venerdì 31 agosto 2018

Convertire il cuore e dilatarlo


Domenica XXII del Tempo Ordinario – Anno B – 2 settembre 2018s
Rito Romano
Dt 4,1-2.6-8; Sal 14; Gc 1,17-18.21-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

Rito Ambrosiano
Is 29,13-21; Sal 84; Eb 12,18-25; Gv 3,25-36
I Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore.


1) Religione pura.
Dopo averci proposto -suddiviso in cinque domeniche- il capitolo sesto di Giovanni, la liturgia riprende la lettura di San Marco, il cui Vangelo ci accompagna nelle Domeniche del Tempo Ordinario di questo Anno B. Nel brano evangelico di oggi - capitolo 7º di Marco, Gesù aiuta la gente ed i discepoli ad approfondire il concetto di purezza e le leggi della purezza. A questo riguardo, siamo aiutati anche dalla Lettera di San Giacomo che scrive: “Religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo” (Gc 1,27 – II lettura della Messa di oggi).
Da secoli agli ebrei era proibito di entrare in contatto con i pagani e di mangiare con loro, per non contrarre impurità legale.
Convinti che religione venuta da Dio consistesse nel rituale esteriore, i farisei si scandalizzavano che i discepoli di Cristo “prendevano cibo con mani impure” (Mc 7,2). Credendo di obbedire alle leggi di Dio, questi obiettori del Maestro non mangiavano se non si lavavano le mani (Mc 7,3). Identificavano la fedeltà al “Dio vicino” (Dt 4,7) di cui parlava Mosè con quelle “altre cose” che loro facevano “per tradizione” (Mc 7,4).
La prima cosa da notare è che Gesù non insegna affatto a disobbedire alla legge. Insegna a combattere l’ipocrisia e il formalismo, a dare più importanza alle disposizioni del cuore, piuttosto che ai gesti e ai riti esteriori. Quindi, da una parte, Cristo condanna la lontananza da Dio del cuore degli uomini, che pensano di onorarlo con l’osservanza scrupolosa di regole prescritte dalla legge. Dall’altra, insegna che la “purezza” non è questione di mani lavate o di labbra purificate con dei riti, ma di cuore.
Nessun cibo che da fuori entra nell’essere umano potrà renderlo impuro, perché non va fino al cuore, bensì allo stomaco e finisce nella fogna. Ciò che rende impuri, dice Gesù, è ciò che dal di dentro, dal cuore esce per avvelenare il rapporto umano.
Ciò che è sporco, immondo o impuro non sono le cose esterne, ma le cattive azioni e intenzioni, che vengono da un cuore cattivo e lontano da Dio. Dio non è presente dove è assente il cuore, perché distratto, chiuso nella paura.
Come far tornare il cuore a Dio? Come avvicinarci a Lui?
A Dio ci avviciniamo “con il frequente lavacro delle elemosine, delle lacrime e degli altri frutti della giustizia che rendono il cuore e il corpo puri per poter partecipare ai misteri celesti.” (San Beda il Venerabile).
Insomma, la religione proposta da Gesù non è riducibile a riti esterni, ad una morale o a una dottrina: è la rivelazione del volto di Dio nell’umanità di Gesù che viene a dirci che nessuna legge, grande o piccola che sia ha senso e valore se non nasce dall’amore, se non è accompagnata dall’amore e se non si consuma nell’amore. Cristo e il suo Vangelo portano l’amore e la sua legge al cuore dell’uomo e lo ricreano.
Il culto cristiano non è riducibile all’esecuzione di alcuni riti per una commemorazione di eventi passati, e nemmeno una particolare esperienza interiore, ma essenzialmente è un incontro con il Signore risorto nel profondo del cuore purificato e attirato da una presenza che gratuitamente si fa incontro e gratuitamente si fa riconoscere.
Dobbiamo comprendere che la nostra salvezza (possiamo anche dire la nostra felicità, perché il riverbero umano della salvezza è la felicità, il riverbero umano della grazia di Cristo è il piacere della Sua grazia) non dipende dalle opere buone compiute secondo la legge. Benedetto XVI ha sottolineato che la salvezza non dipende dalle opere buone compiute secondo la legge, opere buone, come buona e santa è la legge (cfr. Rm 7, 12)], ma dal fatto che Gesù è morto anche per ciascuno di noi peccatori: “Ha amato me e ha dato sé stesso per me” (Gal 2, 20)], ed era, ed è, risorto. L’importante che, come San Paolo, il nostro cuore riconosca che siamo “un nulla amato da Gesù Cristo”. “Io sono un nulla”, dice San Paolo di se stesso al termine della seconda Lettera ai Corinzi (2Cor 12, 11) e nella Lettera ai Galati: “Ha amato me e ha dato sé stesso per me” (Gal 2, 20). Un cuore così umile e contrito è un cuore puro e pratica una religione pura, vera.

2) Cuore1 vergine.
La vera religione inizia con il ritorno al cuore, al quale Dio parla nella solitudine, si veda Osea 2, 16: “Ti porterò nel deserto e parlerò al tuo cuore”.
Se il deserto è il luogo “preferito” da Dio per parlarci, tuttavia è importante ricordare che i modi di parlare di Dio sono molti (cfr. Lettera agli Ebrei, 1,1). In questa meditazione ne sottolineo tre.
Il primo di essi è la natura. Il cielo e terra cantano la gloria di Dio e l’essere umano può coglierla, capirla, ammirarla. Il primo modo di parlare di Dio, quindi è la realtà. Il creato donatoci da Dio è il dono che ci parla del Donatore.
Il secondo modo è la Parola, la storia, la Bibbia, la Rivelazione, dove Dio comunica direttamente se stesso.
Il terzo modo è il parlare di Cristo al nostro cuore, dentro il cuore di ciascuno di noi. È il cuore che gioisce, sono gli occhi che diventano luminosi, è la dolcezza che si sente dentro. Cioè Dio parla soprattutto al cuore, dando di quei sentimenti che fanno vivere: sentimenti di gioia, di luce e di dolcezza che danno significato, direzione e senso alla vita.
E’ quindi fondamentale capire quale è la Parola che diventa Pane che diventa vita e quale è la parola che diventa morte. Per fare questo è necessario un cuore vergine. Perché non è solo con l’intelligenza che comprendiamo la parola, ma anche con il cuore, che ce la fa sentire e amare. E quando uno ha la Parola nel cuore e la ama, liberamente la realizza2.
Per le Vergini consacrate nel mondo questa realizzazione è apostolica. E’ autenticamente apostolica non in quanto comporti una specifica “opera di apostolato”, ma perché si riconduce all’insegnamento e all’azione degli apostoli, per servire la Chiesa nel mondo. Le Premesse al Rito di consacrazione delle Vergini affermano: “Così il dono della verginità profetica ed escatologica acquista il valore di un ministero al servizio del popolo di Dio e inserisce le persone consacrate nel cuore della Chiesa e del mondo” (Premesse, 2). Nella Chiesa ogni dono o carisma assume il volto di ministero. Nel caso della verginità consacrata questo ministero, consegnato e vissuto mediante una pubblica consacrazione, è un “lavoro” di servizio, quindi ministeriale, e una testimonianza “nel cuore della Chiesa e del mondo”.
Nella Chiesa locale le Vergini consacrate rappresentano “l’esistenza cristiana come unione sponsale fra il Cristo e la Chiesa, che è fondamento sia della verginità consacrata che del sacramento del matrimonio” (Premesse, 1) cioè delle due vocazioni, nelle quali è raffigurato l’amore di Cristo. L’amore verginale è “richiamo alla transitorietà delle realtà terrestri e anticipazione dei beni futuri” (Premesse, 1) dentro le vicende del mondo. Così la vergine consacrata è icona della Chiesa locale “presente nel mondo e tuttavia pellegrina” (Premesse, 1). Le Vergini consacrate sono icone di come sia possibile seguire Cristo-Sposo, di cui ascoltano la parola con costanza e di cui si nutrono nell’Eucaristia. Con la mente ed il cuore nutrito di Cristo, queste donne vivono e lavorano nel mondo portandovi con cuore vergine il Vangelo della verginità, “crescendo nell’amore a Gesù e nel servizio ai fratelli, ministero fatto con dedizione libera, cordiale e umile” (cfr. Premesse). Questa umiltà attecchisce sulla verginità del cuore, della persona che fa sì che in lei tutto “è” donato, tutto “è” disponibilità del proprio essere a Gesù.


