venerdì 25 aprile 2014

II Domenica di Pasqua – della Divina Misericordia – Anno A – 27 aprile 2014

Rito Romano
At 2,42-47; Sal 117; 1 Pt 1, 3-9; Gv 20, 19-31

Rito Ambrosiano
At 4,8-24; Sal 117; Col 2,8-15; Gv 20,19-31

  1) Il costato trafitto: sorgente di luce e di misericordia.
Questa domenica, che tradizionalmente era chiamata “Domenica in Albis”, dal 2000 è stata proclamata Festa della Misericordia da Giovanni Paolo II. Questo Santo Papa ha così voluto evidenziare lo stretto legame che esiste tra il Mistero di Pasqua e la Festa della misericordia: “L’opera della Redenzione è collegata con l’opera della Misericordia” (Sr Faustina).
E’ vero che, secondo un’antica tradizione, l’odierna domenica aveva il nome di Domenica “in Albis”, perché in questo giorno, nei primi secoli della Chiesa, i battezzati della Veglia pasquale indossavano ancora una volta la loro veste bianca, simbolo della luce che il Signore aveva loro donato nel Battesimo. In seguito avrebbero poi deposto la veste bianca1, ma la nuova luminosità che era stata loro comunicata doveva da loro essere introdotta nella loro quotidianità. La fiamma delicata della verità e del bene, che il Signore aveva acceso in loro, doveva da loro essere custodite diligentemente per portare così in questo nostro mondo qualcosa della luminosità e della bontà di Dio.
E’ altrettanto vero che il battesimo2 è il sacramento di misericordia, con il quale Dio non solamente ci perdona il peccato originale ma ci incorpora a Cristo e ci rende Tempio dello Spirito Santo. Questo sacramento “sgorga” dal costato trafitto di Cristo, “sorgente di misericordia, fontana di perdono” (Simeone il Nuovo Teologo, Inno XLV) e il Vangelo di oggi ci mostra l’Apostolo Tommaso che ha il dono della fede mettendo il dito in questo costato, quasi per toccare il Cuore di Cristo compassionevole da cui escono il sangue e l’acqua della grazia: la tenera misericordia di Dio.
Dio non può tradire il suo nome: Amore, che si dona e che perdona. Con il Mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo una nuova creazione è fatta, e come dal costato di Adamo dormiente da Dio Padre è stata formata Eva, dal costato di Cristo dormiente sulla Croce Dio Padre trasse la Chiesa3.
La Chiesa è nata dal cuore trafitto di Cristo4 e San Tommaso, perdonato della sua incredulità, ebbe l’impegnativo dono di mettere la sua mano nel costato e di arrivare vicino al Cuore del Crocifisso risorto. Toccò l’uomo e riconobbe Dio, che gli manifestava ancora una volta la Sua misericordia.
A noi come a San Tommaso, Gesù dice: “Metti qua il tuo dito, stendi la tua mano, tocca!” A Tommaso bastò quel gesto. Anche a noi può e deve bastare sapere e fare esperienza che il prossimo, il fratello e la sorella, colui che tende le mani verso di te, voce che non ti giudica ma ti incoraggia e ti chiama, corpo offerto ai dubbi dei suoi amici, è Gesù.
Non poté sbagliarsi. C'era un foro nelle mani di Cristo, c’era il colpo di lancia nel Suo fianco: sono i segni dell'amore, che Gesù non nasconde, anzi, quasi esibisce: il foro dei chiodi, lo squarcio nel costato.
Guardiamo frequentemente il Crocifisso che c’è in ogni chiesa e, spero, in ogni nostra casa, con gli occhi vedremo piaghe che non ci saremmo aspettati, con le mani del cuore potremo anche noi toccare e crede.
Forse, pensavamo che la Risurrezione avrebbe rimarginato per sempre le ferite del Venerdì santo. E invece no. L'amore ha scritto il suo racconto sul corpo di Gesù con l'alfabeto delle ferite. Indelebili ormai, proprio come l'amore. Ma dalle piaghe aperte non sgorga più sangue, bensì luce e misericordia. E nella mano di Tommaso, guidata da Cristo verso il suo costato, ci sono tutte le nostre mani.

