martedì 24 dicembre 2013

Natale: La festa di “Tre Nascite”: nel cuore del Padre, eternamente, dal seno della Madre e nel cuore dei pastori, temporalmente.

Messa della Notte: Is 9,2-4. 6-7; Tito 2,11-14; Lc 2,1-14.
Messa dell’Aurora: Is 62,11-12; Tito 3,4-7; Lc 2,15-20.
Messa del Giorno: Is 52,7-10; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18




1) La Messa della Notte: la festa del Cielo.
Nella notte del mondo, che l’Avvento ha rischiarato nell’operosa attesa della pienezza dei tempi, Gesù Figlio di Dio viene sulla Terra e dà luce agli occhi della mente e del cuore. La Parola si fa carne che ora non solo è udibile, ma è anche visibile. Il Verbo di Dio, che nasce nel mondo, è incontrabile. Siamo chiamati a crescere nella fede che Dio si è fatto uomo. Siamo chiamati a vederLo fatto uomo in una grotta e a vederLo in un bambino che non sa difendere nemmeno se stesso. Siamo invitati a celebrare questa manifestazione dell’Amore di Dio, che oggi si fa carne mediante il sì del nostro cuore.
Il Natale è così carico di mistero che la Liturgia ci propone tre Messe1 per celebrarlo facendoci vivere santamente tre momenti dello stupore e di gioia della Chiesa per la nascita del Salvatore.
Il primo momento è la Messa della Notte, che inizia con il canto d’introito: “Il Signore mi ha detto:Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato” (Sal 2,7).
E’ il momento del Padre, la cui volontà buona e amorosa “usa” il cielo e la terra, e la volontà degli uomini, per far nascere a Betlemme (che vuol dire: Città del Pane) il Pane degli Angeli e donarlo come cibo di vita vera agli uomini.
E’ il momento della madre benedetta, Maria, che, nel primo incontro con il Figlio, lo avvolge in poveri panni e ne ha cura con umili gesti. Il suo lavoro di madre è un atto di culto al Creatore, che si è incarnato e deve essere lavato e vestito, come ogni neonato. L’ambiente squallido della grotta non rattrista Maria. Il Padre si incarica di organizzare la festa per la nascita nel tempo di Suo Figlio e manda una schiera di Angeli festosi che cantano: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini, che [tutti] sono amati da Dio”.
E’ un fatto piccolo, minuscolo che nessun testo storico dell’epoca, nessuna cronaca registra. Eppure è il fatto che ha cambiato il mondo. E’ davvero così: Dio è diventato re di questa terra facendosi bambino e il Padre che è nel cielo, attraverso gli angeli, invita gli uomini a far festa, perché “è nato il Signore”. E qual è il segno di questo fatto “eccezionale”? Un bambino fasciato e adagiato nella mangiatoia. Nulla di speciale. Un bambino che come tutti i bambini in fasce non può muoversi e che se ne sta lì come incatenato nelle bende in cui è stato avvolto. Grazie a Dio, i pastori credettero alla parola degli Angeli.

