venerdì 29 gennaio 2016

La Parola parla oggi

Rito Romano
IV Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 31 gennaio 2016
Ger 1,4-5.17-19; Sal 70; 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30

Rito Ambrosiano
Santa Famiglia di Nazareth
Sir 44,25-45,1c.2-5; Sal 111; Ef 5,33-6,4; Mt 2,19-23


1) La parola realizzata, ascoltata e accolta.
La frase finale del Vangelo di domenica scorsa è ripresa come prima frase di quello di questa domenica. Essa suona letteralmente così: “Oggi si è compiuta questa Scrittura nei vostri orecchi” (Lc 4, 21).
Da chi sono compiute le parole di Isaia? Da Cristo, dal Figlio di Dio che si è fatto come noi per farci come Lui, per salvarci riconciliandoci con Dio, perché noi così conoscessimo l'amore di Dio, per essere nostro modello di santità, perché diventassimo ‘partecipi della natura divina’ (2 Pt 1,4) (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn 456 – 460)
Dove?
Negli orecchi e a Nazareth.
Negli orecchi per insegnare che la parola si compie in chi la ascolta, per capirla e metterla in pratica. Perché “sempre la fede nasce dall’ascolto della Parola di Dio – un ascolto naturalmente non solo dei sensi, ma che dai sensi passa alla mente ed al cuore” (Benedetto XVI, 10.11. 2012). “L’ascolto di Gesù fa forte la nostra fede” (Francesco, 6.09. 2015), la cui misura è l’amore.
A Nazareth, cioè nel quotidiano dove Cristo è cresciuto in grazia e sapienza, dove per trent’anni ha condotto una vita così normale che tutti i compaesani pensavano che Lui fosse il normale figlio di un normale falegname. Il Dio che si è fatto uomo vi condusse una vita da uomo, trent'anni di vita ordinaria.
Quando? Oggi. Nel Vangelo di San Luca, il termine “oggi” non indica solo una precisazione temporale, ma è sempre collocato in un contesto di salvezza che si sta realizzando L’“oggi” evangelico è l’“oggi” di Dio, del suo amore, della sua misericordia. È il rivivere fino in fondo anche le stupefacenti parole di Gesù: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19, 5) e “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli (Zaccheo) è figlio di Abramo” (Lc 19, 10). La salvezza è oggi non è un “dopo”, quando saremo più buoni e più bravi. Basta il nostro dolore di peccatori pentiti per essere confermati nel suo amore. Lui bussa oggi, noi non dobbiamo aspettare domani: il Cristo è venuto in questo mondo perché “tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Ed è di questo “Amore Misericordioso” che il nostro oggi ha bisogno, come Papa Francesco ci ricorda molto spesso.
Dunque, oggi, a Nazareth, nella sinagoga del nostro cuore Gesù si presenta come profeta nuovo, perché non è uno che annuncia cose future, ma il liberatore che realizza le parole di Dio, oggi. Si presenta come colui, che porta a compimento l’antica speranza contenuta nella profezia di Isaia: grazie a Lui la liberazione degli oppressi e la buona notizia per i poveri, la guarigione dei ciechi e il perdono dei peccatori sono finalmente una realtà, oggi.
Se mi si chiedesse di sintetizzare in poche parole questo primo paragrafo, direi che la parola è eterna, quindi vale sempre, ma si realizza nel presente, si realizza nella misura in cui oggi la ascoltiamo con le orecchie e l’accogliamo con l’intelligenza e il cuore.




2) Come lasciarsi sorprendere dalla verità.
La seconda frase del Vangelo di oggi dice: “Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?” (Lc 4, 22). Se ci riallacciamo alla prima frase: “Oggi si è compiuta questa Parola nei vostri orecchi” (Ibid. 4, 21), dobbiamo notare che Gesù non fa lunghi commenti alle parole di Isaia, ma dice che in queste parole del profeta c’è il suo programma per un mondo redento, dove non ci sono più disperati, poveri, ciechi e oppressi. La Sua strada è per la pienezza dell’umano, e tutti nella Sinagoga di Nazareth capiscono queste parole nuove, parole di grazie che fanno bene. Ma la sorpresa e l’entusiasmo passano velocemente. La conoscenza che gli abitanti di Nazareth avevano del loro compaesano cresciuto in mezzo a loro in modo “ordinario” ha soffocato la sorpresa e lo stupore per le sue parole nuove e di grazie. La consuetudine di trent’anni di vita normale ha ucciso la sorpresa dell’incontro. La vita si spegne quando la mente e il cuore e non sono aperti al nuovo, non vivendo nell’attesa del nuovo che viene sotto le “apparenze” del quotidiano. La vita si spegne quando muoiono le attese. Se non si vive nell’attesa orante l’abitudine spegne il mistero e la sorpresa, e l’altro invece di essere il Cielo sulla terra, la Benedizione di Dio che cammina sulla terra, è “solamente” il figlio di Giuseppe, il falegname.
Ciò che può sembrare un grande sogno, una irrealizzabile utopia, in Cristo si realizza e così
- da ciechi che eravamo diventiamo persone che ci vedono, cioè persone che vengono alla luce vera,
- da schiavi che eravamo, diventiamo liberi perché conosciamo la verità dell’amore,
- da oppressi dal giogo del nostro male siamo liberati dalla misericordia.
L’attesa del Salvatore permette lo stupore dell’incontro ed evita il rifiuto di Cristo perché non si scandalizza che la Parola, il disegno di Dio si realizzi nella carne di quell’uomo, che sembra un uomo qualunque, invece è l’Uomo vero, il Dio vero, il Fratello dell’uomo.
Come non ricordare le parole del vecchio Simeone che accolse Gesù bambino nel tempio e cantò: “Lui (Cristo) è luce per illuminare le genti, ma anche segno di contraddizione” (cfr. Lc 2, 32.34, segno di Dio che suscita stupore, contestazione e rifiuto.
Certo, c’è uno scarto tra quello stupore e quella meraviglia e le attese che loro (i compaesani di Gesù) avevano e che noi oggi abbiamo. Come superare questo scarto? Con il discernimento e con la docilità, suggerisce Papa Francesco, che insegna “la parola di Dio viene da noi e anche illumina lo stato del nostro cuore, della nostra anima”: in una parola, “discerne”, e poi prosegue affermando che l’ “atteggiamento che noi dobbiamo avere davanti a Cristo, Parola di Dio, è la docilità”. Si tratta di “essere docili alla parola di Dio. La parola di Dio è viva. E perciò viene e dice quello che vuol dire: non quello che io aspetto che dica o quello che io spero che dica o quello che io voglio che dica”. La parola di Dio “è libera”. Ed è “anche sorpresa, perché il nostro Dio è il Dio delle sorprese: viene e fa le cose nuove sempre. È novità. Il Vangelo è novità. La rivelazione è novità” “Il nostro Dio prosegue il Papa - è un Dio che sempre fa le cose nuove. E chiede da noi questa docilità alla sua novità”. Quindi “Dio deve essere ricevuto con questa apertura alla novità”. E questo atteggiamento “si chiama docilità” (20 gennaio 2014).
Se al posto dell’attesa vissuta con docilità e discernimento, abbiamo la pretesa, non solo non si riconosce Cristo ma ci si arrabbia, come successe ai nazaretani. Gesù è pieno di Spirito, di vita e di amore, i suoi compaesani passarono dallo stupore alla collera e d’ira, che è lo spirito di morte. Lo scacciarono fuori dalla città e lo condussero sul monte. Volevano ucciderlo precipitandolo dal monte, ma Lui, passando in mezzo a loro, camminava1.
E’ importante avere la “docilità”2 perché non è un sinonimo di “debolezza”. Si tratta invece di un atteggiamento legato alla prudenza3. Ed è importante avere un “cuore4 docile”, cioè “una coscienza che sa ascoltare, che è sensibile alla voce della verità, e per questo è capace di discernere il bene dal male” (Benedetto XVI). In ciò le Vergini Consacrate nel mondo ci sono di esempio significativo perché con “discernimento” hanno risposto alla vocazione di Dio che le chiama ad essere spose di Cristo. Queste donne con umiltà e semplicità gli hanno offerto il loro “cuore”. Le vergini consacrate testimoniano che la docilità non le ha trasformate in persone inutili, dipendenti, influenzabili, senza carattere e capacità decisionali. In effetti “la docilità a Cristo nello Spirito Santo è la strada della santità” (P. Louis Lallement, SJ5) percorsa da donne adulte che seguono Cristo Sposo “docile” Agnello immolato per la salvezza del mondo. Essere docili e mansueti come Cristo vuol dire partecipare attivamente alla sua passione.
Cristo fu “docilmente” forte per prendere su di sé la Croce pesante per i nostri peccati. Le Vergini sono “docilmente” forti per seguire il Redentore e stare salde accanto alla Croce, come ha fatto la Vergine Maria.
Per essere docili nello Spirito occorre vivere con la Vergine Maria anche la sua purezza, e tutta l’anima nostra sarà data a Cristo solo; non soltanto una verginità fisica, ma una verginità anche spirituale che rifiuta ogni pensiero, ricordo e affetto che non sia per lui; tutto l’essere della persona consacrata si consuma in un atto di amore che la unisce al suo Sposo divino. E non solamente la purezza e la semplicità, ma anche l’umiltà e la docilità.

