affinché anche voi abbiate parte insieme con noi (1 Gv 1, 3-4)? Essi videro, noi no, e tuttavia ci troviamo insieme; la ragione è questa, che abbiamo comune tra noi la fede. Ci fu un tale che, avendo visto, non credette e volle palpare per arrivare in questo modo alla fede. Disse costui: Io non crederò se non metterò le mie dita nel segno dei chiodi e non toccherò le sue cicatrici. Il Signore permise che le mani degli uomini lo palpassero per un poco, lui che sempre si offre allo sguardo degli angeli. Il discepolo dunque palpò ed esclamò: Signor mio e Dio mio. Egli toccò l'uomo e riconobbe Dio. Il Signore allora, per consolare noi che non possiamo stringerlo con le mani, essendo egli già in cielo, ma possiamo raggiungerlo con la fede, gli disse: Tu hai creduto, perché hai veduto: beati quelli che non vedono e credono (Gv 20, 25-29). In questo passo siamo noi stessi ritratti e designati. S'avveri dunque in noi quella beatitudine che il Signore ha preannunziato per le future generazioni; restiamo saldamente attaccati a ciò che non vediamo, perché essi che videro ce lo attestano. Affinché - afferma Giovanni - anche voi abbiate parte con noi. Che c'è di straordinario a far parte della società degli uomini? Aspetta ad obiettare; considera ciò che egli aggiunge: E la nostra vita sia in comune con Dio Padre e Gesú Cristo suo Figlio. Queste cose ve le abbiamo scritte, perché sia piena la vostra gioia (1 Gv 1, 3-4). Proprio nella vita in comune, proprio nella carità e nella unità, Giovanni afferma che c'è la pienezza della gioia.”
In breve...
Vedeva e toccava l’uomo, ma confessava Dio che non vedeva e non toccava. Attraverso ciò che vedeva e toccava, rimosso ormai ogni dubbio, credette in ciò che non vedeva. (In Io. Ev. tr. 121, 5)

venerdì 10 aprile 2020

Cristo è risorto: l’Amore ha vinto.

Domenica di Risurrezione – Anno A – 12 aprile 2020
Rito Romano
At 10, 34a. 37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; Gv 20, 1-9

Rito Ambrosiano
At 1,1-8a; Sal 117; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18

Una premessa:
Il calendario ci dice che la primavera è iniziata una ventina di giorni fa, e l’inverno sembra finito. In questo periodo di “confinamento” in casa a causa del Covid-19, che conserva l’inverno nei nostri cuori, se guardiamo fuori dalla finestra di casa possiamo vedere le piante che hanno vinto il gelo e il freddo dell’inverno climatico. Osservandole, viene da pensare che tutte le cose, tutte le nostre cose, possono rifiorire grazie a quella forza, a quella potenza creatrice che riveste le piante davanti a noi con foglie verdi e nuove.
Ma questa forza riceve la sua forza da una “Forza misteriosa”, che ha voluto farsi vedere, rendendosi famigliare al nostro cammino di uomini. Così, il Dio Forte, il Dio Santo, il Dio Immortale dice a ciascuno di noi: “Io sono con te sempre, sono diventato figlio di una donna come sei figlio tu, ho vissuto quello che hai vissuto tu, sono stato ingiustamente condannato, ho subito dolori, sono stato ucciso e ho accettato tutto questo, perché tu capissi che Io condivido la fatica per il compito che ti ho chiamato a compiere”.
Celebrando la Pasqua, annunciamo che Gesù di Nazareth è risorto. La lieta verità, che Lui vuole far risentire nell’animo di ognuno di noi, è che non nasciamo per morire, ma per vivere e che la morte non è che l’ultima e drammatica porta da attraversare e che Lui ci accompagna in questa avventura.
Con la celebrazione della Pasqua, non annunciamo solo un messaggio di speranza, annunciamo il fatto che il Dio, venuto tra noi, è risorto dalla morte che noi gli abbiamo inflitto, e libera il nostro cuore dalla tristezza di morte che lo ingombra. Cristo morto e risorto è la ragione della speranza che vince la tristezza del mondo, compimento della promessa antica, quella cioè fatta al popolo di Israele. Perciò Lui è la ragione di ogni nuovo inizio. Quando ogni mattina ci alziamo possiamo riprendere nelle nostre mani la certezza della positività e bontà ultima delle cose: quel che ci sta a cuore e che amiamo non lo perderemo più.
Con gioia, mista a paura e dolore a causa della grave pandemia che sta ancora colpendo l’umanità, celebriamo la Pasqua non come semplice commemorazione di un fatto passato, ma come partecipazione al mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo.
Ora non è più il Capo che deve adagiarsi sulla croce per, poi, rialzarsi dalla tomba. E’ il suo corpo, la Chiesa, con tutte le sue membra rappresentate da ciascuno di noi: siamo noi che dobbiamo condividere questa passione per poter condividere la sua resurrezione.
La Pasqua ci insegna che il cristiano nella Chiesa deve morire con il Cristo per resuscitare con lui.
La Pasqua non opera alcuna magia. Come dopo la traversata del Mar Rosso gli Ebrei trovarono il deserto, così la Chiesa, dopo la Risurrezione, trova sempre la storia con le sue gioie e le sue speranze, i suoi dolori e le sue angosce. La speranza, in questo mondo e, in particolare, in questo periodo di pandemia, non può non fare i conti con la durezza del male e del dolore fisico e spirituale. Non è soltanto il muro della malattia e della morte a ostacolare questa speranza, l’ostacolo alla speranza è dovuto ai nostri peccati, all’invidia e all’orgoglio, alla menzogna e alla violenza.
Gesù Risorto è passato attraverso questo intreccio mortale, per aprirci il passaggio verso il Regno della vita e donarci la luce vera. Come i raggi del sole, a primavera, fanno spuntare e schiudere le gemme sui rami degli alberi, così la luce, che promana dalla Risurrezione di Cristo, non solamente dà forza e significato ad ogni speranza umana, ma gioia profonda che viene dal fatto che la risurrezione mostra che l’amore è più forte della morte.
Facciamo, quindi, nostra la frase di Madre Teresa di Calcutta, che ha bene conosciuto il dolore dell’umanità piagata, ma “osava” dire:: "Non lasciare che nulla ti riempia così di dolore da farti dimenticare la gioia di Cristo risorto" (M. Teresa di Calcutta).