2) La Messa dellAurora: la Festa della Terra.
Infatti, quando gli Angeli, risalendo al cielo, si furono allontanati, i pastori presero a dire: “Andiamo fino a Betlemme a vedere cosa è accaduto e che il Signore ci ha fatto sapere. Andarono in fretta e trovarono che quello che era stato detto loro dagli angeli era vero” (cfr Lc 2, 15-20). I pastori andarono, videro questo segno indicato dal Cielo e credettero. Credettero perché seppero passare dallo straordinario degli Angeli che cantavano in cielo all’ordinario umile di una grotta. Questi poveri uomini furono capaci di fare come il Signore fattosi bambino. Come il Dio che è nell’alto del cieli aveva percorso la stessa strada dell’umiltà così anche loro la percorsero. In effetti, per trovare Dio occorre fare come Lui: “scendere” verso i fratelli poveri, sofferenti, assetati, nudi, malati e prigionieri: là, con l’incarnazione, è il suo posto ora. Con tutti questi lui si identificò e continua ad identificarsi. Questa è la gioia grande che oggi ci è annunciata: Dio ci ha inviato il Salvatore. E se, da una parte, tutti noi siamo poveri di vita e incatenati alla necessità di essere salvati, d’altra parte, in questo Natale – ma non solo oggi- siamo inviati ai poveri e agli incatenati, poiché siamo partecipi di questa Salvezza, gioia da condividere.
La festa del cielo, dove gli angeli cantano la gloria di Dio e la pace per gli uomini sulla terra comincia ad essere una festa della terra, dove dei poveri pastori hanno la grazia di vedere il Bambino divino e la sua Madre, piena di soavità. I pastori sono i primi testimoni esterni e i primi fortunati partecipi a questa festa della salvezza donata dal Dio, ricco di misericordia. Su loro, e grazie anche a loro su di noi, oggi splende la luce,perché è nato per noi il Signore;Dio onnipotente è il suo nome,Principe della pace, Padre dell'eternità:il suo regno non avrà fine (cfr Antifona di introito della Messa dellAurora).
La seconda Messa di Natale, chiamata dell’Aurora, celebra la prima manifestazione del Verbo all’umanità rappresentata dai pastori che si misero ad adorare la Parola “abbreviata”2 in un bambino in fasce. I pastori accettarono Gesù Bambino come “unico cuore del loro cuore” (San Pio da Pietrelcina) e ne furono confortati e corroborati: ebbero la gioia piena. E appena scorsero, nella poca luce della Stalla, una Donna giovane e bella, che contemplava in silenzio il figlio, e videro il bambino cogli occhi da poco aperti alla luce del mondo, quel corpicino delicato, quella bocca che non aveva ancor mangiato, il loro cuore s’intenerì e la mente si aprì e credettero. Lieti perchè si sono aperti i cieli e l’uomo non è più vagabondo sulle vie del mondo: ha trovato la via della verità e della vita vera.
Per loro si avverò la frase del Prologo di San Giovanni: “a quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome...” (Gv 1, 12). San Gregorio di Nazianzo così commenta questo evento grande del Natale in cui il Verbo assume la carne dell’uomo: “L'uomo assume ora la sua vera dimensione, perché egli non è veramente uomo se non in Dio. E c'è forse una presenza in Dio più forte della filiazione divina? Proprio ora, il Re in esilio rimette piede sulla terra, preparata per lui e, nello stesso tempo, l'uomo ritrova il suoposto, la sua vera casa, la sua vera terra: Dio.



