venerdì 25 dicembre 2020

In pellegrinaggio a Nazareth dalla Santa Famiglia.

Domenica della Santa Famiglia, – Anno B – 27 dicembre 2020

Rito Romano: Gen 15,1-6; 21,1-3; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40


Rito Ambrosiano:

Ger 31,15-18. 20; Sal 123; Rm 8,14-21; Mt 2,13b-18

Domenica - IV giorno dell’ottava di Natale



1) La Famiglia Santa, dunque vera.

La liturgia ci propone di celebrare la Santa Famiglia come modello di tutte le famiglie umane e non solo di quelle cristiane1. In un tempo di profonda crisi d‘identità delle famiglie soprattutto occidentali, con separazioni, divorzi e convivenze di ogni genere, proporre all’attenzione delle nostre famiglie questa singolare famiglia di Nazareth significa “riscoprire la vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia. E, come accadde in quei trent’anni a Nazareth, così può accadere anche per noi: far diventare normale l’amore e non l’odio, far diventare comune l’aiuto vicendevole, non l’indifferenza o l’inimicizia” (Papa Francesco, Udienza Generale del 17 dicembre 2014).

La Santa Famiglia di Nazareth mostra qual è l’inizio ed il centro di ogni famiglia vera: Gesù Cristo. La Famiglia di Cristo fu santa, perché Sua, perché Lo accolse e Lo donò al mondo. Le nostre famiglie sono chiamate a fare altrettanto. Se si è radicati in Lui che ha vissuto in essa, si può capire e vivere i grandi beni che il matrimonio, la famiglia, il dono della vita. Si capirà anche quale grande pericolo sia per l’uomo e la sua dignità, la loro degradazione nelle istituzioni civili.

Credo sia utile partire dall’episodio narrato dal San Marco al capitolo 3, in cui a chi gli dice “Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano", Gesù risponde: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?".

Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc 3, 31-35). E’ come se Gesù Cristo dicesse: “La mia famiglia è tutta qui. Non ho altre famiglie. I rapporti di sangue non contano se non sono confermati nello spirito. I miei fratelli sono i poveri che piangono, le mie sorelle sono le donne che hanno detto sì all’Amore, che ha purificato ed elevato l’amore”.

Gesù non disprezzava Sua Madre, San Giuseppe, suo padre legale, e la Sua parentela. Lui non rinnegava la Madre del cui grembo Lui era il frutto: voleva dire che Lui non apparteneva solo alla “piccola” Santa Famiglia di Nazareth, ma alla Sua missione di Salvatore della “grande” famiglia umana. Dio viene a ricostruire il senso vero della famiglia umana, la vocazione di ogni uomo che è quella di figlio e fratello. Dio riunisce la sua famiglia per insegnare ad essere familiari davvero, perché vuole liberare dalla tentazione della solitudine. Dio sa che non è mai buono per l’uomo essere solo. Dio stesso non vuole stare solo. Per questo genera una famiglia per "tutte le genti", come canta Simeone.


2) Pellegrini a Nazareth.

Come Papa Francesco ha recentemente proposto ad ogni famiglia, ad ogni mamma ad ogni papà, ad ogni figlio, facciamo uno spirituale pellegrinaggio a Nazareth per riempire il proprio spirito delle sublimi virtù di Maria, l’umile Serva del Signore, di Giuseppe, l’uomo giusto, il falegname, il Custode della santa famiglia e di Gesù, il Figlio di Dio, che era loro sottomesso e cresceva in età, sapienza e grazia.

La liturgia di oggi ci presenta una meditazione tutta centrata sul Cristo, che interessa in modo particolare le famiglie cristiane; ci presenta il mistero della vita di Gesù bambino con i suoi genitori.

Il brano del Vangelo di oggi ci presenta un quadro familiare di grande efficacia per la comprensione del mistero del Salvatore. Siamo al momento della presentazione del Signore al tempio e ad aspettare questo grande e atteso evento c’è il vecchio Simeone che oggi occupa la scena principale del vangelo sulla Santa Famiglia. Il vecchio Simeone riconosce in Gesù il vero ed atteso salvatore ed è felice che il Signore gli abbia permesso di vedere questo giorno. E’ la persona della gratitudine, ma anche della profezia, del coraggio e dell’assenza di ogni paura soprattutto della morte che nel Bambino Gesù già vede la vittoria su di essa. Ora questo santo uomo di Dio, che aveva atteso per anni la venuta del messia, può lasciare felice la terra per incontrare per sempre il Signore nell’eternità.

Nelle nostre famiglie si educhi al senso dell’eterno e della comunione. I bambini crescono osservando come gli adulti vivono. Perciò educare i figli significa farli partecipare alla realtà della comunione del papà e della mamma, che hanno dato loro la vita. Educare i figli significa introdurli nella vita insegnando loro la gratitudine.


3) Un protagonista dimenticato.

La Santa Famiglia non era una famiglia senza problemi. Maria e Giuseppe hanno condiviso la condizione di quel figlio sconcertante, seguendolo passo per passo nella rivelazione del suo mistero. Ed è proprio per questa loro disponibilità totale che meritano tutta la nostra ammirazione. Non è semplice sapere di aver in custodia il Figlio di Dio e fuggire in Egitto, ritornare in patria e vivere a Nazareth, villaggio periferico per gli Ebrei, vedere cresce in sapienza e grazia Gesù, che conduceva una vita ordinaria, senza manifestazioni eccezionali fino a trent’anni.

Si vorrebbe saperne di più, sulla vita di quella straordinaria famiglia; in fondo, però, San Luca dice quanto basta a delinearne la fisionomia. Pur se straordinaria, per tanti aspetti è una famiglia come tutte, con le sue gioie, i suoi dolori, i suoi segreti: conduce una vita secondo la fede, prova la gioia di un bambino che nasce e cresce sano e forte, è colpita da profezie che annunciano un futuro difficile. In tutte le famiglie non sempre gli anni scorrono tranquilli; prima o poi si affacciano problemi, sofferenze, preoccupazioni, tanto più dolorosi se provocati dalla mancanza di amore. La Famiglia di Nazareth affrontò le gioie e le difficoltà della vita sotto la guida e custodia di San Giuseppe.