1 Traduco alla lettera il Vangelo in greco che usa ἐπορεύετο da πορεύομαι, che vuol dire “camminare” anche se la traduzione liturgica dice: “se ne andò”. “Camminava” è diverso. “Andarsene” può essere capito come: “Vi abbandono”. “Camminare”, invece, vuol dire che niente ferma Gesù, Lui prosegue la sua missione d’amore. Non lo fermerà la morte. Non lo fermerà nessuno. Lui sa attendere, sa camminare, sa cercarci come il Buon Pastore che ricerca la pecora smarrita.


2 La docilità è nei bambini la naturale disposizione a lasciarsi guidare, a seguire con fiducia, anche se con qualche ineluttabile riluttanza, le indicazioni dei genitori. La ragione profonda della docilità infantile non è la paura dei genitori o l’assoluta necessità della loro benevolenza, come garanzia per la propria sopravvivenza, ma la naturale fiducia nei loro confronti.


3 San Tommaso d’Aquino dice che la qualità più importante per avere un giudizio giusto di coscienza, dal momento che la realtà della vita è complessa e che siamo oscurati dalle passioni, è la docilità (S. Th. II-II. q. 49, a. 3).


4 Sappiamo che il “cuore” nella Bibbia non indica solo una parte del corpo, ma il centro della persona, la sede delle sue intenzioni e dei suoi giudizi. Potremmo dire: la coscienza.



5 E’ autore classico di spiritualità cristiana. Nacque il 1° novembre 1588 a Châlons sur Marne nella Champagne. Fino da piccolo fu messo nel collegio dei Gesuiti a Bourges; a 17 anni fu novizio della Compagnia; a 33 vi fece la professione religiosa. Successivamente, in diversi luoghi, insegna matematica, filosofia, teologia, morale, scolastica. Morì il 5 aprile 1635 a Bourges (Francia).
Un suo confratello, il P. Champion, SJ, ha lasciato due ritratti di P. Louis Lallemant, SJ, l’uno fisico e l’altro spirituale, che meritano di essere qui ricordati. “Una figura alta, maestosa nel portamento; aveva la fronte ampia e serena, il pelo e i capelli castani, la testa già calva, il volto ovale e ben modellato, il colorito lievemente abbronzato, le guance di solito accese dal riflesso del fuoco celeste che gli ardeva in cuore; gli occhi d’una dolcezza incantevole rivelavano la fermezza del suo giudizio e la perfetta uguaglianza del suo carattere…”. “Una mente egregia, aperta a tutte le scienze; una forza di giudizio penetrante e ferma; un’indole dolce, sincera e dignitosa; disgusto istintivo e grandissimo per il vizio, massime per quello impuro; un’alta idea del servizio di Dio e una inclinazione specialissima per la vita interiore…”.


Lettura Patristica
Sant’Ambrogio di Milano
In Luc., 4, 46 s.


L’invidia nemica della misericordia

       "In verità vi dico che nessun profeta è accetto in patria sua" (Lc 4,24). L’invidia non si manifesta mai per metà: dimentica dell’amore tra concittadini, fa diventare motivi di odio anche le naturali ragioni di affetto. Ma con questo esempio, e con queste parole, si vuol indicare che invano tu potresti attendere la grazia della misericordia celeste, se nutri invidia per la virtù degli altri; Dio, infatti, disprezza gli invidiosi e allontana le meraviglie del suo potere da coloro che disprezzano, negli altri, i doni suoi. Le azioni del Signore nella sua carne, sono espressione della sua divinità, e le sue cose invisibili ci vengono mostrate attraverso quelle visibili.

       Non a caso il Signore si scusa di non aver operato in patria i miracoli propri della sua potenza, allo scopo che nessuno di noi pensi che l’amor di patria debba essere considerato cosa di poco conto. Non poteva infatti non amare i suoi concittadini, egli che amava tutti gli uomini: sono stati essi che, con il loro odio, hanno rinunziato a quest’amore per la loro patria. Infatti l’amore "non è invidioso, non si gonfia d’orgoglio" (1Co 13,4). E, tuttavia, questa patria non è priva dei benefici di Dio: quale miracolo più grande infatti avvenne in essa della nascita di Cristo? Vedi dunque quali danni procura l’odio: a causa di esso vien giudicata indegna la patria, nella quale egli poteva operare come cittadino, dopo che era stata trovata degna di vederlo nascere nel suo seno come Figlio di Dio...

       "C’erano molti lebbrosi al tempo del profeta Eliseo, e nessuno di essi fu mondato, ma solo il siro Naaman" (Lc 4,27).

       È chiaro che questa parola del Signore e Salvatore ci spinge e ci esorta allo zelo di venerare Dio, poiché egli mostra che nessuno è guarito ed è stato liberato dalla malattia che macchia la sua carne, se non ha cercato la salute con desiderio religioso; infatti i doni di Dio non vengono dati a coloro che dormono, ma a coloro che vegliano...

       Perché il Profeta non curava i suoi fratelli e concittadini, non guariva i suoi, mentre guariva gli stranieri, coloro che non praticavano la legge e non avevano comunanza di religione, se non perché la guarigione dipende dalla volontà, non dalla nazione cui uno appartiene, e perché il beneficio divino si concede a chi lo desidera e l’invoca, e non per diritto di nascita? Impara quindi a pregare per ciò che desideri ottenere: il beneficio dei doni celesti non tocca in sorte agli indifferenti.


venerdì 22 gennaio 2016

Parola di liberazione, piena di misericordia.

