venerdì 31 agosto 2012

XXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 2 settembre 2012

Rito Romano
Dt 4,1-2.6-8 Sal 14; Gc 1,17-18.21b-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

Rito Ambrosiano
Is 29,13-21; Sal 84; Eb 12,18-25; Gv 3,25-36
Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza

1) Vicini con il cuore, non con le parole.
Sono due i significati principali del brano evangelico, che la liturgia romana ci propone oggi: a) non esistono cibi puri ed impuri, perché solo quello che esce dal cuore dell'uomo può insudiciarlo e guastarlo;
b) il cuore è guarito dalla vicinanza di Dio, la cui Parola è da ascoltare: «Chiunque ascolta Dio Padre ed è istruito da lui si avvicina a me con fede», dice Gesù (Gv 11,45). 
Quindi, da una parte c’è il fermo invito di Cristo ad evitare l’oppressione dei comandi degli uomini – in questo caso Dio viene messo in disparte, gli uomini vengono sottomessi a norme assurde e, persino, gli oggetti vengono discriminati fra di loro – e, dall'altra parte, c’è il comportamento di Gesù che riafferma il primato della Parola di Dio e rende possibile la guarigione del cuore, purificandolo. Con il suo cuore purificato San Francesco d’Assisi fu così vicino a Cristo al punto tale di assomigliarGli anche fisicamente con le stigmate.
Due cose in ogni persona umana sono da purificare: l'intelletto e l'affetto; l'intelletto per conoscere, l'affetto per volere (cfr San Bernardo).
Se invece di “intelletto e affetto” vogliamo usare una parola sola, possiamo dire “cuore”, seguendo la tradizione biblica giudeo-cristiana ripresa anche da don Giussani ne “Il Senso religioso”. Il cuore -egli affermava- è la ragione aperta, e attraverso il cuore l’uomo sa stupirsi delle cose, aprirsi all’infinito e riconoscere in Cristo il Volto buono del Mistero infinito. «Il cuore indica l’unità di sentimento e ragione. Esso implica una concezione di ragione non bloccata, una ragione secondo tutta l’ampiezza della sua possibilità: la ragione non può agire senza quella che si chiama affezione. È il cuore – come ragione e affettività – la condizione dell’attuarsi sano della ragione. La condizione perché la ragione sia ragione è che l’affettività la investa e così muova tutto l’uomo. Ragione e sentimento, ragione e affezione: questo è il cuore dell’uomo» (L. Giussani, L’uomo e il suo destino, Marietti, Genova 1999, pp. 116-117).
E il Card Špidlìk afferma: «Il cuore include una conoscenza integrale ed intuitiva, la sua funzione consiste nel sentire tutto ciò che tocca la persona dell’uomo; di conseguenza, sempre e continuamente il cuore sente lo stato dell’anima e del corpo nel medesimo tempo che le impressioni multiformi prodotte dalle azioni particolari, spirituali e corporali, gli oggetti che ci circondano od incontrano, la nostra posizione esterna e, in generale, il corso della vita».(La Preghiera del Cuore, Roma 2003, p. 97)
Per capire e vivere quanto sto proponendo non occorre essere particolarmente eruditi, basta pregare il Signore che faccia nascere in noi, come l’ha fatta germinare nella Madonna, la Parola che contiene la Verità e respira l’Amore, magari aiutandoci con questa bella preghiera di P. Léonce de. Grandmaison:
"Santa Maria, Madre di Dio, 

conservami un cuore di fanciullo puro e limpido come acqua di sorgente. 

Ottienimi un cuore semplice, che non si ripieghi ad assaporare le proprie tristezze.
Ottienimi un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione. 

Un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene 
e non serbi rancore di alcun male. 

Donami un cuore dolce e umile, che ami senza esigere di essere riamato. 

Un cuore contento di scomparire in altri cuori, 
sacrificandosi davanti al tuo divin Figlio. 

Dammi un cuore grande e indomabile, 

così che nessuna ingratitudine lo possa chiudere,
nessuna indifferenza lo possa stancare. 

Donami un cuore
tormentato dalla gloria di Gesù Cristo,
ferito dal Suo Amore,
con una ferita che non si rimargini se non in Cielo.
Amen".


2) Acqua per il corpo, lacrime per il cuore.
Per purificare il cuore servono le lacrime. Scrivendo ciò, non penso solo alle lacrime fisiche o spirituali che sgorgano o devono sgorgare dai nostri occhi e dal nostro cuore. Penso in primo luogo alle lacrime versate da Gesù a causa di noi e su di noi. Lacrime che sgorgano dal suo Santo Volto insanguinato. Chi di noi non vorrebbe curarlo, per farlo smettere di sanguinare? La medicina per questo scopo sono le nostre lacrime, il dolore di noi poveretti, mendicanti di eternità, affamati di Infinito.
Sono lacrime vere, speciali, “utili”, che non hanno nulla a vedere con quelle versate per paura, rabbia, vendetta o disperazione. Le lacrime “utili” sono quelle versate per il sincero dolore dei peccati, possono nascere anche a causa del timore dell'inferno, ma sono ancor più feconde quando sgorgano dalla compassione per la passione di Cristo e del prossimo. 