    E’ importante comprendere la grandezza di quest’uomo unico che è stato lo sposo di Maria e che è stato spesso ridotto a essere il procuratore dei beni materiali, come se nella Santa Famiglia lui avesse avuto solamente il ruolo “esterno” dell’uomo al quale si affidano compiti non importanti, che non esigono le virtù più alte. In effetti se ci si mette nella situazione in cui si trovava Maria, quando lei portava nel suo seno l’incipiente vita carnale del Figlio di Dio, se ci si mette dal punto di vista legale, questa situazione è qualcosa di scioccante per Giuseppe, perché –umanamente e legalmente parlando- la sua fidanzata doveva essere considerata un’adultera degna di castigo e, quindi, della lapidazione.

      Come ha potuto Giuseppe ammettere che Maria era innocente? Eppure lui non è stato neppure sfiorato dal dubbio. Il suo amore per la Madonna non è stato ferito e ha voluto proteggerne la reputazione anche per non farle correre nessun rischio di vita. Giuseppe crede fermamente all’Angelo e prende con sé Maria, perché in ogni caso lei non corra alcun rischio. Lei ed il di lei Bambino hanno bisogno di lui, Giuseppe, che con il suo amore sponsale accetta di restare anche lui vergine perché Colui che è in Maria per opera dello Spirito Santo, nasca, cresca e salvi il mondo. L’annuncio angelico: “Non temere di prendere Maria come tua sposa” è il sigillo di dio su questo matrimonio unico, al cuore dell’amore umano più profondo, più autentico, più divino. Ebbene, un uomo che è capace di una tale grandezza, appartiene alla razza dei giganti, dei santi. Giuseppe accetta di vivere verginalmente il suo amore per non infliggere la benché minima ferita alla sua amata. Il matrimonio di Maria e Giuseppe ha permesso a Cristo di entrare nel mondo con onore, ha consentito a Cristo di vivere la vita nascosta di Nazareth ben protetto, crescendo in sapienza e grazia. A Nazareth Giuseppe, Maria e Gesù hanno vissuto il quotidiano in modo eroico, così che l’eroico diventasse quotidiano e anche noi possiamo imitarli nel nostro quotidiano.

    Giuseppe si impegnò con tutta la sua persona nell’opera di Redenzione del Figlio di Maria: ha donato a Dio la sostanza della sua tenerezza e del suo cuore, sacrificando il suo amore.

    Che si sia genitori grazie al matrimonio o che si sia padri e madri spiritualmente, l’esempio della Santa Famiglia ci chiede di essere pronti al sacrificio che fa vera la vita.

    Prego San Giuseppe, che è il custode e protettore delle vergini, come lo fu di Maria, che ottenga per le vergini consacrate nel mondo di saper far fruttare le ricchezze del loro cuore perché perseverino nella via della santità mediate il dono totale di se stesse al Signore, che ci ama di amore infinito, paziente: tenero.


1Papa Francesco: “Ho deciso perciò di riflettere con voi, in questo anno, proprio sulla famiglia, su questo grande dono che il Signore ha fatto al mondo fin dal principio, quando conferì ad Adamo ed Eva la missione di moltiplicarsi e di riempire la terra (cfr Gen 1,28). Quel dono che Gesù ha confermato e sigillato nel suo vangelo.

La vicinanza del Natale accende su questo mistero una grande luce. L’incarnazione del Figlio di Dio apre un nuovo inizio nella storia universale dell’uomo e della donna. E questo nuovo inizio accade in seno ad una famiglia, a Nazaret. Gesù nacque in una famiglia. Lui poteva venire spettacolarmente, o come un guerriero, un imperatore… No, no: viene come un figlio di famiglia, in una famiglia. Questo è importante: guardare nel presepio questa scena tanto bella.” (17 dicembre 2014)

Lettura Patristica

di Sant'Agostino d’Ippona, Vescovo (354 – 430)

Sermo 51, 10.17; 11, 18-19; 12, 19-20


"Il Signore vuole che il padre sia onorato dai figli...

Chi onora la madre è come chi accumula tesori".(Sir 3, 2.4)


Il mondo è sottomesso a Cristo, Cristo è sottomesso ai genitori


Il Signore Gesù Cristo essendo, in quanto uomo, nell'età di dodici anni, egli che, in quanto Dio, esiste prima del tempo ed è fuori del tempo, rimase separato dai genitori nel tempio a disputare con gli anziani, che rimanevano stupiti della sua scienza. I genitori, invece, ripartiti da Gerusalemme, si misero a cercarlo nella loro comitiva, cioè tra coloro che facevano il viaggio con loro ma, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme angosciati e lo trovarono che disputava con gli anziani, avendo egli - come ho detto - solo dodici anni. Ma che c'è da stupirsi? Il Verbo di Dio non tace mai, sebbene la sua voce non sempre si senta. Viene dunque trovato nel tempio e sua madre gli dice: Perché ci hai fatto una simile cosa? Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo. Ed egli: Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? (Lc 2, 48-49). Egli rispose così, poiché il Figlio di Dio era nel tempio di Dio. "Ecco - dice qualcuno - non ammise d'essere figlio di Giuseppe". In realtà Egli non voleva far credere d'essere loro figlio senza essere nello stesso tempo Figlio di Dio. Difatti, in quanto Figlio di Dio, egli è sempre tale ed è creatore dei suoi stessi genitori; in quanto invece figlio dell'uomo a partire da un dato tempo, nato dalla Vergine senza il concorso d'uomo, aveva un padre e una madre. In qual modo proviamo quest'asserzione? L'ha già detto Maria: Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo.