1  La parola “Cuore” nella Bibbia è usata quasi mille volte. Raramente (circa il 20% dei casi) è usata per indicare l’organo fisico che batte nel petto dell’uomo.
Alla domanda: “Perché Dio ci ha dato un cuore?”, la risposta più comune è: “Per amare”. Nella Bibbia la risposta è che Dio ci ha dato un cuore per pensare e per conoscere: “Il Signore non vi ha dato un cuore per comprendere...Occhi per vedere...Orecchi per udire? (Dt 9,3).
Il primo significato della parola “Cuore” nella Bibbia è, quindi, quello di comprendere, conoscere e sapereInsegnaci a contare i nostri giorni, e giungeremo alla sapienza del cuore (Sal 90,12); Alcuni scribi pensarono in cuor loro...Gesù disse loro: perché pensate così nei vostri cuori?” (Mc. 2,6); Sciocchi e tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti (Lc 24,25)
Il secondo significato che la Bibbia dà alla parola cuore è memoria. Anche nella nostra lingua la parola ricordare viene da cuore. Nella bibbia il cuore e la memoria sono legati ed hanno un forte riferimento alla vita di fede: ricordare significa essere fedeli. Sappi dunque e conserva nel cuore che il Signore è Dio...E non ve n’è un altro (Dt 4,39); Questi precetti che oggi ti do ti stiano fissi nel cuore (Dt 6,6); Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore (Lc 1,66-2,19-2,51).
La parola Cuore, infine, è usata nella Bibbia anche per indicare i sentimenti, ma tutti i sentimenti e non solo l’amore. Gioia, desiderio, gratitudine: Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente (Sal 84,3); amarezza: Mi si spezza il cuore nel petto...Il mio cuore geme (Ger 23,9-48,36); fiducia: Si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore” (Sal 27); l’amore di Dio per noi ed il nostro amore per Lui: Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio...Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do ti stiano fissi nel cuore... (Dt. 6,4 ss.)
Per questa ricchezza di significato spesso nella Bibbia la parola cuore rappresenta la persona nella sua totalità: “Il mio cuore esulta nel Signore...” = “Io esulto nel Signore...” (1Sam 2,1)
Il significato è lo stesso, ma quando si evidenzia il cuore la persona è vista nella sua interiorità: pensieri, sentimenti intimi, progetti segreti e la stessa razionalità, cioè la ragione con cui l’uomo sceglie di vivere la propria vita, per la Bibbia risiedono nel cuore umano. Il cuore dell’uomo è il luogo dove l’essere umano è veramente e totalmente se stesso, senza maschere né ipocrisie: Porrò la mia legge nel profondo del loro essere, la scriverò sul loro cuore...Allora tutti mi conosceranno” (Ger. 31,33 ss.). In maniera antropomorfa questa visione del cuore viene poi applicata a Dio stesso: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione” (Os 11,8).


2  Per la Sacra Scrittura il cuore non è solo un’immagine letteraria che simboleggia sentimenti o emozioni, al contrario è il luogo dove si concentra tutto il nostro essere, la parte interiore di noi stessi, da dove hanno origine le nostre decisioni ultime e dove si vivono le nostre esperienze decisive.
Il cuore è la fonte di tutto ciò che l’uomo è o decide di essere o di fare:
  • “Di te ha detto il mio cuore: cercate il suo volto...” (Sal 27,8);
  • “Laceratevi il cuore e non le vesti, e ritornate al vostro Dio” (Gl 2,13);
  • “Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me...” (Is 29,13);
  • “L’uomo guarda le apparenze, il Signore guarda al cuore” (1Sam 16,7);
  • “Dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive: furti, omicidi, adulteri...” (Mc 7,21);
  • “Là dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Lc 12,34);
  • Con il cuore infatti si crede per ottenere giustizia” (Rm 10,10).



Lettura Patristica
Beda il Venerabile,
Evang. Marc., 2, 7, 1-4

       E si radunarono presso di lui i farisei e alcuni scribi venuti da Gerusalemme. I quali avendo visto alcuni dei discepoli di lui che mangiavano il pane con mani impure, cioè non lavate, li rimproverarono (Mc 7,1-2).

       Quanto è giusta quella lode che rivolge al Padre il Signore dicendo: "Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai saggi e le hai rivelate ai piccoli!" (Mt 11,25). Gli uomini della terra di Gennesaret, che erano considerati uomini ignoranti, non soltanto personalmente accorrono dal Signore, ma portano con sé i loro infermi, anzi li trasportano sulle lettighe, affinché possa capitare loro almeno di toccare la frangia del suo vestito ed essere salvati: per questo ottengono subito la meritata ricompensa della salvezza che avevano desiderata. Al contrario, i farisei e gli scribi, che dovevano essere maestri del popolo, accorrono dal Signore non per ascoltare la sua parola, non per ottenere la guarigione, ma soltanto per sollevare questioni e contrasti. Rimproverano i discepoli di non aver lavate le mani del corpo, benché non riuscissero a trovare nelle loro opere, compiute con le mani o con le altre membra del corpo, alcuna impurità; avrebbero fatto meglio a incolpare sé stessi, che pur avendo le mani ben lavate con l’acqua, recavano la coscienza insozzata dall’invidia.

       I farisei infatti e tutti i giudei, attaccati alla tradizione degli antichi, non mangiano se non si sono accuratamente lavate le mani, e non prendono cibo, di ritorno dal mercato, se non si sono prima purificati (Mc 7,3-4).