2) Dalla paura alla gioia.
Le porte erano sprangate per paura dei Giudei” (Gv 20, 19). Paura improbabile, ma quasi tutte le paure sono improbabili, però ci sono e sono realissime. Queste paure che ti chiudono totalmente agli altri, che fanno buio nell’esistenza e che fanno del loro cuore e del cenacolo un sepolcro; il cenacolo è il luogo dove Gesù aveva dato il pane, dove adesso entrerà, ormai la loro stanza è un sepolcro, vivono di paura, di paura della morte. Come la pietra che chiudeva il Sepolcro non impedì a Cristo di uscire e portare la Luce, le porte chiuse del Cenacolo non Gli impediscono di entrare e di rischiarare il luogo ed i cuori dei suoi discepoli. Il Signore è risorto non c'è più ragione di avere alcuna paura. Persino la morte è vinta: di che cosa avere allora paura? “Si rallegrarono al vedere il Signore”: i discepoli passano dalla paura alla gioia. La gioia, dono del Signore risorto, è una partecipazione alla sua stessa gioia.
Non ci sono due gioie differenti, una per Dio e una per l'uomo. In tutte e due i casi si tratta di una gioia che affonda le sue radici nell'amore. Questa gioia non sta nell'assenza della Croce, ma nel comprendere che il Crocifisso è risorto. La fede permette una comprensione vera della Croce e del dramma dell'uomo.
Insieme con la gioia c’è un altro dono da parte del Risorto: la pace. Ricordiamo però che pace e gioia sono “doni” di Cristo e, al tempo stesso, “tracce” per riconoscerLo. Ma occorre infrangere l’attaccamento a se stessi. La pace e la gioia fioriscono soltanto nella libertà e nel dono di sé.
L'offerta di se stessi a Dio, ha recentemente5 spiegato Papa Francesco, “riguarda ogni cristiano, perché tutti siamo consacrati a Lui mediante il Battesimo. Tutti siamo chiamati ad offrirci al Padre con Gesù e come Gesù, facendo della nostra vita un dono generoso, nella famiglia, nel lavoro, nel servizio alla Chiesa, nelle opere di misericordia”. Tuttavia, “tale consacrazione è vissuta in modo particolare dai religiosi, dai monaci, dai laici consacrati, che con la professione dei voti appartengono a Dio in modo pieno ed esclusivo. Questa appartenenza al Signore permette a quanti la vivono in modo autentico di offrire una testimonianza speciale al Vangelo del Regno di Dio. Totalmente consacrati a Dio, sono totalmente consegnati ai fratelli, per portare la luce di Cristo là dove più fitte sono le tenebre e per diffondere la sua speranza nei cuori sfiduciati”. Le Vergini consacrate sono segno di Dio nei diversi ambienti di vita, sono lievito per la crescita di una società più giusta e fraterna, sono profezia di condivisione con i piccoli e i poveri. Così intesa e vissuta, la vita consacrata ci appare proprio come essa è realmente: è un dono di Dio, un dono di Dio alla Chiesa, un dono di Dio al suo popolo.