Rito Romano
III Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 24 gennaio 2016
Ne 8,2-4.5-6.8-10; Sal 18; 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21


Rito Ambrosiano
III Domenica dopo l’Epifania
Nm 13, 1-2. 17-27; Sal 104; 2Cor 9, 7-14; Mt 15, 32-38


1) L’Oggi di Gesù: l’Oggi della misericordia.
Oggi la Liturgia ci fa ascoltare due brani del Vangelo di san Luca.
Il primo (Lc 1,1-4) è la frase con cui in modo sintetico san Luca informa Teofilo (che vuol dire l’amato da Dio e l’amico di Dio) di aver scritto con cura il suo Vangelo per raccontare quello che Gesù ha detto e fatto.
Il secondo (Lc 4,14-21) propone la narrazione dell’inizio del ministero pubblico di Gesù. Nel Vangelo di Luca questo discorso “programmatico” di Gesù ha la stessa funzione del Discorso della Montagna in Matteo: è la nuova Magna Charta del Cristianesimo, affidata a Teofilo, quindi a ciascuno di noi, chiamati ad ascoltare la Parola del Signore, ad essere suoi amici e a testimoniare l’amore misericordioso di Dio verso ogni uomo.
Oggi, risuona in Chiesa, durante la Messa, il commento alla profezia di Isaia che Gesù fece circa due millenni fa nella sinagoga di Nazareth: “Oggi si sono compiute le parole di questo libro che voi avete udito con i vostri orecchi” (Lc 4, 21). Immedesimiamoci nella scena, entrando anche noi nella Sinagoga di Nazareth, così possiamo assistere spiritualmente ad un fatto storico di importanza capitale. Il Messia si alza, prende nelle sue mani il rotolo di Isaia e trova subito il passo, dove è scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me…”. Terminata la lettura di questo brano del profeta Isaia, Gesù si siede (vale a dire si mette in cattedra come Maestro) e in un silenzio carico di attesa insegna: “Oggi questa Scrittura si è compiuta”. Anche noi, come i suoi concittadini, restiamo stupefatti dalla conclusione che Cristo ricava da questa profezia di Isaia e credo che sia lecito immaginare che quando Gesù disse: “Oggi …”(che ho citato poco sopra), Lui abbia indicato con l’indice della mano la sua persona. Lui è il compimento di tutte le Scritture. La sua presenza fra gli uomini dà inizio all’anno di grazia. Da quel momento in poi i segni della misericordia e della vicinanza di Dio accanto a chi è povero, cieco e prigioniero, cioè a tutti quelli che sono nel bisogno, saranno sempre più evidenti.
San Cirillo d’Alessandria afferma che “l’oggi”, posto tra la prima e l’ultima venuta di Cristo, è legato alla capacità del credente di ascoltare e ravvedersi (cfr PG 69, 1241). Ma, in un senso ancora più radicale, è Gesù stesso “l’oggi” della salvezza nella storia, perché porta a compimento la pienezza della redenzione. Il termine “oggi” è molto caro a san Luca (cfr. 19,9; 23,43) per insegnare che Gesù è il salvatore. Già nei racconti dell’infanzia, questo Evangelista narra le parole dell’angelo ai pastori: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore” (Lc 2,11). “Prima di parlare di Dio e con Dio, occorre ascoltarlo, e la liturgia della Chiesa è la “scuola” di questo ascolto del Signore che ci parla. Infine, ci dice che ogni momento può divenire un “oggi” favorevole per la nostra conversione. Ogni giorno può diventare l’oggi salvifico, perché la salvezza è storia che continua per la Chiesa e per ciascun discepolo di Cristo. Questo è il senso cristiano del carpe diem” (Benedetto XVI), che paganamente è il tentativo di attaccarsi all’attimo fuggente e che cristianamente è il cogliere l’oggi in cui Dio ci chiama per donarci la salvezza.
Chiediamo a Maria, Madre della Misericordia, la grazia di riconoscere e accogliere, in ogni giorno della nostra vita, la presenza di Dio, Salvatore nostro e di tutta l’umanità. Questo sarà per noi come ricevere una nuova evangelizzazione. In quest’Anno Santo della misericordia Papa Francesco ci invita a ricercare l’oggi di Dio, del suo amore, della sua misericordia per ogni uomo, si tratta di vivere il tempo della grazia ( nel Vangelo in greco kairós), il tempo opportuno dell’incontro con Dio che cerca i suoi figli, che li insegue per donare loro tutto il suo amore di Padre, quasi non potesse essere felice senza di loro. Nel linguaggio biblico, kairós indica proprio la qualità positiva del tempo, è il momento favorevole e propizio, quello scelto da Dio per manifestare la sua misericordia.


2) L’Oggi degli evangelizzatori di misericordia.
Al giorno d’oggi, risuona per noi e in noi l’annuncio della lieta notizia che Dio è Amore Misericordioso, buono, affettuoso sollecito. Essendo Padre, ama stare con i suoi figli e il suo amore non viene mai meno: è “misericordioso”, poiché la caratteristica della bontà di Dio è di “donare i suoi benefici a coloro che egli ama”.
Accogliere l’Amore Misericordioso portato da Gesù vuol dire, allora, aderire ad un “mondo nuovo”, in cui viviamo nella Misericordia un rapporto filiale con Dio e fraterno tra di noi. Dio è diventato uno di noi, affinché noi potessimo essere con Lui, diventare simili a Lui.
Chi è stato evangelizzato da questa esperienza di misericordia, che è la giustizia di Dio che ricrea, a sua volta deve evangelizzare. Chi è stato evangelizzato da questa esperienza: “Dio ci ama e ci ama di Amore Misericordioso”, ha conosciuto davvero questo Dio di misericordia e, a sua volta, deve portare nel mondo l’annuncio cristiano che Dio è “ricco di misericordia” (Ef 2, 4), è un Padre, che ci capisce e che ci ha mandato suo Figlio, fattosi carne come noi per dirci che siamo figli della misericordia.
In questo oggi di misericordia, il comportamento più giusto che dobbiamo assumere nei confronti di Dio e soprattutto verso Dio Amore Misericordioso, è quello di abbandonarci in Lui. L’abbandonarsi nelle mani di Dio ci permette di lasciarci abbracciare dalla Sua misericordia che da forza e ricrea un cuore nuovo.
In effetti, l’Amore Misericordioso redime trasformando il nostro cuore e rendendoci persone nuove, perché non c’è umanità nuova, se prima non ci sono uomini nuovi nel cuore.

3) Misericordia e Verginità.
Nella Chiesa c’è una vocazione che aiuta tutti i cristiani a riscoprire il vero senso della misericordia di Dio ed è quella della verginità. Chi come le vergini nel mondo si consacrano a Dio, in totale abbandono, mostrano come sia possibile entrare in una nuova dimensione dei rapporti con Dio e con gli uomini: quella della conoscenza della gratuità di Dio e dell’amore disinteressato di Cristo per ognuno di noi, così come siamo. Tutta la storia biblica è segnata da questo amore fedele di Dio e della sua misericordia, della sua compassione. Persino quando annunciano le peggiori punizioni, i profeti non mancano mai di ricordare che il cuore di Dio è sempre pronto a staccarsi dalla sua collera di Padre tradito: “Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore” (Is 54, 7-8). Dio non conserva rancore per l’uomo, il suo essere misericordioso lo porta al desiderio perenne che l’uomo viva: “Quale Dio è come te, che togli l’iniquità e perdoni il peccato al resto della tua eredità; che non serbi per sempre l’ira, ma ti compiaci di usare misericordia” (Mic 7, 18-20).
Le persone consacrate sono chiamate in modo particolare ad essere testimoni di questa misericordia del Signore, nella quale ogni essere umano trova la propria salvezza. Loro tengono viva l’esperienza del perdono di Dio, perché hanno la consapevolezza di essere persone salvate, di essere grandi quando si riconoscono piccole, di sentirsi rinnovate ed avvolte dalla santità di Dio quando riconoscono il proprio peccato. Per questo, anche per l’umanità di oggi, la vita consacrata rimane una scuola privilegiata della «compunzione del cuore», del riconoscimento umile della propria miseria, ma, parimenti, rimane una scuola della fiducia nella misericordia di Dio, nel suo amore che mai abbandona. In realtà, più ci si avvicina a Dio, più si è vicini a Lui, più si è utili agli altri.
Aggiungo un riflessione finale, che ritengo importante. Le vergini consacrate rendono vicini l’esempio di Maria Vergine di Misericordia. Fin dall’11° secolo, la Madonna fu riconosciuta madre di misericordia, perché fin dall’ora era chiara la verità del profondo, intimo legame tra il suo essere Madre di Dio e Madre di ciascuno di noi. La misericordia é una qualità dell’amore materno. Il Figlio Gesù fu da lei generato perché fosse la misericordia dell’umanità e Maria diffuse e diffonde questa misericordia con amore di Madre, di generazione in generazione. Le vergini consacrate nel mondo testimoniano che ancora oggi la Madonna non solo è rifugio di misericordia, ma modello di misericordia e che la nuova famiglia dei figli di Dio non è fondata “sulla carne e sul sangue”, ma sulla grazia di un amore completamente donato a Dio