In primo luogo, fratelli, non è da passare sotto silenzio la modestia tanto santa della Vergine Maria, perché sia norma di vita per le donne, nostre sorelle. Aveva partorito il Cristo, era andato da lei l'angelo e le aveva detto: Ecco, concepirai nel seno e darai alla luce un figlio che chiamerai Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo (Lc 1, 31-32). Aveva meritato di dare alla luce il Figlio dell'Altissimo, eppure era umilissima; nemmeno parlando di se stessa prende il primo posto anteponendosi al marito, col dire: "Io e tuo padre", ma: Tuo padre - dice - e io. Non tiene conto della propria dignità di madre, ma bada a rispettare il diverso grado proprio dei coniugi. Il Cristo umile non avrebbe certo insegnato alla propria madre a insuperbirsi.

Essendo poi sceso con loro, [Gesù] si recò a Nazaret ed era loro sottomesso (Lc 2, 49-51). La Scrittura non dice: "Era sottomesso alla madre", oppure: "Era sottomesso a lei", ma: Era sottomesso loro. Chi sono questi, ai quali era sottomesso? Non erano forse i suoi genitori? Erano entrambi i suoi genitori coloro ai quali Cristo era sottomesso per la degnazione per cui era figlio dell'uomo.

Finora le donne hanno sentito le norme loro proprie; sentano adesso le loro i ragazzi, perché ubbidiscano ai genitori e siano loro sottomessi. Il mondo è sottomesso a Cristo, Cristo è sottomesso ai genitori.

Vedete dunque, fratelli, che Cristo, dicendo: "Occorre che mi occupi delle cose del Padre mio", non voleva che noi intendessimo le sue parole presso a poco in questo senso: "Voi non siete miei genitori", ma nel senso ch'essi erano genitori nel tempo, il Padre invece da tutta l'eternità. Quelli erano genitori del Figlio dell'uomo, il Padre invece lo era del proprio Verbo e Sapienza, era Padre della sua Potenza, grazie alla quale ha creato tutte le cose. Se tutte le cose sono create dalla Potenza che si estende da un'estremità all'altra del mondo con forza e regge l'universo con bontà, per mezzo del Figlio di Dio furono creati anche coloro ai quali egli medesimo si sarebbe sottomesso come figlio dell'uomo.




mercoledì 23 dicembre 2020

Natale: nascita del Cuore del nostro cuore, stupito dalla Luce, dalla Gioia e dalla Semplicità

 

Messa della notte, dell’aurora, del giorno di Natale1



Premessa.

La Chiesa con la sua liturgia ci ha aiutato a rendere il nostro cuore così diverso da fare in modo che il Cielo vi trovi più spazio. Con il cuore abitato da Cristo ci è possibile avere una “condotta celeste”, dove la preoccupazione di evitare il peccato è superiore a quella di evitare il Covid-19, otteniamo che “anche noi sospiriamo in noi stessi la redenzione del corpo, aspettando il compimento dell’adozione” (Rm 8, 23).

Ci sta davanti un nuovo Natale che completa il Natale di Betlemme: il pellegrinaggio che il Figlio di Dio fece dal Cielo alla Terra, si rinnova nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e comunità.

Il nuovo invece del vecchio, la verità invece delle ombre, la luce invece della notte profonda (3 Adv. F. 2 Resp 3). La novità di Cristo iniziò dal momento in cui la Vergine Maria disse: “Ecco io sono l’ancella del Signore” e “il Verbo si è fatto carne” e crebbe come la vite mette i rami, e anche a noi, per mezzo del suo dono totale dalla culla alla croce, siamo resi partecipi della sua natura divina. Facciamo nostro il “Sì” della Madonna e Cristo metterà la sua dimora in noi, presepi viventi. Di più renderà simili a Lui, nel quale la nostra natura è stata unita alla sua (cfr. Nat Di Missa 1 Secr.).

Il Bambino che giace nel presepe è giunto per renderci bambini come Lui, non come l’idea di bambini che teoricamente o emotivamente abbiamo, perché soltanto “i bambini entreranno nel Regno dei Cieli” (Mt 18,3), perché sono come questo Bambino, che è Vita e sorgente di vita e il Salvatore del mondo nato “oggi” non solo ci fa rinascere in Lui ma ci dona l’immortalità.



  1. Il Presepe vivente: noi.

Un anonimo ha scritto: “ Il nostro corpo è il Presepe vivente nei luoghi dove siamo chiamati a vivere e a lavorare. Le nostre gambe, come quelle degli animali che hanno riscaldato Gesù la notte del Suo natale. Il nostro ventre, come quello di Maria che ha accolto e fatto crescere Gesù. Le nostre braccia. Come quelle di Giuseppe che hanno cullato, sollevato, abbracciato Gesù e per Lui hanno lavorato. La nostra voce, come quella degli angeli per lodare il Verbo che si è fatto carne. I nostri occhi, come di tutti quelli che la notte l’hanno visto nella mangiatoia. Le nostre orecchie, come quelle dei pastori che hanno ascoltato –stupefatti- il canto angelico proveniente dal cielo. La nostra intelligenza, come quella dei Re Magi che hanno seguito la stella fino alla “casa” di Gesù: la grotta. Il nostro cuore come la mangiatoia che ha accolto l’Eterno che si è fatto piccolo e povero come uno di noi”.

Andiamo dunque al presepe per diventare noi sempre più Presepe vivente che rivela l’Uomo e Dio. L’Uomo che non siamo ancora ma che siamo chiamati ad esse e Dio che non può manifestarsi che in una umanità diafana, che fa passare attraverso di essa questo Amore che è unicamente Amore.

Se andiamo al presepe è perché il Natale è il centro della Storia universale. E’ in rapporto al Natale che tutti i secoli sono contati.

Se andiamo al presepe è perché nella nascita di Cristo c’è la nostra nascita, la nostra dignità, la nostra grandezza e la nostra libertà.

Se andiamo al presepe è perché lì Dio si rivela non più come un padrone che ci domina, che rivendica dei diritti su di noi, ma come un Amore dolce, che si vuole nascondere in noi, e che non smette di aspettarci perché la “sola” cosa che può fare sempre è di amarci.