3) Il perdono come missione.
L’incontro di misericordia di Cristo con Tommaso fu possibile perché Gesù stava in mezzo ai discepoli. Non solo Tommaso, ma lui e la comunità riconoscono il Signore dalle sue ferite, che restano sempre aperte per accogliere tutti. Da esse scaturisce la gioia di chi è amato e l’invito ad amare come siamo amati. La missione della chiesa è la stessa di Gesù, inviato dal Padre verso i fratelli. Per questo siamo creature nuove, vivificate dal suo Spirito, che è amore, dono e perdono da offrire a tutti. Se perdoniamo, siamo come Gesù Cristo ed avremo la sua pace: “Pace a voi”.
Ma è una pace diversa rispetto a quella del mondo. Diversa perché dono di Dio e perché va alla radice, là dove l’uomo si decide per la menzogna o per la verità. Diversa perché è una pace che sa pagare il prezzo della giustizia. La pace di Gesù non promette di eliminare la Croce - né nella vita del cristiano, né nella storia del mondo - ma rende certi della sua vittoria: “Io ho vinto il mondo” (Gv 16,33).
Al dono della pace Gesù aggiunge quello dello Spirito: “Ricevete lo Spirito Santo”: lo Spirito è il testimone di Gesù. Davanti all’ostilità che incontreranno, i discepoli saranno esposti al dubbio, allo scandalo, allo scoraggiamento: lo Spirito difenderà Gesù nel loro cuore, li renderà sicuri e saldi. Anche a noi, discepoli di oggi, lo Spirito offre questa certezza e ci da la forza di portare nel mondo il perdono di Dio.
La Chiesa nel Cenacolo è nata dalla contemplazione dell’amore del Cristo Crocifisso e Risorto ed è inviata a testimoniare e condividere questo amore che perdona.

1 Per questo la prima domenica dopo Pasqua era chiamata in latino: “in albis depositis”.
2 Il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d'ingresso alla vita nello Spirito (« vitae spiritualis ianua »), e la porta che apre l'accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione: « Baptismus est sacramentum regenerationis per aquam in verbo – Il Battesimo può definirsi il sacramento della rigenerazione cristiana mediante l'acqua e la parola ».(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1213).
3 Cfr Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 5: AAS 56 (1964) 99.
4 Cfr Sant'Ambrogio, Expositio evangelii secundum Lucam, 2, 85-89: CCL 14, 69-72 (PL 15, 1666-1668)
5 Discorso del 2 febbraio 2014.



Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona
Dal Commento alla Prima Lettera di S. Giovanni
(In Io. Ep. tr. 1, 3)

Tommaso toccò l’uomo e riconobbe Dio!
Noi - dice Giovanni - siamo testimoni e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e si è manifestata in noi (1 Gv 1, 2-3), cioè in mezzo a noi; più chiaramente si direbbe: manifestata a noi. Le cose dunque che abbiamo visto e sentito le annunciamo a voi. Faccia bene attenzione la vostra Carità: Le cose che abbiamo visto e udito noi vi annunciamo. Essi videro presente nella carne il Signore stesso, da quella bocca raccolsero le sue parole e ce le hanno trasmesse. Perciò anche noi abbiamo sentito, sebbene non abbiamo visto. Siamo forse meno felici di quelli che videro ed udirono? Ma perché allora aggiunse: Affinché anche voi abbiate parte insieme con noi (1 Gv 1, 3-4)? Essi videro, noi no, e tuttavia ci troviamo insieme; la ragione è questa, che abbiamo comune tra noi la fede. Ci fu un tale che, avendo visto, non credette e volle palpare per arrivare in questo modo alla fede. Disse costui: Io non crederò se non metterò le mie dita nel segno dei chiodi e non toccherò le sue cicatrici. Il Signore permise che le mani degli uomini lo palpassero per un poco, lui che sempre si offre allo sguardo degli angeli. Il discepolo dunque palpò ed esclamò: Signor mio e Dio mio. Egli toccò l'uomo e riconobbe Dio. Il Signore allora, per consolare noi che non possiamo stringerlo con le mani, essendo egli già in cielo, ma possiamo raggiungerlo con la fede, gli disse: Tu hai creduto, perché hai veduto: beati quelli che non vedono e credono (Gv 20, 25-29). In questo passo siamo noi stessi ritratti e designati. S'avveri dunque in noi quella beatitudine che il Signore ha preannunziato per le future generazioni; restiamo saldamente attaccati a ciò che non vediamo, perché essi che videro ce lo attestano. Affinché - afferma Giovanni - anche voi abbiate parte con noi. Che c'è di straordinario a far parte della società degli uomini? Aspetta ad obiettare; considera ciò che egli aggiunge: E la nostra vita sia in comune con Dio Padre e Gesù Cristo suo Figlio. Queste cose ve le abbiamo scritte, perché sia piena la vostra gioia (1 Gv 1, 3-4). Proprio nella vita in comune, proprio nella carità e nella unità, Giovanni afferma che c'è la pienezza della gioia.”
In breve...
Vedeva e toccava l’uomo, ma confessava Dio che non vedeva e non toccava. Attraverso ciò che vedeva e toccava, rimosso ormai ogni dubbio, credette in ciò che non vedeva. (In Io. Ev. tr. 121, 5)