3) la Messa del Giorno: la Festa della luce.
Il terzo momento che la Chiesa celebra nella terza Messa, chiamata Messa del Giorno, è la nascita eterna del Figlio di Dio nel seno del Padre suo. A mezzanotte, la liturgia ci fa celebrare il Dio-Uomo che nasce dal seno della Vergine in una stalla. All’aurora, facciamo memoria del divino Bambino che nasce nel cuore dei pastori, cioè noi poveri esseri umani. In questa terza Celebrazione la Chiesa celebra una nascita molto più meravigliosa delle altre due, una nascita la cui luce abbaglia gli sguardi degli Angeli, e che è essa stessa la testimonianza eterna della sublime fecondità del nostro Dio. Il Figlio di Maria è anche il Figlio di Dio; il nostro dovere è proclamare oggi la gloria di questa indescrivibile generazione di Dio da Dio, di Luce da Luce.
Se nella Messa della Notte abbiamo ringraziato insieme con il Padre la Madonna e se nella Messa dell’Aurora siamo stati invita a imitare i pastori, in questa Messa del Giorno celebriamo Cristo che è la Luce: egli illuminò il cosmo nella creazione; egli plasmò l’uomo nella più sublime luce dell’intelletto e nell’immagine di Dio, affinché l’uomo diventi tutto luce, divinizzandosi con la fede e con le opere gradite a Dio e raggiunga il giorno eterno, che non conosce notte.
San Gerolamo diceva che per il santo anche il sonno è preghiera. San Gregorio di Nazianzo (si veda la lettura patristica proposta alla fine di queste riflessioni) vuole che il suo sonno sia breve, per non mancare troppo a lungo di far eco al coro perenne degli angeli inneggianti a Dio; anzi, vuole che anche quando il suo corpo dorme, la sua anima vegli a conversare con il Padre e con il Figlio e con il Santo Spirito: con Dio.
A questa preghiera vigilante si dedicano in modo particolare le Vergini consacrate. Queste persone predilette hanno risposto prontamente al Signore che a ciascuna ha amorevolmente detto: «Ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell'amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore». La sposa checonosce, ama e si sente amata non solamente è vigilante e trepidante quando è in attesa dello sposo, come le vergini sagge del noto brano evangelico. Con la lampada ardente dell'amore e un buon rifornimento di olio, che significa la perseveranza, la vigilanza e la prontezza nell'ascolto, la Vergine consacrata veglia ogni giorno con Cristo e porta la luce di Cristo al mondo e a tutti ricorda il significato del mistero odierno:La luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv 1,9) è venuta. Tutti dunque, fratelli, siamone illuminati, tutti brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio.(San Sofronio, vescovo: Discorso 3, sull«Hypapante» 6,7; PG 87, 3,3291-3293).


1 Il Sacramentario gelasiano e quello gregoriano fanno menzione delle tre Messe di Natale. Ma all'inizio del V secolo, non vi era che una sola Messa, quella del giorno, che si celebrava a San Pietro, in effetti listituzione della Messa di mezzanotte data dalla fine del V secolo. Per spiegare il perché delle 3 Messe, Dom Prosper Guérenger, OSB, scriveva che esseservivanoper celebrare 3 Nascite: Perché tre Nascite? Egli nasce, questa notte, dalla Vergine benedetta; nascerà, con la sua grazia, nei cuori dei pastori che sono le primizie di tutta la cristianità; nascerà eternamente dal seno del Padre suo, nello splendore dei Santi: questa triplice nascita deve essere onorata con un triplice omaggio.
2Dio ha reso breve la sua Parola, l'ha abbreviata(Is 10,23; Rom 9,28). E nel Natale del 2006 Benedetto XVI così commentava questa citazione biblica:I Padri lo interpretavano in un duplice senso. Il Figlio stesso è la Parola, il Logos; la Parola eterna si è fatta piccolacosì piccola da entrare in una mangiatoia. Si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile. Così Dio ci insegna ad amare i piccoli.


Lettura Patristica
San Gregorio di Nazianzo,
Carmi autobiografici, XXXII,
PG, XXXVII, 511-513.

Te, anche ora, noi benediciamo,
o Cristo, Parola del mio Dio,
luce da luce che non ha principio,
e dispensatore dello Spirito,
triplice luce che in unico
splendor s’aduna.
Tu dissipasti le tenebre
e stabilisti la luce;
e nella luce creasti ogni cosa,
e fissasti l’instabile materia
nelle forme del cosmo
e nel presente bell’ordine.
Tu illuminasti la mente dell’uomo
con la ragione e la sapienza,
offrendo anche quaggiù un’immagine
dello splendor dell’alto,
affinché con la luce l’uomo veda la luce,
e diventi tutto luce.
Con lumi vari
illuminasti il cielo.
Alla notte e al giorno
comandasti d’alternarsi in pace,
rendendo onore alla legge
del fraterno amore.
Con la notte dai tregua alle fatiche
della molto travagliata carne;
e col giorno svegli al lavoro
e all’opere a te gradite,
affinché, fuggendo le tenebre,
ci affrettiamo verso il giorno,
quel giorno che mai non dissipa
oscura notte.
Tu fa’ che scenda leggero
il sonno sulle mie palpebre,
affinché non troppo a lungo
giaccia la lingua senza lodarti;
e cessi di far eco al coro degli angeli
la tua creatura.
Insieme a te il letto induca
a pie meditazioni;
non rimproveri la notte
qualche sozzura del giorno;
né vani sogni mi turbino,
scherzi della notte.
La mente, invece, pur senza il corpo,
con te parli, o Dio,
e con il Padre e con il Figlio
e col Santo Spirito,
cui sia onore, potenza e gloria
per i secoli. Amen.