2) Natale: un fatto, non un’emozione e tantomeno una favola.

Nella Messa della notte e dell’aurora la liturgia di Natale propone la narrazione della nascita di Gesù secondo Luca (2,1-20). Nella Messa del giorno le affermazioni del prologo (introduzione) del Vangelo di San Giovanni sull’origine divina del Verbo, non sono fine a se stesse, ma necessarie per capire l’incarnazione, per capire Gesù nel suo ruolo di rivelatore. Il centro del prologo (introduzione) è l’affermazione: “La Parola è divenuta carne” (1,14).

Il racconto di San Luca inizia con un inquadramento storico: data, luogo, persone e cause prossime del fatto2.

Nella notte di questo giorno di Natale, dal suo ventre gentile di Maria nasce al mondo l’Amore, incarnato nella carne dell'uomo. La nascita di Gesù è un evento storico, accaduto in un tempo e in un luogo preciso. E quando questo fatto è annunciato ai pastori, questi si dicono tra di loro “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere” (Lc 2,15).

I pastori di Betlemme si dicono l’un l’altro “andiamo al di là”3 a vedere il Bambino. Si tratta proprio di “attraversare” la notte ed il cuore, di andare al di là, osare il passo che va oltre, la “traversata”, con cui usciamo dalle nostre abitudini di pensiero e di vita e oltrepassiamo il mondo puramente materiale per giungere all’essenziale. 

Andare al di là significa, ultimamente, cambiare il nostro rapporto malato con il tempo e con le persone. I pastori si affrettarono. Una santa curiosità e una santa gioia li spingevano. Tra noi forse accade molto raramente che ci affrettiamo per le cose di Dio. Oggi Dio non fa parte delle realtà urgenti. Le cose di Dio, così pensiamo e diciamo, possono aspettare. Eppure Egli è la realtà più importante, l’Unico che, in ultima analisi, è veramente importante.

E, quando dopo la traversata arrivarono alla grotta, cosa videro i pastori?

Un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia come gli Angeli avevano annunciato loro. È la meraviglia del Natale: ad essere proclamato Signore, il Principe della pace, Messia e Salvatore è un bambino che ha, come trono, una mangiatoia e, come palazzo reale, una grotta. La totale semplicità del primo presepe stupisce. Il particolare che più meraviglia è l’assenza di ogni tratto meraviglioso nella grotta. I pastori sono sì avvolti e intimoriti dalla gloria di Dio, ma il segno che ricevono dagli Angeli è semplicemente: “Troverete un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia”. E quando giungono a Betlemme non vedono altro che “un bambino deposto nella mangiatoia”.

La meraviglia del Natale sta qui. Senza la rivelazione degli angeli non capiremmo che quel bambino deposto in una mangiatoia è il Signore. È la meraviglia del Natale: ad essere proclamato Signore, Messia e Salvatore è un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia.

Senza il bambino deposto nella mangiatoia non capiremmo che la gloria del vero Dio è diversa dalla gloria dell’uomo. E la gloria di Dio è la vita in pace dell’uomo (cfr Sant’Ireneo): “Gloria a Dio nell’altro dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama”. La pace fra gli uomini è la trascrizione terrestre di quanto avviene nel cielo. Grazie al Natale si può davvero fare nostro il canto degli angeli annuncianti che nell’alto dei cieli c’è la gloria e che in terra fra gli uomini c’è la pace. Se dunque si vuole dare gloria a Dio, occorre costruire la pace.

Immedesimiamoci nei pastori, che furono i primi adoratori del Corpo del Verbo di Dio incarnato. Andiamo da Gesù bambino con la stessa fede dei pastori, che credettero subito all’Angelo, imitiamoli nella loro generosità umile, che esercitarono offrendo il poco che avevano: “latte e panni di lana bianca”. Seguiamoli nel loro sincero amore a Cristo: quando sono dovuti tornare alle loro case ed ai loro greggi hanno lasciato il loro cuore a Betlemme. Cuore che il bambino Gesù ridonò loro arricchito di amore e così poterono camminare sulla via del vita, perché per avanzare nella vita non basta il pensiero, è l’amore che spinge in avanti, al di là.


3) “La Parola è divenuta carne” (Gv 1,14) a Betlemme.

Facendosi carne la Parola di Dio si è fatta visibile: Parola che non solo si sente, ma si vive e fa vivere. “Carne” significa anche che il Verbo non si è sottratto all'opacità della storia, ma al contrario vi è entrato, condividendola. La Parola di Dio si comunica all’uomo mediante una profonda condivisione di esperienze, inserendosi nelle contraddizioni dell'uomo: nella sua morte e nel suo dolore, nelle sue domande e nelle sue sconfitte. Gesù è così veramente un Dio fra di noi, compagno della nostra esistenza. Gesù Cristo è l’evento in cui l’alleanza voluta da Dio con ciascuno di noi si compie sotto i nostri occhi in un modo esemplare.

Anche questo è la bellezza del Natale di Betlemme.

Betlemme! Nella lingua ebraica la città dove secondo le Scritture è nato Gesù significa “casa del pane”. Là, dunque, nacque il Messia, che avrebbe detto di sé: “Io sono il pane della vita” (Gv 6,35.48).

A Betlemme è nato Colui che, nel segno del pane spezzato, avrebbe lasciato il memoriale della sua Pasqua. L’adorazione del Bambino Gesù in questa Notte Santa prosegua nell’adorazione eucaristica. Adoriamo il Signore, fattosi Carne per salvare la carne nostra, fattosi Pane vivo per dare la vita ad ogni essere umano. Riconosciamo, come nostro unico Dio, questo fragile Bambino che sta inerme nel presepe. “Nella pienezza dei tempi, ti sei fatto uomo tra gli uomini per unire la fine al principio, cioè l’uomo a Dio” (cfr S. Ireneo, Adv. haer., IV, 20,4). Nel Figlio della Vergine, “avvolto in fasce” e deposto “in una mangiatoia” (Lc 2,12), riconosciamo e adoriamo “il Pane disceso dal cielo” (Gv 6,41.51), il Redentore venuto sulla terra per dare la vita al mondo.