venerdì 18 aprile 2014

La tomba non ha potuto contenerlo, Cristo è risorto: cerchiamolo tra i vivi

Domenica di RisurrezioneAnno A20 aprile 2014
Rito Romano
At 10, 34a. 37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; Gv 20, 1-9

Rito Ambrosiano
At 1,1-8a; Sal 117; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18

Una breve premessa:
La Pasqua che oggi con gioia celebriamo non è una semplice commemorazione di un fatto passato, ma partecipazione al mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo. Ora non è più il Capo che deve adagiarsi sulla croce per rialzarsi dalla tomba; è il suo corpo, la Chiesa, con tutte le sue membra rappresentate da ciascuno di noi. La Pasqua ci insegna che il cristiano nella Chiesa deve morire con il Cristo per resuscitare con lui. E non solo lo insegna, essa lo mette in pratica. La Pasqua è il Cristo che un tempo è morto e risuscitato, facendoci morire della sua morte e resuscitandoci alla sua vita.

1) Gesù è risorto davvero ed è apparso in primo luogo ad una donna.
Con la celebrazione della Pasqua non solo ricordiamo la Risurrezione, ma la rendiamo presente nella gioia, che nasce dall’incontro con il Signore risorto.
Il racconto evangelico proposto dalla Liturgia di oggi ci è di aiuto per capire e vivere tutto ciò. Si tratta di un racconto molto lineare: c’è Maria che aspetta la prima luce per correre al sepolcro, lo trova vuoto, pensa che Gesù sia stato rubato; e ci sono gli Apostoli Pietro e Giovanni che corrono al sepolcro per vedere se è vero quello che Maria e le altre donne dicono. L’amore a Cristo, anche se morto, permaneva in loro e, per amore, loro si erano recate alla tomba quando spuntava l’aurora del giorno nuovo, del primo giorno dopo il sabato, dell’inizio della nuova creazione.
Di per sé il racconto su Maria continua poi dal v. 11 e seguenti, che non sono nel brano scelto oggi ma che varrà la pena di andare a rileggere perché la liturgia oggi si ferma al v. 10. Ma credo utile commentare prima i versetti che vengono dopo, e che mi permettono una riflessione pertinente a oggi.
Dunque, avendo visto la Tomba vuota, questa donna è smarrita, sconvolta. Ai suoi occhi il corpo morto del Crocifisso era lunica cosa che era rimasta del Signore tanto amato, a cui da vivo lei aveva lavato i piedi con le proprie lacrime e con un profumo preziosissimo.
A un tratto Lui è accanto a lei con il Suo corpo risorto, ma Maria Maddalena non lo riconosce. Persa nei suoi pensieri e nel suo progetto di ritrovare il corpo sfigurato dalla passione, avrà cercato di guardare bene quellestraneo che inaspettatamente si era messo accanto a lei? Sarà stata capace di supporre che questo suppostoortolanopotesse essere Colui che le aveva perdonato tutti i peccati di una vita destinata alla morte, facendolarisorgerealla vita vera? Sì! Per colei che aveva fatto esperienza che lamore di Gesù è più grande del peccato, è bastata una parola:Maria. Alludire il suo nome pronunciato nel primo chiarore dellalba da una voce ben conosciuta, riconobbe il Maestro risorto. Allora nel suo cuore si sprigionò la luce e in lei fiorì la fede che è riconoscere la presenza del Cristo risorto davanti a, accanto a sé, dentro di sé. E da quel momento nulla potrà strappare dal cuore di questa donna la certezza che si era impossessata del suo cuore e della sua mente.
