domenica 27 marzo 2022

Parabola del Padre prodigo di misericordia

Rito Romano

IV Domenica di Quaresima – Anno C – 27 marzo 2022

Gs 5,91.10-12; Sal 33; 2 Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32


Rito Ambrosiano

IV Domenica di Quaresima

Es 17,1-11; Sal 35; 1Ts 5,1-11; Gv 9,1-38b

Domenica del Cieco


  1) La gioia della misericordia.

Il Vangelo di San Luca, lo scrittore della mansuetudine di Gesù Cristo (Dante Alighieri definì San Luca “scriba mansuetudinis Christi”), insegna che il Messia è l’incarnazione della presenza misericordiosa di Dio tra noi. Cristo è presenza di amore, di perdono e di gioia che ci ‘ordina’: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 36). Santa Faustina Kowalska scrisse: “La Misericordia è il fiore dell’amore, Dio è amore, la misericordia è la Sua azione, nell’amore ha il suo inizio, nella misericordia la sua manifestazione” (Diario, Città del Vaticano 2004, II, p. 420).

Dunque, in questa domenica “Laetare” (= rallegratevi) e facciamo nostro l’invito di Papa Francesco: “Affidiamoci totalmente al Padre. Lasciamo che le nostre spalle di persone in ginocchio siano accarezzate come quelle del figlio prodigo dalle mani del Padre, il cui amore paterno si rivolge a ciascuno di noi come misericordia, cioè come amore di Dio, che si china sul peccatore, sul debole, il bisognoso. In questo modo potremo sperimentare la gioia di essere amati da questo “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore e nella fedeltà”.

Non dimentichiamo, però, che non solo noi siamo nella gioia perché perdonati dal Padre ma che possiamo dare a Dio la gioia di poterci perdonare. Questa della gioia di Dio nel perdonare è il nocciolo più originale del messaggio biblico e cristiano. “Noi a Dio - insegnava un anziano e saggio biblista francese - non possiamo regalare nulla che già non abbia: è il padrone di tutto! Tranne una cosa: dargli la gioia di poterci perdonare”.

La consapevolezza di questa gioia divina ci spinge ad aprirci senza esitazione all’amore di Dio mediante la conversione e appartenere a Lui, che ci accoglie come figlio con un cuore ricco di misericordia.

Per convertirci a questa Dio di misericordia ed aiutarci a mettere in pratica il comando di essere misericordiosi, il Redentore dell’uomo peccatore annuncia il suo vangelo di perdono e di gioia raccontando la parabola che è tradizionalmente chiamata “del figlio prodigo”. Questo brano evangelico, che la Liturgia della Parola oggi ci propone, ha come ritornello la gioia alla quale Dio invita tutti quando trova il figlio perduto. Per partecipare a questa gioia dobbiamo condividere il perdono che il Padre, prodigo di misericordia, concede al figlio ritrovato e accettare l’invito alla cena organizzata per festeggiare il ritorno dell’errante. In effetti, chi non accetta come fratello il peccatore, non accetta l’amore “gratuito” del Padre e non ne è figlio. E’ come il fratello maggiore, di cui parla la parabola e che si arrabbiò per il perdono concesso al fratello minore. Chi non sa perdonare e condividere la gioia del Padre si affoga nella sua meschina giustizia, che sa solo punire, resta fuori dal banchetto della gioia e dell’amore.

La Messa è per noi questo banchetto di amore che inizia con il perdono domandato, concesso e condiviso. L’Eucaristia è il gesto in cui la presenza di Cristo sacrificato e risorto ci abbraccia nel perdono che ricrea. Cristo, Pane di vita, mistero del perdono e della risurrezione, fa sì che noi possiamo essere abbracciati dal Padre, purificando la nostra vita di erranti e facendosi cibo per il nostro esodo. E, come il ritorno alla casa del Padre da parte del figlio prodigo non fu solo la fine di un’avventura umana disastrosa, ma fu anche l’inizio di una vita nuova, di una lieta storia di verità e di amore, così è e sarà per noi se in ginocchio, almeno con il cuore, chiederemo perdono ricevendo con esso il Pane degli angeli fattosi Pane per noi poveri peccatori.

Nel Pane eucaristico Gesù ci ha donato il suo amore, che lo ha spinto ad offrire sulla croce la sua vita per noi. Nel Cenacolo, nella prima Cena eucaristica Cristo lavò i piedi ai discepoli, dando questo comandamento d’amore: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Ma poiché questo è possibile solo rimanendo uniti a Lui, come tralci alla vite (cfr. Gv 15,1-8), il Redentore ha scelto di rimanere Lui stesso tra noi nell’Eucaristia, perché noi potessimo rimanere in Lui. Dunque, quando mangiamo con fede il suo Corpo e il suo Sangue, il suo amore passa in noi e ci rende capaci a nostra volta di dare la vita per i fratelli (cfr. 1 Gv 3,16). Da qui scaturisce la gioia cristiana, la gioia dell’amore.


2) Il Padre prodigo.

Esaminiamo ora più da vicino questa parabola che mi sono permesso di chiamare “parabola del Padre prodigo”, perché si prodiga nel donare con abbondanza e senza risparmio la sua misericordia.

In questo racconto Cristo comincia dicendo: “Un uomo aveva due figli”. Possiamo vedere in questi due figli i rappresentanti di tutta l’umanità che si divide in due categorie: quella dei peccatori, come il figlio minore e quella di coloro che si credono giusti, come il maggiore. Dunque, vi siamo compresi tutti.

Ciò che può apparire strano è che il figlio prodigo, che sbaglia, fa meno problema del figlio che è sempre rimasto a casa. Questo “giusto” non accetta che il Padre (Dio) sia amore e misericordia.

Un altro elemento da tenere presente è che tutti e due questi figli hanno in comune la stessa immagine del padre come qualcuno di esigente e duro: lo dice chiaramente il maggiore “ti ho servito, ti sono stato servo tutta la vita e non mi dai mai niente”. Un padre-padrone esigente da servire, come spesso l’uomo immagina Dio che costringe la libertà umana con una moltitudine di precetti, di ordini, di divieti. Il minore si ribella, ma almeno lo chiama padre: “Padre dammi la metà della parte che mi spetta”.

L’immagine che ha del padre è sbagliata, ma è giusto quello che vuole da lui: vuole la vita, la pienezza, la libertà. Questo è ciò che deve dare un padre, altrimenti che padre è? A questa domanda corretta il padre risponde dividendo i suoi beni in due. Ciò può significare che questo padre vorrebbe che anche l’altro, il più grande, se ne andasse, che desiderasse la libertà e la vita e non stesse in casa a fare lo schiavo.

Il minore “raccolse tutte le sue cose, emigrò in paese lontano”, perché pensa che solamente lontano da Dio lui può trovare la felicità. Come ha fatto Adamo, è il suo peccato, è la stessa storia di Adamo. Adamo voleva essere come Dio e si ribella a Dio per essere come Dio.

Cosa succede quando si è lontani da Dio? Si trova la morte, perché Dio è vita. Se Dio è pienezza, lontano da Lui trovo il vuoto. Se Dio é gioia, lontano da Lui c’è tristezza. Se Dio è libertà, senza di Lui sono nella schiavitù. Allora la parabola del figlio prodigo manifesta la parabola dell’uomo che crede che la sua realizzazione sia andare lontano da Dio.

