giovedì 31 agosto 2023

Rinnegare se stessi non è scelta di morte, ma di vita

.Rito Romano

XXII Domenica del Tempo Ordinario - 3 settembre 2023

Ger 20,7-9; Sal 62; Rm 12,1-2; Mt 16,21-27

 

 

Rito Ambrosiano

Is 65,13-19; Sal 32; Ef 5,6-14; Lc 9,7-11

I Domenica dopo il Martirio di san Giovanni il Precursore.

 

 

1) Scegliere la Croce è scegliere la Vita.

Nel Vangelo di Domenica scorsa ci è stato ricordato che Simone, il pescatore di Cafarnao ha professato che Gesù di Nazareth è il Messia. Grazie a questa fede ha ricevuto da Cristo il nome di Pietro e l’autorità di essere la pietra di fondamento a servizio dell’amore e della verità nella Chiesa. 

Nel Vangelo di oggi, che è la diretta continuazione del brano di domenica scorsa, ci è raccontato che Pietro è rimproverato da Cristo perché non capisce e non accetta che il Messia abbia la Croce come passaggio necessario per la risurrezione. Quando, oggi, Gesù spiega che dovrà “andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno” (Mt 16,21). 

Tutto sembra rovesciarsi nel cuore e nella mente di Pietro. Gli pare impossibile che “il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16), possa patire fino alla morte. Il primo degli apostoli si ribella, non accetta questa strada, prende la parola e dice al Maestro: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai” (Mt 16, 22).  Appare evidente la divergenza tra il disegno d’amore del Padre, che arriva fino a donare suo Figlio Unigenito sulla croce per salvare l’umanità, e le attese, i desideri, i progetti dei discepoli. 

            Si può confessare che Gesù è Figlio di Dio, e tuttavia non accorgersi che Lui è un Dio di amore, di amore crocifisso. Prigioniero ancora della logica degli uomini, Pietro tenta di impedire che Gesù si conformi alla logica di Dio. E allora Gesù risponde al discepolo, che pochi istanti prima aveva chiamato pietra di fondazione e che ora con la sua obiezione diventa pietra di scandalo (= inciampo): “Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16, 23).

 Percorrere le strade secondo i pensieri degli uomini è mettere da parte Dio, è non accettare il suo progetto di amore, quasi impedirgli di compiere il suo sapiente volere. Oggi Gesù ci ripete che “il cammino dei discepoli è un seguire Lui, [andare dietro a Lui], il Crocifisso. In tutti e tre i Vangeli spiega tuttavia questo seguirlo nel segno della croce … come il cammino del “perdere se stesso”, che è necessario per l’uomo e senza il quale non gli è possibile trovare se stesso” (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, Milano 2007, 333).

Con ciò Cristo descrive il suo cammino, che - attraverso la croce - lo conduce alla resurrezione. E’ il “cammino” del chicco di grano che cade nella terra e muore e così porta molto frutto. Con il cammino della Croce, con la Via Crucis che è via carica di amore, Gesù rivela l’essenza dell’amore. Lasciamoci amare da chi ci ama dalla Croce.

Partendo dal centro del suo sacrificio personale e dell’amore che in esso giunge al suo compimento, il Messia rivela che il potere vero, quello di Dio, è quello di amare donando se stesso fino alla morte: è la supremazia della tenerezza e i poteri del mondo saranno impotenti contro di essa: il terzo giorno Cristo è risorto dalla morte.

 

 

 

 

2) Rinnegarsi vuol dire abbandonarsi totalmente a Cristo

Accettando volontariamente la morte per amore, Gesù prende la croce di tutti gli uomini e diventa fonte di salvezza per tutta l’umanità che è invitata a capire che rinnegarsi vuol dire gettarsi nelle braccia di Cristo in Croce e ricevere da Lui la vita.

Sulla Croce infatti, la nostra debolezza è consegnata a Cristo che ha il potere di farne il tabernacolo del suo amore tenero, onnipotente e vittorioso.  “La croce vittoriosa ha illuminato chi era accecato dall’ignoranza, ha liberato chi era prigioniero del peccato, ha portato la redenzione all’intera umanità” (San Cirillo di Gerusalemme, Catechesi XIII,1 su Cristo crocifisso e sepolto, PG 33, 772 B).

È chiaro a questo punto che cosa significhi veramente seguire Gesù, l’imperativo che ancora una volta egli ricorda ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16, 24) . 

Rinnegare se stessi significa rinunciare alla propria idea di Dio, per accettare quella di Gesù. 

Rinnegare se stessi non è una scelta per la morte, ma per la vita, per la bellezza e per la gioia. È seguire il Verbo di Dio per un imparare il linguaggio del vero amore. Seguendo Cristo che si svela Dio nell’amore e nel dono di sé, impariamo anche cambiare la logica della propria esistenza: non più una vita vissuta a vantaggio proprio, ma una vita vissuta in dono. È questa fondamentalmente la logica della Croce, sia per Gesù sia per i suoi discepoli.

Rinnegare se stessi per mettersi alla sequela di Gesù “significa prendere la propria croce - tutti l’abbiamo… - per accompagnarlo nel suo cammino, un cammino scomodo che non è quello del successo, della gloria passeggera, ma quello che conduce alla vera libertà, quella che ci libera dall’egoismo e dal peccato. Si tratta di operare un netto rifiuto di quella mentalità mondana che pone il proprio “io” e i propri interessi al centro dell’esistenza: questo non è ciò che Gesù vuole da noi! Invece, Gesù ci invita a perdere la propria vita per Lui, per il Vangelo, per riceverla rinnovata, realizzata e autentica” (Papa Francesco, Discorso all’Angelus del 13 settembre 2015)

Rinnegare se stessi vuol dire “perdere” la propria vita per Cristo e in Cristo, per riceverla rinnovata, realizzata e autentica, perché seguire la Croce conduce alla risurrezione, alla vita piena e definitiva con Dio.

Rinnegare se stessi è accettare di essere creta malleabile nella mani creative di Dio che fa di noi vasi di grazia e di amore.

Rinnegare se stessi vuol dire rinunciare ai nostri fragili pensieri e incostanti sentimenti per avere in noi i sentimenti di Cristo. 

Rinnegare se stessi vuol dire lasciare tutto per seguire Lui, il nostro Maestro e Signore che si è fatto Servo di tutti. Vuol dire camminare dietro a Lui e ascoltarlo attentamente nella sua Parola e nei Sacramenti, per imparare a sentire come Lui sentiva, conformare il nostro modo di pensare, di decidere, ai sentimenti di Gesù, conformandosi a Lui e per essere “già come angeli su questa terra” (Sant’Ambrogio di Milano). Non nel senso che la loro vita si sottragga alla realtà concreta, ma perché testimoniano già oggi che il destino dell’uomo si gioca in riferimento a Cristo. 