       E una superstiziosa tradizione quella di lavarsi ripetutamente, dopo essersi già lavati, per mangiare il pane, e non prendere cibo di ritorno dal mercato senza essersi prima purificati. Ma è necessario l’insegnamento della verità, secondo il quale coloro che desiderano aver parte al pane della vita che discende dal cielo, debbono purificare le loro opere con il frequente lavacro delle elemosine, delle lacrime e degli altri frutti della giustizia, per poter partecipare ai misteri celesti in purezza di cuore e di corpo. È necessario che le impurità di cui ciascuno si macchia nell’occuparsi degli affari terreni, siano purificate dalla successiva presenza dei buoni pensieri e delle buone azioni, se egli desidera godere dell’intimo ristoro di quel pane. Ma i farisei che accoglievano carnalmente le parole spirituali dei profeti - i quali ordinavano la purificazione del cuore e delle opere dicendo: "Lavatevi, siate puri, e purificatevi (Is 1,16) voi che portate i vasi del Signore" (Is 52,11) - osservavano tali precetti soltanto purificando il corpo. Ma invano i farisei, invano i giudei tutti si lavano le mani e si purificano tornando dal mercato, se rifiutano di lavarsi alla fonte del Salvatore. Invano osservano la purificazione dei vasi coloro che trascurano di lavare la sporcizia dei loro cuori e dei loro corpi, quando è fuor di dubbio che Mosè e i profeti - i quali ordinarono sia di lavare con l’acqua i vasi del popolo di Dio, sia di purificarli col fuoco, sia di santificarli con l’olio - non stabilirono tali prescrizioni per un motivo generico o per ottenere la purificazione di questi oggetti materiali, ma piuttosto per comandarci la purificazione e la santificazione degli spiriti e delle opere e la salvezza delle anime.


venerdì 24 agosto 2018

Parole d’Eternità


Domenica XXI del Tempo Ordinario – Anno B – 26 agosto 2018
Rito Romano
Gs 24,1-2.15-17.18; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69



Rito Ambrosiano
2Mac 7,1-2. 20-41; Sal 16; 2Cor 4,7-14; Mt 10,28-42
Domenica che precede il martirio di san Giovanni il Precursore



1) Parole dure, che regalano l’eternità.
Nelle precedenti domeniche di questo mese di agosto, la Liturgia ha proposto alla nostra meditazione il discorso sul “Pane della vita”, che Gesù pronunciò nella sinagoga di Cafarnao dopo aver sfamato migliaia di persone con cinque pani e due pesci. Il Vangelo della Messa di oggi presenta la reazione dei discepoli a quel discorso. Questa reazione di incredulità non è più solo della gente comune, o dei giudei, ma coinvolge anche la cerchia dei discepoli. Essi “mormorano” esattamente come Israele nel deserto e come i giudei che si scandalizzano di fronte a Gesù che pretende essere disceso dal cielo e essere la salvezza del mondo.
Qual è la ragione di questa loro incredulità? Eccola: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6, 60) frase che potremmo riscrivere così: “Questo discorso è difficile, come possiamo accettarlo?”. E questa difficoltà, seconde me, non riguarda solamente la fede nell’Eucaristia, cioè nella presenza reale del Cristo nel pane e nel vino, una presenza giudicata impossibile. La durezza e la difficoltà del discorso si riferisce a tutto il contenuto del capitolo sesto del Vangelo di San Giovanni: l’offerta di una salvezza che supera le anguste aspettative della gente comune, e dei capi del popolo ebraico, la presenza del Figlio di Dio nel figlio del falegname; soprattutto la necessità di condividere la sua esistenza in dono.
Questa rivelazione era incomprensibile anche ai discepoli, perché la intendevano in senso materiale, mentre in quelle parole era preannunciato il mistero pasquale di Gesù, in cui Egli avrebbe donato se stesso per la salvezza del mondo: la nuova presenza nella Sacra Eucaristia.
Dunque, “da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro” (Gv 6, 66): tornare indietro è proprio il contrario della sequela, che è un movimento in avanti, proteso verso la condivisione sempre più profonda. Di fronte all'incredulità che ha ormai raggiunto il cuore della sua comunità, Gesù non muta le sue parole né le rispiega. Spinge, invece, la riflessione alla radice della fede, in quella misteriosa profondità in cui la grazia del Padre e la responsabilità dell'uomo sono chiamate a incontrarsi.
E allora Cristo chiede: “Volete andarvene anche voi?” (Gv 6, 67). Anche in questo caso è Pietro a rispondere a nome dei Dodici: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69).
Facciamo nostra la risposta del Primo degli Apostoli e aiutiamoci a capirla con questa commento di Sant’Agostino d’Ippona che scrive: “Vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo, ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo [risorto] e il tuo sangue[, Te stesso]. E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e poi creduto, ma abbiamo creduto e poi conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio, cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che tu stesso sei” (Commento al Vangelo di Giovanni, 27, 9).