LETTURA SPIRITUALE

Ecco come uno dei più antichi biografi, Tommaso da Celano, narra di San Francesco d’Assisi quando realizzò il primo presepe del mondo. E’ una scena che si è svolta a a Greccio (Umbria – Italia), nella notte del 25 dicembre 1223.
"C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: "Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello". Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è li estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava "il Bambino di Betlemme", e quel nome "Betlemme" lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia”.

venerdì 20 dicembre 2013

Il Padre legale dell’Emmanuele

Rito Romano
Domenica di Avvento Anno A22 dicembre 2013
Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24

Rito Ambrosiano
Domenica di AvventoDomenica dellIncarnazione o della Divina Maternità della Beata Vergine Maria
Is 62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a

1) LAngelo portò lannuncio a Giuseppe.
Il Vangelo di questa domenica ci parla dell’annuncio a Giuseppe, padre legale di Gesù, che nasce perché anche questo artigiano di Nazareth ha detto di sì e ha dato una dimora sicura dove il Verbo di Amore incarnato potesse essere l’Emmanuele. C’è una stretta relazione tra l’Annuncio a Maria e quello a Giuseppe. Apparendo in sogno a questo uomo giusto, l’Angelo lo introduce nel mistero della maternità verginale di Maria: questa giovane donna, che secondo la legge è sua “sposa”, è diventata madre in virtù dello Spirito Santo rimanendo vergine.
L’Angelo si rivolge a Giuseppe come allo «sposo di Maria», a colui che a suo tempo dovrà imporre il nome di “Gesù” al Figlio che nascerà dalla Vergine di Nazareth a lui sposata. Si rivolge, dunque, a Giuseppe affidandogli i compiti di un padre terreno nei riguardi del Figlio di Maria:Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù1; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati (Mt 1,20-21).
La risposta del santo Falegname di Nazareth all’Angelo non fu data con delle parole, ma con l’obbedienza fattiva: “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con la sua sposa” (Mt 1,24), e dunque ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all'educazione di Gesù Cristo (cfr. S. Ireneo, Adversus haereses, IV, 23, 1: S. Ch. 100/2, 692-694). Non risulta che Gesù abbia seguito scuole particolari, ma ha avuto, oltre Maria, tre maestri, più grandi di quelli diplomati: Giuseppe lavoratore, la Natura e la Sacra Scrittura.
Non va dimenticato che Gesù fu un lavoratore e figlio legale di un lavoratore. Non va dimenticato che Gesù nacque povero e visse tra gente che lavorava con le proprie mani, che guadagnava il suo pane con l’opera delle mani. Mani che benedissero i bambini, i poveri, assolsero i peccatori, guarirono i malati. Mani che prima di essere bagnate dal sangue suo versato per noi, furono bagnate di sudore e che sentirono l’indolenzimento della fatica. Mani che sapevano quanto forza ci vuole per conficcare i chiodi. Mani che “sono il paesaggio del Cuore” (B. Giovanni Paolo II).
Non va dimenticata la Natura, che ci insegna Dio mostrando il suo splendore. Se studiamo il libro della Natura, percepiamo in essa l’impronta di Dio e la nostra preghiera si fa contemplazione del Creatore e diciamo: “Benedetto sei tu, Signore, nel firmamento, degno di lode e di gloria nei secoli” (Dn 3,56). Con questa preghiera il cristiano esprime la sua gratitudine non solo per il dono della creazione, ma anche perché si percepisce come destinatario della paterna premura di Dio, che in Cristo lo ha elevato alla dignità di figlio. Un premura paterna che fa guardare con occhi nuovi allo stesso creato e ne fa gustare la bellezza, nella quale intravede, come in filigrana, l’amore di Dio.
Non va dimenticata la Sacra Scrittura, che per Gesù fu evidente alimento per cui rispose al diavolo che lo tentava: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. La Parola di Dio si intreccia con l’Eucaristia, come scrive Origene: “Noi leggiamo le Sante Scritture. Io penso che il Vangelo è il Corpo di Cristo; io penso che le sante Scritture sono il suo insegnamento. E quando egli dice:Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue(Gv 6,53) benché queste parole si debbano intendere anche del Mistero eucaristico, tuttavia il corpo di Cristo e il sangue di Cristo è veramente la parola della Scrittura, è linsegnamento di Dio. Quando ci rechiamo al Mistero eucaristico, se ne cade una briciola, ci sentiamo perduti,. E quando stiamo ascoltando la Parola di Dio, e ci viene versata nelle orecchie la Parola di Dio e la carne di Cristo e il suo sangue e noi pensiamo ad altro, in quale grande pericolo incappiamo2.