1) Gesù è risorto davvero ed è apparso in primo luogo ad una donna: la prima nella fede perché la prima nell’amore.
Con la celebrazione della Pasqua non solo ricordiamo la Risurrezione, ma la rendiamo presente nella gioia, che nasce dall’incontro con il Signore risorto.
Il racconto evangelico proposto dalla Liturgia di oggi ci è di aiuto per capire e vivere tutto ciò. Si tratta di un racconto molto lineare: c’è Maria Maddalena che aspetta la prima luce per correre al sepolcro, lo trova vuoto, pensa che Gesù sia stato rubato; e ci sono gli Apostoli Pietro e Giovanni che corrono al sepolcro per vedere se è vero quello che Maria e le altre donne dicono. L’amore a Cristo, anche se morto, permaneva in loro e, per amore, loro si erano recate alla tomba quando spuntava l’aurora del giorno nuovo, del primo giorno dopo il sabato, dell’inizio della nuova creazione.
Di per sé il racconto su Maria continua poi dal v. 11 e seguenti, che non sono nel brano scelto oggi ma che varrà la pena di andare a rileggere perché la liturgia oggi si ferma al v. 10. Ma credo utile commentare prima i versetti che vengono dopo, e che mi permettono una riflessione pertinente a oggi.
Dunque, vedendo la Tomba vuota, questa donna è smarrita, sconvolta. Ai suoi occhi il corpo morto del Crocifisso era l’unica cosa che era rimasta del Signore tanto amato, a cui da vivo lei aveva lavato i piedi con le proprie lacrime e con un profumo preziosissimo.
A un tratto Lui è lì accanto a lei con il Suo corpo risorto, ma Maria Maddalena non lo riconosce. Persa nei suoi pensieri e nel suo progetto di ritrovare il corpo sfigurato dalla passione, avrà cercato di guardare bene quell’estraneo che inaspettatamente si era messo accanto a lei? Sarà stata capace di presumere che questo supposto “ortolano” potesse essere Colui che le aveva perdonato tutti i peccati di una vita destinata alla morte, facendola “risorgere” alla vita vera? Sì! Per colei che aveva fatto esperienza che l’amore di Gesù è più grande del peccato, è bastata una parola: “Maria”. All’udire il suo nome pronunciato nel primo chiarore dell’alba da una voce ben conosciuta, riconobbe il Maestro risorto. Allora nel suo cuore si sprigionò la luce e in lei fiorì la fede che è riconoscere la presenza del Cristo risorto davanti a sé, accanto a sé, dentro di sé. E da quel momento nulla potrà strappare dal cuore di questa donna la certezza che si era impossessata del suo cuore e della sua mente.
L’Evangelista Giovanni, nel descrivere l’incontro di Maria di Magdala con Gesù, evidenzia tre aspetti fondamentali della fede cristiana: l’iniziativa, il riconoscimento e la missione. A colei che cerca una persona morta Cristo si mostra vivente (l’iniziativa): una conoscenza del Risorto che non avviene, però, con un incontro percettivo, e per questo Egli rimane ancora uno sconosciuto. Tutto cambia quando la Sua presenza diventa un appello personale (il riconoscimento): Gesù la chiama per nome, e Maria risponde come aveva sempre fatto durante la sua vita terrena: “Rabbunì” (titolo famigliare di Rabbì che significa mio maestro). Alla rivelazione segue l’investitura (la missione) dell’annuncio: mentre Maria vuole toccarLo, il Messia le affida il grande messaggio, espresso nel tipico linguaggio giovanneo, da portare ai fratelli: “Va’ dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Cristo la fece così diventare “apostola degli apostoli” (San Tommaso d’Aquino, Commento al vangelo di Giovanni, XX, 2519.10). Questo invito oggi è affidato in modo particolare alle Vergini consacrate che mostrano come la loro esistenza sia presa dall’iniziativa di Dio, sia vissuta nel riconoscimento di Cristo, che le manda in missione nel mondo. Loro esplicitano questo compito seguendo l’invito della Chiesa, come lo raccomandano i Prenotanda al Rito di Consacrazione dell’Ordo Virginum, n. 2°: “Loro si dedicano in effetti alla preghiera, alla penitenza, al servizio del prossimo ed al lavoro apostolico, seguendo il loro stato di vita…”. Ciò mostra che la preghiera è l’anima di ogni apostolato. Questo invito è pure confermato nell’ “Invio” (n.° 36, quando il Vescovo invoca lo Spirito Santo sulla consacrata:” Lo Spirito Santo che fu donato alla Vergine Maria e che consacra oggi il tuo cuore, ti animi della sua forza per il servizio di Dio e della Chiesa”).
Qui il Vangelo di oggi ci rivela il segreto che permette alla fede di nascere in ciascuno di noi. La fede ci è data da Gesù stesso che viene accanto a noi quasi di nascosto, senza farsi riconoscere immediatamente da noi. Gesù viene a tenerci compagnia, ad accendere un fuoco in noi, sino all’istante in cui scopriamo che è proprio Lui, che è qui, ci chiama per nome e gli diciamo di sì con la mente e con il cuore.
Al nostro umile, confidente atto di fede Lui risponde risorgendo anche nel nostro cuore.
Come la pianta esposta ed orientata alla luce vive, così orientiamoci alla luce di Cristo, con la preghiera e la carità. Allora Cristo entrerà nella nostra casa donando gioia e pace, vita e speranza, doni di cui abbiamo bisogno per la nostra rinascita umana e spirituale.