2) L’incontro con la Verità da mangiare.
Come rendere salda la nostra fede e credere in ciò che Sant’Agostino ci ricorda nella frase appena citata? In primo luogo dobbiamo avere un cuore non ottuso ma teso. In secondo luogo, non dare ascolto alle parole per ascoltare la Parola, che incontriamo nel silenzio.
Le parole della Parola, del Verbo di Dio, non solamente informano o narrano o istruiscono, ma danno la vita vera e la nutrono per l’eternità.
L’importante che ci sia la nostra adesione di fede, che ha le sua radici nel cuore. San Paolo scrive: “E’ con il cuore che si crede per ottenere la giustizia » e aggiunge: «e con la bocca si fa la professione per avere la salvezza” (Rm 10,10). E’ dalle radici del cuore che sorge la professione di fede (cfr s. Agostino, Comm al Vangelo d Giovanni, Om. 26, 12) ed è col cuore alimentato dal Pane vero che ci si radica nella comunità dei santi, delle persone che dimorano in Cristo e nella quali Cristo dimora, stabilmente.
Una comunità che ripresenta oggi la Persona di Gesù Signore, che viene per insegnare ad ogni uomo come si ascolta il Padre, come lo si ama, come lo si adora in spirito e verità, come si consegna a Lui la vita per intero perché Lui ne faccia uno strumento del suo amore e della sua verità (come indica il Vangelo “ambrosiano” di oggi: Matteo 10, 28-42) per sempre. Della Chiesa e dell’Eucaristia si può dire: «O sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di carità. Chi vuol vivere, ha dove vivere, ha donde attingere la vita. Si accosti, creda, sarà incorporato, sarà vivificato» (S. Agostino, Comm. al Vangelo d Giovanni, Om. 26, 1) . Nella sua Provvidenza Dio non solo ci sostiene nell'essere, ma ci dona giorno per giorno una forza che ci fa stare nel suo Amore, per procedere sulla Via della Vita.
Paul Claudel disse che “le grandi verità si comunicano soltanto nel silenzio”, mi permetto di aggiungere che si colgono nell’adorazione e si comprendono mangiando il Pane del Cielo.
L’atteggiamento che sintetizza le parole di Pietro è quello di mettersi davanti al Ss.mo Sacramento in adorazione umile e silenziosa, coltivando nel cuore non il dubbio, ma il desiderio di chi desidera la comunione piena  con Lui.
L’Amen, che la Chiesa ci fa dire quando riceviamo la Comunione acquista così un significato profondo, perché ripete la stessa professione di fede di Pietro: “Non senza ragione dici Amen riconoscendo che prendi il corpo di Cristo; quando ti presenti per riceverlo il Vescovo ti dice: il corpo di Cristo! E tu rispondi: Amen! Cioè: è vero. Il tuo animo custodisca ciò che la tua parola riconosce.” (S. Ambrogio).
La Madonna che ha detto il suo fiat, il suo sì, ci ottenga l’umiltà di cuore per riconoscere il desiderio e la grandezza del Dono divino datoci nel Pane di Vita.
Anche San Pietro con la risposta sulla quale stiamo meditando rinnova il suo fiat, il suo sì a Cristo. Come possiamo imitarlo? Affidandoci completamente a Cristo rinnovando anche noi il nostro sì, con la preghiera, con l’adorazione eucaristica, con la comunione per ricevere la quale diciamo: “Amen”, cioè “Sì”.
Il problema di fondo non è andare e abbandonare l’opera intrapresa perché le parole sono “dure”, “ma è da chi andare. Da quell’interrogativo di Pietro, noi comprendiamo che la fedeltà a Dio è questione di fedeltà a una persona, con la quale ci si lega per camminare insieme sulla stessa strada. E questa persona è Gesù. Tutto quello che abbiamo nel mondo non sazia la nostra fame d’infinito. Abbiamo bisogno di Gesù, di stare con Lui, di nutrirci alla sua mensa, alle sue parole di vita eterna” (Papa Francesco) Credere in Cristo, la Verità incarnata, significa fare di Lui il centro della nostra vita.
Un particolare esempio di come mettere Cristo al centro della vita è dato dalle Vergini consacrate nel mondo. Queste donne hanno capito che il Signore è colui le cui parole fanno viva la vita e con la loro vita consacrata testimoniano che Cristo è il cuore del mondo.
Ogni giorno ognuna di loro dice a Cristo: “Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68) non tanto con le parole ma con la propria vita offerta pienamente allo Sposo. La loro vita verginale, infatti rimanda a Cristo, si alimenta alla Sua Parola di vita e si nutre del Suo Pane che non perisce.
Queste donne mostrano che Cristo ha “parole di vita eterna” non solo perché guarisce l’anima e il corpo, ma perché Cristo è il senso dell’umano, la sua stella polare, devono professare l’orgogliosa coscienza che Cristo è l’uomo nuovo. Il suo progetto di vita è la via e la verità dell’esperienza umana, perché ne è la vita in pienezza. E possono dirlo mostrando prima di tutto in loro che questo le fa crescere, sperare e amare. Se Cristo è il medico, lo è perché è il dono del Padre per ogni uomo e ogni donna. Se Cristo è la verità, lo è perché si fa valere come una verità attraente per il cuore di ciascuno. Se Cristo è la via, lo è perché ci ha dato lo Spirito dell’amore che ci conduce nel cuore di Dio. Se Cristo è tutto questo, allora è la vita, sì: la vita buona e piena. Insomma loro sono testimoni che solo Cristo “parola di vita” dà vita e pace e gioia: si sono date all’Amore e ricevono amore da diffondere nella vita quotidiana.
Lo stesso possiamo fare noi, davanti all’Eucaristia domenicale, davanti a questo gesto che a volte ci appare duro e lontano. La tentazione di sospenderne la pratica in attesa di comprenderla meglio indica una prospettiva illusoria: infatti soltanto praticando il sacramento noi possiamo approfondirne il significato. Soltanto ascoltando Cristo e affidandoci a Lui, che si affida a noi nella comunione, capiremo che solo il Signore ha parole che fanno viva la vita.


Lettura Patristica
San Cirillo di Gerusalemme
Catech. IV mist., 1-6.9


 Nella notte in cui nostro Signore Gesù Cristo fu tradito, prese il pane e dopo aver reso grazie lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Poi prese il calice e reso grazie disse: Prendete e bevete, questo è il mio sangue (1Co 11,23-25). Gesù stesso si è manifestato dicendo del pane: «Questo è il mio corpo». Chi avrebbe ora il coraggio di dubitarne? Egli stesso l’ha dichiarato dicendo: «Questo è il mio sangue». Chi lo metterebbe in dubbio dicendo che non è il suo sangue?

       Egli di sua volontà una volta cambiò a Cana di Galilea (
Jn 2,1-11) l’acqua in vino, e non è degno di fede se muta il vino in sangue? Invitato alle nozze fisiche fece questo miracolo strepitoso. E noi non lo confesseremo molto più, avendo dato ai figli dello sposo (Mt 9,15 Lc 5,34) la gioia del suo corpo e del suo sangue?

       Con ogni sicurezza partecipiamo al corpo e al sangue di Cristo. Sotto la specie del pane ti è dato il corpo, e sotto la specie del vino ti è dato il sangue perché tu divenga, partecipando al corpo e al sangue di Cristo, un solo corpo e un solo sangue col Cristo. Così diveniamo portatori di Cristo spandendosi il suo corpo e il suo sangue per le nostre membra. Così secondo il beato Pietro noi diveniamo "
partecipi della natura divina" (2P 1,4).

       Una volta Cristo parlando ai giudei disse: "
Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avete in voi la vita" (Jn 6,53). Quelli non intendendo spiritualmente le sue parole se ne andarono scandalizzati (Jn 6,61 Jn 66), credendo che il Salvatore li invitasse alla sarcofagia.

       C’erano nell’Antico Testamento i pani della proposizione (
Lv 24,5-93 1M 1,22 2M 10,3) i quali proprio perché dell’Antico Testamento sono terminati. Nel Nuovo Testamento è un pane celeste e un calice di salvezza (Ps 116,4) che santificano l’anima e il corpo. Come il pane è proprio per il corpo, così il Logos è proprio per l’anima.

       Non ritenerli come semplici e naturali quel pane e quel vino; sono invece, secondo la dichiarazione del Signore, il corpo e il sangue. Anche se i sensi ti inducono a questo, la fede però ti sia salda. Non giudicare la cosa dal gusto, ma per fede abbi la piena convinzione tu che sei giudicato degno del corpo e del sangue di Cristo...