Queste lacrime di amore e di condivisione sono in grado di consolare Cristo e di risanare le ferite e le storture dell'anima indicate nel vangelo di oggi: l'immoralità, i furti, gli omicidi, le infedeltà, le avidità, la cattiveria, la menzogna, la disonestà, l'invidia, il pettegolezzo, la presunzione, l'imbecillità. Queste lacrime portano bellezza e purezza, sono segno di dolore vero, che nasce dall’amore di carità.
Anche il Vangelo ha un cuore: il perdono che manifesta il Cuore misericordioso di Cristo, medico delle nostre ferite.
Saremo fedeli a questo Cuore? Se San Pietro, il Capo degli Apostoli, ha tradito le sue promesse di fedeltà al Redentore, potremo noi presumere di mantenere le nostre? Sì, se come San Pietro, piangeremo sinceramente per le nostre infedeltà.
Ciò che rese Pietro la Pietra salda, stabile e sicura su cui la Chiesa è fondata, fu il suo abbandonarsi alla misericordia di Cristo. Il Risorto, quando si incontrò con Pietro sul lago di Tiberiade, ebbe il cuore toccato dal dolore profondo del Primo degli Apostoli. Accettò il dolore di Pietro e lo confermò nel Suo amore, rendendo saldo e fedele un cuore umano che pochi giorni prima –durante la Passione- Lo aveva rinnegato meschinamente, cedendo alle piccole minacce di una povera serva.
Cristo ebbe il cuore toccato dall’umile atteggiamento di Pietro e vedendo che questo Apostolo lo amava più di tutti gli altri, gli affidò la Chiesa intera, rendendolo capace di affrontare il Mondo intero.
L’umile, fragile ma tenacemente amoroso pescatore di Galilea, appoggiato al suo Signore, divenne il saldo e solido sostegno delle nostre fragilità, il sicuro maestro della nostra fede, indicando con paterna autorità il fatto di “Cristo come orizzonte pieno di verità e per l’uomo” (Giovanni Paolo II, 29 settembre 1984).

3)Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza. Tale domanda proposta dalla liturgia ambrosiana di oggi, sintetizza bene questa mia riflessione domenicale.
La buona, vera e lieta novella del Vangelo di Cristo è l'annuncio della misericordia, che discende sovrabbondante sul mondo. E’ una misericordia senza confini, che purtroppo può avere una limitazione, quella dell’angustia meschina del cuore umano, quando non vuole chiedere perdono e perdonare. Se però mendicheremo il perdono di Dio, entreremo sempre più nell’infinito oceano della sua misericordia, armonizzeremo il nostro sguardo con quello di Cristo, il nostro cuore con il Suo cuore, perdonando e facendo trionfare la misericordia sulla giustizia.
Allora la nostra vita diverrà dono (per – dono = dono – per l’altro), gioia semplice e forte di chi ama senza calcolo, di chi si lascia voler bene dall’amore folle, immenso di Dio nella condivisione.

venerdì 24 agosto 2012

XXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 26 agosto 2012

Rito Romano
Gs 24,1-2a.15-17.18b; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69


Rito Ambrosiano
Domenica che precede il Martirio di San Giovanni il Precursore.
2Mac 7,1-2. 20-41; Sal 16; 2Cor 4,7-14; Mt 10,28-42


1) Andare: verbo di stato!
Domenica scorsa, abbiamo meditato sui verbi “rimanere e dimorare” come verbi di moto o movimento. Oggi mediteremo sul verbo “andare” come verbo di stato. In effetti, se Cristo è la Via, se camminiamo su questa Via che è Lui, “stiamo” con Lui.
Ma procediamo con ordine, esaminiamo insieme e in maniera più approfondita la domanda di Cristo ai suoi Apostoli: “Volete andarvene anche voi?”, e la risposta di Pietro: “Maestro, da chi andremo, tu solo hai parole di vita eterna!”, che si trovano nel vangelo “romano” di questa domenica.
Per fare ciò, riandiamo brevemente al Vangelo della domenica precedente, in cui abbiamo ascoltato queste frasi: «La mia carne è vero cibo», «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui », che ci dicono che siamo fatti non per la morte, ma per la vita. Vivendo nel tempo che passa, la vita se ne va, giorno dopo giorno. Mangiando il Corpo di Cristo riceviamo la sua vita immutabile e ferma. Vivendo di Lui e in Lui la nostra vita è immortale.
Come non gioire di questo Evangelo, cioè di questa lieta e vera notizia, che soddisfa il nostro desiderio di vita piena e duratura?
Eppure, nel Vangelo di oggi, vediamo la reazione della gente e dei discepoli al donarsi di Cristo come Pane di Vita e commentano: «Sono dure questa parole».
Oggi come allora, molti reagiscono negativamente a queste parole, dichiarate “dure”, perché difficili da capire, da accettare. Si potrebbe dire che, in fondo, la gente non voglia avere Dio così vicino, così alla mano, così partecipe delle sue vicende. La gente lo vuole grande e, in definitiva anche noi spesso lo vogliamo un po' lontano da noi, per vivere più comodi, per condurre un’esistenza con quello che chiamiamo buon senso.
Credo, però, che questa reazione non sia dovuta solamente alla difficoltà di questa parole dure, ma al fatto che Chi le dice è povero. In effetti il figlio del falegname non ha neppure dove posare il capo. Secondo la mentalità corrente, secondo il cosiddetto buon senso non conviene seguire un povero che dice parole dure. E’ paradossale, oggi come allora si è più disposti a credere a chi è ricco e potente, anche se fa promesse assurde, che al Povero che ci dichiara il suo amore, che è Amore.


