Rito
Romano
3ª
Domenica
di
Avvento
-
Anno
A
– Domenica
“Gaudete”,
15
dicembre
2013
Is
35,1-6.8.10; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11
La
domenica della Gioia
Rito
Ambrosiano
5ª
Domenica
di
Avvento
MI
5,1. Ml 3,1-5a.6-7b; Gal 3,23-28; Gv 1,6-8.15-18
Giovanni
Battista, il Testimone della Verità e dell’Amore.
- La gioia del dono di carità.
Lo
scopo
dell’Avvento
è
di
preparare
noi
cristiani
al
Natale,
perché
Cristo
viene
dove
è
atteso,
desiderato
e
amato.
Questa
attesa,
che
va
vissuta
con
“vigilanza”
e
“discernimento”
(cfr
le
precedenti
domeniche
di
Avvento),
deve
essere
nella
“gioia”,
perché
la
venuta
del
Dio
della
Gioia
che
non
finisce
mai
è
imminente.
Quando
la
festa
del
Natale
si
fa
più
vicina,
la
Liturgia
della
Messa
di
questa
domenica
ci
offre
un
invito
alla
gioia:
nella
prima
lettura,
le
immagini
e
le
descrizioni
coinvolgono
tutto
e
tutti
-noi
compresi-
nell'attesa
di
qualcosa
di
bello
da
parte
del
Signore,
che
ne
è
protagonista
e
che
interviene
nella
storia
per
farsi
Strada,
che
il
Suo
popolo
può
e
deve
percorrere
per
tornare
a
casa.
Dio
non
ci
lascia
mai
soli,
ci
libera
da
paure,
ansie,
dubbi,
entra
nella
nostra
storia,
viene
in
casa
nostra,
portando
pace
e
divenendo
cammino
sicuro
ai
nostri
passi.
La
vita
degli
uomini
è
da
lui
guarita:
i
ciechi
vedono,
i
sordi
odono,
i
muti
parlano,
il
deserto
fiorisce
e
la
strada
si
chiamerà
via
santa
(cfr
prima
lettura:
Is.
35,
8).
In
questo
troviamo
la
chiave
di
lettura
del
Natale:
il
Natale
è
speranza
e
gioia.
Prendiamo
esempio
dai
nostri
bambini
che
attendono
i
doni
con
gioiosa
speranza:
sono
il
simbolo
dell’attesa,
che
viene
soddisfatta,
che
riempie
di
gioia:
la
gioia
che
viene
dall’esperienza
di
essere
amati,
perché
ci
è
donato
Gesù.
Questo
dono
dell’altro
mondo,
ci
fa
capire
che
la
gioia
cristiana
non
è
solo
umana,
terrestre:
è
spirituale,
come
ci
ricorda
già
l’inizio
della
antifona
dell’Introito
di
questa
Domenica:
Gaudete
in
Domino
(=Gioite
nel
Signore).
Se
ci
rallegriamo
nel
Signore,
troveremo
la
vera
gioia. Esiste
una
gioia
spirituale,
dunque,
che
ha
come
oggetto
l’amore
non
di
cose
create,
ma
di
Dio.
Questa
gioia
spirituale
viene
non
da
noi
stessi,
ma
dallo
Spirito
Santo.
La
gioia
a
questo
livello
è
soprannaturale,
profonda,
duratura.
La
gioia
spirituale
dipende
dall’amore
di
Dio,
dalla
carità
divina.
Questo
tipo
di
gioia
non
è
fragile
come
la
gioia
umana,
ma
forte,
sicura,
sempre
affidabile,
incrollabile.
Oggi,
terza
Domenica
di
Avvento
“romano”,
la
liturgia
ci
offre
la
possibilità
di
sperimentare
la
gioia
soprannaturale. In
che
senso? San
Paolo
dice:
“Gioite
nel
Signore,
perché
il
Signore
è
vicino”.
Come
sperimentiamo
la
gioia
quando
ci
troviamo
alla
presenza
della
persona
amata,
così
abbiamo
di
che
gioire,
proprio
perché
fra
due
settimane
verrà
“l’amato
del
mio
cuore”,
come
dice
la
sposa
nel
Cantico
dei
Cantici.
Lui
uscirà
come
sposo
dal
talamo,
dalla
stanza
nuziale
e
verrà
per
abitare
in
mezzo
a
noi.
C’è
un
altro
motivo
per
la
gioia
spirituale:
la
nostra
partecipazione
alla
bontà
divina. Ma
nessuna
partecipazione
in
Dio
sarebbe
mai
possibile,
se
Dio
stesso
non
avesse
preso
l’iniziativa,
costruendo
un
ponte
per
colmare
l’abisso
che
separa
l’uomo
da
Dio.