Ma il Santo Vescovo di Milano si spinge ancora oltre. Nel Commento al Vangelo di Luca, Sant’Ambrogio parla della “generazione di Cristo”. Spiegando il Magnificat dice: “Vedi bene che Maria non aveva dubitato, bensì creduto, e perciò aveva ottenuto il frutto della sua fede. Beata tu che hai creduto (Lc 1,47). Ma beati anche voi che avete udito e avete creduto: infatti, ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio, e ne comprende le opere. Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio; se infatti secondo la carne una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio, purché, serbandosi senza macchia e libera dal peccato, custodisca con perseverante pudore la purezza della vita”. (Expos. Evangelii sec. Lucam, II, 26-27). Da qui capiamo che il valore esemplare della verginità consacrata è quello di mostrare una fecondità che avviene nella verginità, ma questa fecondità è proposta ad ogni credente. Concepire e generare il Verbo di Dio, infatti, significa avere gli stessi sentimenti di Cristo e riproporre nella vita i suoi gesti e le sue parole, facendo riaccadere la presenza di Cristo all’interno della sua Chiesa. 

 

 

Lettura patristica

Imitazione di Cristo

 

La via regale della croce

       1) A molti sembrano assai dure queste parole: «Sacrifica te stesso, prendi la tua croce e segui Gesù» (
Mt 16,24). Ma saranno assai più aspre queste estreme parole: “Andate lontano da me, voi maledetti, nel fuoco eterno!” (Mt 25,41).

       Quelli che adesso ascoltano e praticano le parole circa la croce, allora (al giudizio finale) non temeranno di sentirsi gridare quelle altre parole di eterna dannazione.

       Quando il Signore verrà all’ultimo giudizio, “allora comparirà nel cielo il segno del figlio dell’uomo (la croce)” (
Mt 24,30).

       Allora tutti i servi della Croce, che in questa vita imitarono il Crocifisso, si avvicineranno a Cristo giudice con grande fiducia.

       2) Perché dunque hai tanta paura di accostarti alla croce, per mezzo della quale si va al regno?

       Nella croce vi è la salvezza, nella croce la vita, nella croce la protezione dai nemici. Attraverso la croce viene infusa nell’anima la celeste soavità, vien data la robustezza alla mente, gaudio allo spirito. Nella croce vi è il compendio delle virtù, nella croce la perfezione della santità. Non vi è salvezza per l’anima, né speranza di vita eterna se non nella croce.

       Prendi su dunque la tua croce e segui Gesù; e andrai alla vita eterna.

       Ti ha preceduto Lui portando la sua croce, ed è morto Lui prima in croce, affinché anche tu porti la tua croce e muoia volentieri sulla croce; ché se lo imiterai morendo come Lui, lo imiterai anche vivendo parimenti con Lui. E se gli sarai stato compagno nella pena, lo sarai anche nella gloria.

       3) Tutto dunque si riduce alla croce e al morire sulla croce e per giungere alla vita e alla vera pace interna non vi è altra via che quella della santa croce e della quotidiana mortificazione.

       Va’ pure dove vuoi, cerca pure quello che ti pare, ma non troverai lassù una via più alta e quaggiù una via più sicura che la via della croce.

       Disponi pure e comanda che tutto sia fatto secondo la tua volontà e il tuo parere, ma non potrai che fare questa constatazione: bisogna sempre soffrire qualche cosa o per amore o per forza: vedi dunque che sempre troverai la croce. Difatti: ora dovrai patire qualche dolore nelle membra, ora dovrai subire qualche tribolazione di spirito nell’anima.

       4) Talvolta ti sentirai oppresso per l’abbandono di Dio; talvolta sarai tormentato dal prossimo, e, quel che è più, spesso tu stesso sarai di fastidio a te.

       E non potrai sollevarti un po’ o liberarti dal male con qualche rimedio o con qualche conforto, ma ti toccherà sopportare finché a Dio piacerà; poiché Dio vuole che tu impari a soffrire il dolore senza consolazione e che tu ti sottometta a lui senza riserva e che soffrendo tu diventi più umile.

       Nessuno partecipa con tanto cordoglio alla passione di Gesù, se non colui a cui sarà toccato di patire qualche cosa di simile a lui.

       La croce dunque è sempre pronta e ti aspetta dappertutto. Per quanto tu scappi via non potrai mai sfuggirle; anche perché, dovunque tu vada, per lo meno porterai appresso te e sempre troverai te stesso. Guarda pure in alto, guarda pure in basso, guarda pure fuori, guarda pure dentro... in ogni punto troverai sempre la croce. Ed è necessario che dappertutto tu porti pazienza se vuoi mantenere in te la pace e meritare l’immortale corona.

       5) Ma se tu la porti volentieri, la croce porterà te; e ti condurrà alla desiderata meta, ove, cioè, non c’è più da soffrire, anche se questo non sarà certo quaggiù.

       Se invece tu la porti con ripugnanza, la troverai più pesante e aggraverai di più la tua pena, mentre poi non risolvi niente, perché già, tanto, non puoi fare a meno di portarla. Se poi getti via una croce, ne troverai senza dubbio un’altra, e forse più gravosa.

 

 

venerdì 25 agosto 2023

La missione di Cristo diventa la vocazione di Pietro

 Rito Romano

XXI Domenica del Tempo Ordinario -  27 agosto 2023

Is 22,19-23; Sal 137; Rm 11,33-36; Mt 16,13-20

 

 

Rito Ambrosiano

1Mac 1, 10.41-42;2,29-38; Sal 118; Ef 6, 10-18; Mc 12, 13-17

Domenica che precede il Martirio di san Giovanni il Precursore

 

 

 

1) Tu sei il Cristo.

Nel Vangelo di oggi Gesù fa due domande agli Apostoli. 

La prima è: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” (Mt 16,13). Loro gli risposero che per alcuni Lui era Giovanni Battista, per altri Elia, Geremia o qualcuno dei profeti. 

La seconda è: “Ma, Voi chi dite che io sia?”  (Mt 16, 15)A nome di tutti i discepoli, Pietro professa la fede che resta quella della Chiesa di tutti i secoli: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Infatti, da quel giorno la Chiesa continua a ripetere questa solenne professione di fede. Anche noi quest’oggi siamo chiamati a lasciare che Dio parli ai nostri cuori come ha parlato a quelli degli apostoli. Se ascolteremo le parole evangeliche con fede perfetta e con amore perfetto capiremo il significato vero di queste parole: “Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio dell’uomo e di  Dio” e proclameremo con profonda convinzione: “Gesù, tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”(Id.). Lo facciamo con la consapevolezza che è Cristo il vero “tesoro”, la “perla” di valore inestimabile, per cui vale la pena di sacrificare tutto, come è stato ricordato la domenica XVII del Tempo Ordinario - del 30 luglio 2023. 

Lui è l’amico che non ci abbandona mai, perché è l’Emmanuele, il Dio sempre con noi che conosce le attese più intime del nostro cuore. Gesù è il “Figlio del Dio vivente”, il Messia promesso, venuto sulla terra per offrire all’umanità la salvezza e per soddisfare la sete di vita e di amore che abita nel cuore di ogni essere umano. Questa sete è sodisfatta dalla Misericordia divina che è sempre pronta a donarsi a chi si converte nel cuore e lo chieda alla Chiesa.