4)A Betlemme Maria ha dato la vita alla Vita.

Anche noi, in questo Natale, ci diciamo l’un l’altro: andiamo - o meglio, torniamo - a Betlemme. Torniamo alla semplicità e alla purezza delle origini; riscopriamo la culla in cui siamo nati. Troppo ci siamo allontanati da Betlemme; la nostra fede si è sovraccaricata di ragionamenti complicati e qualche volta astrusi che stonano con lo spettacolo di questo “bambino nella mangiatoia”.

A- Concretamente, che cosa significa per noi oggi andare a Betlemme?

Non basta andare al Presepe della Chiesa o a quello, che abbiamo fatto in casa dove c’è una capanna e contemplare il mistero di Gesù bambino con vicino Maria, Giuseppe, il bue, l’asino, i pastori e i Re Magi. Dobbiamo fare in modo che tutto quello che siamo e abbiamo serva per portare il lieto annuncio di questo mistero di gioia e di pace agli uomini, e in particolare ai poveri.

Questo Mistero è un fatto che continua, non una leggenda per bambini. La memoria soccorre la fede, ma più che la memoria, è il vedere come il Signore entra tutti i momenti nel nostro mondo per rimanere con noi.

Ogni giorno c’è un povero “Cristo” che si ferma con noi, che scende nella nostra povertà, e accetta la nostra ospitalità.

Ogni giorno, per chi crede, è Natale.

Cristo nasce anche oggi. Andiamo a vederlo.

Che cosa Gli possiamo dire? Tutto, perché un bambino non fa soggezione. Perfino i mendicanti parlano ai bambini che incontrano per la strada: perfino la gente che non sa o non osa rivolgere la parola ad anima viva, davanti a un bambino si fa coraggio. Un bambino capisce ogni lingua.

Che cosa Gli possiamo chiedere? Tutto. Oppure niente: chiediamoGli “solamente” che resti con noi. Noi possiamo ancora essere cattivi, ma se Lui resta con noi, il male è vinto e allora sentiremo meno male al cuore. Oggi, c’è già qualche cosa di nuovo: c’è Lui.

B- Concretamente, ora, come possiamo andare via dal presepe, che custodisce il Bambino Gesù?

Imitando i pastori che se ne tornarono ai loro ovili ed alle loro case (cioè alla vita quotidiana), glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto. Noi siamo chiamati ora a fare lo stesso: a glorificare Dio per la parola che abbiamo udita, per il pane che egli ora ci spezza, per la gioia che ci ha moltiplicato nel cuore. Siamo chiamati, tornando a casa, a dire ad altri ciò che abbiamo appreso non da un bambino, ma da questo Bambino, che a Betlemme Maria ha dato alla luce. Una giovane donna ha dato alla luce la Luce, che entra nel mondo per rimanere con noi, sempre, come ce lo insegna San Giovanni Evangelista quando racconta il Natale del Verbo: “E il Verbo si è fatto carne e prese dimora in mezzo a noi”.

C- Concretamente, come possiamo essere la dimora di Cristo?

Imitando la Madonna. Se vogliamo dire di sì a Dio come ha fatto Lei, vuol dire che in fonde al nostro cuore almeno un po’ di generosità è ancora viva. Come la Vergine Maria vogliamo che Dio dimori sempre in noi e ciò accade ogni volta che umilmente, silenziosamente accogliamo Cristo nel più profondo del nostro cuore.

Guardando il Presepe e vedendo il Bambino affidato a Maria, capisco perché l’Onnipotente si fa bambino: perché l’onnipotenza si veste della più grande impotenza facendosi “difendere” da un’umile donna, e chiede a tutti, ed ha bisogno di tutto, anche di una misera stalla, del fiato di un bue e di un asino, di un po' di paglia, di una grotta, che è la casa del Condiscendente. Il Presepe è la scuola che confonde i sapienti e depone i potenti, che porta la pace con l’amore che fa vivere, perché è povera forza la forza che uccide. La carità di Dio è così grande, che non ha bisogno della forza per proporsi.

Nel Presepe Maria diventa l’ostensorio che mostra l’amore di Gesù. Le Vergini consacrate nel mondo, e noi con loro, sono chiamate ad essere la culla del vero Adamo, dove il mondo intero è messo al mondo nella comunione divina. “Mi aspetto pertanto che la ‘spiritualità della comunione’, indicata da San Giovanni Paolo II, diventi realtà e che voi siate in prima linea nel cogliere ‘la grande sfida che ci sta davanti’ in questo nuovo millennio: fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione” (Papa Francesco, Lettera in occasione dell’Anno della Vita consacrata, novembre 2014).


1 La liturgia eucaristica di questa domenica di Natale è ricca di testi per le diverse celebrazioni: della vigilia, della notte, dell'aurora e del giorno; tutti momenti significativi e anche suggestivi. Quindi, tento di offrire con umiltà una riflessione sui tre momenti per meditare insieme la verità del Natale e contemplarne la bellezza.

2In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirino era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazareth, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta” (Lc 2,1-5).