2) Parole di un Povero a dei mendicanti.
Cristo è povero non tanto perché è nato in una modesta famiglia, ma perché Dio è Povero, cioè l’Amore che è dono completo di sé nella Trinità e in noi. Dio non ha in mano le briglie del potere. «Dio non vuole nessun potere, se non quello di donare e donarsi. In Lui non c’è che l’amore. Lui non può toccarci che con il suo amore, come noi non possiamo raggiungerlo che con il nostro amore… Per incontrarlo, occorre ascoltarlo e fare del nostro essere un silenzio inginocchiato e allora la sua voce risuona in noi» (Maurice Zundel) e le sue parole ci diventano chiare.
Di fronte alla contestazione di queste parole stupefacenti, Gesù avrebbe potuto ripiegare su parole rassicuranti: «Amici -avrebbe potuto dire- non preoccupatevi! Ho parlato in modo figurato di carne. Si tratta soltanto di un simbolo. Ciò che intendo è solo una profonda comunione di sentimenti».
No, Gesù non ha fatto ricorso a simili compromessi per trattenere il suo “pubblico” che fino a poco prima lo applaudiva. Ha mantenuto ferma la propria affermazione, tutto il suo realismo, anche di fronte al rischio del rifiuto di molti suoi discepoli. Anzi, Egli si è dimostrato disposto ad accettare persino la defezione degli stessi suoi apostoli, pur di non mutare in nulla la concretezza del suo discorso. «Volete andarvene?», domandò allora e domanda a noi oggi. E noi oggi, come Pietro allora, possiamo dare la risposta: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,66-68), Tu solo hai parole per una vita non effimera e piena di significato, ricca di amore che dura.
Come fare nostra, con piena consapevolezza, questa risposta? Come non cadere nell’incredulità, che non è più solo della folla, o dei giudei, ma coinvolge anche la cerchia dei discepoli. Essi «mormorano» esattamente come Israele nel deserto e come i giudei che si scandalizzano di fronte a Gesù che pretende essere disceso dal cielo ed essere la salvezza del mondo, offrendosi come cibo e bevanda.
Qual è la ragione di questa loro e nostra incredulità? La causa di questa mancanza di fede è che non siamo medicanti, che non siamo affamati di eternità, e sostituiamo la domanda di infinito con la pretesa di una infinità di cose da possedere.
Gesù, l’Amore incarnato, costringe i dodici, la cerchia più ristretta della sua comunità, a non sfuggire il problema e chiede: «Volete andarvene anche voi?» A nome dell'intero gruppo, Pietro risponde con parole che esprimono la fede di ogni discepolo: «Tu solo hai parole di verità!». Gesù è l'unico salvatore, l'unico che rende la salvezza di Dio presente in mezzo a noi. Dio non si impone si propone. Per accoglierlo occorre un sano realismo.




3) Il Realismo cristiano.
Dobbiamo avere il senso concreto di Pietro, povero pescatore di Galilea, che aveva capito che la proposta cristiana è una proposta realista.
Il Papa ha descritto il realismo cristiano nel modo seguente: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Lett. Enc. Deus Caritas est, 1).
La proposta di Cristo non è solo parola che informa o narra o istruisce. E’ una proposta che realizza in chi la accoglie ciò che dice. L’importante che ci sia la nostra adesione di fede, che ha le sua radici nel cuore. San Paolo scrive: «E’ con il cuore che si crede per ottenere la giustizia » e aggiunge: «e con la bocca si fa la professione per avere la salvezza» (Rm 10,10). E’ dalle radici del cuore che sorge la professione di fede (cfr s. Agostino, Comm al Vangelo d Giovanni, Om. 26, 12) ed è col cuore alimentato dal Pane vero che ci si radica nella comunità dei santi, delle persone che dimorano in Cristo e nella quali Cristo dimora, stabilmente.
Una comunità che ripresenta oggi la Persona di Gesù Signore, che viene per insegnare ad ogni uomo come si ascolta il Padre, come lo si ama, come lo si adora in spirito e verità, come si consegna a Lui la vita per intero perché Lui ne faccia uno strumento del suo amore e della sua verità (come indica il Vangelo “ambrosiano” di oggi: Matteo 10, 28-42) per sempre. Della Chiesa e dell’Eucaristia si può dire: «O sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di carità. Chi vuol vivere, ha dove vivere, ha donde attingere la vita. Si accosti, creda, sarà incorporato, sarà vivificato» (S. Agostino, Comm. al Vangelo d Giovanni, Om. 26, 1) . Nella sua Provvidenza Dio ci non solo ci sostiene nell'essere, ma ci dona giorno per giorno una forza che ci fa stare nel suo Amore, per procedere sulla Via della Vita.
Paul Claudel disse che «le grandi verità si comunicano soltanto nel silenzio», mi permetto di aggiungere che si colgono nell’adorazione e si comprendono mangiando il Pane del Cielo.

venerdì 17 agosto 2012

XX Domenica del Tempo Ordinario – Anno B - 19 agosto 2012

Rito Romano
Pr 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58


Rito Ambrosiano
XII Domenica dopo Pentecoste
Ger 25, 1-13; Sal 136; Rm 11, 25-32; Mt 10, 5b-15


1) Amore di amicizia.
La liturgia “romana” di oggi, prima del Vangelo fa dire: Alleluia, Alleluia. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,dice il Signore, rimane in me e io in lui”.(Gv 6, 56) Alleluia.
Questo versetto mi pare sintetizzi bene il significato del capitolo 6 di Giovanni, che stiamo ascoltando brano dopo brano da tre domeniche.
Prima di tutto con queste parole Cristo ci insegna che facendo la comunione non solo Lui vive in noi, ma noi viviamo in Lui. C’è una reciprocità in questo amore: Dio si impegna con noi e noi ci impegniamo con lui, ogni giorno nelle piccole e grandi vicende della vita. Gesù, l’Amico, ci ricorda che non c’è amicizia senza reciprocità. Il fatto che ci sia reciprocità non vuol dire che ci sia del calcolo, dell’egoismo, vuol dire che non c’è estraneità e che ogni essere umano, non solo il padre, la madre, i figli, ecc., ci è prossimo in Cristo. L’amicizia con Cristo e per Cristo è un darsi reciproco, gratuito, disinteressato. Amici con Cristo e con gli altri, non perché sono utili ma perché ci sono, amando il loro destino sopra ogni altra cosa e collaborando alla loro gioia, gratuitamente.
In questo amore d’amicizia cristiana, quindi fraterna, non siamo chiamati solamente a fare il bene dell’amico ma come Cristo a essere il Bene. In questa amicizia abbiamo non solo e non tanto un cuore buono, ma una cuore nuovo che pulsa al ritmo di quello di Cristo, Pane vivo.