Ma, in questa ricerca di libertà lontano dal padre, il figlio minore dissipa, spreca tutta la ricchezza ricevuta: perde tutto. E’ la storia dell’uomo che, essendo immagine e somiglianza di Dio, lontano da Lui perde la verità di sé, diventa vuoto, povero e immerso nei suoi limiti. Cercava la libertà dal padre da servire con amore, per servire degli uomini, che adorano idoli e che gli fanno custodire i porci e patire la fame.

Avendo toccato il fondo, il figlio prodigo, che ha dilapidato le ricchezze del padre, rientra in sé e decide di tornare a casa. Il bisogno lo fa rinsavire e comincia a ragionare. Di per sé, non pare molto pentito, di per sé, ha solo fame e dice: “Quanti salariati di mio padre sovrabbondano di pane”. Comunque è convinto di aver perso l’amore del padre e di doverselo meritare di nuovo. Ma il Padre, che è prodigo di amore, non ha mai smesso di amarlo. Quando il figlio gli chiede perdono, non lo lascia neppure parlare: il suo amore precede il pentimento e la conversione; gli offre con gioia veste, anello, calzari, “segni” dell'essere figlio e vuole che si faccia festa per il ritorno del giovane, il quale, travolto da questa misericordia sovrabbondante, finalmente capisce che il padre non solo l'ha sempre atteso, ma l'ha sempre amato, anche quando lui lo aveva dimenticato, o forse odiato.

Ed è ricolmo della gioia del Padre che subito organizza una festa perché ha ritrovato il figlio, che ha riscoperto la sua dignità di figlio. Questo Padre misericordioso dice: “Presto, portate fuori una veste, la prima, e vestitelo”. Qual era la prima veste di Adamo? Era nudo. La sua veste era essere immagine e somiglianza di Dio, cioè essere figlio. Quella è la nostra veste. Il nostro essere figlio è sempre presso il padre, perché lui sempre ci è padre. Quella è la nostra veste, la nostra dignità, la nostra identità.


3) Madre di Misericordia

Il centro della parabola di oggi non è il peccato ma la misericordia di Dio, che possiamo sperimentare anche noi soprattutto con la Confessione. Con questo sacramento noi possiamo come il figlio prodigo incontro con Cristo il Padre misericordioso. E’ vero che a volte la Confessione è vista più come un tribunale dell’accusa più che una festa del perdono. Senza sottovalutare l’importanza di dire i proprio peccati, va ricordato che ciò che è assolutamente centrale nell’ascolto dei peccati è l’abbraccio benedicente del Padre misericordioso. Troppo spesso noi consideriamo prima il peccato e, poi, la grazia. Invece prima c’è il gratuito, misericordioso e prodigo amore di Dio, che accoglie, ricrea. Dio non si ferma davanti al nostro peccato, non indietreggia davanti alla nostre offese, ma ci corre incontro come il Padre misericordioso corse incontro al figlio che con dolore e umiltà tornava a casa.

Ma questa riflessione sarebbe ancora parziale, se non pensassimo alla Madre della Misericordia,, perché la misericordia è una qualità dell’amore materno. Il Figlio, prodigo=generoso di perdono, è stato da lei generato perché fosse la misericordia dell’umanità. Maria diffonde questa misericordia con amore di Madre e la estende di generazione in generazione, secondo il disegno buono del Padre che l’ha associata intimamente al mistero di Cristo e della Chiesa. Maria è mediatrice di misericordia, rifugio di misericordia, “porta” attraverso la quale il credente si presenta al Giudice divino, che è Figlio della donna di Nazareth e fratello di tutti noi che siamo divenuti suoi figli ai piedi della croce: figli dell’amore misericordioso.

Le Vergini consacrate nel mondo sono chiamate a testimoniare questa materna misericordia prendendo la Vergine Maria modello della cooperazione della donna con Dio. Certo, la Vergine di Nazareth ha ricevuto una pienezza di grazia eccezionale per rispondere perfettamente alla missione unica che le è stata affidata. Ma nella sua volontà di considerare la donna come sua prima alleata, Dio accorda a ogni donna la grazia necessaria per adempiere a questo ruolo, di modo che la cooperazione, pur essendo libera e personale, si effettua sempre con le forze ricevute dall'alto.

Nel caso di Maria, la cooperazione è di un genere eccezionale, per il fatto che la maternità è verginale. Ma ogni generazione di un essere umano richiede l’azione creatrice di Dio e dunque una cooperazione dei genitori umani con questa azione sovrana. Collaborando con l’onnipotenza divina, la donna riceve da essa la sua maternità. Maternità che nelle Vergini consacrate è spirituale, ma non per questo meno reale e concreta.

Il volto della madre, soprattutto di quello che lo è nello Spirito, è un riflesso del volto del Padre, che possiede in lui le caratteristiche proprietà dell’amore paterno e dell’amore materno.


Lettura Patristica

Nerses Snorhali

Jesus, 19-25, 591-600



La parabola del figlio perduto (Lc 15,11-32)


Al presente, ti supplico con lui:

«Padre, contro di te ho peccato e contro il cielo;

non son più degno che tu mi chiami figlio

fa’ di me l’ultimo dei tuoi salariati».


Rendimi degno del più puro e santo

bacio del Padre tuo sì buono.


Sotto il tetto della sala di Nozze

ti piaccia ricevermi di nuovo.


E la veste iniziale della quale

briganti di strada mi spogliarono,

rivestimene ancora

come ornamento di Sposa preparata.


L’anello regale,

che d’autorità è il segno,

fa’ ch’io lo riporti nella mano destra,

per non deviare mai più verso sinistra.


E come protezione dal Serpente

metti scarpe ai miei piedi

perché non urtino la tenebra,

ma la sua testa schiaccino.


Al sacrificio del vitello grasso,

che sulla Croce per noi s’è immolato

e al sangue uscito per la lancia dal Costato

donde usciva il ruscello della Vita,


fammi partecipare nuovamente,

come nella parabola del Figlio Prodigo,

per mangiare il pane che dà vita,

per bere alla tua celeste coppa...


Sulle tracce del Prodigo ho camminato

in paesi estranei e lontani;

l’eredità paterna ho scialacquato

che al Fonte sacro avevo ricevuto.


Laggiù straziato fui da carestia

del Pane della Vita e della divina Bevanda.


Pascolando il gregge dei porci, sfamato

non mi son con i peccati della dolce carruba.


Invoco il Padre tuo come il cadetto

dicendo: «Contro Te e contro il ciel peccai;

anche se di figlio il nome al tuo cospetto,

Padre celeste, non son degno di portare.


Fa’ di me (quantomeno) un salariato

che per modesta paga compia il bene;

(ponimi) tra quei che son salvati dal secondo gruppo,

perché ho spezzato l’amor dovuto al Padre».


Accoglimi tra le braccia per esser da Te curato,

o Sublime; rendimi degno del tuo santo bacio;

sostituisci, o Immortal, col tuo profumo,

il lezzo cadaverico dell’anima!