L’Evangelista Giovanni, nel descrivere l’incontro di Maria di Magdala con Gesù, evidenzia tre aspetti fondamentali della fede cristiana: liniziativa, il riconoscimento e la missione. A colei che cerca una persona morta Cristo si mostra vivente (liniziativa): una conoscenza del Risorto che non avviene, però, con un incontro percettivo, e per questo Egli rimane ancora uno sconosciuto. Tutto cambia quando la Sua presenza diventa un appello personale (il riconoscimento): Gesù la chiama per nome, e Maria risponde come aveva sempre fatto durante la sua vita terrena: “Rabbunì” (titolo famigliare di Rabbì che significa mio maestro). Alla rivelazione segue l’investitura (la missione) dell’annuncio: mentre Maria vuole toccarLo, il Messia le affida il grande messaggio, espresso nel tipico linguaggio giovanneo, da portare ai fratelli: “Vadai miei fratelli e loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Cristo la fece così diventareapostola degli apostoli(San Tommaso dAquino, Commento al vangelo di Giovanni, XX, 2519.10). Questo invito oggi è affidato in modo particolare alle Vergini consacrate che mostrano come la loro esistenza sia presa dalliniziativa di Dio, sia vissuta nel riconoscimento di Cristo, che le manda in missione nel mondo. Loro esplicitano questo compito seguendo l'invito della Chiesa, come lo raccomandano i Prenotanda al n. 2°: “Loro si dedicano in effetti alla preghiera, alla penitenza, al servizio del prossimo ed al lavoro apostolico, seguendo il loro stato di vita…”. Ciò mostra che la preghiera è lanima di ogni apostolato. Questo invito è pure confermato nell’ “Invio(n.° 36, quando il Vescovo invoca lo Spirito Santo sulla consacrata:Lo Spirito Santo che fu donato alla Vergine Maria e che consacra oggi il tuo cuore, ti animi della sua forza per il servizio di Dio e della Chiesa.
Qui il Vangelo di oggi ci rivela il segreto che permette alla fede di nascere in ciascuno di noi. La fede ci è data da Gesù stesso che viene accanto a noi quasi di nascosto, senza farsi riconoscere immediatamente da noi. Gesù viene a tenerci compagnia, ad accendere un fuoco in noi, sino allistante in cui scopriamo che è proprio Lui, che è qui, ci chiama per nome e gli diciamo di con la mente e con il cuore.
Al nostro umile, confidente atto di fede Lui risponde risorgendo anche nel nostro cuore.
Come la pianta esposta ed orientata alla luce vive, così orientiamoci alla luce di Cristo, con la preghiera e la carità. Allora Cristo entrerà nella nostra casa donando gioia e pace, vita e speranza, doni di cui abbiamo bisogno per la nostra rinascita umana e spirituale.