2) LEmmanuele è un miracolo di obbedienza.
Di fronte al prodigio della concezione verginale, San Matteo mette in rilievo le parole della profezia di Isaia e l'obbedienza di Giuseppe, uomo giusto. 
Il testo di Isaia 7,14 nel suo contesto originale si riferiva alla nascita del figlio del re Acaz, un segno che la sua casata avrebbe avuto un futuro.
L'evangelista lo utilizza per indicare in primo luogo la verginità3 di Maria. 
In secondo luogo il testo gli fornisce il nome Emmanuele, Dio con noi, che riafferma l'identità di Figlio di Dio e introduce l'idea della presenza costante di Gesù presso i suoi che verrà esplicitata dal Risorto al momento dell'ascesa al cielo (vedi Mt 28,20). L’apostolo Paolo dirà più tardi: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”(Rm 8,32s). 

Grazie all’obbedienza di fede di Giuseppe e di Maria, grazie alla loro accoglienza della parola che Dio ha rivolto loro attraverso il Suo Angelo, essi accolsero in casa l’Emmanuele, il Dio con noi. Giuseppe come Maria si aprì al dono di Dio perché Dio potesse fare nascere nella storia la salvezza promessa. Giuseppe prese con sé Maria, la sua sposa, e insieme a lei la missione di dare carne alla Parola di Dio. 
Il brano evangelico si conclude in realtà con il v. 25 dove San Matteo afferma: Senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù. 
In Giuseppe abbiamo l'esempio dell'uomo di fede che ascolta e mette in pratica la Parola di Dio (cfr. Mt 7,24) e che accogliendola entra a far parte della famiglia di divina, come ci assicura Giovanni: A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio(Gv 1,12).
Le Vergini consacrate sull’esempio di Maria, accolgono la Parola di Dio, obbedendo con amore verginale. In un mondo, almeno quello cristiano in cui la castità viene ammirata anche se non sempre capita, in un mondo dove l’obbedienza viene disprezzata, queste donne sono chiamate a mostrare che l’obbedienza è dire di sì a Dio come ha fatto Giuseppe, come ha fatto Maria. La loro è un’obbedienza sponsale e un gesto di libertà. L’obbedienza è adeguata all’amore di Cristo, che non ci dona qualcosa, ma se stesso, come Sposo della Chiesa.
L’obbedienza conviene all’Amore, perché è condivisione dell’indivisibile, partecipazione creata alla perfezione di Dio, dismisura di Dio nelle misure dell’uomo. La vocazione obbediente delle Vergini Consacrate è la prontezza ad accogliere l’agire di Dio, che è amato sopra ogni cosa e persona.
L’obbedienza è la risposta della persona consacrata che, in contatto orante con la Parola incarnata, scopre la volontà particolare di Dio sulla sua vita, la ratifica e fa esperienza che “in sua volontà è nostra pace” (Dante Alighieri).