            Va dunque tenuto presente che Cristo non rivolge queste due domande ai discepoli per conoscere una o più opinioni su di Lui.  Non ha bisogno di sapere quello che gli uomini pensano di Lui.  Con questa duplice domanda Gesù chiede un atto di fede in Lui, cha come conseguenza la sequela. “Gesù non ha detto ‘Conoscimi!’ ha detto ‘Seguimi!’. Seguire Gesù con le nostre virtù e non ostante con i nostri peccati. L’importante è ma seguire sempre Gesù. Non è uno studio di cose che è necessario, ma è una vita di discepolo. Ci vuole un incontro quotidiano con il Signore, tutti i giorni, con le nostre vittorie e le nostre debolezze” (Papa Francesco).

Ovviamente, la domanda di Cristo non nasce da una crisi di identità, ma si offre come strada per portare i discepoli dentro il suo mistero di verità e di amore. La domanda del Messia è una vocazione a seguirlo. E questa sequela non si fonda sull’adesione ad una teoria, ma sulla solidità di una presenza, che è salda come la pietra. 

Cristo è la Pietra vivente, e Pietro è scelto come sua pietra. I due non si escludono. Cristo, Pietra angolare, chiama Pietro ad una assimilazione progressiva, a farsi sempre più discepolo e ad essere la Pietra apostolica, perché, non ostante la sua fragilità ed il suo peccato, ama il suo Signore più di tutti gli altri e deve confermarli in quella fede operosa che è l’amore. 

Per questo il Papa è colui che preside alla carità e conferma la nostra fede con il ministero della verità e della misericordia, e che usa le chiavi del Regno per riconciliare le persone con Dio e tra di loro. Le Chiavi consegnate a Pietro sono le chiavi della grazia, della misericordia, del perdono, della speranza e della gioia.

Facciamo nostra la risposta di Pietro che non ha risposto alle domande di Cristo con una teoria, ma con una professione di fede. Il problema non è interrogare Dio, ma lasciarci interrogare da Lui. Lui è e resta sempre un mistero; rispondergli, invece, costituisce l’avventura di essere uomini: l’avventura della sequela di Colui , che è Via, Verità e Vita.

            La fede è l’accoglienza di Lui, il seguire Lui, la comunione d’amore con Lui. E’ la redenzione nostra e del mondo. 

 

            2) Tu sei Pietro.

Alla confessione di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 16), Gesù replica: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli” (Mt 16, 18). 

La professione di fede di Pietro, l’umile pescatore di Galilea, è voce dei suoi condiscepoli e oggi indica a noi  la presenza divina e il luogo della salvezza per ogni uomo e donna della terra. Su questa “pietra” della fede si edifica la nuova comunità umana riconciliata e sposata con Dio.

E’ vero che la Chiesa è edificata dal Signore: “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa”, perché la Chiesa è puro dono di Dio, per accogliere e salvare tutti con tutti i limiti e gli errori dell’umanità ferita e peccatrice. 

E’ vero anche che sulla fede di Pietro Cristo fonda la sua Chiesa, con il potere di legare e di sciogliere, di perdonare e di santificare, con la missione di evangelizzare, di annunciare la buona notizia a tutto il mondo. La Chiesa è stabilita sulla comunione con Pietro e nell’obbedienza a Pietro. Consola e conforta sentire anche oggi la parola del Signore che sigilla questo disegno di Dio: “Le potenze degli inferi non prevarranno su di essa”. Dà forza poter camminare anche nel mondo di oggi, non con presunzione, ma con la certezza che a condurre la Chiesa è lo Spirito di Dio 

La parola Chiesa, in greco ekklésia,  significa “convocazione”, “assemblea” e indica il popolo che si riunisce convocato dalla Parola di Dio, e cerca di vivere il messaggio del Regno portato da Cristo. La Chiesa ha come missione quella di attuare il disegno grandioso di Dio: riunire in Cristo l’umanità intera in un’unica famiglia. 

La missione di Pietro, e dei suoi successori, è proprio quella di servire quest’unità dell’unica Chiesa di Dio formata da tutti i popoli di tutto il mondo. Il suo ministero indispensabile è far in modo che essa non si identifichi mai con una sola nazione, con una sola cultura, ma che sia la Chiesa di tutti i popoli, per rendere presente fra gli uomini, segnati da innumerevoli divisioni e contrasti, la pace di Dio e la forza rinnovatrice del suo amore. 

La missione peculiare del Papa, Vescovo di Roma e successore di Pietro, è di servire l’unità interiore che proviene dalla pace di Dio, l’unità di quanti in Gesù Cristo sono diventati fratelli e sorelle.

Uniti al Santo Padre, siamo tutti chiamati ad essere missionari di Cristo e testimoni del suo amore. La chiave che a noi tutti è data è quella della croce, che implica il dono di se stessi. In comunione con il Papa siamo chiamati a offrire - nella nostra vita, salvata e colma dell’amore di Dio - una pietra su cui ogni persona umana possa posare i suoi dolori, le incertezze e i dubbi.

“Beati” noi, scelti per annunciare il Vangelo: per questo, in ogni circostanza, il potere infinito dell'amore di Dio risplendente nella Gloria della sua risurrezione, ci terrà stretti alla sua Croce, chiave del regno di Dio.

            Cristo ha consegnato a Pietro le “chiavi” del Regno, chiamandolo ad essere crocifisso con Lui, a portare con Lui il suo giogo leggero e soave sulle spalle, per imparare l'umiltà e la mitezza con le quali “sciogliere” gli uomini dalla schiavitù al mondo, alla carne e al demonio, e “legarli” a Lui a Cristo in un'alleanza che non avrà mai fine.

Le vergini consacrate ne sono le testimoni speciali, perché, “legandosi” totalmente e solamente a Cristo, stanno abbracciate a Lui in croce. La virginità è la crocefissione di sé per donarsi a Dio, per inchiodarsi al suo amore abbracciando Cristo in Croce. La verginità non è riducibile a una rinuncia, non è una limitazione, ma un potenziamento dell’amore come dono che consacra la persona nell’Amore e trasforma l’amante nell’Amato. L’amore vissuto verginalmente è un amore crocifisso non perché è un amore mortificato, ma perché è un amore “sacrificato”, cioè reso sacro dal totale dono di se stessi a Dio.

