Rito
Romano
4ª
Domenica
di
Avvento
-
Anno
A
– 22
dicembre
2013
Is
7,10-14;
Sal
23;
Rm
1,1-7;
Mt
1,18-24
Rito
Ambrosiano
6ª
Domenica
di
Avvento
– Domenica
dell’Incarnazione
o
della
Divina
Maternità
della
Beata
Vergine
Maria
Is
62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a
1)
L’Angelo
portò
l’annuncio
a
Giuseppe.
Il
Vangelo
di
questa
domenica
ci
parla
dell’annuncio
a
Giuseppe,
padre
legale
di
Gesù,
che
nasce
perché
anche
questo
artigiano
di
Nazareth
ha
detto
di
sì
e
ha
dato
una
dimora
sicura
dove
il
Verbo
di
Amore
incarnato
potesse
essere
l’Emmanuele.
C’è
una
stretta
relazione
tra
l’Annuncio
a
Maria
e
quello
a
Giuseppe.
Apparendo
in
sogno
a
questo
uomo
giusto,
l’Angelo
lo
introduce
nel
mistero
della
maternità
verginale
di
Maria:
questa
giovane
donna,
che
secondo
la
legge
è
sua
“sposa”,
è
diventata
madre
in
virtù
dello
Spirito
Santo
rimanendo
vergine.
L’Angelo
si
rivolge
a
Giuseppe
come
allo
«sposo
di
Maria»,
a
colui
che
a
suo
tempo
dovrà
imporre
il
nome
di
“Gesù”
al
Figlio
che
nascerà
dalla
Vergine
di
Nazareth
a
lui
sposata.
Si
rivolge,
dunque,
a
Giuseppe
affidandogli
i
compiti
di
un
padre
terreno
nei
riguardi
del
Figlio
di
Maria:
“Giuseppe
figlio
di
Davide,
non
temere
di
prendere
con
te
Maria,
tua
sposa,
perché
quel
che
è
generato
in
lei
viene
dallo
Spirito
Santo.
Ella
partorirà
un
figlio,
e
tu
lo
chiamerai
Gesù1;
egli
infatti
salverà
il
suo
popolo
dai
suoi
peccati”
(Mt
1,20-21).
La
risposta
del
santo
Falegname
di
Nazareth
all’Angelo
non
fu
data
con
delle
parole,
ma
con
l’obbedienza
fattiva:
“Giuseppe
fece
come
gli
aveva
ordinato
l'angelo
del
Signore
e
prese
con
sè
la
sua
sposa”
(Mt
1,24),
e
dunque
ebbe
amorevole
cura
di
Maria
e
si
dedicò
con
gioioso
impegno
all'educazione
di
Gesù
Cristo
(cfr.
S.
Ireneo,
Adversus
haereses,
IV,
23,
1:
S.
Ch.
100/2,
692-694).
Non
risulta
che
Gesù
abbia
seguito
scuole
particolari,
ma
ha
avuto,
oltre
Maria,
tre
maestri,
più
grandi
di
quelli
diplomati:
Giuseppe
lavoratore,
la
Natura
e
la
Sacra
Scrittura.
Non
va
dimenticato
che
Gesù
fu
un
lavoratore
e
figlio
legale
di
un
lavoratore.
Non
va
dimenticato
che
Gesù
nacque
povero
e
visse
tra
gente
che
lavorava
con
le
proprie
mani,
che
guadagnava
il
suo
pane
con
l’opera
delle
mani.
Mani
che
benedissero
i
bambini,
i
poveri,
assolsero
i
peccatori,
guarirono
i
malati.
Mani
che
prima
di
essere
bagnate
dal
sangue
suo
versato
per
noi,
furono
bagnate
di
sudore
e
che
sentirono
l’indolenzimento
della
fatica.
Mani
che
sapevano
quanto
forza
ci
vuole
per
conficcare
i
chiodi.
Mani
che
“sono
il
paesaggio
del
Cuore”
(B.