1Gesùera un nome conosciuto tra gli Israeliti ed a volte veniva dato ai figli. In questo caso, però, si tratta del Figlio che - secondo la promessa divina - adempirà in pieno il significato di questo nome: Gesù - Yehossua', che significa: Dio salva.

2 Origene, Omelie sul libro dei Salmi, 74.
3 San Matteo si serve della traduzione dei LXX che utilizzano parthénos (vergine) per indicare il termine ebraico alma che significa giovane donna.

Lettura Patristica

Propongo una parte di un Sermone di SantAgostino dove si spiega bene come Maria, così Giuseppe è chiamato ad accogliere un sorprendente piano divino. Egli si fa obbediente a ciò che è frutto dello Spirito e, proprio in forza di questa sua obbedienza, diviene collaboratore di Dio nella storia della salvezza. Egli sarà il padre legale di Gesù; ma il fatto di non aver partecipato al suo concepimento, non gli attribuirà tuttavia una paternitàdi minor grado. Agostino insiste a chiare lettere: Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità.

Dai "Discorsi" di SantAgostino dIppona
Serm. 51, 16.26; 20.30PL 38, 338
La vera paternità di Giuseppe
La dignità verginale ebbe origine dalla Madre del Signore, quando cioè nacque il re di tutti i popoli; fu lei a meritare non solo davere il figlio ma anche di non soggiacere alla corruzione. Come dunque quello era vero matrimonio e matrimonio senza corruzione, così quel che la moglie partorì castamente, perché il marito non avrebbe dovuto accoglierlo castamente? Come infatti era casta la moglie, così era casto il marito; e come era casta la madre, così era casto il padre. Colui dunque che dice: "Giuseppe non doveva essere chiamato padre, perché non aveva generato il figlio", nel procreare i figli cerca la libidine, non laffetto ispirato dalla carità. Giuseppe con lanimo compiva meglio ciò che altri desidera compiere con la carne. Così, per esempio, anche coloro che adottano dei figli, non li generano forse col cuore più castamente, non potendoli generare carnalmente? Vedete, fratelli, i diritti delladozione, per cui un uomo diventa figlio di uno dal quale non è nato, in modo che ha maggior diritto nei suoi riguardi la volontà delladottante che non la natura del generante.
Allo stesso modo che è casto marito, così [Giuseppe] è pure casto padre. Ciò che lo Spirito Santo effettuò, lo effettuò per ambedue. È detto: Essendo un uomo giusto (Mt 1, 19). Giusto dunque luomo, giusta la donna. Lo Spirito Santo, che riposava nella giustizia di ambedue, diede un figlio ad entrambi. () LEvangelista dice anche: E gli partorì un figlio (Lc 2, 7), parole con cui senza dubbio si afferma che Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità. Così dunque egli è padre e lo è realmente. () E perché è padre? Perché tanto più sicuramente padre, quanto più castamente padre. In realtà si credeva chegli fosse padre di nostro Signore Gesù Cristo in modo diverso; lo fosse cioè come tutti gli altri padri che generano carnalmente, non come quelli che accolgono i figli con il solo affetto spirituale. Difatti anche Luca dice: Era opinione comune che Giuseppe fosse il padre di Gesù (Lc 3, 23). Perché era opinione comune? Perché lopinione e il giudizio della gente era portato verso ciò che di solito fanno gli uomini. Il Signore dunque non è discendente di Giuseppe per via carnale, sebbene fosse ritenuto tale. Tuttavia alla pietà e alla carità di Giuseppe nacque dalla vergine Maria un figlio, e proprio il Figlio di Dio.