2) Pietro e Giovanni: testimoni di un fatto, non di una teoria.
Ora ritorniamo all’inizio del brano evangelico di oggi, che interrompe la narrazione su Maria Maddalena e, prima di narrare l’incontro di Cristo con lei, ci parla del correre di Pietro e di Giovanni per verificare quanto le pie donne hanno riferito a loro ed agli altri Apostoli.
Nel racconto di oggi Pietro fa “soltanto” una cosa: constata che il sepolcro è vuoto. Non è cosa di poco conto, perché in tal modo il Primo degli Apostoli attesta il dato oggettivo della fede, constatando che la Tomba di Cristo è vuota in modo inspiegabile. In effetti se il corpo di Gesù fosse stato rubato i lini sarebbero in disordine e non stesi, e il sudario non sarebbe avvolto e messo in un luogo determinato. Pietro constata dunque il dato oggettivo: il sepolcro è vuoto e non si tratta di un furto. L’altro discepolo invece, amico di Gesù, quello che Gesù amava, vedendo le stesse cose, crede che Gesù è risorto. Quindi è sottolineato il fatto che non basta l’elemento oggettivo, che il sepolcro sia vuoto, che si sia sicuri che non è stato rubato. Ci vuole una spiegazione e ci vuole l’amore e l’intelligenza del cuore oltre a quella della testa, per credere alla risurrezione. Se ami una persona, la capisci, sperimenti chi è lei, le credi e conosci la verità di lei. SantAgostino scrive:Non si entra nella verità se non per la carità.
Siccome la risurrezione non è una teoria, ma un incontro con il Cristo risorto, allora puoi dare anche mille prove che Cristo è risorto, ma non basterà, perché il problema è un altro. Non sono le prove o i segni che mancano; la spiegazione unica più ragionevole è che sia risorto, ma non è questa; il problema è incontrare Lui e chi ama lo incontra sempre. Gli basta poco, gli basta un segno per capire.
La notte della morte è passata, ilSoleè risorto per non più tramontare, il Bene ha vinto il male. Dove aveva abbondato il crimine, sovrabbonda la grazia, la gioia di Cristo lenisce ogni dolore e possiamo dire con serena sicurezza il Salmo 56 (57): Saldo è il mio cuore, o Dio, saldo è il mio cuore. Voglio cantare, a te voglio inneggiare: svègliati, mio cuore, svègliati arpa, cetra, voglio svegliare l'aurora” (vv 8-9).
L’iniziale mancanza di fede e l’incomprensione che hanno coinvolto Pietro e Giovanni, c’è stata anche in Maria di Magdala. Per riconoscere il Risorto, infatti, non basta la pura e semplice conoscenza fisica e razionale, ma è necessario quel percorso nella fede che in Maria avviene solo quando è chiamata per nome in un dialogo di profonda intimità, riportato da Giovanni in modo veramente toccante. L’apparizione è preceduta da una visione di angeli, quasi increduli della tristezza della donna (perché piangi?), ai quali Maria piangente spiega che hanno preso il suo Signore. È indicativo come Giovanni “dipinga” la posizione dei due angeli “seduti luno dalla parte del capo e laltro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù”: un’immagine che ricorda l’Arca dell’Alleanza, quasi a voler affermare che ogni profezia dell’Antico Testamento si è ora realizzata in quella tomba vuota, testimonianza del Cristo risorto.
La Resurrezione di Gesù è il sì di Dio a Cristo e a noi, poiché risuscitando l'uomo Gesù, Dio ha resuscitato tutta l'umanità e ha ricreato cieli nuovi e terra nuova. Torna a vivere non un’idea di Cristo, ma il Cristo in carne ed ossa, corpo immortale e trasfigurato.
Pur lodando la fede di Giovanni illuminata dall’amore, alla quale seguì sicuramente anche quella di Pietro, l’Evangelista sembra tuttavia rimproverare quel “ritardo” nel capire la grande verità (Non avevano infatti ancora (fino a quel momento) compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti). La vera fede, infatti, è quella che si affida totalmente alla parola di Dio e non cerca qualche testimonianza, o qualche indizio di attendibilità come il sepolcro vuoto; tutto questo è dovuto all’impreparazione perenne dell’uomo carnale di fronte al mistero di Dio. Alla luce di tutto questo, il “vedere” di Giovanni diventa testimonianza e impegno di fede e di vita per ogni vero cristiano che vuole intraprendere il difficile cammino verso la salvezza eterna perché, come affermava il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, la Pasqua è un intervento di Dio dall’eternità, è il preludio delle cose ultime, quelle che si verificheranno quando sarà la volontà del compimento finale, e di cui è possibile parlare soltanto in immagini o con parabole. La Pasqua rivela tutta la gloria e la potenza di Dio. Egli è il padrone della morte, non solo quella del Figlio, ma anche quella di ogni essere umano, e come ha risuscitato Gesù così porterà il Suo popolo santo dalla morte alla vita.