Giovanni
Paolo
II).
Non
va
dimenticata
la
Natura,
che
ci
insegna
Dio
mostrando
il
suo
splendore.
Se
studiamo
il
libro
della
Natura,
percepiamo
in
essa
l’impronta
di
Dio
e
la
nostra
preghiera
si
fa
contemplazione
del
Creatore
e
diciamo:
“Benedetto
sei
tu,
Signore,
nel
firmamento,
degno
di
lode
e
di
gloria
nei
secoli”
(Dn
3,56).
Con
questa
preghiera
il
cristiano
esprime
la
sua
gratitudine
non
solo
per
il
dono
della
creazione,
ma
anche
perché
si
percepisce
come
destinatario
della
paterna
premura
di
Dio,
che
in
Cristo
lo
ha
elevato
alla
dignità
di
figlio.
Un
premura
paterna
che
fa
guardare
con
occhi
nuovi
allo
stesso
creato
e
ne
fa
gustare
la
bellezza,
nella
quale
intravede,
come
in
filigrana,
l’amore
di
Dio.
Non
va
dimenticata
la
Sacra
Scrittura,
che
per
Gesù
fu
evidente
alimento
per
cui
rispose
al
diavolo
che
lo
tentava:
“Non
di
solo
pane
vive
l’uomo,
ma
di
ogni
parola
che
esce
dalla
bocca
di
Dio”.
La
Parola
di
Dio
si
intreccia
con
l’Eucaristia,
come
scrive
Origene:
“Noi
leggiamo
le
Sante
Scritture.
Io
penso
che
il
Vangelo
è
il
Corpo
di
Cristo;
io
penso
che
le
sante
Scritture
sono
il
suo
insegnamento.
E
quando
egli
dice:
“Chi
non
mangia
la
mia
carne
e
non
beve
il
mio
sangue”
(Gv
6,53)
benché
queste
parole
si
debbano
intendere
anche
del
Mistero
eucaristico,
tuttavia
il
corpo
di
Cristo
e
il
sangue
di
Cristo
è
veramente
la
parola
della
Scrittura,
è
l’insegnamento
di
Dio.
Quando
ci
rechiamo
al
Mistero
eucaristico,
se
ne
cade
una
briciola,
ci
sentiamo
perduti,.
E
quando
stiamo
ascoltando
la
Parola
di
Dio,
e
ci
viene
versata
nelle
orecchie
la
Parola
di
Dio
e
la
carne
di
Cristo
e
il
suo
sangue
e
noi
pensiamo
ad
altro,
in
quale
grande
pericolo
incappiamo”2.
2)
L’Emmanuele
è
un
miracolo
di
obbedienza.
Di
fronte
al
prodigio
della
concezione
verginale,
San
Matteo
mette
in
rilievo
le
parole
della
profezia
di
Isaia
e
l'obbedienza
di
Giuseppe,
uomo
giusto.
Il
testo
di
Isaia
7,14
nel
suo
contesto
originale
si
riferiva
alla
nascita
del
figlio
del
re
Acaz,
un
segno
che
la
sua
casata
avrebbe
avuto
un
futuro.
L'evangelista
lo
utilizza
per
indicare
in
primo
luogo
la
verginità3
di
Maria.
In
secondo
luogo
il
testo
gli
fornisce
il
nome
Emmanuele,
Dio
con
noi,
che
riafferma
l'identità
di
Figlio
di
Dio
e
introduce
l'idea
della
presenza
costante
di
Gesù
presso
i
suoi
che
verrà
esplicitata
dal
Risorto
al
momento
dell'ascesa
al
cielo
(vedi
Mt
28,20).
L’apostolo
Paolo
dirà
più
tardi:
“Se
Dio
è
con
noi,
chi
sarà
contro
di
noi?”(Rm
8,32s).
Grazie
all’obbedienza
di
fede
di
Giuseppe
e
di
Maria,
grazie
alla
loro
accoglienza
della
parola
che
Dio
ha
rivolto
loro
attraverso
il
Suo
Angelo,
essi
accolsero
in
casa
l’Emmanuele,
il
Dio
con
noi.
