sabato 2 gennaio 2016

Come i Re Magi: in cammino per adorare e donare.

Epifania
6 gennaio 2016
3 gennaio 2016 nei Paesi dove il 6 non è festivo


Rito Romano e Ambrosiano
Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3.5-6; Mt 2,1-12



1) Due Stelle “teologiche”.
Il tema della luce domina le feste del Natale e dell’Epifania, che anticamente - e ancora oggi in Oriente1 - erano unite in una sola grande “festa delle luci”.
A Natale, nascendo di notte in una Grotta e manifestandosi ad alcuni poveri pastori della regione di Betlemme, il Figlio di Dio incarnato si è rivelato quale luce. Luce non solo all’esterno dell’uomo, nella storia del mondo, ma anche all’interno dell’uomo, nella storia personale di ciascuno di noi.
All’Epifania, il Salvatore continua a rivelarsi come luce per i popoli di ogni tempo e di ogni luogo. Per i Magi, venuti dall’Oriente ad adorarlo, la luce del re neonato assume la forma di un astro del Cielo, così splendido da attirare i loro sguardi e guidarli fino a Gerusalemme e poi dal palazzo reale di Erode a Gerusalemme ad nuovo Palazzo reale: la grotta-stalla di Betlemme.
Tutto attorno a lui si presenta come una realtà terrena estremamente povera. Ma per chi guarda con occhi di fede può vedere il Re dei re, grazie a un segno luminoso. Qual'è questo segno regale grazie al quale i Magi, allora, e noi oggi, possono riconoscere il Re dei re nel Figlio di Maria, nell’umile condizione di questo Bambino che abita in un povera stalla? E’ la Stella, che indica il cammino e il luogo, dove incontrare il Re che salva.
Questa Stella indica la strada a questi cercatori d’Infinito, perché guardano il cielo e cercano di ben interpretarne i segni. Quindi i Magi sono persone che si interrogano sulla realtà, non accontentandosi della risposta degli altri. Cercano una intelligenza più profonda della realtà e il senso della vita.
Questa straordinaria Stella, che potremmo definire “teologica” perché “parla di Dio”, perché “in-segna Dio”, dopo aver guidato i Magi lungo tutto il cammino dall’Oriente fino a Betlemme, indica, insegna che questo Bambino è il Figlio del Dio Altissimo, il Principe della pace.
Questa Stella trasforma il presepe, dove si contempla il Dio fatto uomo e posto in una mangiatoia, in una luminosa reggia e illumina la Madonna quale trono regale: la Vergine Maria, che tiene Gesù sulle sue ginocchia, Lo sostiene con le sue braccia materne e Lo mostra ai Magi che in ginocchio Lo adorano. Maria, la “teologica” Stella del Mare della vita umana che con la sua luce indica il Re dei re, che giace nella grotta di Betlemme.

2) L’autorità dell’amore.
I Magi si prostrano all’autorità dell’amore. Credono a questo amore infinito racchiuso in questo Bambino Gesù.
Davanti a questo neonato, riconosciuto come il Re messianico atteso, i Re Magi si prostrano in un sincero atto di adorazione ed offrono poi alcuni doni simbolici: l’oro, l’incenso e la mirra. Questi regali offerti al Messia “simboleggiano la vera adorazione” (cfr S. Giovanni Paoli II). Sono doni che esprimono una fede consolidata dall’incontro con Gesù, che è Re, da onorare con l’oro, che è Dio, da adorare con l’incenso e la preghiera che a Lui sale come il più gradito incenso, che è l’Uomo, Figlio di Dio, che morirà per la nostra salvezza.
Come i Re Magi, oggi noi siamo invitati a rinnovare, davanti al Verbo incarnato, il nostro atto di fedele adesione, offrendo non solamente quel poco o tanto che abbiamo, ma noi stessi come sacrificio santo e a Lui gradito. Ed è proprio grazie a questa quotidiana offerta di sé che noi diventiamo, nel mondo e per il mondo, segni della nuova umanità redenta da Cristo, testimoni del mistero d’amore celebrato nel Natale.
Come hanno fatto i Re Magi, lasciamoci stupire dall’amore di Dio che nasce per noi, e inginocchiamoci davanti al Verbo Incarnato, a Gesù Cristo Signore, vivente in mezzo a noi e vivente nell’Eucaristia. Andiamo più spesso in chiesa, mettendoci vicino all’altare e, umilmente, imitiamo i Santi Magi, offrendogli l’oro della nostra carità verso Dio e verso i fratelli, l’incenso della nostra lode e della nostra preghiera, e la mirra delle sofferenze, che non mancano mai nella nostra vita.
Lo stupore2 come capacità di lasciarsi sorprendere da Dio che in Cristo si dona interamente a noi, permettendoci di conoscere la verità e di incontrare l’amore vero che si dona. Stupiti dalla luce di una stella, i Re Magi si misero in cammino. Avevano uno stupore che li faceva andare dietro una stella, uno stupore che domanda il senso della vita, uno stupore che permette loro di essere attratti dal Bambino Gesù, e di stare con lui, rimanendo in adorazione. La certezza della fede fiorisce dallo stupore di fronte a una presenza divina nella carne che gli occhi puri dei Magi possono vedere.