 

Lettura patristica

Cipriano di Cartagine (ca 210 – 258)

De Eccl. unitate, 4-5

 


       Il Signore dice a Pietro: "Io ti dico: tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli: ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo, e cio che tu scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche in cielo (
Mt 16,18s). Su uno solo egli edifica la Chiesa, quantunque a tutti gli apostoli, dopo la sua risurrezione, abbia donato uguali poteri dicendo: "Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo! A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti" (Jn 20,21-23). Tuttavia, per manifestare l’unità, costituì una cattedra sola, e dispose con la sua parola autoritativa che il principio di questa unità derivasse da uno solo. Quello che era Pietro, certo, lo erano anche gli altri apostoli: egualmente partecipi all’onore e al potere; ma l’esordio procede dall’unità, affinché la fede di Cristo si dimostri unica. E a quest’unica Chiesa di Cristo allude lo Spirito Santo nel Cantico dei Cantici quando, nella persona del Signore, dice: "Unica è la colomba mia, la perfetta mia, unica di sua madre, la prediletta della sua genitrice" (Ct 6,9). Chi non conserva quest’unità della Chiesa, crede forse di conservare la fede? Chi si oppone e resiste alla Chiesa, confida forse di essere nella Chiesa? Eppure è anche il beato apostolo Paolo che lo insegna, e svela il sacro mistero dell’unità dicendo: "Un solo corpo e un solo spirito, una sola speranza della vostra vocazione un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio (Ep 4,4-6).



Innocenzo III (
1161 – 1216)

Sermo 21


       "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (
Mt 16,17)... che inabita le celesti menti e le illumina con la luce di verità. "Ha nascosto", infatti, "queste cose ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli" (Mt 11,25), quale è Pietro, non superbo, bensì umile. Perciò Simone viene benedetto, come dire dichiarato obbediente; figlio di Giona, ovvero di Giovanni, che si interpreta grazia di Dio; infatti la virtù dell’obbedienza procede dalla grazia divina.

       Tale beatitudine si sostanzia soprattutto di conoscenza e di amore, come dire di fede e di carità. Delle quali virtù, l’una è prima, l’altra è precipua... Entrambe, il Signore le richiese da Pietro: la fede, quando gli dette le chiavi; la carità, quando gli affidò il gregge (
Jn 21). Nella concessione delle chiavi, interrogando sulla fede, chiese: "Ma voi chi dite che io sia? E Pietro rispose: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo" (Mt 16,15-16). Nell’affidamento del gregge, esigendo la carità, chiese: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Ed egli rispose: Signore, tu sai che io ti amo" (Jn 21,15)...

       Quale e quanta fosse la fede di Pietro, lo indicò senza dubbio la sua risposta: "Tu sei" - egli disse - "il Cristo, il Figlio del Dio vivo. Infatti, con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione della fede per avere la salvezza" (
Rm 10,10). Egli confessa difatti in Cristo due nature e una persona. La natura umana, quando dice: "Tu sei il Cristo", che significa "unto", secondo l’umanità, come afferma di lui il Profeta: "Il tuo Dio ti ha unto con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali" (Ps 44,8). La natura divina, quando aggiunge: "Figlio del Dio vivo"...

       Quindi non "sei" soltanto Figlio dell’uomo, ma anche "Figlio di Dio": non morto, in ogni caso come gli dèi dei gentili... bensì "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo", che vive in sé e vivifica l’universo, "nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo" (
Ac 17,28). Una cotal fede il Signore non permise che subisse l’erosione di alcuna tentazione. Per cui, quando disse al beato Pietro, all’approssimarsi della Passione: "Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano", aggiunse subito: "Ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,31-32). Si può infatti ritenere che talvolta abbia dubitato, ragion per cui il Signore lo rimproverò: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" (Mt 14,31); tuttavia, poiché convalidò la solidità della sua fede, lo liberò all’istante dal pericolo pelagiano.

       Questa fede vera e santa, non procedette da formulazione umana, ma da rivelazione divina. Motivo per cui Cristo concluse: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre che sta nei cieli". Su questa fede quasi su pietra, è fondata la Chiesa; ecco perché il Signore aggiunse: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (
Mt 16,17-18). Questa dignità si esplicita in due modi, in quanto il beatissimo Pietro è nientemeno fondamento e insieme capo della Chiesa. In effetti, va detto che primo ed essenziale fondamento è Cristo, così come afferma l’Apostolo: "Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo" (1Co 3,11), esistono tuttavia fondamenta di second’ordine e secondari, ovvero gli apostoli e i profeti e, in merito a ciò, dice l’Apostolo: "Edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti" (Ep 2,20), dei quali altrove è detto per bocca del Profeta: "Le sue fondamenta sono sui monti santi" (Ps 86,1). Tra questi, il beatissimo Pietro è primo e precipuo.

 

mercoledì 16 agosto 2023

Un grido che chiede pietà e ottiene anche la gioia.

 Rito Romano

XX Domenica del Tempo Ordinario -  20 agosto 2023

Is 56,1.6-7; Sal 66; Rm 11,13-15.29-32; Mt 15,21-28

 

 

 

Rito Ambrosiano

1Re 19, 8b-16. 18a-b; Sal 17; 2Cor 12, 2-10b; Mt 10, 16-20

Domenica XI dopo Pentecoste

 

 

            1) Il grido della fede per invocare un dono non per pretenderlo.

Domenica scorsa, abbiamo meditato sulla preghiera filiale di Cristo, che esprime la sua esigenza di stare con il Padre, e sulla preghiera di Pietro che per stare con Cristo gli grida: “Signore, salvami”. Il Vangelo di oggi  ci fa ascoltare il grido di una donna pagana che - in modo supplice e fiducioso - si rivolge al Messia dicendo: “Pietà di me, Signore, figlio di Davide!”. Questa donna implora Cristo di liberare sua figlia dal demonio. Chiede umilmente al Signore di compiere un miracolo, ma non esige l’intervento divino come un diritto, lo aspetta come un dono. Lo domanda a Colui che è dono, riconoscendo in lui il Signore e Messia. La sua fede è tutta racchiusa nell’espressione: “Pietà di me, Signore, Figlio di Davide”.

            Ancora una volta la Liturgia ci fa contemplare il “Vangelo della Grazia” che risponde al desiderio di salvezza e per questo ci fa pregare: “Infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio” (Colletta).

Pregando in questo modo ci mettiamo nell’orizzonte sconfinato dell’amore di Dio per noi, amore che ci attira a Lui per colmarci di gioia.

L’episodio raccontato dal Vangelo di oggi s’inserisce e si comprende in questa logica dell’amore tenero ed infinito di Dio. In questi brano San Matteo ci racconta di un incontro che si svolge “in terra straniera” con una donna pagana, che è una madre oppressa da un dolore angosciante (“Mia figlia è molto tormentata da un demonio”). Questa madre ottenne quello che domandava. Il racconto evangelico di oggi ci racconta la storia di un dolore aperto alla fede e di una fede diventata miracolo e liberazione. 

La donna Cananea si rivolge a Gesù, sicura di essere esaudita. La sua fede è insistente, coraggiosa, umile, più forte dell’apparente rifiuto. La fede deve essere nel contempo sicura e paziente. Non deve lasciarsi scoraggiare nemmeno dal silenzio di Dio: “Non le rivolse neppure la parola”. Può sembrare sconcertante il silenzio di Gesù, tanto che suscita l’intervento dei discepoli, ma non si tratta di insensibilità al dolore di quella donna. 