       Avendo appreso queste cose hai piena coscienza che ciò che ti pare pane non è pane, anche se al gusto è tale, ma corpo di Cristo, e il vino che pare vino non è vino, anche se il gusto l’avverte come tale, ma sangue di Cristo. Di ciò anticamente David cantando disse: "
Il pane fortifica il cuore dell’uomo, e il suo volto brilla d’olio" (Ps 104,15). Fortifica il tuo cuore, prendendo il pane come spirituale e si rallegri il volto della tua anima. Il tuo volto discoperto in una coscienza pura possa riflettere come in uno specchio la gloria del Signore (2Co 3,18) e progredire di gloria in gloria nel Cristo Gesù nostro Signore al quale sia gloria nei secoli dei secoli.


venerdì 17 agosto 2018

Mangiare il Pane del Cielo per essere capaci di amare come siamo amati


Domenica XX del Tempo Ordinario – Anno B – 19 agosto 2018
Rito Romano
Pr 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58


Rito Ambrosiano
2Cr 36,17c-23; Sal 105; Rm 10,16-20; Lc 7,1b-10
XIII Domenica dopo Pentecoste


  1. Il pane del cielo da mangiare e da condividere.
In questa XX domenica del Tempo Ordinario la liturgia ci fa leggere ancora il Vangelo di San Giovanni, proponendo la continuazione del capitolo 6°, che è tutto centrato sull’Eucaristia. Nelle domeniche precedenti abbiamo contemplato il dono del pane, che Gesù fa sulla riva del lago di Tiberiade, dove la gente è saziata e ne avanzano dodici ceste piene. In tal modo, abbiamo visto che la gente cerca il Messia perché vuole del pane e che Cristo spiega che l’importante non è il pane della terra. Il pane vero che Cristo vuol dare è Lui stesso, Pane del Cielo che ci mette in comunione col Padre e con i fratelli.
Questo pane dà la vita eterna. Esso è la vita eterna, che è il dimorare in Dio, in pace e gioia. Anche quest’oggi Cristo dice: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo … Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6, 51.58).
Con queste affermazioni, Gesù giunge al cuore del suo insegnamento sul pane di vita e rivela che chi ha fede in Lui, il Messia inviato dal Padre, non solo professa la fede in lui, ma se ne nutre ed ha la vita per sempre.
Lungo la storia, più o meno recente, ci sono stati “esperti” che hanno insegnato che Gesù pensava solamente in termini simbolici e che non si trattava del vero suo corpo, ma solo del pane che simboleggiava il suo corpo. Si tratta di un’interpretazione sbagliata. Gesù parla molto chiaramente ed usa il verbo “mangiare”, lo stesso verbo che è usato un pranzo terrestre.
Sentendo Cristo parlare così e che avrebbero dovuto mangiarne il corpo, i suoi sono rimasti perplessi, e non solo loro... Si sono quasi scandalizzati. Probabilmente anche noi ci saremmo scandalizzati, se non avessimo l’esperienza di Cristo risorto, con il suo vero corpo, risorto e il Magistero della Chiesa che costantemente ci ripropone questo insegnamento di Cristo.
Grazie alla liturgia di questa Domenica, il Signore anche oggi ci manifesta il suo antico ma mai spento desiderio di abitare in mezzo agli uomini che Lui ama, e di farsi vero cibo, celeste ma non meno vero e reale di quello terreno. Gesù non è come la manna del deserto, Lui è la vera manna del cielo per il cammino verso la pienezza della vita, che possiamo trovare unicamente in Lui.
A questo punto, viene da chiedersi: “Quali sono le condizioni necessarie per mangiare questo pane pieno di vita ?”. La prima è di coltivare in noi la fame di Dio. Solamente chi non soffoca il desiderio di Dio può rispondere all’invito al banchetto celeste ed essere sfamato da Dio. La seconda è quella di avere un cuore contrito, che mendichi la vita e il cibo che l’alimenta, domandando perdono per averla cercata lontano da Lui e di aver cercato di soddisfare la fame di infinito riempiendoci con infinite cose.
Preghiamo il Signore che con l’Eucaristia ci renda capaci di condurre un’esistenza, nella quale siamo sempre testimoni della verità delle sue parole, e di vivere in lui, per lui, a causa di lui. Preghiamo, infine, perché insieme con tutti i cristiani sappiamo ricevere Gesù non solo nel pane eucaristico, ma anche nel malato, nel bisognoso, nel povero, nel sofferente e in tutti i fratelli e sorelle in umanità.

  1. Parole che fanno discutere. Perché?
La scena che il Vangelo di oggi descrive è drammatica. La reazione degli ascoltatori delle parole di Gesù che vuole donarsi è quella di discutere aspramente fra di loro. I presenti litigano tra di loro ma in fondo è a Cristo ed alle sue parole che si oppongono. Esiste per i Giudei che ascoltano Cristo nella sinagoga di Cafarnao una barriera invalicabile, ed è proprio la carne di Gesù. Credono di conoscerlo, lo hanno visto crescere, sanno tutto della sua famiglia. Gesù di Nazareth ha una storia esattamente uguale alla loro. Uno come loro non può salvarli, il corpo di Cristo carne è carne come la loro, non può dare la vita. I loro occhi, i loro pensieri, i loro cuori si fermano sull'uscio della casa, non possono entrarvi. Restano alla superficie delle cose e non capiscono il dono di Gesù. Certo è un dono che supera ogni umana immaginazione: è il Dono di Se stesso, come cibo della Vita.
E’ un dono che i Giudei non riuscirono a capire, accogliere e ... discutevano animatamente- e noi?
Anche noi facciamo fatica a comprendere come la carne di Cristo possa essere cibo dello spirito. Possiamo capire abbastanza facilmente la straordinarietà di un miracolo, che guarisce il corpo. Possiamo capire anche quella particolare grazia che, attraverso il sacramento della Confessione, ci aiuta a cogliere la grandezza del Cuore di Dio, che dona senza misura la sua misericordia, creando in noi il desiderio della conversione, cancellando le nostre colpe.
Ma “capire” e accettare la frase di Cristo: “Chi mangia la mia carne avrà la vita eterna”, fu duro per i discepoli di allora e per noi, i discepoli di oggi, che altaleniamo tra una Comunione vissuta in modo abitudinario ed una lontananza dalla Messa, perché si prende la scusa di non avere tempo o si pensa che non cambi la nostra vita.
Se il mondo e tanti cristiani non conoscono la verità e la bellezza della vita, è proprio perché non conoscono e non accolgono il Pane della Vita.
Facciamo un esame di coscienza per vedere qual è il posto che l’Eucarestia ha nella nostra vita. In questo Sacramento Gesù svela un mistero stupendo: Lui è cibo di vita vera, che ci porta a vivere per Lui, in Lui, con Lui e con i nostri fratelli amati in Lui. Cristo è pane di vita vera “per mezzo del quale siamo già trasportati e immessi dal flusso rapido del tempo alla sponda dell'eternità” (Paolo VI, 5 giugno 1969) L'Eucarestia non è una semplice devozione, ma Dio stesso che si fa
  • nostro cibo e nostra bevanda per darci la forza di essere pellegrini nel mondo e camminare nell’esodo della vita,
  • medicina per curare le ferite della vita e
  • amico per conversare con noi come ha fatto con i discepoli di Emmaus.
Facciamo diventare le nostre eucaristie un tempo e uno spazio di autenticità e di fede, di bellezza e lode, perché nessuno possa fare a meno di parteciparvi.
Sulle tavole delle nostre case c’è tutto per la vita del corpo, sulla “tavola” del nostro cuore mettiamo il pane necessario per la vita dello spirito: Gesù Cristo. Lui è l’unico Pane che sazia davvero la nostra fame di felicità, di infinito, di eternità, accompagnandoci nel nostro sofferto esistere verso la sola mèta duratura: la Casa del Padre.
Nell’Eucaristia, donando se stesso, il Figlio di Dio dona pace e gioia al “mestiere di vivere” al quale siamo chiamati.
Vivendo come donne eucaristiche, le Vergini consacrate ci ricordano che Cristo Sposo nell’Eucaristia è anzitutto Comunione,
  • con Lui che è Dio da Dio, Luce da Luce, Amore da Amore, vivo, vero, sostanzialmente e sacramentalmente presente,
  • con Lui che è Agnello immolato per la nostra salvezza, manna ristoratrice per la vita eterna, amico, fratello e – scusate se lo ripeto - sposo, con il quale dimorare nel cuore del Padre.
Nell’Eucaristia le Vergini consacrate trovano ispirazione ed alimento per la loro totale dedizione a Cristo. Grazie all’Eucaristia possono essere fedeli immagini della Chiesa Sposa e testimoniano che se è vero l’Eucaristia è un grande mistero che la mente non comprende, è altrettanto vero che si può accogliere l’amore che vi risplende, vivendo la vita eucaristicamente cioè come dono del Corpo di Cristo ricevuto, come ringraziamento per essere da Lui amati e come condivisione casta di questo amore.