Nell’Incarnazione,
il
Figlio
di
Dio
ha
preso
su
di
sé
la
nostra
natura
umana,
proprio
per
darci
la
possibilità
di
partecipare
alla
sua
vita
di
carità
divina,
ora
e
per
sempre.
Ecco
il
motivo
per
la
più
grande
gioia
possibile:
l’Amato
del
nostro
cuore
è
vicino:
viene
per
stare
con
noi
sempre
e
ci
permette
di
stare
con
lui,
ora
e
sempre.
Quando
c’è
la
gioia
umana
è
davvero
molto
bella,
ma
molto
spesso
è
mescolata
con
la
tristezza.
La
gioia
nel
Signore,
invece,
non
viene
mai
meno.
2)
Il
Precursore
e
martire
della
Gioia.
La
gioia
vera,
quella
del
cuore,
quella
che
dura
sempre
è
l'incontro
con
il
Signore.
Giovanni
Battista
è
arrivato
all'incontro
pieno
e
definitivo
con
il
Signore,
attraverso
l'amore
grande
del
martirio.
Per
questo
la
III
domenica
di
Avvento
ci
propone
la
figura
e
l’esempio
del
Precursore
dell’Amore.
Quando
Gesù
andò
sulle
rive
del
Giordano
per
farsi
battezzare,
quest’uomo
che
si
era
ritirato
volontariamente
nel
deserto,
da
dove
era
la
Voce
della
Parola,
riconobbe
Cristo
e
di
Lui
disse:
“Ecco
l’Agnello
di
Dio,
che
toglie
i
peccati
del
mondo”.
E,
certamente
fu
pieno
di
gioia,
perché
l’Amico
era
arrivato.
Ora,
in
prigione,
involontario
deserto
dove
era
stato
messo,
Giovanni
vuole
sapere
se
Gesù
è
l’Amico
tanto
atteso
e
chiede
ai
suoi
discepoli
di
domandare
a
Cristo:
«Sei
tu
colui
che
deve
venire
o
dobbiamo
aspettare
un
altro?».
E
Gesù
rispose
loro:
«Andate
e
riferite
a
Giovanni
ciò
che
udite
e
vedete:
I
ciechi
riacquistano
la
vista,
gli
zoppi
camminano,
i
lebbrosi
sono
purificati,
i
sordi
odono,
i
morti
risuscitano,
ai
poveri
è
annunciato
il
Vangelo.
E
beato
è
colui
che
non
trova
in
me
motivo
di
scandalo!».
E
il
Battista,
colui
che
nell’oscurità
del
grembo
di
sua
madre
Elisabetta
aveva
sussultato
di
gioia
alla
presenza
di
Gesù
nel
grembo
di
Maria,
colui
che
correva
davanti
(Precursore
=
colui
che
corre
davanti)
a
Cristo
per
preparare
la
strada
alla
Via,
non
si
scandalizzò,
anzi
accettò
il
martirio
e
divenne
il
protomartire
(=
il
primo
testimone)
della
carità
del
Salvatore.
Come
già
Isaia
nella
prima
lettura
Gesù
dice
che
qualcosa
sta
già
capitando
oppure
è
già
successo:
i
ciechi
che
riacquistano
la
vista,
i
muti
che
parlano,
i
malati
che
sono
risanati
sono
il
segno
che
il
regno
di
Dio
è
già
presente
in
mezzo
a
noi,
non
è
qualcosa
che
deve
ancora
venire.
E’
un
fatto
presente.
Nell’oscurità
di
un
carcere
il
Battista
intravide
la
Luce
e
la
morte
fu
la
drammatica
fessura
per
entrare
nella
Luce.
A
questo fatto
noi
siamo
chiamati
a
parteciparvi
con
la
costanza
che
conforta
il
cuore.
Nella
II
lettura
presa
dalla
lettera
di
san
Giacomo
c’è
l’invito
a
mettersi
nello
stato
d'animo
dell'agricoltore,
che
non
guarda
a
quello
che
sta
facendo,
ma
al
fine
per
cui
sta
lavorando.
Questo
contadino
ha
fiducia
che
il
seme,
che
è
stato
messo
sottoterra
ed
è
curato
con
costanza,
darà
il
suo
frutto
a
tempo
debito.
Anche
noi
dobbiamo
saper
aspettare
il
tempo
giusto,
dobbiamo
saper
attendere
e
curare
con
la
prospettiva
di
un
bene
più
grande
ma
non
immediato
e
prepararci
per
quello.