Lettura Patristica
San Gregorio di Nazianzo

Meditiamo queste parole di San Gregorio di Nazianzo:
  Noi vogliamo attestare, a voi Figli e Fratelli, e a quanti della gloria e della speranza del nome cristiano sono rivestiti nel mondo, che Cristo ancor oggi, è nella storia del mondo, ancor oggi più che mai, Cristo è vivo, Cristo è reale. Vivo e reale, non nella penombra del dubbio e dell'incertezza...Cristo è presente. Il tempo non lo contiene e non lo consuma. La storia si evolve e può assai modificare la faccia del mondo. Ma la sua presenza la illumina .. Egli è il gaudio della terra; Egli è il medico d'ogni umana infermità. Egli si personifica in ogni uomo che soffre; finché sarà il dolore sulla terra, Egli se ne farà propria immagine per suscitare l'energia della compassione e del generoso amore. Gesù perciò è sempre e dappertutto presente...Egli è il Maestro, il Fratello, il Pastore, l'Amico d'ognuno dei suoi, il Salvatore d'ogni singola creatura umana che abbia la fortuna di essere da Lui associato come cellula del corpo mistico, di cui Egli è il capo. Ciascuno è autorizzato a chiamarlo per nome, non come personaggio estraneo, lontano inaccessibile, ma come il "TU" del supremo ed unico amore, come lo Sposo della propria felicità che misteriosamente è più vicino di quanto ciascuno che lo cerchi può immaginare, come è stato detto: "consolati, tu non mi cercheresti, se già non mi avessi trovato.
Queste parole sono preghiera commossa che possiamo oggi fare nostra, nella gioia.