2) Un Pane da condividere.
L’Amore, che ci precede, prende in mano il pane, lo benedice, lo spezza… Gesti quotidiani, comuni a ogni mensa: l’Eucaristia è il pane quotidiano, consacrato sull’altare della Croce, che diventa mensa per spartire il Pane di Vita.
Questo Pane si spezza da sé, senza bisogno di ingiunzioni o di forza, di lotte o di rivoluzioni per condividerlo. Don Primo Mazzolari scrisse: “Io sogno una rivoluzione che faccia del gesto eucaristico del dare il segno della gioia. Per distribuire le terre e spezzare il pane basta l’amore, un po’ d’amore. Ma se togliete il lievito della carità, per forza bisogna usare l’ascia o la bomba. La guerra è una fractio panis paurosa e demoniaca” (Tempo di Credere, Brescia 1964, pp. 209 -210)
Se un cristiano tiene per certo che il Pane di Vita è un vero alimento non può mai volerlo ricevere solo per sé. Pensa subito di condividerlo, eucaristicamente. Quando un cristiano pensa al cibo, subito si preoccupa o dovrebbe preoccuparsi di nutrire gli altri.
La Beata Madre Teresa di Calcutta ripeteva spesso alle sue suore: “Quando andiamo a Messa, ricordiamoci di rispettare la vita per la quale Gesù è morto. Gesù nell'Eucaristia è la vita che dobbiamo vivere, Gesù è il cammino che dobbiamo seguire, Gesù è la vita che dobbiamo dare. Preghiamo affinché possiamo vivere la vita che Dio ci ha dato perché siamo creati a vivere la vita di Dio. Per poter fare questo lavoro per i più poveri dei poveri abbiamo bisogno dell’Eucaristia, abbiamo bisogno del pane di vita. Non siamo assistenti sociali, siamo nel cuore del mondo, contemplative”.
Tutti i giorni Madre Teresa trascorreva quattro ore in preghiera, di cui una in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento. Poi. finita l'adorazione, si immergeva nella contemplazione di quel Dio che si è fatto piccolissimo a Betlemme, che si è annientato sulla croce, che si è fatto pane per lasciarsi mangiare; quel Dio che si è fatto corpo in ogni essere umano.

3) Rimanere, dimorare: verbi di moto.
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,dice il Signore, rimane in me e io in lui” (Gv 6, 57)
Assumendo questi due alimenti consacrati, non solo Cristo vive in noi, ma noi viviamo in Lui. Non solo lui si mette a disposizione nostra, per nutrirci e farci crescere nella Sua vita, per curarci delle nostre malattie spirituali e fisiche, per rafforzarci nel nostro esodo verso Casa, ma anche noi ci mettiamo a sua disposizione.
Lui vuole arrivare agli altri attraverso di noi. Lui vive la Sua vita eucaristica in noi e attraverso di noi. Noi abitiamo in Lui e Lui abita in noi, nella nostra vita quotidiana, nella gioia e nel dolore, nell’angoscia dei nostri smarrimenti giornalieri e nella letizia di essere accolti nella dimore del Padre.
Quando Gesù usa il verbo “dimorare”, “rimanere” non lo intende come un “fermarsi”, un “vivere staticamente”. Non designa uno stato passivo. “Dimorare” è un “restare in movimento”, è un continuo avere fame ed essere nutriti, avere sete ed essere dissetati, sentire le esigenze dello spirito e gustare il fatto che Lui le soddisfa. E tutto ciò come una crescente intensità, così che ogni sazietà suscita una fame più grande, perché dilata l’anima, il cuore e l’amore diventa più pressante, più esigente: affamati di eternità.

4) Come sfamarsi
Uno scrittore spirituale francese, P. Marie-Eugène de l’Enfant-Jesus, distingue tre tipi di comunioni che ci permettono di “mangiare” Cristo, per rimanere in Lui: l’Eucaristia, la contemplazione e l’obbedienza.
Prima di tutto la comunione eucaristica. Saziati dal Pane della Risurrezione, scopriamo che il Pane, che è Cristo, fa l’unità della Chiesa, lui solo costruisce la Casa dell’unità poiché non c’è che un solo Pane e noi tutti siamo un solo Corpo (1 Cor 10, 17). E’ l’Eucaristia che ci dona l’Autore della Vita e della Grazia. E’ l’Eucaristia che fa i santi e costruisce la Chiesa.
In secondo luogo, la contemplazione, che stabilisce il contatto con Dio. E’ una comunione nella luce gustosa dell’amore. Come quella di un bambino che appena ricevuta la particola consacrata sul palmo della mano, stava pochi secondi a fissarla. Alla mamma che gli diceva: “Caro, devi mettere subito la particola in bocca, così rischi di farla cadere mentre ritorni nei banchi”, questo bambino rispose: “Mamma, prima di mangiarLo vogli parlarGli e guardarLo almeno un po’”.
Infine, terzo: l’obbedienza. Obbedire a Dio è “realizzare” Dio. La Madonna con il suo “sì” ha fatto Gesù. Il suo fiat ha dato carne alla Parola di Dio. Con il mio “sì” al comando di Cristo: “Fate questo in memoria di me”, faccio Lui. Quando nella Messa dico: “Questo è il mio Corpo”, faccio Lui, dò carne al Verbo di Dio.
L’obbedienza affettuosa a Dio è liberante, è libertà, perché il suo comando non è un’imposizione di un Dio arbitrario e capriccioso, ma una parola (logos) con la quale amorosamente rivela il suo cuore ed il nostro futuro. Per esempio dire: “Non uccidere”, vuol dire che Dio è Vita e che il nostro futuro è vita, vita eterna. “Non dire falsa testimonianza”, vuol dire che Dio è Verità e non siamo destinati alla Vera Vita. “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”. Vuol dire che Lui è Amore e che il nostro amore nasce dal suo. Il Vangelo è annuncio di libertà e noi siamo chiamati all’Amore che libera, “purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siamo a servizio degli altri” (Gal. 5,13).
Come ricorda il Vangelo ambrosiano di oggi: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 8): una concezione e prassi di rapporti dominata dalla gratuità: questo è il cristianesimo. Nella gratuità di Dio non c’è dominio, c’è miracolo e grazia: è amore puro, disinteressato, senza limiti. Se ti getti in questo amore infinito, gli stessi tuoi peccati divengono la condizione perché tu possa sperimentare e conoscere, tu possa vedere chiaramente l'infinità di questo amore, la gratuità di questo amore, la pienezza di questo amore immenso in cui chiaramente si manifesta Dio. Non ci resta che condividere questo immenso amore ricevuto.