Lettura Patristica
Origene
In Luc., 32, 2-6


       Quando tu leggi: «E insegnava nelle loro sinagoghe e tutti celebravano le sue lodi», stai attento a non credere che soltanto quelli siano stati felici, mentre tu sei stato privato del suo insegnamento. Se la Scrittura è la verità, Dio non ha parlato soltanto allora nelle assemblee giudee, ma anche oggi parla in questa nostra assemblea; e non soltanto qui, nella nostra Chiesa, ma anche in altri consessi e in tutto il mondo Gesù insegna, cercando gli strumenti per trasmettere il suo insegnamento. Pregate dunque affinché egli trovi anche in me uno strumento idoneo e ben disposto a parlare di lui. Così, come Dio onnipotente, cercando dei profeti, al tempo in cui gli uomini avevano bisogno delle profezie, trovò per esempio Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele; del pari Gesù cerca strumenti con cui trasmettere la sua Parola, e ammaestrare i popoli nelle loro sinagoghe ed essere glorificato da tutti. Oggi Gesù è «più glorificato da tutti» che non in quel tempo in cui era conosciuto in una sola regione.

       "Poi venne a Nazaret, ove era stato allevato, entrò, secondo il costume, nel giorno di sabato nella sinagoga e si alzò per fare la lettura. Gli fu dato il libro del profeta Isaia, e, sfogliando il libro, trovò il passo in cui era scritto: lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha unto" (Lc 4,16-18). Non è per caso, ma per intervento della provvidenza di Dio, che Gesù sfoglia il libro e trova nel testo il capitolo che profetizzava a suo riguardo. Se sta scritto infatti che «nessun uccello cade nella rete senza la volontà del Padre»; e se «i capelli della testa» degli apostoli "sono tutti contati" (Lc 12,6-7), sarebbe forse un effetto del caso che quella scelta sia caduta proprio sul libro di Is e non su un altro, e il passo da leggere sia stato non un altro, ma questo che esprime il mistero del Cristo: «Lo Spirito del Signore è su di me, per questo egli mi ha unto»? È infatti Cristo che commenta questo testo e bisogna quindi pensare che niente sia avvenuto secondo il gioco del caso o della fantasia, ma tutto si svolse secondo il disegno della provvidenza di Dio.

       Consideriamo il senso delle parole del Profeta e, dopo, l’applicazione che di esse fa Gesù a proprio riguardo nella sinagoga. Dice: "Mi ha inviato a portare la buona novella ai poveri" (Lc 4,18). I poveri raffigurano i Gentili. Infatti essi erano poveri, dato che non possedevano assolutamente niente, né Dio, né la legge, né i profeti, né la giustizia, né le altre virtù. Per quel motivo Dio lo ha inviato come messaggero presso i poveri? "Per annunziare agli schiavi la liberazione". Noi fummo prigionieri, e per tanti anni Satana ci ha tenuti incatenati, schiavi e soggetti a sé; è venuto Gesù «ad annunziare la liberazione ai prigionieri "e a dare ai ciechi la vista"». È appunto per la sua parola, e per la predicazione della sua dottrina, che i ciechi vedono. Il termine «predicazione» va logicamente riferito apò koinoù non soltanto «ai prigionieri», ma anche «ai ciechi».

       "E a restituire la libertà agli oppressi" (Lc 4,18). C’è un essere più oppresso e più mortificato dell’uomo, che da Gesù è stato liberato e guarito?

       "A proclamare l’anno di grazia del Signore" (Lc 4,19 Is 61,2). Secondo una pura e semplice interpretazione letterale, alcuni intendono che il Salvatore ha annunziato il vangelo in Giudea durante un anno, e che questo è il significato della frase: «proclamare l’anno di grazia del Signore "e il giorno della ricompensa"». Ma forse la Santa Scrittura nella frase «proclamare l’anno del Signore» ha voluto nascondere un mistero. Diversi saranno i giorni futuri, non paragonabili a quelli che vediamo oggi nel mondo; ed anche i mesi saranno diversi e diverso il calendario. Se dunque i tempi saranno tutti rinnovati, nuovo sarà nel futuro l’anno del Signore portatore di grazia. Queste cose ci sono state annunziate affinché, dopo essere passati dalla cecità alla chiara visione e dalla schiavitù alla libertà, guariti dalle nostre molteplici ferite, noi perveniamo «all’anno di grazia del Signore».

       Gesù, dopo aver letto queste parole, "ripiegandolo restituì il libro al ministro e si pose a sedere. E gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi in lui" (Lc 4,20). Anche ora, se lo volete, in questa sinagoga, in questa nostra assemblea gli occhi vostri possono fissare il Salvatore. Quando voi riuscite a rivolgere lo sguardo più profondo del vostro cuore verso la contemplazione della Sapienza, della Verità e del Figlio unico di Dio, allora i vostri occhi vedranno Gesù. Felice assemblea quella di cui la Scrittura testimonia che «gli occhi di tutti erano fissi in lui». Come desidererei che questa nostra assemblea potesse ricevere una simile testimonianza, cioè che tutti voi, catecumeni e fedeli donne, uomini e fanciulli aveste gli occhi, non gli occhi del corpo ma quelli dell’anima, rivolti a guardare Gesù! Quando voi vi volgerete verso di lui, dalla sua luce e dal suo volto i vostri volti saranno fatti più chiari, e potrete dire: "Impressa su di noi è la luce del tuo volto, o Signore" (Ps 4,7), "cui appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen" (1P 4,11).




giovedì 14 gennaio 2016

Cana e il dono della gioia.