Sant’Agostino commenta giustamente: “Cristo si mostrava indifferente verso di lei, non per rifiutarle la misericordia, ma per infiammarne il desiderio” (Sermo 77, 1: PL 38, 483). L’apparente presa di distanza di Gesù, che dice: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15, 24), non scoraggia la cananea, che insiste: “Signore, aiutami!” (Mt 15, 25). E anche quando riceve una risposta che sembra chiudere ogni speranza - “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” (Mt 15, 26) -, non desiste. Non vuole togliere nulla a nessuno: nella sua semplicità e umiltà le basta poco, le bastano le briciole, le basta solo uno sguardo, una buona parola del Figlio di Dio. E Gesù rimane ammirato per una risposta di fede così grande di questa madre e le dice: “Avvenga per te come desideri” (Mt 15, 28) e a partire da quell’istante sua figlia fu guarita.

 

 2) Domanda perseverante a chi ci ama.

La guarigione di una giovane donna non è il solo miracolo di cui parla il Vangelo oggi. Durante il dialogo tra Cristo e la donna Cananea, che mendica una grazia, è avvenuto un altro miracolo più grande della guarigione di sua figlia. Questa madre è diventata una “credente”, una delle prime credenti provenienti dal paganesimo.

 Se il Messia l’avesse ascoltata alla prima richiesta, tutto quello che questa donna avrebbe conseguito  sarebbe stata la liberazione della figlia. La vita sarebbe trascorsa con qualche fastidio in meno. Ma tutto sarebbe finito lì e, alla fine, madre e figlia sarebbero morte nell’anonimato. Invece così si parlerà di questa anonima donna pagana fino alla fine del mondo. E, forse, Gesù ha preso lo spunto proprio da questo incontro per proporre la parabola della vedova importuna sulla “necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”.

Nell'insistenza della donna cananea traspare la fiducia nel potere di Gesù. Lui cercava di starsene nascosto, ma la fama che lo accompagnava gli impediva un solo istante di tregua. Lui era lì per lei (e oggi Lui è qui per noi). E lei lo aveva capito. La sua presenza in quel territorio non ebreo, “nella zona di Tiro e di Sidone”, non poteva essere il frutto di un caso. Aveva intuito il tempo favorevole per la salvezza della figlia. Questa certezza la muove, la spinge sino a Gesù. La certezza della fede piena di speranza la getta ai piedi di Cristo che dice:  “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri” (Mt 15,28). Sì, questa donna ha una fede grandissima. “Pur non conoscendo né gli antichi profeti, né i recenti miracoli del Signore, né i suoi comandamenti né le sue promesse, anzi, respinta da lui, persevera nella sua domanda e non si stanca di bussare alla porta di colui che per fama gli era stato indicato come salvatore. Perciò la sua preghiera viene esaudita in modo visibile e immediato” (San Beda il Venerabile, Omelie sui Vangeli I, 22 : PL 94, 102-105).

La preghiera insistente di questa donna non nasce solamente dalla necessità di ottenere la guarigione della figlia, nasce dalla fede che non è il risultato di una teoria o di un bisogno ma di un incontro con Cristo il Figlio del “Dio vivente, che chiama e svela il suo amore” (Papa Francesco, Lumen Fidei, 4), con un gesto di misericordia. 

Inoltre, l’episodio, sul quale stiamo meditando, ci fa capire che nella preghiera di domanda al Signore non dobbiamo attenderci un compimento immediato di ciò che noi chiediamo, ma affidarci piuttosto a cuore di Cristo, cercando di interpretare le vicende della nostra vita nella prospettiva  del suo disegno di amore, spesso misterioso ai nostri occhi. Per questo, nella nostra preghiera, domanda, lode e ringraziamento dovrebbero fondersi assieme, anche quando ci sembra che Dio non risponda alle nostre concrete attese. L’abbandonarsi all’amore di Dio, che ci precede e ci accompagna sempre, è uno degli atteggiamenti di fondo del nostro dialogo con Lui.

Un esempio chiaro di questo atteggiamento è offerto dalla vergini consacrate, che sono chiamate a vivere in modo particolare il “servizio della preghiera”, come è detto durante il Rito di Consacrazione, quando viene consegnato loro il Libro delle Ore.

Inoltre con la piena donazione di sè stesse a Cristo, queste donne testimoniano che come chiedere, come pregare: prima che il dono (=grazia) sia concesso, esse aderiscono a Gesù, che nei suoi doni dona se stesso. Il Donatore è più prezioso del dono accordato; è il “Tesoro inestimabile”, la “Perla preziosa”; il dono del miracolo è concesso “in aggiunta” (cfr Mt 6,21 e 6,33). 

Queste consacrate testimoniano una cosa molto importante: prima che il dono venga concesso, è necessario aderire a Colui che dona: il donatore è più prezioso del dono. Anche per noi, quindi, al di là di ciò che Dio ci da quando lo invochiamo, il dono più grande che può darci è la sua amicizia, la sua presenza, il suo amore. Lui è il tesoro prezioso da chiedere e custodire sempre.

Non dimentichiamo infine il profondo legame tra l’amore a Dio e l’amore al prossimo che deve entrare anche nella nostra preghiera.  La nostra preghiera apre la porta a Dio, che ci insegna ad uscire costantemente da noi stessi per essere capaci di farci vicini agli altri, specialmente nei momenti di prova, per portare loro consolazione, speranza e luce. Il Signore Gesù ci conceda di essere capaci di una preghiera perseverante e intensa, per rafforzare il nostro rapporto personale con Dio Padre, allargare il nostro cuore alle necessità di chi ci sta accanto e sentire la bellezza di essere “figli nel Figlio” insieme con tante sorelle e fratelli.

 

 

Lettura Patristica

Erma (II secolo)

Il Pastore, Precetto IX

 

 Allontana da te ogni dubbio e non esitare, neppure un istante, a chiedere qualche grazia al Signore, dicendo fra te e te: Come è possibile che io possa chiedere e ottenere dal Signore, che ho tanto peccato contro di lui? Non pensare a ciò, ma rivolgiti a lui di tutto cuore e pregalo senza titubare; sperimenterai la sua grande misericordia. Dio non è come gli uomini che serbano rancore; egli dimentica le offese e ha compassione per la sua creatura .

       Tu dunque purifica prima il tuo cuore da tutte le vanità di questo mondo e da tutti i peccati che abbiamo menzionati, poi prega il Signore e tutto otterrai. Sarai esaudito in ogni tua preghiera, se chiederai senza titubare. Se invece esiterai in cuor tuo, non potrai conseguire nulla di ciò che chiedi. Chi, pregando Dio, dubita, è uno di quegli indecisi che nulla assolutamente ottengono; invece chi è perfetto nella fede, chiede tutto confidando nel Signore e tutto riceve, perché prega senza dubbio o titubanza. Ogni uomo indeciso e tiepido, se non farà penitenza, difficilmente avrà la vita.