lunedì 13 agosto 2012

Solennità dell’Assunta – 15 agosto 2012

1) L’esodo di Maria.
La Madonna non solo conosceva la storia di liberazione che è indicata con il nome di “Esodo”, Lei ha avuto un’esperienza diretta di questo cammino dalla terra d’esilio alla terra santa. Anche Lei lasciò l’Egitto, dove era fuggita con il marito Giuseppe per proteggere da Erode il figlio Gesù. L’esodo di questa famiglia che aveva come meta Nazaret (=giardino) è, all’apparenza più piccolo di quello fatto secoli prima da tutto il popolo ebraico, è irrilevante per la storia profana –si tratta di una famiglia composta da sole tre persone-, ma è immensamente più grande per la storia sacra: Cristo è il nuovo Mosé e Maria è l’Arca dell’Alleanza, che custodisce la legge dell’Amore incarnato. Infatti Gesù, senza abolire quanto è scritto sulle due Tavole della Legge, “comanda” di amare Dio ed il nostro prossimo: è una la legge della libertà.
Inoltre la Madonna con Giuseppe tornava nella Terra Santa portando colui che era ben più della manna: il Pane disceso dal Cielo.
Oggi facciamo memoria del fatto che la Madonna a questo Cielo è assunta definitivamente. L’esodo della Vergine Madre termina non a Nazareth, né a Gerusalemme, ma in Cielo, dove il Cuore a cui Lei aveva dato la sua carne era asceso tempo prima. Questi due cuori, da sempre fisicamente e spiritualmente vicini, da sempre e in modo incomparabile prossimi: dal concepimento alla morte, non potevano essere separati dalla risurrezione.
Anche la nostra vita è un esodo, un ritorno a casa, un essere assunti alla dimora del Padre celeste. Certo è un ritorno da figli prodighi, ma è un vero ritorno nel segno della misericordia, che ci libera dai nostri peccati, per farci entrare in comunione piena con Dio-Amore.
Quindi, per celebrare bene, adeguatamente la festa dell’Assunzione, facciamoci sempre più pellegrini, che camminano nella vita portando Cristo nel cuore come Maria, Arca dell’eterna Alleanza.
Mendichiamo a Dio la sua presenza, per vivere sotto il segno della sua provvidenza. La Madonna visse giorno dopo giorno senza avere altra speranza che Dio: un Dio che sempre si rivelò a lei come miracolo. Giorno dopo giorno, domandò e ricevette “il pane quotidiano” che discende dal Cielo e ci fa Cielo.

2)Il Cielo non è l’opposto della Terra.
L’Ascensione di Cristo e l’Assunzione di Maria al Cielo mostrano che in Paradiso ci sono dei corpi, non solo delle anime e che questo è il destino di tutti. In effetti nel Credo diciamo: “Credo nella resurrezione della carne.
Per capire l’Assunzione, per entrare nella luce di questo mistero, occorre fare la sintesi tra cielo e terra, è necessario meditare sull’armonia tra anima e corpo.
Nel mistero dell’Assunzione, un corpo umano evolve, si spiritualizza, diventa spirito, si immortala: un corpo che respira Dio e Lo rivela.
Per spiegare brevemente ciò, mi servo del riassunto di un pio racconto, che San Giovanni Damasceno fa nella sua Omelia II sulla Dormizione di Maria (come è chiamata in Oriente la festa quasi equivalente alla nostra di oggi).
Maria, avvisata divinamente del suo santo Transito, volle rivedere per l’ultima volta sulla terra i Dodici Apostoli del Figlio. Questi, radunati per divino prodigio, assistettero la Madre di Dio mentre donava la sua esistenza verginale a Dio Padre, e videro il Figlio di Dio scendere dal cielo per prendere nelle sua braccia l’Anima della Mamma e innalzarla sopra i cieli. Gli apostoli in preghiera composero il corpo santo della Madre di Dio, come altri avevano fatto con il corpo del Figlio, in una tomba nella Valle del Cedron. Tommaso, ancor una volta assente, giunse con tre giorni di ritardo, e volle contemplare anche lui nella tomba il Santuario della Divinità. Ma la tomba era vuota. E come vari anni prima, il Signore era tornato da Tommaso per mostrarglisi Risorto, così adesso a causa di Tommaso gli Apostoli sono gratificati della Visione della Madre di Dio con la corte degli Angeli,che cantavano la gloria e la gioia del fatto.
Proprio come per il Figlio divino, la morte e il sepolcro non ebbero la forza di impadronirsi del corpo di Maria. La tomba diventa la scala verso il Paradiso. Il Cielo accoglie Maria e la terra riconsegna finalmente la Fonte della Vita, e si riveste di benedizione e di gioia.
Maria fu la prima Cattedrale del Dio vivente, preghiamo e lavoriamo perché il nostro corpo sia “sacramento della sua Presenza” e comprenderemo che la purezza e la castità cristiane non sono una privazione, ma sono la vocazione divina del corpo, che fa fiorire la vita nuova, vita di luce e di amore vero e fecondo.
Santa Teresa del bambin Gesù, poco prima di morire e ciò avvenne quando aveva 24 anni, disse: Voglio passare il mio cielo a fare del bene sulla terra” e, forse senza saperlo, fece sua la vocazione della Madonna. Cerchiamo di essere testimoni di questo bene.