3 Questa è la traduzione letterale dal greco dielthomen, e in latino transeamus donde la parola transito.



Lettura Patristica

Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa


Disc. 1 per il Natale, 1-3; PL 54, 190-193



Riconosci, cristiano, la tua dignità

Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.
Il Figlio di Dio infatti, giunta la pienezza dei tempi che l'impenetrabile disegno divino aveva disposto, volendo riconciliare con il suo Creatore la natura umana, l'assunse lui stesso in modo che il diavolo, apportatore della morte, fosse vinto da quella stessa natura che prima lui aveva reso schiava. Così alla nascita del Signore gli angeli cantano esultanti: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Essi vedono che la celeste Gerusalemme è formata da tutti i popoli del mondo. Di questa opera ineffabile dell'amore divino, di cui tanto gioiscono gli angeli nella loro altezza, quanto non deve rallegrarsi l'umanità nella sua miseria! O carissimi, rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo del suo Figlio nello Spirito Santo, perché nella infinita misericordia, con cui ci ha amati, ha avuto pietà di noi, «e, mentre eravamo morti per i nostri peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo» (cfr. Ef 2, 5) perché fossimo in lui creatura nuova, nuova opera delle sue mani.
Deponiamo dunque «l'uomo vecchio con la condotta di prima» (Ef 4, 22) e, poiché siamo partecipi della generazione di Cristo, rinunziamo alle opere della carne. Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all'abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricòrdati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricòrdati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo.





venerdì 18 dicembre 2020

Dire di Sì alla Verità che si fa carne e salva la vita.

 

Rito Romano

4ª Domenica di Avvento - Anno B - 20 dicembre 2020

2 Sam 7,1-5.8-12.14.16; Sal 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38


Rito Ambrosiano

6ª Domenica di Avvento – Domenica dell’Incarnazione o della Divina Maternità della Beata Vergine Maria

Is 62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1, 26-38a




Introduzione

Pochissimi giorni separano questa quarta domenica di Avvento dalla festa del Natale, che è molto ricca di simboli, legati alle diverse culture. Tra tutti, il più importante è certamente il presepe, che suscita tanto stupore e ci commuove, perché ”manifesta la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato” (Papa Francesco, Lettera Apostolica, Admirabile signum, 3)

Accanto al presepe troviamo il tradizionale albero di Natale. Un’usanza anch’essa antica, che esalta il valore della vita perché nella stagione invernale, l’abete sempre verde diviene segno della vita che non muore. Di solito sull’albero addobbato e ai suoi piedi vengono posti i doni natalizi. Il simbolo diventa così eloquente anche in senso tipicamente cristiano: richiama alla mente l’albero della vita (cfr Gn 2,9), figura di Cristo, supremo dono di Dio all’umanità.

Il messaggio dell’albero di Natale è pertanto che la vita resta sempre verde se si fa dono: non tanto di cose materiali, ma di sé stessi: nell’amicizia e nell’affetto sincero, nell’aiuto fraterno e nel perdono, nel tempo condiviso e nell’ascolto reciproco

Niente è più bello, urgente ed importante che ridonare gratuitamente agli uomini quanto gratuitamente abbiamo ricevuto da Dio. Niente ci può esimere o sollevare da questo oneroso ed affascinante impegno. La gioia del Natale, che già pregustiamo, mentre ci colma di speranza, ci spinge al tempo stesso ad annunciare a tutti la presenza di Dio in mezzo a noi.




1) Il tempo del “Sì”.

Nelle domeniche precedenti la Liturgia ha attirato l’attenzione sulla figura di Giovanni il Battista, il Precursore. Oggi è Maria, la Madre Sua che Lui ci ha donata e che è proposta come esempio di attesa di Cristo, per accoglierlo nella nostra vita, nella nostra carne.

Quindi, è importante cogliere l’atteggiamento della Vergine nei confronti di Colui che viene per prendere casa tra noi, che si fa Carne per salvare la nostra carne, perché anche noi “concepiamo” il Verbo di Dio concretamente. Con il suo “fiat” (=sì), Maria concepì Gesù sotto il suo cuore, con nostro fiat noi Lo concepiamo nel nostro cuore. Ci insegni Maria Annunziata a dire la grande parola: “Sì, fiat, sia fatta, o Signore, la Tua volontà”1.

Il “sì”, il “fiat” della Madonna non fu pronunciato da un cuore ottuso, addormentato, ma teso e vigile. Anche se pronunciato da un’umile, giovanissima donna, questo “sì” sponsale fu espressione di un cuore semplice e profondo. Maria è madre di Dio non solo perché ha dato la vita fisica a Gesù, ma perché prima di concepirLo nel suo ventre, L’ha ascoltato con l’orecchio e concepito nel cuore. Lei è madre perché ascolta e accoglie il Figlio e lo lascia vivere com’è, non solo perché Lo porta in grembo e lo mette alla luce2.

Il “sì” di Maria fu l’espressione della libertà di questa Vergine pura, feconda e cosciente di appartenere ad una storia, a una storia grande, che portava nel mondo Dio.

Un fatto è storico non solo perché avviene nel tempo, ma perché avviene in un luogo.

Il tempo è indicato così: “Era il sesto mese dal concepimento di San Giovanni il Battista da parte di Elisabetta”. E’ l’episodio precedente a quello di cui parla il Vangelo di oggi. Ora, al sesto mese uno non è completo. Il Battista rappresenta l’Antico Testamento e la promessa. E’ importante notare che l’Annunciazione compie la promessa con un certo anticipo. Quand’è che avviene il compimento? Al sesto mese, cioè quando la promessa non è ancora matura. Il che, secondo me vuole dire che la realizzazione di una promessa non dipende unicamente da Dio. Dio la promessa l’ha fatta, la realizzerebbe anche subito, la realizza di fatto al sesto mese, aspetta solo che uno dica “sì, avvenga di me secondo la tua parola, accolgo la Parola”. Insomma, da sempre Dio è “Sì” per l’uomo. quando finalmente anche noi diciamo sì come ha fatto la Madonna, allora avviene il compimento. Anche noi diventiamo persone mature, complete quando diciamo sì a Dio. Dunque non aspettiamo domani per dire “Sì”. Normalmente noi pensiamo al domani, aspettando tempi migliori. No. L’unico tempo che abbiamo è il presente. Il presente è l’unico momento nel quale tocchiamo l’eterno: il passato non c’è più, il futuro non c’è ancora. Quello che stiamo vivendo è il tempo dell’ascolto. Non dobbiamo aspettarne uno migliore, altrimenti passiamo metà della vita a pensare al futuro e l’altra metà a rimpiangere il passato, e così non viviamo mai. Dio invece è “presente”3 e la sua proposta avviene “ora”. Non era ieri, non era per domani, è per oggi. Nel Vangelo di Luca tipico l’oggi, ricordiamo le prime parole di Gesù: “Oggi si compie questa parola”.