3) Che dono donare a Chi si è donato tutto a noi?
A Lui che ci ha dato integralmente se stesso, anche noi doniamo noi stessi, cominciando ad offrirgli quel poco o tanto di beni materiali che abbiamo. Per essere più chiaro mi servo delle parole scritte da S. Giovanni Paolo II ai giovani: “Offrite anche voi al Signore l’oro della vostra esistenza, ossia la libertà di seguirlo per amore rispondendo fedelmente alla sua chiamata; fate salire verso di Lui l’incenso della vostra preghiera ardente, a lode della sua gloria; offritegli la mirra, l’affetto cioè pieno di gratitudine per Lui, vero Uomo, che ci ha amato fino a morire come un malfattore sul Golgotha” (Messaggio per la XX Giornata Mondiale della Gioventù, 6 agosto 2004).
Nell’accogliere l’invito a donare tutto se stessi a Dio ci sono di esempio le Vergini consacrate nel mondo. Certo queste donne sono consapevoli che Dio dona l′infinita ricchezza della sua divinità e loro (e noi come loro) Gli portano nient’ altro che la povertà delle loro (e nostre) esistenze umane. Le consacrate spesso sono consapevoli che quello che realizza l′unione nuziale con Cristo non è tanto la grandezza del dono quanto il fatto che il dono di se stesse è totale. E’ la totalità del dono che realizza l′unione nuziale, il non riservare a se nulla più nulla, il non appartenersi più, il volere unicamente e solamente essere suoi.
Vivendo il dono di sé nella verginità, le donne consacrate testimoniano che il donarsi a Dio non è una rinuncia a vivere, ma “è una rinuncia a quelli che sono i limiti di un vivere di creatura povera e inferma per vivere la pienezza di una vita immensa come la vita divina” (Divo Barsotti, 6 gennaio 1963).

1  L’Epifania, la “manifestazione” del nostro Signore Gesù Cristo, è un mistero multiforme. La tradizione occidentale lo identifica con la visita dei Magi al Bambino Gesù a Betlemme, e dunque lo interpreta soprattutto come rivelazione del Messia d’Israele ai popoli pagani. La tradizione orientale, invece, privilegia il momento del battesimo di Gesù nel fiume Giordano, quando egli si manifestò quale Figlio Unigenito del Padre celeste, consacrato dallo Spirito Santo. Ma il Vangelo di Giovanni invita a considerare “epifania” anche le nozze di Cana, dove Gesù, cambiando l’acqua in vino, “manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,11).


2  Lo Stupore nella vita naturale è la riduzione della capacità visiva, provocata dalla luce eccessiva. Nella vita spirituale stupore è la situazione analoga, provocata dal bagliore della luce spirituale. A tale proposito leggiamo nell’Antico Testamento: «Mosè avanzò nella nube oscura, nella quale era Dio» (Es 20, 21). Nel Nuovo Testamento (cfr. At 9, 3) leggiamo invece che quando Saulo camminava verso Damasco lo aveva totalmente abbagliato una luce dal cielo, che lui stesso, parlando ad Agrippa, qualifica come più luminosa del sole (cfr. At 26, 13), tanto che, aperti i suoi occhi, non vedeva nulla (cfr. At 9, 8). Ma anche ai pastori che vegliavano a Betlemme durante la notte della nascita del Signore brillò la gloria di Dio (cfr. Lc 2, 9), mentre durante la trasfigurazione del Signore sul monte Tabor il Suo volto s’illuminò come il sole e i Suoi vestiti divennero bianchi come la luce… ed una nube luminosa ricoprì i presenti (cfr. Mt 17, 2. 5). Infine, durante la resurrezione del Signore, le Mirofore, che si recarono al sepolcro di buon mattino, videro un giovane vestito di una veste bianca e si stupirono (cfr. Mc 16, 5), perché il suo aspetto era come folgore e la sua veste candida come neve (cfr. Mt 28, 3).


Lettura Patristica
San Leone Magno (390 – 461)
Discorso 3 per l'Epifania, 1-3. 5
Pl 54, 240-244

Il Signore ha manifestato in tutto il mondo la sua salvezza.

La Provvidenza misericordiosa, avendo deciso di soccorrere negli ultimi tempi il mondo che andava in rovina, stabilì che la salvezza di tutti i popoli si compisse nel Cristo.
Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede: essa era stata paragonata alla moltitudine delle stelle perché il padre di tutte le genti si attendesse non una stirpe terrena, ma celeste.
Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti, e i figli della promessa ricevano la benedizione come stirpe di Abramo, mentre a questa rinunziano i figli del suo sangue. Tutti i popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il Creatore dell'universo, e Dio sia conosciuto non nella Giudea soltanto, ma in tutta la terra, perché ovunque «in Israele sia grande il suo nome» (cfr. Sal 75, 2).
Figli carissimi, ammaestrati da questi misteri della grazia divina, celebriamo nella gioia dello spirito il giorno della nostra nascita e l'inizio della chiamata alla fede di tutte le genti. Ringraziamo Dio misericordioso che, come afferma l'Apostolo, «ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E' lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1, 12-13). L'aveva annunziato Isaia: «Il popolo dei Gentili, che sedeva nelle tenebre, vide una grande luce e su quanti abitavano nella terra tenebrosa una luce rifulse» (cfr. Is 9, 1). Di essi ancora Isaia dice al Signore: «Popoli che non ti conoscono ti invocheranno, e popoli che ti ignorano accorreranno a te» (cfr. Is 55, 5).
«Abramo vide questo giorno e gioì» (cfr. Gv 8, 56). Gioì quando conobbe che i figli della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, cioè nel Cristo, e quando intravide che per la sua fede sarebbe diventato padre di tutti i popoli. Diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto il Signore aveva promesso lo avrebbe attuato (Rm 4, 20-21). Questo giorno cantava nei salmi David dicendo: «Tutti i popoli che hai creato verranno e si prostreranno davanti a te, o Signore, per dare gloria al tuo nome» (Sal 85, 9); e ancora: «Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia» (Sal 97, 2).
Tutto questo, lo sappiamo, si è realizzato quando i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei cari, dovete tutti aiutarvi l'un l'altro. Risplendete così come figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le buone opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo che con Dio Padre e con lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.


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