Giovanni
il
Battista
nel
carcere
ebbe
una
prova
di
fede
che
lo
purificò
e
lo
avvicinò
ancora
di
più
al
cuore
di
Dio.
Infatti,
ispirato
da
Dio,
Giovanni
aveva
annunciato
la
venuta
del
Messia.
Il
Messia
davvero
era
venuto
nel
mondo.
Però
Dio,
come
sempre,
si
era
riservato
uno
spazio
di
novità
e
di
libertà
che
Giovanni
non
conosceva:
il
Messia,
infatti,
non
era
esattamente
come
Giovanni
l’attendeva.
Per
questo
Giovanni
gli
chiede:
"Sei
tu
colui
che
deve
venire
o
dobbiamo
attenderne
un
altro?"
La
risposta
di
Gesù
crea
un
nuovo
spazio
per
la
fede
di
Giovanni:
"...
ai
poveri
è
annunziata
la
buona
novella
e
beato
colui
che
non
si
scandalizza
di
me".
Giovanni
non
si
scandalizzò,
ma
piegò
la
testa,
rinunciò
alla
sua
testa
perché
i
pensieri
di
Dio
non
sono
i
pensieri
dell’uomo
(cfr
"I
miei
pensieri
non
sono
i
vostri
pensieri,
le
vostre
vie
non
sono
le
mie
vie"
(Is
55,8),
e
credette.
Chi
si
mette
in
cammino
alla
ricerca
di
Dio,
si
aspetti
sempre
qualche
sorpresa:
Dio
non
sarà
mai
come
noi
l'aspettiamo;
per
questo
motivo
Dio
si
incontra
solo
nell'umiltà
della
fede,
lasciandosi
condurre
da
Lui
per
strade
che
noi
non
possiamo
immaginare.
Così
fu
per
Giovanni,
così
è
per
tutti
noi.
Egli
fu
un
martire
che
visse
nella
gioia,
perché
certo
della
presenza
del
Salvatore
nella
vita
sua
e
del
suo
popolo.
Le
vergini
consacrate
sono
chiamate
-
mediante
la
vocazione
alla
verginità
-
ad
un
martirio
(=
testimonianza)
analogo
a
quello
del
Precursore,
che
seppe
diminuire
per
far
crescere
Cristo
(cfr
Gv
3,
30).
La
loro
appartenenza
totale
a
Cristo
mediante
un
amore
indiviso
testimonia
che
la
vita
è
gioiosa
e
feconda
(cfr
Rito
della
consacrazione
della
Vergini,
n.
36:
Invio),
quando
tutto
il
nostro
essere,
anima
e
corpo,
è
a
servizio
dell’amore
che
nulla
vuole
per
sé
e
che
tutto
dona
nella
gioia.
Esse
con
atteggiamento
sponsale
stanno
castamente
accanto
a
Cristo e
con
lui
vivono
la
passione
di
attirare
alla
verità
i
fratelli
e
sorelle
in
umanità.
Lettura
spirituale
San
Tommaso d’Aquino
SOMMA
TEOLOGICA
PARTE
II-II
Questione
28
LA
GIOIA
“Passiamo
a
considerare
gli
effetti
che
accompagnano
l'atto
principale
della
carità,
che
è
l'amore.
In
primo
luogo
gli
effetti
interiori;
in
secondo
luogo
quelli
esteriori
[q.
31].
Sul
primo
tema
dobbiamo
considerare
tre
argomenti:
primo,
la
gioia;
secondo,
la
pace
[q.
29];
terzo,
la
misericordia
[q.
30].
Sul
primo
argomento
si
pongono
quattro
quesiti:
1.
Se
la
gioia
sia
un
effetto
della
carità;
2.
Se
questa
gioia
sia
compatibile
con
la
tristezza;
3.
Se
questa
gioia
sia
piena;
4.
Se
sia
una
virtù.
Articolo
1:
Se
la
gioia
sia
in
noi
un
effetto
della
carità
Sembra
che
la
gioia
non
sia
in
noi
un
effetto
della
carità.
Infatti:
1.
Dall'assenza
dell'oggetto
amato
segue
più
la
tristezza
che
la
gioia.
Ora,
finché
siamo
in
questa
vita
Dio,
che
è
l'oggetto
della
nostra
carità,
è
assente,
secondo
le
parole
di
S.
Paolo
[2
Cor
5,
6]:
"Finché
abitiamo
nel
corpo
siamo
in
esilio
lontano
dal
Signore".
Quindi
in
noi
la
carità
produce
più
tristezza
che
gioia.
2.
La
carità
è
la
causa
principale
per
cui
meritiamo
la
beatitudine.