2) Il luogo e i personaggi del Sì.

In questa giornata del Sì, è importante capire anche il luogo dove esso è stato pronunciato. La localizzazione che l’Evangelista Luca presenta in voluta contrapposizione con la precedente storia di Giovanni Battista.

L’annuncio della nascita del Battista avviene nel Tempio di Gerusalemme, è fatto a un sacerdote che sta svolgendo la sua funzione e avviene, per così dire, nell’ordinamento ufficiale, come è prescritto dalla legge, in conformità al culto, al luogo e alle funzioni ebraiche.

L’annuncio della nascita del Messia è fatto a Maria, una donna che vive a Nazareth, un piccolo, insignificante paese della semi-pagana Galilea, a Nazareth, che per noi oggi vuol dire: il luogo della vita quotidiana. E’ come per insegnarci che il luogo della Parola è dove quotidianamente viviamo. E’ nella nostra vita quotidiana, che possiamo e dobbiamo vivere da figli di Dio e ascoltiamo la Parola. Poi sarà utile andare nei Santuari, nelle Basiliche e nei luoghi in cui ci si riunisce in tanti, perché questo ci richiama ad una vita di comunione nella Chiesa. Ma l’importante è il “qui e ora”: il presente e il luogo della vita quotidiana. E’ lì che quotidianamente la Parola si fa carne, come nel quotidiano di Maria, divenuta il “luogo” di accoglienza, la vita nuova ha inizio. Questa vita cominciò non nel tempio ma nell’umanità semplice di Gesù Cristo, che divenne il vero tempio, la tenda dell'incontro.

Dopo aver considerato il “luogo” dove Dio ama rivelare il suo amore: la povera casa dell’umile Maria, guardiamo i personaggi di questo annuncio.

Cominciamo dall’angelo Gabriele, il cui nome vuol dire “Potenza di Dio”, che si rivolge a Maria, che con il suo “sì” porterà frutto per la potenza della grazia di Dio.

Il saluto dell’Angelo a Maria è “Gioisci, piena di Grazia”, che potremmo parafrasare così: “Sii nella gioia tu, donna amata gratuitamente e per sempre da Dio”. La Madonna è chiamata per una missione, ma prima è invitata alla gioia, è sollevata dall’angoscia perché il Signore “è con lei” per salvare lei e l’umanità intera.

Fissiamo ora gli occhi del cuore su Maria, che si autodefinisce “serva” e che l’Angelo di Dio definisce piena di grazia. Grazia e servizio: in questi due termini è racchiusa tutta la comprensione cristiana dell'esistenza. Il dono ricevuto continua a farsi dono.

Maria rimane turbata dalle parole dell’Angelo. Però, il suo turbamento non deriva dalla non comprensione o dalla paura. Deriva dalla commozione prodotta dall’incontro con Dio, che attraverso l’Angelo le dice che l’“essere amata gratuitamente” da Dio è il suo nuovo nome.

Quando Dio chiama qualcuno per farne uno strumento di salvezza, non soltanto lo chiama per nome, ma gli dà un nome nuovo, capace veramente di esprimere la sua identità e la sua vocazione. Per Maria il nome nuovo è “Piena di Grazia” cioè “amata gratuitamente e per sempre da Dio”. Questo nome nuovo di Maria dice immediatamente la gratuità e la fedeltà dell'amore di Dio, radice di ogni corretta comprensione di Dio, dell'uomo e del mondo. Di questa radice Maria è l’icona luminosa e trasparente. E questo è già la lieta notizia del miracolo del Natale, che ormai è imminente.

“Accettare, accogliere il miracolo del Natale, è accettare che Maria sia realmente la ‘Madre di Dio’ e ‘Madre Vergine’; niente qui contro la sessualità, contro l’amore umano. Il senso è tutt’altro. Noi sappiamo bene che la vita che diamo, che trasmettiamo, è una vita per la morte. Occorreva un intervento di Dio, ci voleva che la catena delle nascite per morte fosse spezzata perché sorgesse con Gesù un vivente totalmente vivo, un vivente che non sarebbe più all'interno della morte come noi, ma si sarebbe volontariamente lasciato afferrare da essa per distruggerla. La verginità feconda di Maria, così come le apparizioni del Risorto tutte a porte chiuse, segnalano questa vita più vivente della nostra, una materialità trasfigurata”4.

L’esempio di Maria, che dà la vita al totalmente vivo, oggi è in modo particolare portato avanti dalle Vergini consacrate. Nella verginità liberamente scelta, queste donne confermano se stesse come persone mature e capaci di vita. Al tempo stesso realizzano il valore personale della propria femminilità, diventando “un dono sincero e totale” a Cristo, Redentore dell’uomo e Sposo delle anime. La naturale disposizione sponsale della personalità femminile trova una risposta nella verginità così intesa. La donna, chiamata fin dal “principio” ad essere amata e ad amare, trova nella vocazione alla verginità, anzitutto, il Cristo come il Redentore che “amò sino alla fine” per mezzo del dono totale di sé, ed essa risponde a questo dono con un “dono sincero” di tutta la sua vita (cfr. S. Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 34).

Le vergini consacrate nel mondo ci mostrano come sia possibile seguire l’esempio fecondo di Maria, vivendo come lei la grazia della semplicità. In effetti, esse testimoniano con semplice umiltà che non dobbiamo forzare noi stessi a pensare cose grandi, né tanto meno a farle, perché diventiamo ridicoli nella nostra presunzione, ma come la Madonna dobbiamo riconoscere ed accettare la presenza del Verbo di Dio in noi.

Preghiamo la Madonna perché quello che è accaduto in lei, accada in noi. Chiediamo al Signore che il Suo amore attecchisca come un fiore dentro la fragilità della nostra carne.