II Domenica del Tempo Ordinario - Anno C - 17 gennaio 2016

Rito Romano
Is 62,1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-12

Rito Ambrosiano
Est 5,1-1c.2-5; Sal 44; Ef 1,3-14; Gv 2,1-11
II Domenica dopo l’Epifania


1) La terza epifania nel settimo giorno.
Dopo averci fatto celebrare – domenica scorsa - il battesimo di Gesù nel Giordano, oggi la Liturgia ci propone la memoria delle nozze di Cana, dove Cristo si manifesta cambiando l’acqua in vino.
E’ la terza epifania (=manifestazione) di Gesù, che l’inno e l’antifona dei Vespri dell'Epifania affiancano a quella dei Re Magi e a quella del battesimo di Gesù al Giordano. A Betlemme, il Messia si manifesta come Figlio di Dio che inizia la sua vita terrena portando la luce ed è adorato dai Magi. Al Giordano, battezzato da Giovanni, è manifestato da Dio Padre che lo indica come il suo Figlio prediletto, l’Amato, che inizia il suo ministero di perdono. A Cana di Galilea, alla festa di nozze, mutando l’acqua in vino nuovo, manifesta la sua gloria per aiutare la fede dei discepoli, mettendosi a servizio dell’amore umano da Lui purificato e redento.
La presenza di Gesù alle nozze di Cana è collocata dall’evangelista Giovanni al settimo giorno dall’inizio dell’attività pubblica del Battista (Gv 1,19-28), “l’amico dello sposo”(Gv 3,29), che prepara l’incontro con Cristo. E’ così stabilita una settimana1 particolare che rimanda al primo capitolo del libro della Genesi: il racconto della creazione del mondo che Dio fece in sei giorni, dopo dei quali, creata infine la prima coppia umana, “nel settimo giorno cessò da ogni suo lavoro” (Gn 2,2). Ma va tenuto presente che se il sabato è il giorno del riposo, nella Chiesa nascente è successo qualcosa di inaudito: al posto del Sabato, del settimo giorno, subentra il primo giorno della settima: la Domenica. Questo giorno del Signore è il giorno dell’incontro con Dio mediante Gesù Cristo, il quale nel primo giorno, la Domenica, ha incontrato i suoi come Risorto dopo che essi avevano trovato vuoto il sepolcro. La struttura della settimana è ora capovolta. Essa non è più diretta verso il settimo giorno, per partecipare in esso al riposo di Dio. Essa inizia con il primo giorno della settima, con il giorno dell’incontro con il Risorto. Quindi è una festa “attiva”.
Il Vangelo di oggi ci mostra come Cristo festeggia attivamente il “nuovo Sabato”: il Figlio di Dio si manifesta nella sua gloria per aiutare la fede dei suoi discepoli. Partecipando ad una festa che celebra la bellezza e la gioia di un amore umano di un uomo e una donna che si uniscono in matrimonio Gesù dà significato pieno e splendore alla famiglia. Si fa presente a una festa di nozze, fa un miracolo generoso (600 litri di vino per una festa che sta per concludersi) che fa in modo che la gioia non si trasformi in delusione per la mancanza di vino: manifesta un amore più grande. Ma quale amore? Il suo o quello degli sposi? L’amore di Gesù e insieme l’amore degli sposi? La risposta è: l’amore umano nell’amore divino.

2)Una epifania nuziale.
L’amore nuziale di due giovani sposi, che celebrano l’inizio della loro vita di famiglia, si radica nell’amore di Cristo che “celebra” l’inizio della sua donazione sponsale all’umanità rappresentata in particolare dai suoi discepoli. Le nozze sono simbolo dell’alleanza tra l’uomo e Dio, il segno più bello, quello che l’uomo sperimenta nell’amore: la reciprocità, il dono, la gioia, l’affidabilità, la compagnia, la tenerezza. “Con questo “segno” di Cana, Gesù si rivela come lo Sposo messianico, venuto a stabilire con il suo popolo la nuova ed eterna Alleanza, secondo le parole dei profeti: ‘Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te’ (Is 62,5). E il vino è simbolo di questa gioia dell’amore; ma esso allude anche al sangue, che Gesù verserà alla fine, per sigillare il suo patto nuziale con l’umanità” (Benedetto XVI, 20 gennaio 2013).
Gesù, il Signore risorto, non manca mai alle nostre feste d’amore e l’amore di questi due sposi di Cana, nel giorno delle nozze, entra sorprendentemente nel tempo di Dio e nell’ora di passione e resurrezione di Gesù.
Quando la festa dell’amore è celebrata con il sacramento del matrimonio, l’acqua è trasformata in vino, come a Cana di Galilea, e gli sposi ricevono in dono da Dio la purificazione e la stabilità del loro amore. L’amore è meraviglioso e fragile, ma nel sacramento del matrimonio Dio compie il miracolo di renderlo santo e saldo, fedele e forte per sfidare il tempo e le difficoltà e per renderlo fecondo.
Come a Cana, Gesù unisce il cammino degli sposi al Suo cammino di obbedienza amorosa e fedele al Padre, un’obbedienza che lo condurrà alla croce e alla gloria.
In quella cittadina di Galilea, grazie all’amore di due sposi e alla sollecitudine di sua Madre, Gesù incomincia a manifestare la sua gloria del suo amore: amore che svelerà in pienezza con la sua Pasqua e che ci lascerà nel segno della cena eucaristica.
Nutrendosi dell’Eucaristia, ogni famiglia cristiana partecipa dell’amore di Cristo e impara ad amare come Lui ci ha amato. Nell’Eucaristia, come a Cana, l’amore di Gesù compare nel segno del vino, che riempie il calice dolce della festa e quello amaro della passione, perché amore è dono e offerta. Dunque, se una famiglia vuole vivere la pienezza dell’amore, deve imparare sempre di più questo amore, partecipando al l’Eucaristia, nella quale Gesù offre il suo amore per noi.
Nella piccola Cana di Galilea, Gesù dà inizio ai suoi miracoli.
Nella piccola “Cana” delle nostre famiglie, Cristo compie dei “segni” che, nella fede e nella preghiera, nell’ascolto reciproco e nel confronto quotidiano, ognuno di noi può accorgersi che ancora oggi avvengono miracoli, “segni” piccoli o grandi che Dio mette sul nostro cammino.

3) Nozze verginali.
Riferendosi al miracolo dell’acqua trasformata in vino, il brano del Vangelo di oggi termina così: “Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2, 12). Con questa frase conclusiva l’Evangelista San Giovanni sintetizza lo scopo di questo suo racconto. Il miracolo di Cana ha manifestato per la prima volta la “gloria” del Messia, e ha prodotto il suo esito, cioè la fede dei discepoli. Se vogliamo ripetere la stessa esperienza, dobbiamo lasciarci persuadere dalla Madre Vergine a fare quello che Gesù dice. Ogni momento della sua vita, ogni desiderio di felicità e di pienezza potranno essere appagati dal buon vino nuovo del vangelo, che è il vino della carità: “Cristo ha trasformato l’acqua del timore nel vino della carità, facendoci figli adottivi e che nello spirito dicono ‘Abbà, Padre” (San Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo di Giovanni, cap. 1, lez. 1). Con questo miracolo Gesù “manifestò la sua gloria, cioè la sua potenza, e i discepoli credettero in lui. In che senso credettero in lui se erano già suoi discepoli e, quindi, erano già credenti in lui? Prima credevano in lui come uomo buono, che insegnava cose buone e giuste. Da quel momento lo credettero Dio” (Id.).
Cristo, il Figlio di Dio, è lo sposo, e le vergini consacrate nel mondo “davanti a tutti i fedeli sono un richiamo di quel mirabile matrimonio operato da Dio, e che si manifesterà pienamente nel secolo futuro, per cui la Chiesa ha Cristo come suo unico Sposo” (Perfectae Caritatis, 12). E in questa relazione sponsale che si scopre il valore fondamentale della verginità in ordine a Dio.
La verità di queste nozze è manifestata da vari passi del Nuovo Testamento.
Per esempio, Giovanni il Battista designa Gesù come lo sposo che possiede la sposa, cioè il popolo che accorre al suo battesimo; mentre lui, il Precursore, si definisce come “l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta”, e che “esulta di gioia alla voce dello sposo” (Gv 3, 29).
Anche Gesù parla di se stesso come lo Sposo preannunciato e atteso: lo Sposo-Messia (cfr. Mt 9, 15; 22, 2; 25, 1-13; Mc 2, 19-20 e Lc 12, 35-38). Si può dire che in questo senso è significativo anche il primo miracolo che Gesù compie a Cana, proprio per un banchetto di nozze (cfr. Gv 2, 1-12).
Gesù Sposo invita a rispondere al suo dono di amore divino con amore sponsale, che implica dono e accoglienza reciproca e per sempre. Va sottolineato, però, che se è vero che tutti sono chiamati a rispondere con amore2 all’amore, è altrettanto vero che ad alcuni chiede una risposta più piena, più forte, più radicale: quella della verginità “per il Regno dei cieli”.
Chi vive la verginità consacrata non è nella solitudine, ma nella comunione con Dio in Cristo. In questa unione il Cristo dona tutto se stesso ad ogni anima verginale e ogni anima verginale dona tutta se stessa a Cristo, suo Sposo. È per questo che l’Apostolo Paolo nella verginità riconosce il carisma dell’amore perfetto e indiviso, della carità totale e feconda. A questo riguardo, l’esempio eminente è la verginità feconda di Maria, la Madre di Dio. In Lei più che in tutte le altre creature ha trovato il suo compimento il mistero dell’Alleanza. Non si dovrebbe mai separare la maternità di Maria dalla sua verginità, perché è dal dono che Ella ha fatto di Sé a Dio, nella sua verginità, che è divenuta Madre di Dio e anche di tutti noi. La vocazione delle Vergini consacrate è di essere oggi le Spose di Cristo e di continuare questa fecondità spirituale nell’oggi della Chiesa.