Lettura Patristica
Narsaj il Lebbroso
Expositio myst.



    Nostro Signore Gesù ci ha lasciati per salire in alto, affinché, al momento del suo ritorno, potesse farci salire con lui nel regno dei cieli. E poiché andava in un luogo troppo lontano perché noi potessimo conoscerlo, volle confortarci con il suo corpo e il suo sangue fino al suo ritorno. E siccome non era possibile che egli desse il suo corpo e il suo sangue alla sua Chiesa, ci ordinò di realizzare questo sacramento con il pane e il vino. Beato il popolo dei cristiani! Quale dono possiede e quale speranza custodisce per sempre nei cieli!

       Infatti, quando giunse l’ora della Passione di colui che dà la vita a tutte le cose, egli mangiò la Pasqua legale con i suoi discepoli. Poi, prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo dette ai discepoli, dicendo: Questo è il mio corpo in verità, senza alcun dubbio (
Lc 22,19 1Co 11,24-25). Quindi, prese il calice, rese grazie, lo benedisse e lo dette agli apostoli, dicendo: Questo è in verità il mio sangue, dato per voi. E ordinò a tutti di prenderlo e di berne, perché fossero rimesse le loro colpe per sempre ().

       "
Preghiera di Gesù durante la Cena secondo Teodoro di Mopsuestia"

       È scritto, nel Vangelo pieno di vita, che Egli "
rese grazie e benedisse ()". Ma, ciò che disse gli apostoli da lui scelti non ce lo hanno fatto conoscere. Il grande dottore e interprete Teodoro ci ha trasmesso ciò che nostro Signore ha detto prendendo il pane:

       «La tua natura divina, o Signore di tutte le cose, merita ogni gloria, ogni confessione e ogni lode, poiché, in tutte le generazioni, tu hai compiuto e realizzato la tua Economia [disegno di salvezza], come per la vita e la salvezza degli uomini; e quantunque essi si dimostrassero molto ingrati con le loro azioni, tu non hai cessato di soccorrerli con la tua misericordia. E per realizzare la salvezza e la restaurazione di tutti, tu hai preso me che sono della stessa natura di Adamo, e mi hai unito a te. In me si compiranno tutte le promesse e tutte le alleanze, e in me si realizzeranno i misteri e le figure che furono manifestati ai giusti. Perché sono senza macchia e ho adempiuto ogni giustizia, tu, per mio tramite, hai estirpato dall’umanità ogni peccato. E perché muoio senza essere colpevole e senza aver peccato, tu decreti, per mezzo mio, una risurrezione dei corpi per l’intera natura».

       Così il Figlio dell’Altissimo rese grazie a suo Padre e, donando il suo corpo e il suo sangue, pronunciò queste parole: «Questo è il mio corpo che io ho dato per i peccati del mondo, e questo, inoltre, è il mio sangue che ho voluto versare a causa delle offese. Chiunque mangia la mia carne con amore, e beve il mio sangue, vivrà per sempre; egli dimora in me, e io in lui. Fate così in memoria di me, all’interno delle vostre riunioni, e ricevete con fede il mio corpo e il mio sangue. Offrite il pane e il vino come io vi ho insegnato, e io agirò, facendo di essi il corpo e il sangue. Faccio del pane il corpo e del vino il sangue, per la venuta e l’opera dello Spirito Santo».

       Così parlò colui che dà la vita ai mondi, chiamando il pane suo corpo e il vino suo sangue. Non li denominò né simboli e neppure somiglianza, bensì corpo reale e sangue vero. Ed anche se la natura del pane e del vino è incommensurabilmente lontana da lui, tuttavia per il potere e per l’unione, il corpo è uno. Che gli angeli e gli uomini ti rendano grazie senza posa, Signore, Cristo, nostra speranza, che ti sei dato per noi! Per il suo potere, il corpo che i sacerdoti spezzano nella Chiesa, non fa che uno con il corpo che siede nella gloria alla destra del Padre. E così come il Dio di tutte le cose è unito alle «primizie» della nostra specie, del pari il Cristo è unito al pane e al vino che sono sull’altare. Ecco perché il pane è realmente il corpo di nostro Signore, e il vino, in senso proprio e vero, il suo sangue. Così ordinò a coloro che vi sono ammessi, di mangiare il suo corpo, e consigliò ai suoi fedeli di bere il suo sangue.

       Beato chi crede in lui e chi si fida della sua parola, poiché, se è morto, vivrà, se è vivo, non morirà per aver peccato!

       Gli apostoli adottarono con diligenza il comando del loro Signore, e lo trasmisero con cura a coloro che vennero dopo di loro. Esso è stato presente fino ad oggi nella Chiesa, e sarà conservato fino a quando Cristo stesso non abolisca il suo sacramento con la sua apparizione e la sua manifestazione.

       A tal fine, il sacerdote rende grazie davanti a Dio ed eleva la sua voce al termine della sua preghiera, per far sì che il popolo la senta. Fa sentire la sua voce e con la mano segna le offerte deposte sull’altare, e il popolo esprime il proprio assenso, dicendo: Amen!, approvando in tal modo la preghiera del sacerdote.


venerdì 10 agosto 2018

Cristo è necessario come il pane. Il Pane disceso dal Cielo per portare in Cielo



Domenica XIX del Tempo Ordinario – Anno B – 12 agosto 2018
Rito Romano
1 Re 19, 4-8; Sal 33; Ef 4,30-5,2; Gv 6, 41-51



Rito Ambrosiano
Ger 25, 1-13; Sal 136; Rm 11,25-32; Mt 10, 5b-15
XII Domenica dopo Pentecoste