Dammi la carne del Vitello grasso;

il vin che è sulla Croce fammi bere;

allieta lo stuol degli angeli,

perch’io morto la vita ho ritrovato.


L’Ebreo, figlio primogenito,

ovver color che son dei Giusti a lato,

che provenendo dal campo della Legge,

alla tua Chiesa vennero,


sol da lontano intesero la voce,

dei suoi figli che danzavano concordi,

e non vollero entrar nel Santuario,

quali persone afflitte alla maniera umana.


Si consumavan per la gelosia

al veder la salvezza dei gentili:

poiché si vantavano i lor padri

che la tua Legge non han trasgredito.


Quanto ad essi, non erano salvati

né dal Vitello grasso, olocausto di tuo Figlio,

né dal capretto pure immolato

per umano od angelico che fosse.


      





sabato 19 marzo 2022

Esodo di conversione al Dio di misericordia.

 Rito Romano

III Domenica di Quaresima – Anno C – 20 marzo 2022

Es 3,1-8a.13-15; Sal 102; 1 Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9


Rito Ambrosiano

III Domenica di Quaresima

Dt 6,4a;18,9-22; Sal 105; Rm 3,21-26; Gv 8,31-59

Domenica di Abramo

 


1) L’amore come strada della conversione1.

L’argomento centrale del brano evangelico di oggi è la conversione-penitenza. Lo spunto è dato da due fatti di cronaca realmente accaduti al tempo di Gesù e di cui si ha notizia solo nel Vangelo di San Luca. Uno riguarda alcuni Galilei fatti uccidere da Pilato e l’altro riguarda 18 persone morte schiacciate dal crollo della torre di Siloe (un’opera difensiva che si trovava nella cinta muraria a sud-est di Gerusalemme, accanto alla sorgente di Siloe).

Alla domanda perché queste persone siano morte Gesù afferma che le vittime non erano certo più colpevoli degli altri abitanti di Gerusalemme. Gesù invece di dare una risposta sul perché del male nel mondo e della morte degli uomini, suggerisce di guardare alle disgrazie non come castighi, ma come avvertimenti. In effetti, la vera disgrazia, la vera malattia mortale è il peccato, che separa l’uomo da Dio, sorgente di vita, e dagli altri uomini rendendo invivibile la vita personale e sociale. Per questo il Redentore ammonisce: “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5).

Stupisce che Cristo, l’Agnello che toglie i peccati del mondo, abbia un tono così duro e categorico. Fortunatamente, San Luca, “l'evangelista della misericordia”, aggiunge alle parole di duro avvertimento, la parabola del fico sterile. Ciò permette di capire che l’affermazione del giudizio divino che si abbatte inesorabilmente su coloro che non si convertono, va capita tenendo conto dell'intenzione più profonda, originaria di Dio che “non vuole la morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva(Ez 33,11).

C'è un segreto di misericordia nella parabola del fico sterile, nel rovesciamento di questa storia. Il padrone della vigna è Dio nel momento terribile del giudizio finale. Il vignaiolo è Cristo e toccherebbe a lui il taglio dell'albero sterile. Ma qualcosa accade nella relazione tra il Padre e il Figlio: si dilata il tempo - un anno (e da allora più di 2000 anni sono stati dati) - come nuova possibilità. Tutto è grazia; anche la nostra conversione è opera di Dio in Gesù. E’ rassicurante vedere che il tempo della misericordia si dilata, ma non dimentichiamo che il Signore agisce in questo modo per rendere possibile la conversione e non per rimandarla all'infinito.

Non dimentichiamo poi che la conversione non consiste in cose da fare ma nell’incontrare Cristo, convergendo verso di lui il nostro cuore, la nostra mente e, di conseguenza, le nostre azioni. Si tratta di una conversione a Cristo, Verità che illumina e Amore che si dona. Ogni battezzato, al di là di qualunque limite di tempo, di spazio o di cultura, è chiamato a questa conversione prendendo come unico distintivo quello dell’amore che si fa perdono e misericordia. In questo servizio (diaconia) dell’amore i nostri occhi si aprono su quello che Dio fa per noi e su come Lui ci ama. Siccome Dio ci ha amati per primo, l’amore adesso non è più solo un “comandamento”, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro.” (Papa emerito Benedetto XVI).

Per questo Papa Francesco prosegue dicendo che “il comandamento di Cristo ‘amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato’ (Gv 15, 12) non è un semplice precetto, che rimane sempre qualcosa di astratto o di esteriore rispetto alla vita, è la strada dell’amore. Una strada concreta, una strada che ci porta ad uscire da noi stessi per andare verso gli altri. Gesù ci ha mostrato che l’amore di Dio si attua nell’amore del prossimo” (Papa Francesco).

Se l'uomo non si converte a Dio e al prossimo, non cambia il cuore e la mente, se erra per vie diverse da quella che è Cristo, non si convertirà in costruttore di pace e giustizia, e questa Terra andrà in rovina perché fondata sulla sabbia della violenza, dell’odio e dell’ingiustizia.


2) Pentimento umile e Misericordia paziente.

Nella parte finale del Vangelo di oggi Gesù completa il suo insegnamento sulla conversione che è urgente raccontando la parabola del fico che non dà frutti. In questo modo rivela la pazienza amorosa di Dio che sa attendere perché è il “Padre santo e misericordioso, che mai abbandona i suoi figli” (Colletta di oggi). Da parte nostra dobbiamo chiedere a Dio che “spacchi la durezza della mente e del cuore, perché sappiamo cogliere con la semplicità dei fanciulli i tuoi insegnamenti, e portiamo frutti di vera e continua conversione”. Dunque, Dio è paziente, misericordioso e fonte di ogni bontà, ma chiede che noi gli chiediamo perdono con semplice umiltà, perché solo se noi riconosciamo la nostra miseria del nostro peccato che ci schiaccia a terra, Lui ci solleva con la sua misericordia (cfr Colletta di oggi).

Se, pentiti, presentiamo a Cristo il nostro dolore, Lui ci confermerà nel suo amore.

Dunque, vivere la Quaresima è prendere coscienza dell’urgenza della conversione e riconoscere che noi siamo il fico pieno di foglie ma spoglio di frutti per il quale Gesù, il contadino premuroso, invoca la pazienza del Padre. Per grazia di Dio, anche questa volta abbiamo ancora un po’ di tempo. Anche quest’anno son tornati questi giorni di Quaresima perché pentiti ci voltiamo decisamente e stabilmente verso Cristo, consentendogli di aver cura di noi per poterci rendere capaci di frutti di amore.

La strada del nostro ritorno è Gesù, in Lui e per Lui tutto trova compimento. Cristo, il segno più alto e chiaro della Misericordia paziente, che oggi racconta a noi la parabola del fico sterile con lo scopo di sottolineare l’urgenza della conversione non in termini di tempo ma di amore.

Da una parte, la supplica di Gesù ottiene dal Padre che “usi” la sua misericordia paziente, dall'altra, ci invita a valorizzare la vita, a viverla in pienezza, densa di bene.

Ognuno di noi è una persona conquistata dall’amore di Cristo, perciò ognuno di noi è mosso da questo amore da cui è teneramente posseduto2 e che, quindi, ci spinge, ci sospinge, ci urge, e che ci apre all’amore per il prossimo.