       Purifica il tuo cuore da ogni traccia di dubbio, rivestiti di fede robusta, abbi la certezza che otterrai da Dio tutto ciò che domandi. Se poi avviene che, chiesta al Signore qualche grazia, egli tarda a esaudirti, non lasciarti prendere dallo scoraggiamento per il fatto di non aver ottenuto subito ciò che domandasti: certamente questo ritardo nell’ottenere la grazia chiesta o è una prova o è dovuto a qualche tuo fallo che ignori. Perciò non cessare di rivolgere a Dio la tua intima richiesta, e sarai esaudito, se invece ti scoraggi e cominci a diffidare, incolpa te stesso, e non colui che è disposto a concederti tutto.

       Guardati dal dubbio! È sciocco e nocivo e sradica molti dalla fede, anche se sono assai convinti e forti. Tale dubbio è fratello del demonio e produce tanto male tra i servi di Dio. Disprezzalo dunque e dominalo in tutto il tuo agire, corazzandoti con una fede santa e robusta, perché la fede tutto promette e tutto compie; il dubbio invece, poiché diffida di sé, fallisce in tutte le opere che intraprende.

       Vedi, dunque, che la fede viene dall’alto, dal Signore, e ha una grande potenza, mentre il dubbio è uno spirito terreno che viene dal diavolo, e non ha vera energia. Tu dunque servi alla fede, che ha vera efficacia, e tienti lontano dal dubbio che ne è privo. E così vivrai in Dio; e tutti coloro che ragionano così vivranno in Dio.

       

Lectura patristique
Saint Jean Chrysostome (344/354 - 407)
Homélie “Que le Christ soit annoncé”, 12-13, PG 51, 319-320


Une Cananéenne s'approcha de Jésus et se mit à le supplier à grands cris pour sa fille qui était possédée par le démon. Elle lui disait: Aie pitié de moi, Seigneur, ma fille est tourmentée par un démon (
Mt 15,22). Cette femme, une étrangère, une barbare, sans aucun lien avec la communauté juive, qu'était-elle sinon une chienne indigne d'obtenir ce qu'elle demandait? Il n'est pas bien, dit Jésus, de prendre le pain des enfants pour le donner aux chiens (Mt 15,26)! Pourtant, sa persévérance lui a mérité d'être exaucée. Celle qui n'était qu'une chienne, Jésus l'a élevée à la noblesse des petits enfants; bien plus, û l'a comblée d'éloges. Il lui dit en la renvoyant: Femme, ta foi est grande, que tout se fasse pour toi comme tu le veux (Mt 15,28)! Quand on entend le Christ dire: Ta foi est grande, on n'a pas à chercher d'autre preuve de la grandeur d'âme de cette femme. Vois comme elle a effacé son indignité par sa persévérance. Remarque également que nous obtenons davantage du Seigneur par notre prière que par la prière des autres.

Comme la femme poussait des cris, les disciples s'approchèrent de Jésus et lui dirent: Donne-lui satisfaction, car elle nous poursuit de ses cris (
Mt 15,23)! Mais il leur répondit: Je n'ai été envoyé qu'aux brebis perdues d'Israël (Mt 15,24). Alors la Cananéenne elle-même s'avança et lui cria encore: C'est vrai, Seigneur, mais justement les petits chiens mangent les miettes qui tombent de la table de leurs maîtres (Mt 15,27). Alors le Seigneur lui accorda aussitôt la faveur qu'elle désirait, en disant: Que tout se fasse pour toi comme tu le veux (Mt 15,28)!

Observe qu'après avoir opposé un refus aux disciples, le Seigneur accorde sa grâce à cette femme qui la lui demandait elle-même. <> D'abord elle n'avait obtenu aucune réponse à sa requête. Il a fallu qu'elle s'approche une, deux et trois fois, pour qu'il lui accorde la grâce désirée. A la fin, il a exaucé sa prière. Il nous a fait comprendre ainsi qu'en la faisant attendre, il n'avait pas l'intention de rejeter la Cananéenne, mais voulait nous donner à tous sa patience en exemple. 
<>

Forts désormais de tous ces enseignements du Seigneur, ne nous abandonnons pas au désespoir! Quand bien même nos péchés nous rendraient indignes d'obtenir sa grâce, sachons que nous pourrons la mériter par notre persévérance.

 

 

Patristic reading

Saint Augustino of Hippo (354 – 430)
Sermon XXVII. [LXXVII. Ben.]

 

On the words of the gospel, Mt 15,21 “Jesus went out thence, and withdrew into the parts of tyre and sidon. And behold, a Canaanitish woman,” etc.

1). This woman of Canaan, who has just now been brought before us in the lesson of the Gospel, shows us an example of humility, and the way of godliness; shows us how to rise from humility unto exaltation. Now she was, as it appears, not of the people of Israel, of whom came the Patriarchs, and Prophets, and the parents of the Lord Jesus Christ according to the flesh; of whom the Virgin Mary herself was, who was the Mother of Christ. This woman then was not of this people; but of the Gentiles. For, as we have heard, the Lord “departed into the coasts of Tyre and Sidon, and behold, a woman of Canaan came out of the same coasts,”1 and with the greatest earnestness begged of Him the mercy to heal her daughter, “who was grievously vexed with a devil.” Tyre and Sidon were not cities of the people of Israel, but of the Gentiles; though they bordered on that people. So then, as being eager to obtain mercy she cried out, and boldly knocked; and He made as though He heard her not,2 not to the end that mercy might be refused her, but that her desire might be enkindled; and not only that her desire might be enkindled, but that, as I have said before, her humility might be set forth. Therefore did she cry, while the Lord was as though He heard her not, but was ordering in silence what He was about to do. The disciples besought the Lord for her, and said, “Send her away; for she crieth after us.” And He said, “I am not sent, but unto the lost sheep of the house of Israel.”3

2. Here arises a question out of these words; “If He was not sent but unto the lost sheep of the house of Israel, how came we from among the Gentiles into Christ’s fold? What is the meaning of the so deep economy4 of this mystery, that whereas the Lord knew the purpose of His coming—that He might have a Church in all nations, He said that ‘He was not sent, but unto the lost sheep of the house of Israel’?” We understand then by this that it behoved Him to manifest His Bodily presence, His Birth, the exhibition of His miracles, and the power of His Resurrection, among that people: that so it had been ordained, so set forth from the beginning, so predicted, and so fulfilled; that Christ Jesus was to come to the nation of the Jews, to be seen and slain, and to gain from among them those whom He foreknew. For that people was not wholly condemned, but sifted. There was among them a great quantity of chaff, but there was also the hidden worth5 of the grain; there was among them that which was to be burnt, there was among them also that wherewith the barn was to be filled. For whence came the Apostles? whence came Peter? whence the rest?