            1)Fame di cielo.
Nel Vangelo di questa XIX domenica del Tempo Ordinario, Gesù dice alla folla: “Io sono il pane disceso dal Cielo”. E la gente obietta: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo” (Gv 6, 41s). Grande è la sorpresa e la incredulità degli ascoltatori del Messia, le cui parole risultano  “dure”.
Queste parole Cristo le dice oggi a noi e ci ricorda che Lui è Pane per la fame del nostro cuore e che ogni Eucaristia, come quella che celebriamo oggi non è riducibile ad un semplice atto di culto, ma è un dono immenso della vita di Dio. E’ un regalo che ci è dato attraverso il pane, perché anche noi nella vostra vita diventiamo pane per la fame dei fratelli.
Cristo è Pane.
Perché?
Perché la fame è quell’esigenza costante e ineludibile che entra nella definizione dell’uomo, che è struttura di domanda. La persona umana è un essere che ha fame e sete. E’ un essere non autosufficiente, la cui esistenza ha bisogno di essere costantemente alimentata, fisicamente dall’aria per respirare, dal cibo e dalla bevanda materiali, spiritualmente dal sapere, dal gioire, dall’amare e dall’essere amato. L’essere umano riceve vita dal di fuori di lui: da fuori di lui riceve ciò che gli è necessario per vivere, ciò manca alla sua esistenza, al suo sviluppo, alla sua salute, alla sua felicità. Perciò desidera, studia, lavora, soffre, prega, spera: attende, perché è sempre teso a qualche complemento che lo sostenga e lo faccia vivere in pienezza, e, se possibile, lo faccia vivere sempre.
            Ma sulla terra non vi è pane che dia l’immortalità. Per questo Cristo è disceso dal  Cielo, per saziare questa fame di Cielo. Cristo è il pane straordinario, che sazia la fame straordinaria, smisurata dell’uomo, capace, anzi smanioso di aprirsi ad aspirazioni infinite (Cfr. S. Agostino d’Ippona, Confessioni, 1, 1).
Molte persone, fra le  quali spesso ci siamo anche noi, hanno la tentazione di pensare che Cristo non corrisponda in realtà ai bisogni, ai desideri, ai destini dell’uomo. Specialmente l’uomo moderno, che spesso si illude d’essere nato per altro alimento superiore che non quello divino, e cerca di saziarsi di infinite cose invece che dell’Infinito, che in Cristo ha mostrato il suo volto buono, buono come il pane.
            Questo Pane non è solamente il cibo per il nostro cuore, ma stimolo di carità per i fratelli specialmente quelli che hanno bisogno di aiuto, di comprensione, di solidarietà. Cristo è il pane della vita. Cristo è necessario, per ogni uomo, per ogni comunità, per ogni fatto veramente sociale, cioè fondato sull’amore e sul sacrificio di sé, per il mondo. Cristo è necessario come il pane.

2) Maria e l’Eucaristia.
Il fatto che tra pochi giorni, il 15 agosto, la Chiesa ci faccia celebrare la solennità dell’Assunzione mi suggerisce l’idea di mostrare il nesso tra Maria Assunta in Cielo e il Vangelo di questa XIX domenica, in cui Cristo dice: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo” (Gv 6,51). La Madonna è stata “assunta” nel Cielo dove il suo Figlio era “disceso”. Naturalmente questo linguaggio, che è biblico, esprime in termini figurati qualcosa che non entra mai completamente nel mondo dei nostri concetti e delle nostre immagini.
            Ma meditiamo un poco su cosa significhi a livello spirituale ed esistenziale questo parlare di “cielo”. Il Messia si presenta come il vero pane disceso dal cielo. Cristo è il pane capace di mantenere in vita non per un momento o per un tratto di cammino, ma per sempre. Lui è il cibo che dà la vita eterna, perché è il Figlio unigenito di Dio, che sta nel seno del Padre che è nei cieli. Da lì il Verbo di Dio è venuto per dare all’uomo la vita in pienezza, per introdurre l’uomo nella vita di cielo. Il Verbo si è fatto carne per donarsi a noi come pane. Lui è il pane vero cioè il nutrimento che contiene la vita stessa di Dio ed è in grado di comunicarla a chi mangia di Lui, il vero nutrimento che dà la vita: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia “carne” per la vita del mondo” (Gv 6,51).
Ma da chi il Figlio di Dio ha preso questa sua “carne”? L’ha presa dalla Vergine Maria. Il Verbo di Dio ha assunto da Lei il corpo umano per entrare nella nostra condizione terrena. A sua volta, alla fine dell’esistenza in terra, il corpo della Vergine è stato assunto in cielo da parte di Dio e fatto entrare nella condizione celeste. E’ uno scambio meraviglioso, in cui Dio ha sempre la piena iniziativa, ma che ha anche bisogno (sarebbe più corretto dire vuole avere bisogno) di Maria, del “sì” della creatura, della sua carne, della sua esistenza concreta, per preparare la materia del suo sacrificio: il corpo e il sangue, da offrire sulla Croce quale strumento di vita eterna e, nel sacramento dell’Eucaristia, quale cibo e bevanda celesti. Grazie al sì della Madonna, Gesù ha un corpo, che per noi è pane vivo per alimentare il nostro cuore, ed un sangue, che per noi è acqua viva che disseta il nostro spirito.
Per intercessione di Maria e sul suo esempio, accogliamo Cristo e mettiamogli a disposizione il nostro cuore, il nostro corpo: l’intera nostra esistenza (la nostra carna, direbbe il Vangelo) perché Lui possa abitare nel mondo.
Il primo tabernacolo che l’ospitò fu Maria. “Il tabernacolo antico, l’arca dell’antica Alleanza era fatta di legni preziosi laminati d’oro. Il tabernacolo della nuova legge, Maria, l’immacolata Madre di Gesù e Madre nostra, Dio la fece senza macchia per ricevere la Purezza vivente e essenziale” (Marthe Robin). Come la Madonna uniamoci a Cristo nel sacramento dell’Eucaristia, Pane spezzato per la vita del mondo per essere come Lei tabernacoli viventi.
Adoriamo Cristo come ha fatto sua  Madre. Dopo che era salito al Cielo, Lei “adorò suo Figlio sotto la forma di un po’ di pane, come l’aveva adorato sotto la forme di un piccolo, fragile bambino che vagiva, come l’aveva adorato durante tutto il suo ministero pubblico, e nel divino Crocifisso del Calvario” (Marthe Robin).
Quando facciamo la Comunione, diciamo di sì (=amen) a Cristo come lo disse Maria e il Verbo di Dio discende nel nostro cuore, come discese sotto quello di sua Madre.
Altrimenti ma realmente, ciò che è accaduto in Maria vale anche per ciascuno di noi. perché Dio chiede ad ognuno di noi di accoglierLo, di metterGli a disposizione il nostro cuore e il nostro corpo, la nostra intera esistenza, la nostra carne – dice il Vangelo -, perché Lui possa abitare nel mondo.
Preghiamo la Santa Vergine Madre, Assunta in cielo, perché ci aiuti a nutrirci sempre e con fede del Pane di vita eterna per sperimentare già sulla terra la gioia del Cielo.
La vita eucaristica delle Vergini Consacrate testimonia che questa preghiera è esaudita.
E il Cielo comincia quaggiù perché la festa di Dio incomincia quaggiù: è mistero di fede, di speranza e di amore, che si celebra nella vita e nella liturgia, specialmente eucaristica, e si esprime nella comunione fraterna e nel servizio per il prossimo, grazie alla forza di questo Pane della Vita che è donato all’umanità per il suo cammino di carità.


Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona (354 – 430)
Comment. in Ioan., 26, 2.4.10.13

Solo un cuore che ama può comprendere

"Non mormorate tra voi: nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato" (Jn 6,43-44).

Con queste parole il Signore ci annunzia una grande grazia. Nessuno va a lui se non è attirato. Non cercare di giudicare chi è che sarà attirato e chi è che non lo sarà, né di stabilire perché uno sarà attirato e un altro non lo sarà, se non vuoi sbagliare. Accetta queste parole e cerca di capirle. Non sei attratto dal Signore? Prega per esserlo. Cosa veniamo a dire, fratelli? Che se siamo attirati a Cristo, allora crediamo nostro malgrado, cioè è per effetto della costrizione, non per effetto della nostra libera volontà? In verità, si può entrare nella chiesa contro la propria volontà, e, contro la propria volontà si può essere indotti ad avvicinarci all’altare e a ricevere i sacramenti; ma non si può credere contro la propria volontà...

Quando ascolti: «Nessuno viene a me se non è attirato dal Padre», non pensare di essere attirato tuo malgrado. La tua anima è attirata anche dall’amore. Non dobbiamo temere di essere rimproverati da quanti stanno attenti alle parole, ma restano lontanissimi dalla interpretazione delle cose divine, i quali, a proposito di questo passo delle sante Scritture, potrebbero dirci: In qual modo credo di mia volontà se sono attirato da Dio? Io rispondo: Non sei attirato per mezzo della volontà, ma per mezzo della gioia. Che significa essere attirati per mezzo della gioia? "Metti nel Signore la tua gioia, ed egli ti darà ciò che domanda il tuo cuore" (Ps 36,4). Si tratta di una certa qual gioia interiore, cui è nutrimento quel pane celeste.

Se il poeta ha potuto dire: «Ciascuno è attirato dal suo piacere» (Virgilio, Egl., 2), - ho detto piacere, non necessità, gioia, non costrizione -, con quanta maggior ragione possiamo dire noi che l’uomo è attirato a Cristo, in quanto in esso trova la gioia della verità, della beatitudine, della giustizia, della vita eterna, tutto ciò insomma che è Cristo medesimo? Se il corpo ha i suoi piaceri, perché l’anima non dovrebbe avere i suoi? Se l’anima non avesse i suoi piaceri, il salmista non direbbe: "I figli dell’uomo spereranno sotto la protezione delle tue ali; si inebrieranno per l’abbondanza della tua casa, e, tu darai loro da bere alla fonte delle tue delizie; perché presso di te è la fonte della vita e nella tua luce vedremo la luce" (Ps 35,8ss).

Dammi un cuore che ama, ed egli capirà ciò che io dico. Dammi un cuore che desidera, un cuore affamato e assetato che si sente in esilio in questa solitudine terrena, un cuore che sospira la fonte della sua eterna dimora ed egli confermerà ciò che dico. Ma se io parlo a un cuore gelido, egli non potrà capirmi. E tali erano coloro che mormoravano...

       "In verità, in verità vi dico, chi crede in me ha la vita eterna" (
Jn 6,47). Ha voluto rivelare la sua natura. Avrebbe potuto dire più brevemente: Chi crede in me avrà me stesso. Cristo è infatti vero Dio e vita eterna. Chi crede in me, egli dice, viene in me; e chi viene in me, ha me stesso. Cosa intende, Cristo, dicendo «ha me stesso»? Intende, avere la vita eterna.

       Colui che è vita eterna accettò la morte, ha voluto morire: ma nella tua natura, non nella sua. Egli ha ricevuto la natura carnale da te, in modo da morire per te. Ha preso la carne dagli uomini, ma non nel modo in cui la prendono gli uomini. Egli, che ha il Padre nel cielo, scelse una madre in terra: in cielo è nato senza madre, in terra è nato senza padre. La vita ha accettato la morte, affinché la vita uccidesse la morte. Dunque «chi crede in me - dice - ha la vita eterna»; non la vita che appare manifesta, ma quella che sta nascosta. Perché la vita eterna, cioè il Verbo, «in principio era presso Dio, ed era Dio il Verbo, e la vita era la luce degli uomini».

       Lui che è vita eterna, ha dato la vita eterna alla carne che aveva assunto. È venuto per morire e nel terzo giorno è risuscitato. Tra il Verbo che accetta di farsi carne, e la carne che risuscita, la morte è annientata...

"Io sono il pane vivo, io che sono disceso dal cielo" (Jn 6,51). Cioè sono vivo perché discendo dal cielo. Anche la manna era discesa dal cielo: ma la manna era un simbolo, questo pane è la verità. "Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò, è la mia carne per la vita del mondo ()".

Come la carne, cioè gli uomini, potevano comprendere il Signore che dava al pane il nome di carne? Egli chiamava carne ciò che la carne non può comprendere, e tanto meno lo comprende in quanto chiama il pane carne. Per questo essi inorridirono, e dissero che era troppo, e che non era possibile. «È la mia carne - disse -per la vita del mondo».

       I fedeli conosceranno il corpo di Cristo, se non trascureranno di essere essi stessi il corpo di Cristo. Che divengano il corpo di Cristo, se vogliono vivere dello Spirito di Cristo. Solo il corpo di Cristo vive del suo Spirito. Cercate di capire, fratelli, quanto ho detto. Tu sei un uomo, hai lo spirito e hai il corpo. Chiamo spirito ciò che è chiamato anima, grazie alla quale l’uomo è uomo: infatti l’uomo consta di anima e di corpo. Hai dunque uno spirito invisibile, mentre il corpo è visibile. Dimmi: è il tuo spirito che vive del tuo corpo, o il tuo corpo che vive del tuo spirito? Mi rispondano coloro che vivono (e chi non può rispondere, io non so se egli vive); è il corpo che vive del mio spirito. Tu vuoi vivere dello Spirito di Cristo? Sii nel corpo di Cristo. Forse che - obietti - il mio corpo vive del tuo spirito? Il mio corpo vive del mio spirito, e il tuo del tuo. Il corpo di Cristo non può vivere se non dello Spirito di Cristo. Questo ci dice l’apostolo Paolo quando ci spiega la natura di questo pane: "Un solo pane, un solo corpo siamo noi, anche se siamo molti" (
1Co 10,17).

Oh, grande mistero d’amore! grande simbolo di unità! grande legame di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, e ha di che vivere. Si avvicini, creda, entri nel corpo, e parteciperà alla vita. Non fugga la unione con gli altri membri, non sia un membro corrotto che merita di essere tagliato, non sia un membro difforme di cui il corpo debba vergognarsi, sia bello, sia composto, sia sano, si unisca al corpo e viva di Dio e per Dio: si affaticherà sulla terra, ma per regnare, dopo, in cielo.