domenica 12 agosto 2012

XIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 12 agosto 2012


 Rito romano
1 Re 19, 4-8; Sal 33/34; Ef 4,30-5,2; Gv 6, 41-51

Rito ambrosiano
1Re 18,16b-40a; Sal 15; Rm 11,1-15; Mt 21, 33-46


1) Notizia di un fatto.
            Quando si riceve o trasmette una notizia, essa riguarda sempre un fatto avvenuto davvero.
            Nel Vangelo, qual è questo fatto? Gesù di Nazareth, un uomo morto dissanguato in croce, è ritornato alla vita e oggi è vivo, vivo per sempre in tutto il suo essere (corporeo e spirituale). Nel brano evangelico di oggi questo fatto viene indicato con l’espressione “Pane disceso dal Cielo”.
            Se vogliamo vivere, abbiamo il cibo di cui vivere. Mangiamo di questo Pane, saremo incorporati a Cristo e ne saremo vivificati.(cfr S. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 26, 1). E come dice sant’Ambrogio: «Cristo è tutto per noi» (De virginitate 99: «Omnia Christus est nobis»).
            Certo è comprensibile la reazione di quanti hanno ascoltato questa notizia: “Io sono il Pane del Cielo”, i quali reagirono mormorando e rifiutando la notizia di questo fatto.
            “Io capisco quelli che non accettano la rivelazione che Dio fa di se stesso in Cristo perché ha sempre dell'incredibile” (Divo Barsotti).
            Sembra una pazzia che Dio, l'Infinito, l'Eterno, l'Onnipotente, sia un Bambino debole e fragile, sia un Uomo come loro, e ora addirittura si offra come Cibo. Ma pazzia non è. E’ mistero. E’ solo la fede dischiude al mistero. Solo un cuore puro può «riconoscere» Dio sotto le specie del Pane e dire davanti a Gesù: «Tu sei il Figlio di Dio. Sei qui con noi, in mezzo a noi!». L’Eucaristia è la festa della fede.
            Certamente: «Io sono il Pane disceso dal cielo» è una tra le più stupefacenti e provocatorie frasi che siano mai state pronunciate da labbra umane.

2) Parole ripetute da …

            Il fatto ancora più stupefacente è che da allora in poi altre labbra umane hanno pronunciato e pronunciano frasi analoghe, altrettanto stupefacenti, quali: “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue”.
            Le prime furono le labbra della Madonna.
            La Madre di Cristo e di ciascuno di noi, quando il cadavere del Figlio fu deposto dalla Croce sulle sue ginocchia, disse piangendo: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”, ma non mormorò contro Dio, continuò a credere nel Figlio di Dio, certa di essere di fronte non ad un evento finale di morte, ma al Pane spezzato ed al Sangue versato. Perseverò nella fede nel Dio della Vita.
            Anche ogni prete dice a ogni Messa: “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue” e allora la Carità di Dio si unisce cosi profondamente al lavoro dell’uomo per farne il Pane disceso da Cielo.
            E il Fatto eucaristico riaccade, il Pane continua a discendere dal Cielo, dove la Croce l’ha seminato. La Croce, legno arido che con il Corpo di Cristo diventa Albero della Vita vera. Albero del cui frutto possiamo e dobbiamo cibarci.
            Ma Cristo non ha smesso di dire queste parole della consacrazione, non solo perché il Prete ad ogni Messa le ripete “in persona Christi”, e quindi l’Eucaristia riaccade, ma perché dal Cielo, guardandoci dopo che abbiamo ricevuto la comunione insieme con i nostri fratelli e sorelle, Lui ridice: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”.  “Ci identifichiamo con il suo corpo crocifisso, ci identifichiamo con l’Amore immolato e allora Cristo può identificarsi con noi e dire su noi: Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue. Siamo scambiati con Lui” (Maurice Zundel). E’ davvero una notizia lieta di un fatto vero. La nostra fede poggia sulla cosa più bella del mondo: un atto d'amore perfetto.
            La croce è l'immagine più pura, più alta, più bella che Dio ha dato di se stesso. Da allora, «per sapere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce» (K. Rahner) e mangiare il Pane disceso dal Cielo non nonostante la Croce ma grazie alla Croce.
           
3) Parole nutrienti
            Dire da parte di Cristo e nostra: “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue, Io sono il Pane disceso dal Cielo” non è solo dare delle informazioni ma donare il Cibo e il Vino di Vita, come aveva già intuito San Pietro che alla domanda di Gesù: “Volete andarvene anche voi?” rispose: “Signore dove andremo, Tu solo hai parole di vita eterna”.
            In effetti, la sola cosa che interessa a Pietro è la vita eterna. Ed è ciò che Gesù ha promesso. Questo semplice Pescatore di Galilea, che Cristo poi scelse con Roccia della Sua Chiesa, avrà avuto in quel momento una comprensione confuse e poco chiare del messaggio di Cristo, ma aveva capito l’essenziale che Cristo gli voleva bene e lui amava Cristo. La realtà dell’amore era una Presenza con cui dimorare. Pietro, forse, non è ancora in grado di dire che Cristo è Dio, ma riconosce in Cristo l’Amico che è Via alla Vera Vita.
            Le parole di Gesù non solo informano, ma consacrano e ci danno come nutrimento l’Ostia, che riceviamo con devozione, con pietà, con certezza.
            Basta la certezza di quel bambino a cui “un prete, durante le Messa, presentò l’Ostia e gli domandò: “Che cos’è?”. Il bambino rispose: “E’ Gesù”. “Perché dici questo?”. “Perché l’ha detto Gesù”, replicò il bambino. “E tu ci credi?”. “Sì, Gesù non dice bugie!”.
            Basta la pietà di quel contadino, parrocchiano di Ars, che quando tornava stanco dal lavoro dei campi, si fermava lungamente in chiesa, in silenzio. Il Santo Curato d’Ars, incuriosito, un giorno gli chiese: “Che fai lì, in silenzio, davanti al tabernacolo?”. Il contadino rispose: “Io guardo Lui e Lui guarda me”.
            Basta la devozione di quella mamma analfabeta, che dopo il battesimo del suo bambino, lo baciò sul petto. Io le domandai: “Perché lo baci così?”. Lei mi rispose: “Perché ora mio figlio è Tempio dello Spirito Santo!”.
            Come sarebbe bello noi ricevessimo l’Ostia consacrata con la stessa devozione di quella mamma illetterata, ma sapiente della saggezza di Dio.