2) Pietro e Giovanni: testimoni di un fatto, non di una teoria.
Ora ritorniamo all’inizio del brano evangelico di oggi, che interrompe la narrazione su Maria Maddalena e, prima di narrare l’incontro di Cristo con lei, ci parla del correre di di Pietro e di Giovanni per verificare quanto le pie donne hanno riferito a loro ed agli altri Apostoli.
Nel racconto di oggi Pietro fa “soltanto” una cosa: constata che il sepolcro è vuoto. Non è cosa di poco conto, perché in tal modo il Primo degli Apostoli attesta il dato oggettivo della fede, constatando che la Tomba di Cristo è vuota in modo inspiegabile. In effetti se il corpo di Gesù fosse stato rubato i lini sarebbero in disordine e non stesi, e il sudario non sarebbe avvolto e messo in un luogo determinato. Pietro constata dunque il dato oggettivo: il sepolcro è vuoto e non si tratta di un furto. L’altro discepolo invece, amico di Gesù, quello che Gesù amava, vedendo le stesse cose, crede che Gesù è risorto. Quindi è sottolineato il fatto che non basta l’elemento oggettivo, che il sepolcro sia vuoto, che si sia sicuri che non è stato rubato. Ci vuole una spiegazione e ci vuole l’amore e l’intelligenza del cuore oltre a quella della testa, per credere alla risurrezione. Se ami una persona, la capisci, sperimenti chi è lei, le credi e conosci la verità di lei. Sant’Agostino scrive: “Non si entra nella verità se non per la carità”.
Siccome la risurrezione non è una teoria, ma un incontro con il Cristo risorto, allora puoi dare anche mille prove che Cristo è risorto, ma non basterà, perché il problema è un altro. Non sono le prove o i segni che mancano; la spiegazione unica più ragionevole è che sia risorto, ma non è questa; il problema è incontrare Lui e chi ama lo incontra sempre. Gli basta poco, gli basta un segno per capire.
La notte della morte è passata, il “Sole” è risorto per non più tramontare, il Bene ha vinto il male. Dove aveva abbondato il crimine, sovrabbonda la grazia, la gioia di Cristo lenisce ogni dolore e possiamo dire con serena sicurezza il Salmo 56 (57): “Saldo è il mio cuore, o Dio, saldo è il mio cuore. Voglio cantare, a te voglio inneggiare: svègliati, mio cuore, svègliati arpa, cetra, voglio svegliare l'aurora” (vv 8-9).
            L’iniziale mancanza di fede e l’incomprensione che hanno coinvolto Pietro e Giovanni, c’è stata anche in Maria di Magdala. Per riconoscere il Risorto, infatti, non basta la pura e semplice conoscenza fisica e razionale, ma è necessario quel percorso nella fede che in Maria avviene solo quando è chiamata per nome in un dialogo di profonda intimità, riportato da Giovanni in modo veramente toccante. L’apparizione è preceduta da una visione di angeli, quasi increduli della tristezza della donna (perché piangi?), ai quali Maria piangente spiega che hanno preso il suo Signore. È indicativo come Giovanni “dipinga” la posizione dei due angeli “seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù”: un’immagine che ricorda l’Arca dell’Alleanza, quasi a voler affermare che ogni profezia dell’Antico Testamento si è ora realizzata in quella tomba vuota, testimonianza del Cristo risorto.
La Resurrezione di Gesù è il sì di Dio a Cristo e a noi, poiché risuscitando l'uomo Gesù, Dio ha resuscitato tutta l'umanità e ha ricreato cieli nuovi e terra nuova. Torna a vivere non un’idea di Cristo, ma il Cristo in carne ed ossa, corpo immortale e trasfigurato.
Pur lodando la fede di Giovanni illuminata dall’amore, alla quale seguì sicuramente anche quella di Pietro, l’Evangelista sembra tuttavia rimproverare quel “ritardo” nel capire la grande verità (Non avevano infatti ancora (fino a quel momento) compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti). La vera fede, infatti, è quella che si affida totalmente alla parola di Dio e non cerca qualche testimonianza, o qualche indizio di attendibilità come il sepolcro vuoto; tutto questo è dovuto all’impreparazione perenne dell’uomo carnale di fronte al mistero di Dio. Alla luce di tutto questo, il “vedere” di Giovanni diventa testimonianza e impegno di fede e di vita per ogni vero cristiano che vuole intraprendere il difficile cammino verso la salvezza eterna perché, come affermava il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, la Pasqua è un intervento di Dio dall’eternità, è il preludio delle cose ultime, quelle che si verificheranno quando sarà la volontà del compimento finale, e di cui è possibile parlare soltanto in immagini o con parabole. La Pasqua rivela tutta la gloria e la potenza di Dio. Egli è il padrone della morte, non solo quella del Figlio, ma anche quella di ogni essere umano, e come ha risuscitato Gesù così porterà il Suo popolo santo dalla morte alla vita.