1 In effetti l’Evangelista e Apostolo Giovanni raggruppa i primi episodi del ministero pubblico del Cristo in una settimana:
il primo giorno è riportata la testimonianza del Battista dinanzi all'ambasceria inviata dai capi di Gerusalemme (Gv 1,19-28);
il giorno seguente è descritta l'indicazione del Messia, l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, l'eletto di Dio che battezza con lo Spirito santo (Gv 1,29-34);
il terzo giorno è narrata la vocazione dei primi discepoli (Gv 1,35-42);
il quarto giorno abbiamo la chiamata di Filippo e l'incontro di Natanaele con Gesù (Gv 1,43-51);
tre giorni dopo avviene il segno del vino durante la festa di nozze (Gv 2,1-12).
In questa settimana inaugurale della manifestazione del Cristo tutto tende verso il passo finale, nel quale l'evangelista dichiara solennemente che “Gesù diede inizio ai segni in Cana di Galilea e rivelò la sua gloria” (Gv 2,11). Il Battista ha preparato quest'opera del Cristo, egli infatti proclama di essere venuto ad amministrare il battesimo d'acqua, affinché il Messia si rivelasse a Israele (Gv 1,31). Il segno del vino costituisce quindi la manifestazione iniziale piena della persona divina di Gesù. Quella gloria propria del Figlio unigenito del Padre (Gv 1,14), fu contemplata per la prima volta dai discepoli a Cana di Galilea (Gv 2,11). Cf. Olsson B.. Structure and Meaning in the Forth Gospel, Lund 1974, 102ss; Panimolle S.A., Lettura pastorale del vangelo di Giovanni, 1, EDB. Bologna 1978. 147s; Serra A., Maria a Cana e presso la croce, Roma 1978, 13ss.



2 Questo amore non è adeguatamente espresso né dal solo matrimonio, né dalla sola verginità. Sono indispensabili le due vocazioni. Il matrimonio, all’interno dello sposalizio Cristo-Chiesa, testimonia la dimensione particolare dell’amore di Dio. La verginità consacrata, all’interno dello stesso sposalizio Cristo-Chiesa, proclama l’universalità dell’amore di Dio, il suo dinamismo, il suo volgersi a tutti, nessuno escluso.


Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona (354 – 430)
Comment. in Ioan., 8, 6-7


Qual è, allora, il senso di queste parole del Signore: "Che c’è fra me e te, o donna"? Forse ciò che segue può farci capire perché così si sia espresso il Signore: "L’ora mia non è ancora venuta". Così dice la risposta tutta intera: "Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta". Cerchiamo la ragione di questa risposta. Prima, però, confutiamo gli eretici.

       Che cosa insinua il serpente, l’antico inoculatore di veleni? Che cosa dice? Che Gesù non ebbe per madre una donna. Come puoi provarlo? Con le parole, tu mi dici, del Signore: "Che c’è fra me e te, o donna"? Ma, rispondo, chi ha scritto queste parole perché possiamo credere che ha detto questo? Chi? Giovanni l’evangelista, lo sappiamo tutti. Ma questo stesso ha detto: "E c’era la madre di Gesù". Questo è il racconto, infatti: "Il terzo giorno si facevano nozze in Cana di Galilea, e c’era la madre di Gesù; e anche Gesù con i suoi discepoli fu invitato alle nozze" (Jn 2,1-2).

       Abbiamo qui due affermazioni riportate dall’evangelista. Dice: "C’era la madre di Gesù"; e ancora lui riferisce le parole di Gesù a sua madre. Ma come ci riporta la risposta di Gesù? Comincia da prima con il dire: "La madre di Gesù disse a lui" (Jn 2,3). State attenti a queste parole, fratelli; esse sono la difesa della integrità del vostro cuore contro la lingua del serpente. Lì, nel medesimo Vangelo, nella narrazione del medesimo evangelista, è detto: "C’era la madre di Gesù". E: "la madre di Gesù disse a lui". Chi ci ha narrato questi fatti? Giovanni evangelista. E che cosa rispose Gesù a sua madre? "Che c’è fra me e te, o donna"? Chi ci riporta queste parole? Sempre il medesimo Giovanni evangelista.

       O evangelista fedelissimo e veracissimo, tu mi racconti che Gesù disse a sua madre: "Che c’è fra me e te, o donna"? Perché hai assegnato a Gesù una madre che egli non riconosce? Tu hai detto infatti, che "c’era la madre di Gesù", e che "la madre di Gesù disse a lui" perché non hai detto piuttosto: c’era Maria, e: Maria disse a lui Tu riporti, invece, tutte e due le espressioni; sia "la madre di Gesù disse a lui", sia: "E Gesù le rispose: Che c’è fra me e te, o donna"? Perché ciò, se non perché tutte e due le espressioni sono vere? Quelli, invece, vogliono credere all’evangelista solo quando narra che Gesù disse a sua madre: "Che c’è fra me e te, o donna?", e non quando dice: "C’era la madre di Gesù", e "la madre di Gesù disse a lui". Ebbene, chi è che resiste al serpente e possiede la verità, di chi è il cuore la cui integrità non è corrotta dall’astuzia del diavolo? Certamente di chi ritiene vero sia che c’era lì la madre di Gesù, sia che Gesù rispose a quel modo a sua madre.

       Se ancora non comprendi in che senso Gesù disse: "Che c’è fra me e te, o donna"?, credi frattanto che Gesù ha detto quelle parole, e le ha dette a sua madre. Comincia con il credere adorando, e tale fede avrà i suoi frutti.