Ognuno di noi è chiamato a convertirsi a Dio, lasciando il peccato non tanto per paura dei suoi castighi, ma perché allontana il nostro cuore da Lui. Se il nostro cuore è convertito a Dio, Dio si “converte” a noi e non “ci nasconderà il suo volto” (Tb 13, 6) e faremo esperienza del suo amore misericordioso.


3) La verginità come forma stabile di conversione.

La conversione non è riducibile al gesto di un momento o di un periodo più o meno lungo. Essa è il vivere in costante orientamento a Dio e il procedere quotidiano, anche se durante la quaresima deve essere più alacre, nel cammino tracciato dal Vangelo, fino al raggiungimento della “perfetta statura di Cristo” (cf. Ef 4, 13). Se questa affermazione è corretta, come penso che lo sia, la conversione è una componente essenziale della vita delle Vergini consacrate nel mondo, che si sono impegnate nella sequela radicale di Cristo. Tale sequela completa, totale è resa stabile dalla consacrazione verginale di queste donne che così si conformano al genere di vita verginale e povera che Cristo Signore scelse per sé e che la Vergine sua Madre abbracciò. La verginità non va vista come un “no” all’amore. Chi aderisce completamente a Cristo, dice di “si” al Suo amore puro. Puro: questa parola a cui si può rischiare di dare un’interpretazione riduttiva, moralistica perché richiama al suo contrario, ciò che è impuro. In realtà, puro mi fa venire in mente prima di tutto qualcosa che è come dovrebbe essere. L’acqua pura, l’aria pura, l’intenzione pura. O anche il metallo puro, l’oro, l’argento. La purezza verginale è come una bellezza senza macchia, come uno sguardo limpido, vero, autentico. Puro come il “sì” della Madonna la tutta pura e tutta bella: pura, cioè vera. Che in questa Quaresima, l’esempio della Vergine Maria e di tutte le donne che si sono consacrate a suo Figlio nella verginità renda puri i nostri cuori. Allora il nostro amore sarà arricchito da quello di Dio. Quindi non sarà un amore impoverito ma reso più forte e più fecondo.


1 Che significa conversione, convertirsi? Il verbo privilegiato dalla Bibbia ebraica per indicare la conversione è cambiare strada, tornare indietro. Il Nuovo Testamento ha voluto essere più preciso, usando «epistrefein» per indicare il mutamento esteriore, il mutamento nel comportamento, e «metanoein» per indicare la mutazione interiore, il cambiamento di mentalità. Il termine che San Luca usa nel brano evangelico di oggi è «metanoia»: dunque l’Evangelista insiste sul cambiamento interiore, sul modo nuovo e diverso di valutare le cose.

2 L’amore di Cristo ci possiede (è la traduzione ufficiale più recente Bibbia CEI 2008 della frase di San Paolo: “Caritas Christi urget nos – 2 Cor 5,14”). Papa Francesco così commenta questa frase di San Paolo : “L’amore di Cristo ci possiede, ci spinge, ci preme. È proprio questa la velocità che ha Paolo: quando vede l’amore di Cristo non può rimanere fermo». Così san Paolo è davvero un uomo che ha fretta, con «l’affanno per dirci qualcosa d’importante: parla del sì di Gesù, dell’opera di riconciliazione che ha fatto Gesù e anche dell’opera di riconciliazione» di Cristo e dell’apostolo” (15 giugno 2013).


Lettura Patristica

Tertulliano (155 circa – 230 c)

De paenitentia, II, 4-7; IV, 1-8


La penitenza nel disegno di Dio


       [Dio] richiamò a sé il popolo e lo rinfrancò con i molti favori della sua bontà, pur avendolo riscontrato ingratissimo; e dopo averlo esortato in continuazione alla penitenza, gli inviò gli oracoli di tutti i profeti per predicarla. Appena promessa la grazia che negli ultimi tempi avrebbe illuminato l’universo intero per mezzo del suo Spirito, comandò che la precedesse la promulgazione della penitenza, affinché coloro che per grazia chiamava alla promessa del seme di Abramo, per l’adesione alla penitenza fossero destinati ad essere in anticipo raccolti.


       Jn non tace, dicendo: "Fate penitenza" (Mt 3,2): già infatti si avvicinava la salvezza alle nazioni, ossia il Signore che arrecava la seconda promessa di Dio. A chi destinava la preordinata penitenza, prefissata a purgare gli spiriti perché, qualsiasi antico errore lo inquinasse, qualsivoglia ignoranza del cuore umano lo contaminasse, purificando, sradicando e traendo fuori, preparasse allo Spirito Santo venturo una casa interiore pulita, in cui egli potesse entrare per godervi i beni celesti.


       Unico è il titolo di questi beni, la salvezza dell’uomo, premessa l’abolizione dei crimini antichi; questa la ragione della penitenza, questa l’opera, che assicura la mediazione della divina misericordia, a pro dell’uomo e a servizio di Dio...


       Quindi, per tutti i delitti, commessi nella carne o nello spirito, in azioni o nella volontà, che egli con proprio giudizio ha destinato alla pena, agli stessi, per la penitenza, ha promesso il perdono, dicendo al popolo: Fa’ penitenza e vedrai la mia salvezza (Ez 18,21). E poi: "Come è vero che io vivo - oracolo del Signore Dio - preferisco la penitenza alla morte" (Ez 33,11). Quindi la penitenza è vita, che si contrappone alla morte. Tu peccatore, mio simile - o anche a me inferiore: io, infatti, riconosco la mia responsabilità nei delitti -, così pervaditi di essa, abbraccia la fede come un naufrago si aggrappa ad un qualsiasi pezzo di tavola. Questa preleverà te, liberato dai frutti dei peccatori e ti trasferirà nel porto della divina clemenza.


       Afferra l’occasione d’impensata felicità, sì che proprio tu, un tempo nient’altro davanti al Signore se non recipiente arido, polvere del suolo e vasetto da nulla, divenga da ora in poi fico rigoglioso, albero che quasi sgorga acque, dalla chioma perenne e che porta frutti a suo tempo, in modo da non conoscere né fuoco né scure.


       Conosciuta la Verità, pentiti degli errori; pentiti di aver amato ciò che Dio non ama. Noi stessi, del resto, non permettiamo ai nostri servi di conoscere quelle cose da cui ci riteniamo offesi: infatti, la ragione dell’ossequio risiede nella somiglianza degli animi.


       Invero, occorre parlare diffusamente e con grande impegno del bene della penitenza, e io ne ho fatto materia del mio discorso: noi in effetti per le nostre angustie una cosa sola inculchiamo, che è cosa buona, anzi ottima, quella che Dio comanda. Reputo infatti cosa audace discutere i divini precetti; e non tanto perché si tratta di un bene, e quindi dobbiamo ascoltarli, quanto piuttosto perché è Dio che dispone: prima viene infatti la maestà della divina potestà nella disposizione all’ossequio; prima si pone l’autorità di chi comanda, e non l’utilità di chi serve.