Lettura Patristica
San Gregorio di Nazianzo

Meditiamo queste parole di San Gregorio di Nazianzo:
  “Noi vogliamo attestare, a voi Figli e Fratelli, e a quanti della gloria e della speranza del nome cristiano sono rivestiti nel mondo, che Cristo ancor oggi, è nella storia del mondo, ancor oggi più che mai, Cristo è vivo, Cristo è reale. Vivo e reale, non nella penombra del dubbio e dell'incertezza...Cristo è presente. Il tempo non lo contiene e non lo consuma. La storia si evolve e può assai modificare la faccia del mondo. Ma la sua presenza la illumina .. Egli è il gaudio della terra; Egli è il medico d'ogni umana infermità. Egli si personifica in ogni uomo che soffre; finché sarà il dolore sulla terra, Egli se ne farà propria immagine per suscitare l'energia della compassione e del generoso amore. Gesù perciò è sempre e dappertutto presente...Egli è il Maestro, il Fratello, il Pastore, l'Amico d'ognuno dei suoi, il Salvatore d'ogni singola creatura umana che abbia la fortuna di essere da Lui associato come cellula del corpo mistico, di cui Egli è il capo. Ciascuno è autorizzato a chiamarlo per nome, non come personaggio estraneo, lontano inaccessibile, ma come il "TU" del supremo ed unico amore, come lo Sposo della propria felicità che misteriosamente è più vicino di quanto ciascuno che lo cerchi può immaginare, come è stato detto: "consolati, tu non mi cercheresti, se già non mi avessi trovato”.
Queste parole sono preghiera commossa che possiamo oggi fare nostra, nella gioia.