            4) Parole come pietre.
            Come ricorda il Vangelo “ambrosiano” di oggi (Mt 21, 33-46), il Tempio che siamo ha Gesù Cristo come Pietra angolare: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”.
            Non ci resta che pregare così: “Tu, Cristo Gesù, sei la "pietra angolare" scelta da Dio, per edificare il suo santo tempio. Rendimi, a mia volta, pietra viva che, cementata dallo Spirito, rende testimonianza al tuo nome con la santità della vita”.
            Non ci resta che vivere l’offerta come la Messa ce l’insegna. “Prima di Cristo, l’umanità offriva a  Dio i frutti della terra.  Ora noi offriamo a Dio un frutto di Dio stesso, un frutto del Suo seno, che è anche un frutto prodotto dalla terra verginale di Maria. Per questa ragione, già dal Profeta Isaia (Is 4,2) è chiamato simultaneamente frutto della terra e germe del Cielo” (cf De Berulle).
            Non ci resta che adorare per aderire a questa stabile Presenza, il cui primo nome è Parola di Dio (Ap. 19;13), Parola così forte da essere Pietra angolare.
            Non ci resta che fare di Cristo il nostro Pane quotidiano, mangiato e adorato, in questo modo diventiamo Colui Che ci abita e dà forma al nostro pensare, sentire e amare.

Come aiuto alla pietà eucaristica propongo due preghiere, una di Sant’Ignazio di Loyola e l’altra di San Francesco, che possono essere usate come ringraziamento dopo la comunione:

Anima di Cristo, santificami.
Corpo di Cristo, salvami.
Sangue di Cristo, inebriami.
Acqua del costato di Cristo, lavami.
Passione di Cristo, confortami.
O buon Gesù, esaudiscimi.
Nelle tue piaghe, nascondimi.
Non permettere che io mi separi da te.

Dal nemico maligno difendimi.
Nell'ora della mia morte chiamami

e comandami di venire a te

a lodarti con i tuoi santi
nei secoli dei secoli.

Amen!

Signore,
fammi strumento della tua pace:
dov'è odio, ch'io porti amore,
dov'è offesa, ch'io porti il perdono,
dov'è discordia, ch'io porti l'unione,
dov'è dubbio, ch'io porti la fede,
dov'è errore, ch'io porti la verità,
dov'è disperazione, ch'io porti la speranza,
dove sono le tenebre, ch'io porti la luce.
Signore,
fa che io cerchi
di consolare più che di essere consolato,
di comprendere più che di essere compreso,
di amare più che di essere amato,
poiché dando si riceve,
perdonando si è perdonati,
morendo si resuscita a vita nuova.
                                         (S. Francesco)
 

lunedì 6 agosto 2012

XVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 5 agosto 2012


Rito Romano
Es 16,2-4.12-15; Sal 77; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35

Rito Ambrosiano
Domenica X dopo Pentecoste
1Re 7,51-8,14; Sal 28; 2Cor 6,14-7,1; Mt 21,12-16

1)Il lavoro: dalla carne allo spirito.
Nel vangelo di domenica scorsa abbiamo visto che la gente seguiva Gesù non per amore, ma per curiosità di ascoltare cose interessanti e di vedere dei miracoli. Il Cristo “usa” questa curiosità della gente, per condurla alla fede. Dunque moltiplica i pani non solo per sfamare migliaia di persone, ma per farle passare dalle esigenze istintive del corpo a quelle dello spirito, tracciando il cammino della fede.
E cosi nel vangelo di oggi, ascoltiamo il Salvatore che parla per “saziare con le sue parole le intelligenze di coloro dei quali ha saziato lo stomaco con i pani” (Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni n. 25): per saziare la fame di orientamento, di senso, di significato, di pienezza: la fame di Dio.
Non dimentichiamo infatti che la comunione eucaristica non è solo comunione con il Corpo di Cristo, ma a tutta la Sua vita divina.
Ma per avere questa comunione occorre lavorare.
Al versetto 27, Gesù dice: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”. Se dovessimo tradurre alla lettera dal testo greco invece di “datevi da fare” dovremmo scrivere “lavorate”.
“Lavorate”, ci chiede Cristo con chiarezza, ma non per il pane terrestre. Questa esigenza del corpo è un’evidenza, non c’è bisogno insistervi. Lui chiede, oggi come allora, di lavorare per il cibo che dura; vale a dire: Lui attende da noi che, in tutto quello che facciamo, abbiamo una sola cosa in testa: quella di arrivare alla vita eterna: “Prima di tutto cercate il Regno di Dio ed il resto vi sarà dato in sovrappiù” (Mt 6, 33). Il resto lo fa Lui. E’ lui che si dona tutto a noi.

2) Istruzioni per il lavoro?
Quello a cui il Redentore invita, ieri come oggi, è un lavoro da fare, l’opera di Dio da compiere. Infatti alla gente che gli chiedeva: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (Gv 6, 28).
A questo punto sembrerebbe lecito, per non dire doveroso chiedere le istruzioni per questo lavoro.
Ma Cristo non risponde, alla domanda sul che fare con un elenco di regole, di istruzioni per lavorare come Dio comanda. Sarebbe caduto in quel modo di fare di molti cristiani, che, per essere moderni, correggono lo stupore dell’incontro con l’evento di Cristo con delle regole.
La fede non è un puro e semplice rapporto con le Verità, ma un inserimento di tutto me stesso nel “fatto di Gesù” il Vivente (D. Primo Mazzolari, Tempo di credere, Brescia 1964, p. 117). Fede non in un fatto di un passato lontano di duemila anni e più, ma nell’avvenimento di un Presente a cui aderire con energia e stupore, in cui credere oggi e ogni giorno. Non si tratta di fermare la storia o di guardarla nel passato: Gesù Cristo è oggi, è in noi quale “cuore del nostro cuore” (Maurice Zundel).
Avere fede in Gesù Cristo cioè amarLo credendo, unire la fede all’amore, unirsi a Lui con la fede” (S. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, col 25). Cristo chiede una fede che opera mediante la carità (Gal 5). Una fede forte e semplice che cresce nella domanda: “Signore, io credo, ma tu aumenta la mia fede” e nell’incontro, dal quale tutto deriva come una sorgente d’amore, e nessuno ha obiezioni ad essere dissetato, vinto dall’intelligenza dell’amore.
Alla domanda di credere, allora come oggi, la gente replica a Cristo: “Che segno ci dai, perché vedendolo noi crediamo?”. Il Redentore rispose loro: “Vi do il Pane del Cielo, il pane vero che da la vita vera, eterna”. E all’immediata richiesta; “Dacci questo pane”, Gesù affermò: “Io sono questo Pane!”. Non solo “Io sono (Yahwé)”, ma “Io sono il Pane vivente, che dà la vita”. Dio non solo è, ma è amore che dà la vita.
E’ alla nostra fede che Cristo-Eucaristia si consegna. Facendosi pane per noi, non solo resta accanto a noi, ma vive in noi. Noi possiamo e dobbiamo mangiare il suo Corpo, per partecipare al suo Spirito, incorporati a Lui, per sempre. Ma non dimentichiamo quello che dice San Agostino: “Non ci si comunica mai alla Testa se non comunicando anche a tutto il Corpo che è la Chiesa”.
Che il Signore ci faccia una cosa sola.