       È dunque un bene o no fare penitenza? Cosa rispondi? Dio dispone! Peraltro, egli non tanto dispone, quanto piuttosto esorta; invita con il premio, con la salvezza; e lo giura persino, dicendo: "Come è vero che io vivo", e brama che gli si creda.


       Beati noi dei quali Dio giura la causa; miserrimi se non crediamo neppure a Dio che giura!


       Ciò che Dio raccomanda reiteratamente e insistentemente, ciò che anche nel costume umano viene attestato con giuramento, dobbiamo come somma gravità accettare e custodire, affinché nell’adesione alla divina grazia, permaniamo nel suo frutto e possiamo perseverare fino ad averne il premio.


venerdì 11 marzo 2022

La Quaresima non è solo un cammino di penitenza, ma è un cammino di conversione alla luce di Cristo trasfigurato.

 Rito Romano

II Domenica di Quaresima – Anno C – 13 marzo 2022

Gn 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36


Rito Ambrosiano

II Domenica di Quaresima

Gen 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17- 4,1; Lc 9,28-36

 

1) Ecco mio Figlio - Ecco l’Uomo.

Domenica scorsa, la Liturgia quaresimale ci ha invitato alla conversione, facendoci rivivere il mistero della tentazione di Gesù e la sua vittoria per compiere con Lui il viaggio di ritorno. Questo cammino di liberazione, nel Vangelo “esodo”, ci fa passare dalla schiavitù del peccato, dalla condizione di prigionieri dell’errore e del male alla libertà di figli nel Figlio, alla verità e bellezza di essere in Cristo, alla bellezza di un amore che sempre accoglie tutto e tutti.

Oggi, seconda tappa del nostro esodo penitenziale, la Parola di Dio ci introduce in una nuova dimensione della nostra partecipazione al mistero di Cristo, invitandoci a rivivere la trasfigurazione di Cristo, che si manifesta nella sua gloria, cioè nella sua bellezza divina. Durante la Passione, Pilato dirà: “Ecco l’uomo”, mostrando Cristo sfigurato dalla flagellazione. Oggi, Dio Padre dice: “Ecco mio Figlio, l’eletto”, il Dio-uomo che mostra il vero volto dell’uomo.

Se, da una parte, camminare con Cristo significa rinnegare il nostro egoismo, vincendo le tentazioni della vita, dall’altra, compiere l’esodo con Cristo ci fa salire sul monte Tabor, per essere trasfigurati in Cristo e come Cristo.

La Trasfigurazione riguarda anche noi, che siamo chiamati non solo ad assistere alla gloria del Figlio di Dio, ma a viverne. Infatti, poiché siamo con Cristo, la sua gloria investe anche noi, trasformando il nostro corpo, la nostra anima e così viviamo nel suo amore, il quale è luce che illumina e trasforma noi, le nostre relazioni umane e il nostro sguardo alla vita quotidiana.

Dunque, nell’esodo quaresimale verso la Pasqua - itinerario della nostra identificazione con Cristo risorto - la trasfigurazione di Gesù è una tappa particolarmente significativa, perché Gli permettiamo di trasfigurarci a sua immagine e somiglianza, accettando come Lui la Croce.

Nel Vangelo di oggi c’è un particolare, che aiuta a capire che la Croce è la chiave che apre la porta della gloria. In effetti, San Luca non si limita a parlare della presenza di Mosè e di Elia accanto a Gesù trasfigurato. Questo Evangelista narra – ed è il solo a farlo - il contenuto della conversazione di Gesù con questi due grandi personaggi dell’Antico Testamento, che simbolizzano la Legge e i Profeti, e dice che parlano con Cristo del suo esodo, cioè del suo cammino di redenzione attraverso la morte in Croce a Gerusalemme per noi (cfr. Lc 9,31). Gesù ascolta la Legge e i Profeti che Gli parlano della sua morte e risurrezione. Il Figlio di Dio non sfugge alla missione di “Trasfiguratore”, per la quale è venuto nel mondo, anche se sa che per arrivare alla gloria dovrà andare in Croce e morire.


2) Due elementi importanti: il monte e la preghiera.

La Trasfigurazione si svolge su un monte, luogo usato spesso da Dio per manifestarsi, come la Bibbia insegna e come la vita di Cristo mostra1. A questo luogo fisico, San Luca aggiunge un “luogo” spirituale: la preghiera, che va considerata come il vero “luogo” della Trasfigurazione. Nel racconto della Trasfigurazione, questo Evangelista è l’unico a sottolineare che “Gesù salì sul monte a pregare e, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” (Lc 9, 28-29). Per questo è davvero giusto affermare che “la trasfigurazione è un avvenimento di preghiera; diventa visibile ciò che accade nel dialogo di Gesù con il Padre: l’intima compenetrazione del suo essere con Dio, che diventa pura luce. Nel suo essere uno con il Padre, Gesù stesso è Luce da Luce” (Benedetto XVI).

Con Pietro, Giacomo e Giovanni “saliamo anche noi oggi sul monte della Trasfigurazione e sostiamo in contemplazione del volto di Gesù, per raccoglierne il messaggio e tradurlo nella nostra vita; perché anche noi possiamo essere trasfigurati dall’Amore. In realtà l’amore è capace di trasfigurare tutto”(Papa Francesco).

Oltre ad essere per gli Apostoli un anticipo della Pasqua che arriverà attraverso la passione e la morte in Croce di Cristo, la Trasfigurazione fu per loro un dono, perché cominciassero a vivere l’esperienza della comunione con Dio presente nella storia, nella carne umana di Gesù.

La Trasfigurazione del Cristo, splendore di Verità e d’Amore, è per noi sorgente di speranza e invito ad accogliere nel nostro cuore sempre, anche nella notte più oscura, Gesù Cristo: lampada che non si spegne mai, perché “ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è [Cristo] per gli occhi del cuore” (Sant’Agostino d’Ippona, Sermo 78, 2: PL 38, 490). Senza la sua luce che illumina e trasfigura i cuori, la Croce sarebbe scandalo e follia.

In breve: la trasfigurazione di Cristo è avvenuta nel silenzio della montagna dopo una lunga preghiera che Gesù ha avuto con gli amici scelti: gli Apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo, ed ha avuto come scopo principale quello di svelare che Gesù è il Figlio di Dio, l’eletto e l’amato, che sta per morire per fedeltà al Padre perché il mondo creda che Dio è solo Amore e accolga questo Amore.



3) La verginità consacrata e la Trasfigurazione.

Pregare questo Amore non è solamente parlare al proprio Padre, è “uno slancio del cuore, è un semplice sguardo gettato verso il cielo, è un grido di riconoscenza e di amore, nella prova come nella gioia” (Santa Teresa di Gesù Bambino, Manoscritto C, 25r). In effetti, la preghiera è prima di tutto, relazione amorosa dei figli di Dio con il loro Padre infinitamente buono, con il Figlio suo Gesù Cristo e con lo Spirito Santo (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2565).

La vita di preghiera o la vita di pietà consiste nel vivere in una consuetudine d’amore obbediente a Dio. Certo questa vita si traduce in esercizi o pratiche di pietà, che implica vivere in comunione con Dio come si vivono i rapporti abituali della nostra vita, quelli con i familiari e gli amici più cari e veri. Anzi è la comunione con il Signore che dona luce a tutte le altre nostre relazioni.