       Mi rivolgo a voi, cristiani fedeli: c’era la madre di Gesù? Voi rispondete: c’era. Come lo sapete? Voi rispondete: lo racconta il Vangelo. E che cosa risponde Gesù alla madre? Voi dite: "Che c’è fra me e te, o donna"? "L’ora mia non è ancora venuta". Anche questo, come lo sapete? Voi rispondete: lo racconta il Vangelo. Che nessuno vi corrompa questa fede, se volete conservare per !o sposo una casta verginità. Se poi qualcuno vi domanda perché Gesù rispose a quel modo alla madre, parli pure colui che ne conosce il motivo, e chi non lo conosce ancora, continui a credere fermissimamente che Gesù ha risposto veramente così, e che ha risposto così a sua madre. Questo spirito di pietà gli meriterà anche di capire il senso di quella risposta, se busserà con la preghiera e non con le obiezioni, alla porta della verità. Ma stia in guardia, perché, mentre crede di sapere il motivo di quella risposta o si vergogna di non saperlo, non sia indotto a credere che l’evangelista ha mentito dicendo: "c’era la madre di Gesù"; oppure che Cristo stesso ha sofferto per i nostri peccati una morte fittizia, ha mostrato delle false cicatrici per la nostra giustificazione, ed ha egli stesso mentito quando disse: "Se voi rimanete costanti nella mia parola, sarete davvero miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,31-32). Perché, se la madre è fittizia, e fittizia la carne, fittizia la morte, fittizie le piaghe della Passione, fittizie le cicatrici della Risurrezione; allora non sarà la verità a liberare quelli che credono in lui, ma piuttosto la falsità. No, tutto al contrario la falsità ceda alla verità e siano confusi tutti coloro che vorrebbero sembrare veraci proprio perché si sforzano di dimostrare Cristo fallace, e non vogliono sentirsi dire: - Non vi crediamo, perché mentite -, mentre loro vanno dicendo che la verità stessa ha mentito.

       Se poi domandiamo a costoro come facciano a sapere che Cristo ha detto: "Che c’è fra me e te, o donna?", essi rispondono che han creduto al Vangelo. Ma perché allora non credono al Vangelo, quando dice: "C’era la madre di Gesù, e la madre di Gesù disse a lui"? Ché se qui il Vangelo ha mentito, come gli si può credere che Gesù ha detto: "Che c’è fra me e te, o donna"? Non farebbero molto meglio a credere, questi infelici, che è stato proprio a sua madre che il Signore ha risposto a quel modo, e non a una donna estranea? e cercare religiosamente il senso di questa risposta? C’è in effetti una grande differenza fra chi dice: - Vorrei sapere perché Gesù ha risposto in quel modo alla madre - , e chi dice: -Io so che Cristo non a sua madre ha dato quella risposta. Una cosa è voler penetrare ciò che è chiuso, un’altra cosa non voler credere a ciò che è manifesto. Chi dice: - Voglio sapere perché Cristo ha risposto a quel modo a sua madre -, desidera che gli venga aperto il senso del Vangelo, cui crede. Ma colui che dice: -So che Gesù non a sua madre ha dato quella risposta -, accusa di menzogna il Vangelo stesso, dal quale ha saputo, e creduto, che Cristo diede veramente quella risposta.

venerdì 8 gennaio 2016

Battesimo di Gesù, Figlio di Dio e fratello di tutti noi.

Anno C - 10 gennaio 2016

Rito Romano
Is 40,1-5.9-11; Sal 103; Tt 2,11-14;3,4-7; Lc 3,15-16.21-22


Rito Ambrosiano
Is 55, 4-7; Sal 28; Ef 2,13-22; Lc 3,15-16. 21-22


1) Battesimo di gioia e di misericordia.
Con la festa del Battesimo di Gesù la Liturgia di questa domenica continua l’Epifania (= manifestazione) di Cristo. Prolungando il mistero dell’Epifania in cui Figlio di Dio si manifestò bambino ai Magi venuto ad adorarLo a Betlemme, oggi siamo chiamati a fare memoria di Cristo adulto che è battezzato da Giovanni il Battista. Cristo “fu battezzato, è vero, come uomo: ma assunse su di sé i peccati come Dio; non perché avesse bisogno di purificazione, ma affinché dalle acque stesse arrecasse la santità” (S. Gregorio di Nazianzo, Orazione, 29, 19-20).
Questa epifania di Gesù ha come testimone non solo Giovanni il Battista, i discepoli di questi e i peccatori che erano andati a ricevere il battesimo di penitenza, ma la Santa Trinità: il Padre (l’Amante) - la voce dall’alto - rivela in Gesù il Figlio Unigenito (l’Amato) a Lui consustanziale, e tutto ciò si compie in virtù dello Spirito Santo (l’Amore), che scende sul Messia sotto forma di colomba.
Infatti, nel momento in cui, uscito dall’acqua del Giordano, Gesù è raccolto in preghiera, lo Spirito Santo discende su di Lui come una colomba e, apertosi il cielo, si sente la voce del Padre, che dall’alto dice a Gesù:Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te mi sono compiaciuto1” (Lc 3, 22). Questa compiacenza di Dio è qualcosa di profondo, non credo si possa ridurre a una specie di convergenza di sentimenti o identità di vedute. La compiacenza di Dio è proprio uno specchiarsi, un identificarsi del Padre nel Figlio.
La prima conseguenza “pratica” per noi è quella di fare nostra la preghiera, con la quale il Sacerdote inizia la Messa di questa domenica: “Onnipotente ed eterno Dio, che dopo il battesimo nel fiume Giordano proclamasti il Cristo tuo diletto Figlio, mentre discendeva su di lui lo Spirito Santo concedi ai tuoi figli, rinati dall'acqua e dallo Spirito, di vivere sempre nella tua ‘gioia amorosa e benevolente2’” (trad. it. mia ). Così facendo, la festa del Battesimo di Gesù non sarà per noi solo un momento in cui ci mettiamo all’ascolto del suo Vangelo di gioia, ma anche un invito ad essere testimoni di Cristo con un’esistenza vissuta nella gioia, perché nel Figlio siamo figli, siamo amati e perdonati.

2) Epifania della Trinità.
Secondo San Girolamo tre sono le ragioni per cui Gesù si fa battezzare da Giovanni: “La prima, perché essendo nato uomo come gli altri deve rispettare la Legge con giustizia e umiltà. La seconda, per dimostrare col suo battesimo l’efficacia del battesimo di Giovanni. La terza, per mostrare, santificando le acque del Giordano per mezzo della discesa della colomba, l’avvento dello Spirito Santo nel lavacro dei credenti (Commento a Mt 1,3,13). Però è importante tenere presente anche altri due insegnamenti che si possono ricavare da questa festa. Il primo è che, facendosi battezzare da Giovanni insieme con i peccatori, Gesù ha iniziato a prendere su di sé il peso della colpa di tutta l’umanità, come Agnello di Dio che “toglie” (letteralmente: “che prende su di sé”) il peccato del mondo (cfr. Gv 1,29). Il secondo è che con il suo battesimo nel Giordano, Gesù ci rivela il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che scendono tra gli uomini e manifestano il loro amore ricco di misericordia che perdona e ricrea.
Dunque, l’evento del battesimo di Cristo3 non è solamente rivelazione della sua figliolanza divina e della sua incarnazione, ma è anche rivelazione della Trinità: “Il Padre nella voce, il Figlio nell’uomo, lo Spirito nella colomba” (Sant’Agostino, In Io. Ev. tr. 6, 5). A questo riguardo Cromazio di Aquileia dice: “Che grande mistero in questo Battesimo celeste! Il Padre si fa sentire dal cielo, il Figlio appare sulla terra, lo Spirito Santo si manifesta sotto forma di colomba: non si può parlare, infatti, di vero Battesimo, né di vera remissione dei peccati dove non sia la verità della Trinità, né si può concedere la remissione dei peccati ove non si creda alla Trinità perfetta (Discorso 34, 1-3).
Quindi, ecco una seconda conseguenza “pratica”: facciamo nostra la preghiera di sant’Ilario di Poitiers: “Conserva incontaminata questa fede retta che è in me e, fino al mio ultimo respiro, dammi ugualmente questa voce della mia coscienza, affinché io resti sempre fedele a ciò che ho professato nella mia rigenerazione, quando sono stato battezzato nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo” (De Trinitate, XII, 57, CCL 62/A, 627). Quando una persona è battezzata nel nome di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, è immersa in Dio. E “chi è immerso in Dio, è vivo, perché Dio – dice il Signore – è un Dio non dei morti, ma dei vivi, e se è Dio di questi, è Dio dei vivi; i vivi sono vivi perché stanno nella memoria, nella vita di Dio. E proprio questo succede nel nostro essere battezzati: diventiamo inseriti nel nome di Dio, così che apparteniamo a questo nome e il Suo nome diventa il nostro nome e anche noi potremo, con la nostra testimonianza essere testimoni di Dio, segno di chi è questo Dio, nome di questo Dio” (Benedetto XVI, Lectio divina,11 luglio 2012).