3. Whence was Paul himself, who was first called Saul? That is, first proud, afterwards humble? For when he was Saul, his name was derived from Saul: now Saul was a proud king; and in his reign he persecuted the humble David.6 So when he who was afterwards Paul,7 was Saul, he was proud, at that time a persecutor of the innocent, at that time a waster of the Church. For he had received letters from the chief priests (burning as he was with zeal for the synagogue, and persecuting the Christian name), that he might show up whatever Christians he should find, to be punished.8 While he is on his way, while he is breathing out slaughter, while he is thirsting for blood, he is thrown to the ground by the voice of Christ from heaven the persecutor, he is raised up the preacher. In him was fulfilled that which is written in the Prophet, “I will wound and I will heal.”9 For that only in man cloth God wound, which lifteth itself up against God. He is no unkind10 physician who opens the swelling, who cuts, or cauterizes the corrupted part. He gives pain, it is true; but he only gives pain, that he may bring the patient on to health. He gives pain; but if he did not, he would do no good. Christ then by one word laid Saul low, and raised up Paul; that is, He laid low the proud, and raised up the humble. For what was the reason of his change of name, that whereas he was afore called Saul, he chose afterwards to be called Paul; but that he acknowledged in himself that the name of Saul when he was a persecutor, had been a name of pride? He chose therefore a humble name; to be called Paul, that is, the least. For Paul is, “the least.” Paul is nothing else but little. And now glorying in this name, and giving us a lesson11 of humility, he says, “I am the least of the Apostles.”12 Whence then, whence was he, but of the people of the Jews? Of them were the other Apostles, of them was Paul, of them were they whom the same Paul mentions, as having seen the Lord after His resurrection. For he says, “That He was seen of above five hundred brethren at once; of whom the greater part remain unto this present, but some are fallen asleep.”13

4. Of this people too, of the people of the Jews, were they, who when Peter was speaking, setting forth the Passion, and Resurrection, and Divinity of Christ (after that the Holy Ghost had been received, when all they on whom the Holy Ghost had come, spake with the tongues of all nations), being pricked in spirit as they heard him, sought counsel for their salvation, understanding as they did that they were guilty of the Blood of Christ; because they had crucified, and slain Him, in whose name though slain by, them they saw such great miracles wrought; and saw the presence of the Holy Ghost. And so seeking counsel they received for answer; “Repent, and be baptized every one of you, in the name of our Lord Jesus Christ, and your sins shall be forgiven you.”14 Who should despair of the forgiveness of his sins, when the crime of killing Christ was forgiven to those who were guilty of it? They were converted from among this people of the Jews; were converted, and baptized. They came to the Lord’s table, and in faith drank that Blood, which in their fury they had shed. Now in what sort they were converted, how decidedly,15 and how perfectly, the Acts of the Apostles show. “For they sold all that they possessed, and laid the prices of their things at the Apostles’ feet; and distribution was made unto every man according as he had need; and no man said that ought was his own, but they had all things common.”16 And, “They were,” as it is written, “of one heart and of one soul.” Lo here are the sheep of whom He said, “I am not sent but unto the lost sheep of the house of Israel.” For to them He exhibited His Presence, for them in the midst of their violence against Him He prayed as He was being crucified, “Father, forgive them, for they know not what they do.”17 The Physician understood how those frenzied men were in their madness putting the Physician to death, and in putting their Physician to death, though they knew it not, were preparing a medicine for themselves. For by the Lord so put to death are all we cured, by His Blood redeemed, by the Bread of His Body delivered from famine. This Presence then did Christ exhibit to the Jews. And so He said, “I am not sent, but unto the lost sheep of the house of Israel;” that to them He might exhibit the Presence of His body; not that He might disregard, and pass over the sheep which He had among the Gentiles.

5. For to the Gentiles He went not Himself, but sent His disciples. And in this was fulfilled what the Prophet said; “A people whom I have not known hath served Me.” See how deep, how clear, how express the prophecy is; “a people whom I have not known,” that is, to whom I have not exhibited My Presence, “hath served Me.” How? It goes on to say, “By the hearing of the ear they have obeyed Me:”18 that is, they have believed, not by seeing, but by hearing. Therefore have the Gentiles the greater praise. For the others saw and slew Him; the Gentiles heard and believed. Now it was to call and gather together the Gentiles, that that might be fulfilled which we have just now chanted, “Gather us from among the Gentiles, that we may confess to Thy Name, and glory in Thy praise,”19 that the Apostle Paul was sent. He, the least, made great, not by himself, but by Him whom he once persecuted, was sent to the Gentiles,20 from a robber become a shepherd, from a wolf a sheep. He, the least Apostle, was sent to the Gentiles, and laboured much among the Gentiles, and through him the Gentiles believed. His Epistles are the witnesses.

6. Of this you have a very sacred figure in the Gospel also. A daughter of a ruler of the synagogue was really dead, and her father besought the Lord, that He would go to her; he had left her sick, and in extreme danger.21 The Lord set out to visit and heal the sick; in the mean time it was announced that she was dead, and it was told the father; “Thy daughter is dead, trouble not the Master.” But the Lord who knew that He could raise the dead, did not deprive the despairing father of hope, and said to him,” Fear not: only believe.” So he set out to the maiden; and in the way a certain woman, who had suffered from an issue of blood, and in her lengthened illness had spent to no purpose all that she had upon physicians, pressed herself in, how she could, amongst the crowds. When she touched the border of His garment, she was made whole. And the Lord said, “Who touched Me?” The disciples who knew not what had taken place, and saw that He was thronged by the multitudes, and that He was troubling Himself about one single woman who had touched Him gently, answered in astonishment, “The multitudes press Thee, and sayest Thou, Who touched Me? And He said, Somebody hath touched Me? for the other press, she hath touched. The many22 then rudely23 press the Body of Christ, few touch it healthfully. “Somebody,” saith He, “hath touched Me, for I perceive that virtue is gone out of Me. And when the woman saw that she was not hid, she fell down at His feet,” and confessed what had taken place. After this He set out again, and arrived whither He was going, and raised to life the young daughter of the ruler of the synagogue who was found to be dead.

7. This was a literal fact, and was fulfilled as it is related i but nevertheless these very things which were done by the Lord had some further signification, being (if we may so say) a sort of visible and significative words. And this is especially plain, in that place where He sought fruit on the tree out of season, and because He found none, dried up the tree by His curse.24 Unless this action be regarded as a figure, there is no good meaning in it; first to have sought fruit on that tree when it was not the season for fruit on any tree; and then even if it were now the time of fruit, what fault in the tree was it to have none? But because it signified, that He seeketh not for leaves only, but for fruit also, that is, not for the words only, but for the deeds of men, by drying up that tree whereon he found only leaves, he signified their punishment who can speak good things, but will not do them. And so it is in this place also. For surely there is a mystery in it. He who foreknoweth all things saith, “Who touched Me?” The Creator maketh Himself like one who is ignorant; and He asketh, who not only knew this, but who even foreknew all other things. Doubtless there is something which Christ would speak to us in this significant mystery.