Questa comunione con Dio è vissuta e testimoniata un modo particolare dalle Vergini nel mondo che si sono consacrate con Cristo in modo sponsale. Cosa vuol dire essere “sposa di Cristo”?. “Essere sposa di Cristo – scrive Santa Elisabetta della Trinità - vuol dire avere tutti i diritti sul suo Cuore. E’ un cuore per tutta la vita. È un vivere... sempre con. E’ riposare totalmente in lui e permettergli di riposare totalmente nella nostra anima. E’ non sapere altro che amare; amare adorando, amare riparando, amare pregando, domandando, dimenticandosi; amare sempre sotto tutte le forme. Essere sposa è avere gli occhi nei suoi occhi, il pensiero affascinato da Lui, il cuore tutto preso, tutto invaso, come fuori di sé e passato in Lui, l’anima piena della sua anima, piena della sua preghiera, tutto l’essere catturato e donato. E’ fissarlo sempre con lo sguardo, per sorprendere il minimo desiderio; è entrare in tutte le sue gioie, condividere tutte le sue tristezze. Vuol dire essere feconda, corredentrice, generare anime alla grazia, moltiplicare figli adottivi del Padre, i riscattati da Cristo, i coeredi della sua gloria”.

Nel contesto del Vangelo di oggi, verginità consacrata indica il completo dono di sé a Cristo, il quale mostra che la vera preghiera consiste nell’unire la nostra volontà a quella del Padre, lasciarsi trasfigurare da Lui e non evadere dalla realtà del mondo e dalle responsabilità che ciò comporta, ma assumerle fino in fondo, confidando nell’amore fedele e inesauribile del Signore.

Le Vergini consacrate sono, infine, chiamate ad essere testimoni speciali di Cristo trasfigurato, mediante una vita di preghiera e di lavoro carica di silenzio per non soffocare con le proprie parole e i rumori della vita, la Parola trasfigurante di Dio, per non rivestire di falsa gloria la Gloria di Colui che si manifesta nello scandalo della Croce, per annunciare l’Amore di Colui che si dona al mondo per trasfigurarlo con la sua misericordia.


1 Il monte come luogo della particolare vicinanza di Dio; di nuovo dobbiamo pensare ai vari monti della vita di Gesù come a un tutt'uno: il monte della tentazione, il monte della sua grande predicazione, il monte della preghiera, il monte della trasfigurazione, il monte dell'angoscia, il monte della croce e infine il monte dell'a­scensione; su di esso il Signore - in contrasto con l'of­ferta del dominio sul mondo in virtù del potere del de­monio - dichiara: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28,18). Sullo sfondo si stagliano però anche il Sinai, l'Oreb, il Moria - i monti della rivela­zione dell'Antico Testamento, che sono tutti al tempo stesso monti della passione e monti della rivelazione e, dal canto loro, rimandano, anche al monte del tempio su cui la rivelazione diventa liturgica. (Benedetto XVI – Joseph Ratzinger, Gesù di Nazareth, Cap. sulla Trasfigurazione)


Lettura Patristica

San Pietro il Venerabile (1092 -1156)

Sermo 1, passim


       "La sua faccia divenne come il sole"


       Che meraviglia che la sua faccia sia diventata come il sole, se egli è il Sole? Che c’è di strano che la faccia del Sole diventi come il sole? Era il Sole, ma nascosto sotto una nube; rimossa la nube, ecco che splende. Che cosa è questa nube che viene rimossa? Non proprio la carne, ma la debolezza della carne, che viene rimossa per un istante. È la nube della quale il Profeta disse: "Ecco il Signore sale sopra una nube leggera" (Is 19,1). La nube-carne che cela la divinità; leggera, perché non appesantita da colpe. Nube che cela lo splendore divino; leggera, sollevata anch’essa agli eterni splendori. Nube, perché come si legge nel Cantico: "Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo" (Ct 2,2); leggera, perché è la carne dell’Agnello che porta via i peccati del mondo. Portati via questi! il mondo s’innalza fino al cielo. Coperto da questa nube della carne il Sole, non questo sole che sorge per i buoni e per i cattivi, ma il Sole di giustizia, che sorge solo per quelli che temono Dio. Oggi però, sebbene coperta da questa nube di carne la luce che illumina ogni uomo ha manifestato il suo splendore, glorificando anche la sua carne e mostrandola deificata agli apostoli e, attraverso gli apostoli, a tutto il mondo. Della contemplazione di questo Sole anche tu, Città beata, godrai in eterno, quando, discesa dal cielo, sarai ornata come sposa preparata da Dio per il suo sposo. Questo Sole non tramonterà più per te, esso ti stende un eterno mattino sereno. Questo Sole non sarà più coperto di nubi, ma rifulgendo sempre ti ravviva di luce incessante. Questo Sole non ti acceca, ma ti aiuta a vedere, t’invade di divino fulgore. Questo Sole non conosce eclissi, perché il suo fulgore non viene interrotto da nessun tuo dolore; perché "non ci sarà più né morte, né lutto, né dolore, né grida" che possano oscurare lo splendore a te dato da Dio perché, come fu detto a Giovanni: "Queste cose ormai sono passate" (Ap 21,4). Questo è il Sole del quale il Profeta disse: "Non sarà il sole a farti luce di giorno, né la luna t’illuminerà di notte, ma il Signore tuo Dio sarà la tua luce eterna" (Is 60,19). Questa è la tua luce eterna, che viene dalla faccia del Signore. Senti la voce del Signore, senti la fulgente faccia del Signore; nella faccia, per cui uno è riconosciuto, riconoscete la sua illuminazione. Qui lo credi per fede, lì lo vedrai. Qui vien compreso per intelligenza, lì lo vedrai in se stesso.


       Qui vedi attraverso uno specchio e in immagini, li lo vedrai a faccia a faccia (1Co 13,12). Allora davvero, com’egli ti conosce, sarai irraggiato dal suo eterno splendore, ne sarai felicemente illuminato, gloriosamente illustrato. Allora sotto lo splendore del volto di Dio, si avvererà ciò che il Profeta desiderava: "Faccia risplendere il suo volto sopra di noi" (Ps 66,2).


sabato 5 marzo 2022

Quaresima: tempo per portare la misericordia di Dio nel deserto dell’uomo.

 

Rito Romano

I Domenica di Quaresima – Anno C – 6 marzo 2022

Dt 26,4-10; Sal 90; Rm 10,8-13; Lc 4,1-13


Rito Ambrosiano

I Domenica di Quaresima

Gl 2,12b-18; Sal 50; 1Cor 9,24-27; Mt 4,1-11

 


1) La Quaresima come esodo.