E tutti facciamoci forza ad imitare l’atteggiamento di Maria di Nazareth la quale ci mostra che “l’essere viene prima del fare, e che occorre lasciar fare a Dio per essere veramente come Lui ci vuole. E’ Lui che fa in noi tante meraviglie. Maria è ricettiva, ma non passiva. Come, a livello fisico, riceve la potenza dello Spirito Santo ma poi dona carne e sangue al Figlio di Dio che si forma in Lei, così, sul piano spirituale, accoglie la grazia e corrisponde ad essa con la fede” (Papa Francesco, Angelus, 8 dicembre 2014).


1 Se per caso uno dice il Rosario, per 50 volte di fila ripete quello che è il nocciolo del brano evangelico di questa domenica. E tre volte al giorno suonano le campane; le aveva introdotte dal ritorno dall’Oriente San Francesco d’Assisi, proprio in ricordo dell’Annunciazione. L’Incarnazione del Verbo, il sì di Maria sta al principio e alla fine della giornata e nel cuore della giornata.

2 A questo riguardo ricordiamo quando dicono a Gesù: “Tua madre e i tuoi fratelli sono fuori che ti cercano”, Gesù dice: “Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli? Chi ascolta e fa la Parola”. Maria è sua madre perché ascolta la Parola e fa la Parola. E a una donna gli dice: beato il ventre che ti ha portato e il seno che ti ha allattato, Gesù dice: beati piuttosto quelli che ascoltano e fanno la parola. Quindi Maria è sempre presentata come il prototipo di chi ascolta e attraverso l’ascolto fa ciò che ascolta.


3 Fra l’altro, oltre a vivere spiritualmente bene quanto Cristo dice “A ogni giorno basta la sua pena”, il vivere il presente è pure questione di sanità mentale. Invece, viviamo pensando al futuro, in ansia, sospesi nel vuoto dell’incertezza, e al passato, annegati nel rimpianto e nella frustrazione.


4 Olivier Clément. La mère de Dieu, un éclairage orthodoxe”,in Jean Comby (ed), Théologie, histoire et piété mariale. Actes du colloque de la faculté de théologie de Lyon, 1-3 octobre 1996, Lyon, Profac (1997), 209-221.


Lettura Patristica

Bernardo di Chiaravalle,

Oratio IV de B.M.V., 8 s.

 

Hai sentito [o Maria] che concepirai e partorirai un figlio; hai sentito che ciò avverrà senza concorso di uomo, bensì per opera dello Spirito Santo. L’angelo aspetta la risposta: è ormai tempo che a Dio faccia ritorno colui che egli ha inviato.



Anche noi aspettiamo, o Signora, la parola di misericordia, noi cui pesa miserevolmente la sentenza di condanna.


Ecco che ti si offre il prezzo della nostra salvezza; se acconsenti, saremo liberati sul momento.


Nel Verbo eterno di Dio tutti siamo stati creati, ed ecco che moriamo; nella tua breve risposta siamo destinati ad essere ricreati, sì da esser richiamati alla vita. È ciò che ti chiede supplichevole, o pia Vergine, il fedele Adamo, esule dal paradiso con la sua progenie; è ciò che ti chiedono Abramo e David. Lo sollecitano del pari gli altri santi Padri, o meglio i tuoi padri, che pure popolano la regione dell’ombra di morte. Lo attende tutto il mondo, prostrato ai tuoi ginocchi. E non a torto, dal momento che dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, il riscatto degli schiavi, la liberazione dei condannati, e per finire, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutta la tua stirpe.


Da’ in fretta, o Vergine, la tua risposta. Pronuncia, o Signora, la parola che la terra, gli inferi e i cieli aspettano.



Lo stesso Re e Signore di tutti, tanto desidera il tuo cenno di risposta, quanto ha bramato il tuo splendore: risposta in cui, certamente, ha stabilito di salvare il mondo. E a chi piacesti nel silenzio, ora maggiormente piacerai per la parola, quando ti chiamerà dal cielo: «O bella tra tutte le donne, fammi udire la tua voce!».



Se tu dunque gli fai sentire la tua voce, egli ti farà vedere la nostra salvezza.


Non è forse questo che chiedevi, che gemevi, che giorno e notte, pregando, sospiravi? Che dunque? Sei tu colei cui tutto questo è stato promesso, o dobbiamo aspettarne un’altra? Sì, sei proprio tu, e non un’altra. Tu, voglio dire, la promessa, tu la attesa, tu la desiderata, dalla quale il santo padre tuo Giacobbe, già vicino a morire, sperava la vita eterna, quando diceva: "Aspetterò la tua salvezza, o Signore" (Gn 49,18). Colei, nella quale e per la quale, finalmente, lo stesso Dio e nostro Re dispose prima dei secoli di operare la nostra salvezza.



Speri forse da un’altra ciò che è offerto a te? Aspetti attraverso un’altra ciò che tosto verrà operato per tuo tramite, purché tu esprima l’assenso, pronunci la tua risposta?
      

Rispondi perciò al più presto all’angelo, o meglio al Signore tramite l’angelo.


Pronuncia la parola, e accogli la Parola; proferisci la tua, e concepirai la divina; emetti la transeunte, e abbraccia l’eterna!
      

Perché indugi? Perché trepidi? Credi, confida, e accetta!
 

L’umiltà assuma l’audacia e fiducia la verecondia. Mai come ora si conviene che la verginale semplicità dimentichi la prudenza.

Solo in questo caso non temere, o Vergine prudente, la presunzione; infatti, anche se è gradita la verecondia nel silenzio, è ora tuttavia più necessaria la pietà nella parola.
 

Apri, o Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra alla confessione, il grembo al Creatore.
 

Ecco, il desiderato di tutte le genti è fuori e bussa alla porta. O se, per il tuo indugiare, dovesse egli passare oltre; dolente, tu cominceresti di nuovo a cercare colui che la tua anima ama!
      

Alzati, corri, apri. Alzati per fede; corri per devozione; apri per confessione.

"Eccomi", rispose, "sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola" (Lc 1,38).