Giuseppe
come
Maria
si
aprì
al
dono
di
Dio
perché
Dio
potesse
fare
nascere
nella
storia
la
salvezza
promessa.
Giuseppe
prese
con
sé
Maria,
la
sua
sposa,
e
insieme
a
lei
la
missione
di
dare
carne
alla
Parola
di
Dio.
Il
brano
evangelico
si
conclude
in
realtà
con
il
v.
25
dove
San
Matteo
afferma:
“Senza
che
egli
la
conoscesse,
ella
diede
alla
luce
un
figlio
ed
egli
lo
chiamò
Gesù”.
In
Giuseppe
abbiamo
l'esempio
dell'uomo
di
fede
che
ascolta
e
mette
in
pratica
la
Parola
di
Dio
(cfr.
Mt
7,24)
e
che
accogliendola
entra
a
far
parte
della
famiglia
di
divina,
come
ci
assicura
Giovanni:
“A
quanti
l'hanno
accolto
ha
dato
potere
di
diventare
figli
di
Dio”
(Gv
1,12).
Le
Vergini
consacrate
sull’esempio
di
Maria,
accolgono
la
Parola
di
Dio,
obbedendo
con
amore
verginale.
In
un
mondo,
almeno
quello
cristiano
in
cui
la
castità
viene
ammirata
anche
se
non
sempre
capita,
in
un
mondo
dove
l’obbedienza
viene
disprezzata,
queste
donne
sono
chiamate
a
mostrare
che
l’obbedienza
è
dire
di
sì
a
Dio
come
ha
fatto
Giuseppe,
come
ha
fatto
Maria.
La
loro
è
un’obbedienza
sponsale
e
un
gesto
di
libertà.
L’obbedienza
è
adeguata
all’amore
di
Cristo,
che
non
ci
dona
qualcosa,
ma
se
stesso,
come
Sposo
della
Chiesa.
L’obbedienza
conviene
all’Amore,
perché
è
condivisione
dell’indivisibile,
partecipazione
creata
alla
perfezione
di
Dio,
dismisura
di
Dio
nelle
misure
dell’uomo.
La
vocazione
obbediente
delle
Vergini
Consacrate
è
la
prontezza
ad
accogliere
l’agire
di
Dio,
che
è
amato
sopra
ogni
cosa
e
persona.
L’obbedienza
è
la
risposta
della
persona
consacrata
che,
in
contatto
orante
con
la
Parola
incarnata,
scopre
la
volontà
particolare
di
Dio
sulla
sua
vita,
la
ratifica
e
fa
esperienza
che
“in
sua
volontà
è
nostra
pace”
(Dante
Alighieri).
1
“Gesù”
era
un
nome
conosciuto
tra
gli
Israeliti
ed
a
volte
veniva
dato
ai
figli.
In
questo
caso,
però,
si
tratta
del
Figlio
che
-
secondo
la
promessa
divina
-
adempirà
in
pieno
il
significato
di
questo
nome:
Gesù
-
Yehossua',
che
significa:
Dio
salva.
2
Origene,
Omelie
sul
libro
dei
Salmi,
74.
3
San
Matteo
si
serve
della
traduzione
dei
LXX
che
utilizzano
parthénos
(vergine)
per
indicare
il
termine
ebraico
‘alma
che
significa
giovane
donna.
Lettura
Patristica
Propongo
una
parte
di
un
Sermone
di
Sant’Agostino
dove
si
spiega
bene
come
Maria,
così
Giuseppe
è
chiamato
ad
accogliere
un
sorprendente
piano
divino.
Egli
si
fa
obbediente
a
ciò
che
è
frutto
dello
Spirito
e,
proprio
in
forza
di
questa
sua
obbedienza,
diviene
collaboratore
di
Dio
nella
storia
della
salvezza.