I quaranta giorni di Gesù nei luoghi deserti di Israele sono l’eco dell’esodo, cioè dei quarant’anni trascorsi dal popolo ebreo nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto. Dunque, se vogliamo capire il senso dell’esperienza di Gesù, se vogliamo capire il senso del nostro cammino quaresimale insieme con Cristo, allora dobbiamo meditare sugli eventi della storia di Israele e della vita del Redentore. Tuttavia, se vogliamo che questa meditazione non sia una semplice riflessione intellettuale, dobbiamo fare questo cammino di conversione ritornando al Signore con tutto “con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti” (Gl 2,12). “Con tutto il cuore” vuol dire che questa conversione deve partire dal centro dei nostri pensieri e sentimenti, dalle radici delle nostre decisioni, scelte e azioni, con un gesto di totale e radicale libertà. Ma com’è possibile questo esodo, questo ritorno a Dio? E’ possibile grazie a una forza che non risiede nel nostro cuore, ma che si sprigiona dal cuore stesso di Dio. E’ la forza della sua misericordia.

La Quaresima è il tempo ricco di grazia e di misericordia, che la Chiesa ci offre perché ci impegniamo nell’esodo spirituale, nel cammino di conversione a Cristo attraverso l’ascolto più frequente della Parola di Dio, la preghiera più intensa, il digiuno e la carità.  La Chiesa ci propone la Quaresima come tempo favorevole per poter finalmente uscire dalla propria alienazione esistenziale grazie all’ascolto della Parola e alle opere di misericordia corporali e spirituali. E’ un tempo privilegiato per camminare sulla “via della povertà e della privazione (il digiuno), lo sguardo e i gesti d’amore per l’uomo ferito (l’elemosina) e il dialogo filiale con il Padre (la preghiera) ci permettono di incarnare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa” (Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2021).


La Quaresima è tempo favorevole per riscoprire la fede in Dio come criterio-base della nostra vita e di quella della Chiesa. Ciò implica sempre una lotta spirituale, perché il diavolo si oppone al nostro esodo di santificazione e cerca di farci deviare dalla via di Cristo che ci porta al Padre. Per questo, nella prima domenica di Quaresima, è proclamato ogni anno il Vangelo delle tentazioni di Gesù nel deserto.


2) Le tentazioni di Gesù.

Gesù fu tentato. Da quello che è scritto nel Vangelo di San Luca emerge che le tentazioni sono state ben di più di tre e che sono indicate come la tentazione del pane, quella del prestigio e quella del potere In effetti, San Luca racconta che il tentatore è con Gesù fin dall’inizio e cerca di agire su Gesù con “ogni tentazione”.

Ma perché Gesù fu tentato? Con i Padri della Chiesa possiamo rispondere che le tentazioni fanno parte della “discesa” di Gesù nella nostra condizione umana, nell’abisso del peccato e delle sue conseguenze. Una “discesa” che Gesù ha percorso sino alla fine, sino alla morte di croce e agli inferi dell’estrema lontananza da Dio. In questo modo, Lui è la mano che Dio ha teso all’uomo, alla pecorella smarrita, per riportarla in salvo. Come insegna sant’Agostino, “Gesù ha preso da noi le tentazioni, per donare a noi la sua vittoria” (cfr Enarr. in Psalmos, 60,3: PL 36, 724).

Queste tre seduzioni hanno un denominatore comune e possono essere considerate come tre modi diversi di un’unica tentazione, con la quale che Satana mette alla prova Gesù nel deserto, che però – come insegna la Bibbia – non è tanto il luogo della tentazione e della prova, quanto l’occasione di fare l'esperienza della vicinanza, della fedeltà, della misericordia del Signore: “Il Signore, tuo Dio... ti ha seguito nel tuo viaggio attraverso questo grande deserto. Il Signore, tuo Dio, è stato con te in questi quarant'anni e non ti è mancato nulla” (Dt 2, 7).

Portando il suo attacco alla libertà umana di Cristo, il diavolo vuol spingere il Messia contro Dio, facendo leva sull’avidità umana di possedere le cose, le persone e Dio stesso, e di cercare la realizzazione di sé disobbedendo al Padre perché sarebbe un Dio invidioso e rivale.

Infatti, che cosa suggerisce il diavolo a Gesù? Di seguire una via, di realizzare un’esistenza contraria a quella che il Padre aveva progettato per Lui, cercando di insinuare nel suo cuore il dubbio circa la bontà e la fedeltà di Dio. Dalla tentazione di Adamo ed Eva in poi, la “strategia” usata dal diavolo per indurci al peccato è sempre questa: farci dubitare dell’amore provvidente del Padre per indurci a disobbedire al divino disegno di bontà. Se nella mente e nel cuore dell’essere umano s’insinua la falsa idea che Dio sia invidioso della felicità umana, è più facile indurre al male, spingendo alla disobbedienza di una legge che non è più colta come proveniente dall’amore del Padre ricco di misericordia e di bontà, ma dalla gelosia di un Dio invidioso e nemico dell’umanità.

Dunque, nel deserto il diavolo tentò Cristo per distoglierlo dalla sua obbedienza al Padre, mostrando come vera vita un’esistenza contraria al progetto divino. Come? Ecco le tre forme che questa tentazione di base assume.

La prima: “Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane”. E’ un invito a dare prova della sua capacità di provvedere a se stesso, prescindendo dal Padre. Ma Gesù, che nel deserto aveva digiunato per 40 giorni, risponde: “Non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca del Padre”. Cristo risponde che Lui intende vivere invece la sua missione nell’ascolto obbediente del Padre. E con ciò mostra la relazione unica di Cristo con il Padre e l’abbandono confidente a Lui Padre.

Per questo che il digiuno è pratica quaresimale importante per far emergere in noi la fame di Dio come esigenza fondamentale. Dunque, digiunare non è solo mangiare poco o nulla in qualche giorno di quaresima, ma privarsi di qualcosa o di alcune cose per capire la necessità di Dio nella nostra vita

La seconda riguarda il potere che l’uomo vuole per realizzarsi. “Il diavolo condusse in alto il Messia e gli mostrò tutti i regni della terra”. Satana pensava di poter corrompere Gesù, promettendogli “il potere e la gloria” (Lc 4,6) del mondo se si fosse prostrato in adorazione dinanzi a lui (Id 4,7). E’ la tentazione di credere in un Dio pronto a risolvere i nostri egoismi, ciò che noi vogliamo. Gesù rispose: “Il Signore, Dio tuo, adorerai” (Id. 4,8).

Da ciò impariamo che il cristiano non serve se stesso o il popolo, ma solo Dio: è in perenne adorazione, a servizio del Padre e del suo amore, che ci spinge verso i fratelli. Per questo, la seconda pratica quaresimale è l’elemosina, che non è tanto dare alcune monetine ai poveri, ma vivere la carità fraterna praticano le opere di misericordia corporale e spirituale come Papa Francesco raccomanda.

La terza forma di tentazione è la più acuta. Il diavolo propone a Cristo: “Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù” (Id. 4,9) dal pinnacolo del tempio. E’ come se Satana dicesse: “Metti alla prova tuo Padre per verificare se mantiene le sue promesse”. La risposta di Gesù è decisa: questo significa “tentare Dio”, non fidarsi del Padre, Vita e sorgente di Vita. Cristo vive in questo totale abbandono al Padre e confermerà questo suo affidamento sempre fino ad andare in Croce e dire: “Nelle tue mani o Dio affido il mio spirito”.