8. That daughter of the ruler of the synagogue was a figure of the people of the Jews, for whose sake Christ had come, who said, “I am not sent but unto the lost sheep of the house of Israel.” But the woman who suffered from the issue of blood, figured the Church from among the Gentiles, to which Christ was not sent in His bodily presence. He was going to the former, He was intent on her recovery; meanwhile the latter runs to meet Him, touches His border as though He knew it not; that is, she is healed by Him who is in some sense absent. He saith, “Who touched Me?” as though He would say; I do not know this people; “A people whom I have not known hath served Me. Some one hath touched Me. For I perceive that virtue is gone out of Me;” that is, that My Gospel hath gone out and filled the whole world. Now it is the border that is touched, a small and outside25 part of the garment. Consider the Apostles as it were the garment of Christ. Among them Paul was the border; that is, the last and least. For he said of himself that he was both; “I am the least of the Apostles.”26 For he was called after them all, he believed after them all, he healed more than they all. The Lord was not sent but “unto the lost sheep of the house of Israel.” But because a “people whom He had not known, was also to serve Him, and to obey Him in the hearing of the ear,” He made mention of them too when He was among the others. For the same Lord said in a certain place, “Other sheep I have which are not of this fold; them also I must bring, that there may be one fold and one shepherd.”27

9. Of these was this woman; therefore she was not refused, but only put off. “I am not sent,” saith He, “but unto the lost sheep of the house of Israel.” And she was instant in her cries: she persevered, she knocked, as if she had already heard, “Ask, and receive; seek, and thou shall find; knock, and it shall be opened unto thee.” She kept on, she knocked. For so the Lord when He spake these words, “Ask, and ye shall receive; seek, and ye shall find; knock, and it shall be opened unto you;”28 had also said before, “Give not that which is holy unto the dogs, neither cast ye your pearls before swine, lest they trample them under their feet, and turn again and rend you;”29 that is, lest after despising your pearls, they should even ill use you.30 Cast not therefore before them what they despise.

10. And how distinguish we (as might be answered) who are “swine,” and who are “dogs”? This has been shown in the case of this woman. For He only answered to her entreaties, “It is not meet to take the children’s bread, and to cast it to dogs.”31 Thou art a dog, thou art one of the Gentiles, thou worshippest idols. But for dogs what is so proper32 as to lick stones? “It is not” therefore “meet to take the children’s bread, and to cast it to dogs.” Had she retired after these words, she had gone away as she had come, a dog; but by knocking she was made of a dog one of human kind.33 For she persevered in asking, and from that reproach as it were she manifested her humility, and obtained mercy. For she was not excited, nor incensed, because she was called a dog, as she asked the blessing, and prayed for mercy, but she said, “Truth, Lord;”34 “Thou hast called me a dog, and truly a dog I am, I acknowledge my name: it is the Truth that speaks: but I ought not on that account to be refused this blessing. Verily I am a dog; ‘yet the dogs eat of the crumbs which fall from their masters’ table.’ It is but a moderate and a small blessing I desire; I do not press to the table, I only seek for the crumbs.”

11. See, Brethren, how the value of humility is set before us! The Lord had called her a dog; and she did not say, “I am not,” but she said, “I am.” And because she acknowledged herself to be a dog, immediately the Lord said, “Woman, great is thy faith; be it unto thee even as thou hast asked.”35 Thou hast acknowledged thyself to be a dog, I now acknowledge thee to be of human kind. “O woman, great is thy faith;” thou hast asked, and sought, and knocked; receive, find, be it opened unto thee. See, Brethren, how in this woman who was a Canaanite, that is, who came from among the Gentiles, and was a type, that is a figure, of the Church, the grace of humility has been eminently set before us. For the Jewish nation, to the end that it might be deprived of the grace of the Gospel, was puffed up with pride, because to them it had been vouchsafed36 to receive the Law, because out of this nation the Patriarchs had proceeded, the Prophets had sprung, Moses, the servant of God, had done the great miracles in Egypt which we have heard of in the Psalm,37 had led the people through the Red Sea, when the waters retired, and had received the Law, which he gave to this people. This was that whereupon the Jewish nation was lifted up, and through this very pride it happened that they were not willing to humble themselves to Christ the author of humility, and the restrainer of proud swelling, to God the Physician, who, being God, for this cause became Man, that man might know himself to be but man. O mighty remedy! If this remedy cure not pride, I know not what can cure it. He is God, and is made Man; He lays aside His Divinity, that is, in a manner sequestrates,38 hides, that is, what was His Own, and appears only in that He had taken to Him. Being God He is made man: and man will not acknowledge himself to be man, that is, will not acknowledge himself to be mortal, will not acknowledge himself to be frail, will not acknowledge himself to be a sinner, will not acknowledge himself to be sick, that so at least as sick he may seek the physician; but what is more perilous still, he fancies himself in sound health.

12. So then for this reason that people did not come to Him, that is by reason of pride; and the natural branches are said to be broken off from the olive tree, that is from that people founded39 by the Patriarchs; in other words, the Jews are for their punishment justly barren through the spirit of pride; and the wild olive is grafted into that olive tree. The wild olive tree is the people of the Gentiles. So says the Apostle, “that the wild olive tree is grafted into the good olive tree, but the natural branches are broken off.”40 Because of pride they were broken off: and the wild olive tree grafted in because of humility. This humility did the woman show forth when she said, “Truth, Lord,” “I am a dog, I desire only the crumbs.” In this humility also did the Centurion please Him; who when he desired that his servant might be healed by the Lord, and the Lord said, “I will come and heal him,” answered, “Lord, I am not worthy that Thou shouldest come under my roof, but speak the word only, and my servant shall be healed. I am not worthy that Thou shouldest come under my roof.”41 He did not receive Him into his house, but he had received Him already in his heart. The more humble, the more capacious, and the more full. For the hills drive back the water, but the valleys are filled by it. And what then, what said the Lord to those who followed Him after that he had said,” I am notworthy that Thou shouldest come under my roof”? “Verily I say unto you, I have not found so great faith, no, not in Israel;” that is, in that people to whom I came, “I have not found so great faith.” And whence great? Great from being the least, that is, great from humility. “I have not found so great faith;” like a grain of mustard seed, which by how much smaller it is, by so much the more burning is it. Therefore did the Lord at once graft the wild olive into the good olive tree. He did it then when He said, “Verily I say unto you, I have not found so great faith, no, not in Israel.”


Mt 15,21 etc.
Dissimulabatur ab ea.
Mt 15,23-24
Dispensatio.
Dignitas.
S 18,29 
1Co 1,1 
8 Ac 9,1, etc.
9 (
Dt 32,39 
10 Impius.
11 Commendans.
12 
1Co 15,9 
13 
1Co 15,6 
14 
Ac 2,38 
15 Planè.
16 Ac 4,32, etc.
17 
Lc 23,34.
18 
Ps 17,44-45 (xviii. 43, 44, English version).
19 
Ps 106,47 
20 
Ac 9,15 
21 
Lc 8,41 etc.
22 Serm. 12,(lxii). 5 (4).
23 Molesti.
24 Mc 11,13, etc.
25 Extrema.
26 
1Co 15,9 
27 
Jn 10,16 
28 
Mt 7,7 
29 
Mt 7,6 
30 Molesti.
31 
Mt 15,26 
32 Familiare.
33 Homo.
34 
Mt 15,27 
35 
Mt 15,28 
36 Meruisset.
37 
Ps 106
38 Sequestrat.
39 Creato.
40 
Rm 11,17 etc.
41 
Mt 8,7 etc.