Egli
sarà
il
padre
legale
di
Gesù;
ma
il
fatto
di
non
aver
partecipato
al
suo
concepimento,
non
gli
attribuirà
tuttavia
una
paternità
“di
minor
grado”.
Agostino
insiste
a
chiare
lettere:
Giuseppe
è
padre
non
per
virtù
della
carne,
ma
della
carità.
Dai
"Discorsi"
di
Sant’Agostino
d’Ippona
Serm.
51,
16.26;
20.30
– PL
38,
338
La
vera paternità di Giuseppe
“La
dignità
verginale
ebbe
origine
dalla
Madre
del
Signore,
quando
cioè
nacque
il
re
di
tutti
i
popoli;
fu
lei
a
meritare
non
solo
d’avere
il
figlio
ma
anche
di
non
soggiacere
alla
corruzione.
Come
dunque
quello
era
vero
matrimonio
e
matrimonio
senza
corruzione,
così
quel
che
la
moglie
partorì
castamente,
perché
il
marito
non
avrebbe
dovuto
accoglierlo
castamente?
Come
infatti
era
casta
la
moglie,
così
era
casto
il
marito;
e
come
era
casta
la
madre,
così
era
casto
il
padre.
Colui
dunque
che
dice:
"Giuseppe
non
doveva
essere
chiamato
padre,
perché
non
aveva
generato
il
figlio",
nel
procreare
i
figli
cerca
la
libidine,
non
l’affetto
ispirato
dalla
carità.
Giuseppe
con
l’animo
compiva
meglio
ciò
che
altri
desidera
compiere
con
la
carne.
Così,
per
esempio,
anche
coloro
che
adottano
dei
figli,
non
li
generano
forse
col
cuore
più
castamente,
non
potendoli
generare
carnalmente?
Vedete,
fratelli,
i
diritti
dell’adozione,
per
cui
un
uomo
diventa
figlio
di
uno
dal
quale
non
è
nato,
in
modo
che
ha
maggior
diritto
nei
suoi
riguardi
la
volontà
dell’adottante
che
non
la
natura
del
generante.
Allo
stesso
modo
che
è
casto
marito,
così
[Giuseppe]
è
pure
casto
padre.
Ciò
che
lo
Spirito
Santo
effettuò,
lo
effettuò
per
ambedue.
È
detto:
Essendo
un
uomo
giusto
(Mt
1,
19).
Giusto
dunque
l’uomo,
giusta
la
donna.
Lo
Spirito
Santo,
che
riposava
nella
giustizia
di
ambedue,
diede
un
figlio
ad
entrambi.
(…)
L’Evangelista
dice
anche:
E
gli
partorì
un
figlio
(Lc
2,
7),
parole
con
cui
senza
dubbio
si
afferma
che
Giuseppe
è
padre
non
per
virtù
della
carne,
ma
della
carità.
Così
dunque
egli
è
padre
e
lo
è
realmente.
(…)
E
perché
è
padre?
Perché
tanto
più
sicuramente
padre,
quanto
più
castamente
padre.
In
realtà
si
credeva
ch’egli
fosse
padre
di
nostro
Signore
Gesù
Cristo
in
modo
diverso;
lo
fosse
cioè
come
tutti
gli
altri
padri
che
generano
carnalmente,
non
come
quelli
che
accolgono
i
figli
con
il
solo
affetto
spirituale.
Difatti
anche
Luca
dice:
Era
opinione
comune
che
Giuseppe
fosse
il
padre
di
Gesù
(Lc
3,
23).
Perché
era
opinione
comune?
Perché
l’opinione
e
il
giudizio
della
gente
era
portato
verso
ciò
che
di
solito
fanno
gli
uomini.
Il
Signore
dunque
non
è
discendente
di
Giuseppe
per
via
carnale,
sebbene
fosse
ritenuto
tale.
Tuttavia
alla
pietà
e
alla
carità
di
Giuseppe
nacque
dalla
vergine
Maria
un
figlio,
e
proprio
il
Figlio
di
Dio.
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