Alla luce di ciò, viviamo la terza pratica di quaresima: la preghiera più intensa e perché questo tempo di penitenza e conversione sia fruttuoso per ciascuno di noi, preghiamo: “Concedici, Dio onnipotente, che, durante gli esercizi annuali della santa Quaresima, possiamo progredire nell’intelligenza del mistero di Cristo e ricercarne l’effetto (nella nostra vita) con una condotta degna”1 (Colletta della I Domenica di Quaresima).


3) Aprire la nostra miseria alla misericordia di Dio.

Questa terza pratica di quaresima: la preghiera più intensa è molto importante perché quando preghiamo ci lasciamo raggiungere da Dio che in Cristo è venuto a cercarci (si pensi alla parabola della pecorella smarrita Lc 15) e prende sulle sue spalle non solo i nostri peccati ma noi stessi. La preghiera quindi apre la nostra miseria alla misericordia di Gesù, che oggi ci insegna l’affidamento totale al Padre.

Affidamento totale che le Vergini consacrate nel mondo vivono attraverso il dono completo di sé a Cristo, Sposo che nel deserto parla al loro cuore (cfr Osea 2,2,), attraverso la preghiera, che permette di ascoltare la parola di amore di Dio e di imparare dal cuore di Cristo, attraverso la carità, perché “pregare è pensare a Dio amandolo” (Charles de Foucauld) e riconoscendolo nel prossimo, che è icona e presenza autentica di Cristo.

Certo per riconoscere Cristo nell’altro ci vuole una “purezza angelica” (M. Teresa di Calcutta) che è testimoniata in modo particolare da chi vive la verginità consacrata perché “la verginità trasforma in angeli le persone che l'abbracciano veramente” (San Giovanni Crisostomo).


1 Traduzione letterale di “Concéde nobis, omnípotens Deus, ut, per ánnua quadragesimális exercítia sacraménti, et ad intellegéndum Christi proficiámus arcánum, et efféctus eius digna conversatióne sectémur ”.


Lettura patristica

Ambrogio di Milano

In Luc., 4, 7-9.41 s.



       "Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo" (Lc 4,1-2 Mt 4,1). Conviene ricordare come avvenne che il primo Adamo fu cacciato dal paradiso nel deserto, affinché tu rifletta in qual modo il secondo Adamo dal deserto sia tornato al paradiso.


       Osservate come la condanna sia stata revocata, e i benefici di Dio reintegrati nei loro disegni. Adamo fu plasmato con la terra vergine, Cristo è nato da una vergine; quegli fu fatto ad immagine di Dio, questi è la stessa immagine di Dio; quello fu posto al di sopra di tutti gli animali sprovvisti di ragione, questo è al di sopra di tutti i viventi; per mezzo di una donna venne la perdizione, per mezzo di una vergine viene la sapienza la morte per mezzo di un albero, la vita per la croce.


       L’uno, spoglio delle cose spirituali, si coprì con le foglie di un albero; l’altro, spoglio delle cose del mondo, non ebbe bisogno del rivestimento corporale. Nel deserto Adamo, nel deserto Cristo; questi infatti sapeva dove poter trovare l’uomo condannato per ricondurlo al paradiso, dopo averne cancellato la colpa. Ma, poiché l’uomo non poteva tornare al paradiso coperto delle spoglie di questo mondo, - e non può essere cittadino del cielo se non chi si è spogliato di ogni colpa, - abbandonò il vecchio uomo, e si rivestì del nuovo, di modo che si avesse più un mutamento di persona che di sentenza, poiché non si possono abrogare i decreti divini.


       Colui che nel paradiso, senza guida, smarrì la via assegnatagli, come avrebbe potuto, senza guida, riprendere nel deserto la via smarrita, lì dove le tentazioni sono moltissime, difficile lo sforzo verso la virtù, facile la caduta nell’errore? La virtù è un po’ come le piante dei boschi: quando sono ancora basse salgono da terra verso il cielo; quando la loro età cresce nel tenero fogliame, esposte come sono al pericolo di denti crudeli, possono essere facilmente tagliate e inaridite. Ma quando l’albero si sia stabilito su profonde radici, e si erga con l’altezza dei rami, invano sarebbe attaccato dai morsi delle fiere, dalle braccia dei contadini e dal soffio delle procelle.


       Quale guida dunque egli avrebbe potuto seguire contro tanti adescamenti di questo mondo, contro tanti inganni del diavolo, sapendo che noi dobbiamo lottare prima di tutto «contro la carne e il sangue», poi contro le "potenze, contro i principi del mondo delle tenebre, e contro gli spiriti del male che circolano nell’aria" (Ep 6,11-12)?


       Avrebbe potuto seguire un angelo? Ma l’angelo stesso è caduto; le legioni degli angeli a malapena sono state utili a qualcuno (Mt 26,53 2Re Mt 6,17-18). Sarebbe potuto essere inviato un serafino? Ma un serafino discese sulla terra in mezzo a un popolo che aveva le labbra immonde (Is 6,6-7), e riuscì soltanto a purificare le labbra di un profeta con un carbone ardente. Si dovette cercare un’altra guida, che tutti quanti noi potessimo seguire.


       E chi poteva essere una guida così grande che potesse aiutare tutti, se non colui che è al di sopra di tutti? Chi avrebbe potuto mettersi al di sopra del mondo, se non chi è più grande del mondo? Chi poteva essere una guida così sicura, che potesse condurre nella stessa direzione l’uomo e la donna, il giudeo e il greco, il barbaro e lo scita, il servo e l’uomo libero, se non il solo che è tutto in tutti, cioè il Cristo?...


       Noi dunque non temiamo le tentazioni, ma piuttosto vantiamocene e diciamo: "È nella debolezza che siamo potenti" (2Co 12,10), è allora infatti che viene intrecciata per noi la corona della giustizia (2Tm 4,8). Ma questa corona di cui si parla è quella adatta a Paolo, mentre noi, dato che vi sono diverse corone, dobbiamo sperare di riceverne una qualsiasi. In questo mondo corona è l’alloro, e corona è lo scudo. Ma ecco, a te viene offerta una corona di delizie, perché "una corona di delizie ti farà ombra" (Pr 8,6); e altrove: "Ti circonderà con lo scudo della sua benevolenza" (Ps 5,13 Ps 90,5); infine, il Signore "ha coronato di gloria e onore colui che amava" (Ps 8,6). Dunque, colui che vuol darci la corona permette anche le prove: se sarai tentato, sappi che egli ti sta preparando la corona. Togli i combattimenti dei martiri, hai tolto le corone; togli i loro tormenti, hai tolto i loro trionfi.


       Forse che la tentazione di Giuseppe non è stata la consacrazione della sua virtù (cf. Gn 39,7ss), l’ingiustizia del carcere la corona della sua castità? In qual modo avrebbe potuto ottenere di essere associato in Egitto alla dignità regale, se non fosse stato venduto come schiavo dai suoi fratelli? (Gn 41,43). Egli stesso dimostrò che tutto questo fu voluto da Dio per mettere alla prova il giusto, dicendo: "in modo da far sì che oggi molta gente si salvasse" (Gn 50,20). Non dobbiamo quindi temere come fossero sciagure le prove del mondo, grazie alle quali si preparano per noi le buone ricompense; piuttosto, tenendo conto della condizione umana, dobbiamo chiedere di subire quelle prove che possiamo sopportare.