Ma
tra
le
cose
con
cui
meritiamo
la
beatitudine
troviamo
il
pianto,
che
accompagna
la
tristezza
[Mt
5,
4]:
"Beati
quelli
che
piangono,
perché
saranno
consolati".
Quindi
è
più
effetto
della
carità
la
tristezza
che
la
gioia.
3.
La
carità,
come
si
è
visto
[q.
17,
a.
6],
è
una
virtù
distinta
dalla
speranza.
Ma
la
gioia
è
causata
dalla
speranza,
secondo
l'espressione
di
S.
Paolo
[Rm
12,
12]:
"Lieti
nella
speranza".
Perciò
essa
non
è
causata
dalla
carità.
In
contrario:
Come
dice
S.
Paolo
[Rm
5,
5],
"l'amore
di
Dio
è
stato
riversato
nei
nostri
cuori
per
mezzo
dello
Spirito
Santo
che
ci
è
stato
dato".
Ma
la
gioia
è
causata
in
noi
dallo
Spirito
Santo,
come
dice
lo
stesso
Apostolo
[Rm
14,
17]:
"Il
regno
di
Dio
non
è
questione
di
cibo
o
di
bevanda,
ma
è
giustizia,
pace
e
gioia
nello
Spirito
Santo".
Quindi
anche
la
carità
è
causa
di
gioia.
Rispondo:
Come
si
è
visto
nel
trattato
sulle
passioni
[I-II,
q.
25,
a.
3;
q.
26,
a.
1,
ad
2;
q.
28,
a.
5,
ad
ob.],
dall'amore
nascono
sia
la
gioia
che
il
dolore
o
tristezza,
ma
in
maniera
diversa.
Infatti
dall'amore
viene
causata
la
gioia
o
per
la
presenza
del
bene
amato,
o
anche
perché
la
stessa
persona
amata
possiede
e
conserva
il
proprio
bene.
E
questo
secondo
aspetto
appartiene
specialmente
all'amore
di
benevolenza,
che
ci
fa
godere
della
prosperità
dell'amico,
anche
se
assente.
Al
contrario
invece
dall'amore
segue
la
tristezza
o
per
l'assenza
di
ciò
che
si
ama,
o
perché
la
persona
di
cui
vogliamo
il
bene
viene
privata
dei
suoi
beni,
o è
oppressa
da
un
male.
Ora,
la
carità
è
l'amore
di
Dio,
il
cui
bene
è
immutabile,
essendo
egli
la
stessa
bontà.
E
inoltre,
per
il
fatto
stesso
che
è
amato,
Dio
si
trova
in
chi
lo
ama
col
più
nobile
dei
suoi
effetti,
secondo
le
parole
di
S.
Giovanni
[1
Gv
4,
16]:
"Chi
sta
nell'amore
dimora
in
Dio,
e
Dio
dimora
in
lui".
Quindi
la
gioia
spirituale,
che
ha
Dio
per
oggetto,
è
causata
dalla
carità.
Soluzione
delle
difficoltà:
1.
Si
dice
che
siamo
in
esilio
lontano
dal
Signore
mentre
siamo
nel
corpo
in
rapporto
alla
presenza
con
la
quale
Dio
si
mostra
ad
alcuni
nella
visione
immediata.
Infatti
l'Apostolo
[v.
7]
aggiunge:
"Noi
camminiamo
nella
fede
e
non
ancora
in
visione".
Ma
egli
è
presente
anche
in
questa
vita
a
coloro
che
lo
amano
mediante
l'inabitazione
della
grazia.
2.
Il
pianto
che
merita
la
beatitudine
ha
per
oggetto
ciò
che
contrasta
con
essa.
Per
cui
si
deve
a
uno
stesso
motivo
che
dalla
carità
nasca
tale
pianto
e
insieme
la
gioia
spirituale
di
Dio:
poiché
il
godere
di
un
dato
bene
e
il
rattristarsi
dei
mali
contrari
procedono
da
uno
stesso
motivo.
3.
Di
Dio
si
può
godere
spiritualmente
in
due
modi:
primo,
in
quanto
godiamo
del
bene
divino
considerato
in
se
stesso;
secondo,
in
quanto
godiamo
del
bene
divino
in
quanto
è
partecipato
da
noi.
Ora,
il
primo
tipo
di
gioia
è
più
perfetto,
e
deriva
principalmente
dalla
carità.
Il
secondo
invece
deriva
dalla
speranza,
con
la
quale
aspettiamo
la
fruizione
del
bene
divino.
Tuttavia
anche
la
stessa
fruizione,
sia
perfetta
che
imperfetta,
viene
conseguita
in
base
alla
grandezza
della
carità.
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