3) Pane di Vita
Dio non conosce che un solo modo di offrirsi, di donarsi: lo fa completamente e senza riserve. Se c’è qualcuno che merita il nome di “prodigo (che di per sé vuol dire generoso e non sprecone)” non è chi butta via le ricchezze del padre, sprecando la propria vita. Dio è il Padre prodigo di misericordia, generossimo datore della vita e di ogni altro bene.
La vita che Dio ci dona è la Sua Vita, completamente e per l’eternità. Non ci resta che vivere eucaristicamente, con riconoscenza questo dono grandioso, unendo la carità di Dio al nostro lavoro quotidiano nella lode a Lui e nel perdono tra di noi.
Il Dio che si è fatto carne, si è fatto solidale con la nostra miseria. Facendosi pane ci fa solidali con sua Vita. Il Figlio di Dio, che ha preso un cuore come il nostro, trasforma noi nella sua carne. “A tutti quelli che lo hanno ricevuto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1, 12). Vivere da figli di Dio, vivere nella fede, vivere del Pane di Vita è un cammino di libertà. E’ vivere riconciliati con se stessi, riconciliati con gli altri.
Cristo, Pane di Vita, è un Mistero che continua. La memoria aiuta la fede, ma più che la memoria è l’incontro con Chi si ferma da noi, nel nostro cuore, nelle nostre case, nella nostra povertà ed accetta la poverissima ospitalità del nostro cuore, dilatato dal suo.
Purifichiamo con la confessione il nostro cuore che Cristo vuole come Chiesa dove irraggiare la sua presenza di gloria. L’Eucaristia è il Pane di Vita che trasforma il quotidiano. “L’azione del mangiare, che facilmente degenera nella banalità se non nella volgarità, con il Pane eucaristico viene riportata verso il Mistero … Cristo ferma nel Sacramento il momento religioso della famiglia e dell’amicizia” (Primo Mazzolari, Tempo di credere, Brescia 1964, p. 203).
4) Pane di comunione.
La comunione, questo atto del "mangiare", è realmente un incontro tra due persone, è un lasciarsi penetrare dalla vita di colui che è il Signore, di colui che è il nostro Creatore e Redentore. “Scopo della comunione è l'assimilazione della nostra vita alla sua, la trasformazione e conformazione a colui che è Amore vivo” (Benedetto XVI). Come Jacopone da Todi piangiamo “perché l’Amore non è amato”, e riceviamoLo nell’Eucaristia, il più frequentemente possibile.
Occorre per questo essere affamati di Cristo, anche se si parte da una pura e semplice fame corporale come lo esemplifica questo piccolo aneddoto: “In una povera parrocchia di un Paese dove c’era la carestia un sacerdote nota che un bambino si è accostato all'eucaristia per la terza volta nello stesso giorno. Egli chiama il bambino in disparte e con amore lo esorta: "Gesù si riceve una sola volta al giorno". Il bambino alza gli occhi un po' colpevoli e un po' supplicanti verso il prete e dice: "Ma io ho fame".
Il pane è alimento e medicina e strumento d’amicizia, così Gesù, Pane di Vita è cibo per la nostra fragilità e medicina di misericordia e conversazione d’amico. Con S Bernardo di Chiaravalle riconosciamo e che l’uomo cerca meglio e trova più facilmente Dio “con la preghiera che con la discussione”. Alla fine, la figura più vera del teologo e di ogni evangelizzatore rimane quella dell’apostolo Giovanni, che ha poggiato il suo capo sul cuore del Maestro. Da uomo a Uomo.
Occorre che il nostro cuore sia Casa di preghiera purificata da Cristo (si veda il vangelo ambrosiano di oggi) e diventiamo come i bambini che riconoscono Cristo, lo lodano e, lodandolo, gli stanno il più vicino possibile. Cosi comprendiamo che “la vocazione di ciascuno di noi consiste nell’essere con Gesù, pane spezzato per la vita del mondo” (Benedetto XVI, Esortazione Ap. Post-Sinod., Sacramentum Caritatis, n 88, 22 febbraio 2007).
Gesù, il Pane di Vita, quando nacque a Betlemme (che vuol dire “La casa del Pane”) di Giuda (che vuol dire “testimonianza”), si lasciò mettere sul legno di una mangiatoia. Al termine della sua vita terrena, si lasciò mettere su legno della Croce a Gerusalemme (che vuol dire “La città della Pace), dove celebrò nel Cenacolo e sul Calvario la prima Eucaristia, che fu fin dall’inizio chiamata anche “frazione del pane”.
Di conseguenza la frazione del pane eucaristico deve proseguire nello «spezzare il pane» della vita quotidiana, nella disponibilità a condividere quanto si possiede, a donare e così unire.
Nella condivisione del Pane di comunione diventeremo santi, cioè veri e ricolmi di amore.