3) Battesimo e Consacrazione.
La missione di Cristo si riassume in questo: battezzarci nello Spirito Santo, per liberarci dalla schiavitù della morte e “aprirci il cielo”, l’accesso cioè alla vita vera e piena, che sarà “un sempre nuovo immergersi nella vastità dell'essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia” (Benedetto XVI, Spe salvi, 12).
Dunque potremmo dire che basta il battesimo per essere buoni cristiani e non è necessaria una ulteriore consacrazione, come, per esempio quella delle vergini consacrate nel mondo. A questo riguardo, Papa Francesco precisa: “Tutti siamo consacrati a Lui mediante il Battesimo. Tutti siamo chiamati ad offrirci al Padre con Gesù e come Gesù, facendo della nostra vita un dono generoso, nella famiglia, nel lavoro, nel servizio alla Chiesa, nelle opere di misericordia. Tuttavia, tale consacrazione è vissuta in modo particolare dai religiosi, dai monaci, dai laici consacrati, che con la professione dei voti appartengono a Dio in modo pieno ed esclusivo. Questa appartenenza al Signore permette a quanti la vivono in modo autentico di offrire una testimonianza speciale al Vangelo del Regno di Dio. Totalmente consacrati a Dio, sono totalmente consegnati ai fratelli, per portare la luce di Cristo là dove più fitte sono le tenebre e per diffondere la sua speranza nei cuori sfiduciati” (2 febbraio 2014).
Se poi guardiamo alla Vergini consacrate nel mondo vediamo che esse “sono segno di Dio nei diversi ambienti di vita, sono lievito per la crescita di una società più giusta e fraterna, sono profezia di condivisione con i piccoli e i poveri. Così intesa e vissuta, la vita consacrata ci appare proprio come essa è realmente: è un dono di Dio, un dono di Dio alla Chiesa, un dono di Dio al suo Popolo. Ogni persona consacrata è un dono per il Popolo di Dio in cammino” (Id.).
La Chiesa e il mondo hanno bisogno di questa testimonianza dell’amore e della misericordia di Dio. I consacrati, i religiosi, le religiose sono la testimonianza che Dio è buono e misericordioso. Per questo, Papa Francesco ha voluto un anno dedicato alla vita consacrata. (30 novembre 2014 - 2 febbraio 2016)
Chi si consacra, si impegna a mostrare nella propria vita e ad anticipare quegli atteggiamenti di vita, quelle forme di umanità che in Paradiso tutti vivremo. Intanto, su questa Terra, abbiamo bisogno di testimoni che mostrino che è possibile riservare completamente la propria vita a Cristo, perché Dio si riveli e compia la sua missione di amore e di misericordia.
L’amore consacrato nella verginità è “tenere le braccia aperte a tutti senza mai rinchiuderle per stringere a sé qualcuno” (Fr. Roger di Taizé), è chiudere le braccia per mettere le mani giunte in preghiera e confidare a Dio le persone che si amano. In effetti, la verginità è un valore quando è amore casto, che apre all’Amore ed è illuminata dall’Amore. Sull’esempio delle persone vergini le famiglie avranno le porte e il cuore spalancati all’amore.

1  Nel verbo “compiacersi” come nel sostantivo “compiacimento” c’è l’idea di gioia. E’ come se Dio dicesse: “Tu, figlio mio, mi piaci, ti guardo e sono felice”. Si realizza poi in noi quello che Isaia aveva intuito, l’esultanza di Dio per me, per te: come gode lo sposo l’amata così di te avrà gioia il tuo Dio (Is 62,5). Si veda anche la nota 2.

2  Traduco con “gioia” la parola beneplacitum perché in latino non vuole dire solo “compiacimento” tanto è vero che la traduzione ufficiale liturgica usa il termine “amore”.Beneplacitum è la traduzione della parola greca “eudochìa”, che ha questi significati : 1. Buona volontà, intenzione benevolente, benevolenza; 2. Delizia, piacere, soddisfazione; 3. Desiderio. Si trova 9 volte nel Nuovo Testamento ed ogni volta è tradotta con sfumature diverse secondo il contesto, ma riconducibile a quelle citate.



3  Messia in greco si traduce con “Cristo” e in italiano con “Unto”, ma non dimentichiamo Gesùnon fu unto con l’olio alla maniera dei re e dei sommi sacerdoti d'Israele, ma con lo Spirito Santo.

Lettura Patristica
Cromazio di Aquileia
Sermo 34, 1-3

       In questo giorno, come abbiamo appena udito mentre veniva letta la divina lettura, il Signore e Salvatore nostro fu battezzato da Giovanni nel Giordano e perciò si tratta di una solennità non da poco, ma anzi grande e assai grande. Quando infatti nostro Signore si è degnato di ricevere il Battesimo, lo Spirito Santo scese su di lui in forma di colomba e si udi la voce del Padre che diceva: "Questi è il Figliolo mio diletto in cui mi sono compiaciuto" (Mt 3,17).

       Oh, che grande mistero in questo Battesimo celeste! Il Padre si fa sentire dal cielo, il Figlio appare sulla terra, lo Spirito Santo si manifesta sotto forma di colomba: non si può parlare infatti di vero Battesimo, né di vera remissione dei peccati dove non sia la verità della Trinità, né si può concedere la remissione dei peccati ove non si creda alla Trinità perfetta. L’unico e vero Battesimo è quello della Chiesa, che è dato una sola volta: in esso veniamo immersi un’unica volta e ne usciamo puri e rinnovati; puri perché ci liberiamo dalla sozzura dei peccati, rinnovati perché risorgiamo a nuova vita, dopo aver deposto la decrepitezza del peccato. Questo lavacro del Battesimo rende l’uomo più bianco della neve, non nella pelle del suo corpo, ma nello splendore del suo spirito e nel candore della sua anima. I cieli pertanto si aprirono al Battesimo del Signore, per mostrare che il lavacro della rigenerazione spalanca ai credenti il regno dei cieli, secondo quella sentenza del Signore: "Nessuno, se non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo, può entrare nel regno dei cieli" (Jn 3,5). Vi entra dunque chi rinasce e chi non trascura di custodire la grazia del proprio Battesimo; e così, per contro, non Vi entra chi non sia rinato.

       Poiché nostro Signore era venuto a donare un nuovo Battesimo per la salvezza del genere umano e per la remissione di tutti i peccati, si degnò di ricevere egli stesso per primo il Battesimo, non per deporre i peccati, lui che non aveva commesso peccato, ma per santificare le acque del Battesimo allo scopo di cancellare i peccati di tutti i credenti rinati nel Battesimo. Egli dunque fu battezzato nelle acque, perché noi fossimo lavati di ogni nostro peccato per mezzo del Battesimo.