venerdì 11 aprile 2014

Domenica della Palme – Anno A – 13 aprile 2014

Rito Romano
Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mt 26,14-27,66

Rito Ambrosiano
Is 52, 13-53,12; Sal 87; Eb 12, 1b-3; Gv 11, 55 -12, 11

1) Rami di palma per fare memoria, non spettacolo.
La liturgia di oggi comincia con la processione delle palme. Le persone che portano questi rami di palma non sono le comparse di una spettacolo folcloristico, ma sono fedeli di Gesù che fanno memoria di Lui il quale non resta nel sepolcro dopo la sconfitta del Venerdì santo ma esce vittorioso dal sepolcro il giorno di Pasqua. Il trionfo di oggi è il preludio di quello di Pasqua, in cui celebriamo il trionfo della misericordia. La croce non portò Cristo alla morte, ma alla vita.
Iniziamo questa settimana santa facendo memoria della grandezza dell'amore appassionato di Dio per l'uomo, che per consegnarsi per amore nostro ai suoi nemici decide di entrare in Gerusalemme, montando una cavalcatura umile quale è l'asino. Per il suo trionfo Gesù prende l’animale della semplice gente comune della campagna, e per di più si tratta di un asino che non gli appartiene, ma che Egli chiede in prestito per questa occasione. Non arriva in una sfarzosa carrozza regale, non a cavallo come i Re del mondo, ma su un asino preso in prestito.
Oggi quell'asino, che porta Gesù nel mondo, che lo rivela, che parla di lui, siamo noi, come diceva il defunto Cardinale di Parigi Lustiger, e questa è una bella immagine perché ci ricorda che Gesù non vuole essere portato da cavalcature imponenti, ma piccole e umili.
Gesù è un Re “povero” e, quindi, è un Re di pace, che ha scelto la Croce come trono. E’ un Re coraggioso perché entra in Gerusalemme sapendo che va incontro alla Crocifissione, per far maturare i suoi frutti solamente al di là della Croce, passando attraverso essa per entrare nella vita eterna: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12, 24-25).
La croce che è simbolo di morte, la croce che è simbolo di maledizione, che è l'espressione della peggiore delle condanne, diviene con Cristo e per Cristo lo strumento di un’elevazione di tutta l’umanità e di tutto quanto l’universo nella gloria di Dio (cfr Sant'Ignazio d'Antiochia).
Questo è il paradosso cristiano: chi orienta se stesso verso il Regno eterno seguendo le indicazioni di Cristo Gesù, uomo mite, misericordioso, pacificatore, puro di cuore, assetato della giustizia di Dio costui è in grado di cambiare la storia del mondo in modo più profondo e più efficace dei detentori del potere, per i quali niente è più importante del domino.
Ne consegue che la Croce è necessaria. Come cristiani noi non dobbiamo solo indirizzare il nostro sguardo al Regno permanente, al di là della morte, e predicarlo. Insieme con Cristo dobbiamo vivere la necessità della Croce per noi, per completare, nel nostro corpo, per la Chiesa e per il mondo ciò che ancora, in noi, manca alla Passione di Cristo (cfr Col 1, 24).
Tutti quelli che soffrono: i malati, gli inguaribili, i prigionieri, i torturati, gli oppressi e quelli che sono poveri, senza speranza, devono sapere che essi nella loro situazione non sono condannati all’impotenza. Se uniscono la loro difficile speranza o la dolorosa disperazione alla speranza del Figlio di Dio in Croce, concorrono alla costruzione del vero Regno di Dio più attivamente di molti “architetti” della felicità terrena. Certo, gli uomini e ancor più i cristiani devono far di tutto per alleviare la sofferenza fisica e spirituale dell’umanità, ma non devono dimenticare le Beatitudini di Cristo, che in Croce Lui non smentisce anzi le conferma: “Beati voi poveri,perché vostro è il regno di Dio.Beati voi che ora avete fame,perché sarete saziati.Beati voi che ora piangete,perché riderete.Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vinsulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio delluomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli.”(Lc 6, 20 – 24).

2) Gesù è veramente il Figlio di Dio.
Il Redentore dunque entra oggi in Gerusalemme, facendo festa per rivelare sulla Croce la grandezza dell'amore di Dio per l'uomo. Un festa che avrà il suo vertice il giorno di Pasqua. Giorno in cui mostrerà in modo radioso il fatto che Lui è il Figlio di Dio, che ci ama di amore infinito. Come nelle tentazioni del deserto (Lc 4,3.6) così sulla Croce a chi diceva: «Se sei Figlio di Dio» (27,40.43.44) è in gioco la filiazione divina di Gesù. Una filiazione negata e svelata, e che proprio nella ragione per cui è negata mostra la sua novità. Tutti, anche coloro che lo negano, riconoscono che Gesù ha preteso una filiazione che si è espressa nella totale consegna alla volontà del Padre, non in concorrenza con essa. Gli stessi sacerdoti dicono, citando il Salmo 22: «Ha confidato in Dio» (Mt 27,43). Il verbo greco adoperato da Matteo dice l'obbedienza fiduciosa, l'abbandono, l'atteggiamento di chi pone la propria vita nelle mani di un altro e il tempo perfetto dice, poi, la stabilità: Gesù ha sempre, in tutta la sua vita, posto la propria fiducia in Dio Padre.
Porre la propria vita nelle mani di un altro è la manifestazione più alta della dipendenza. Così Gesù ha espresso la sua coscienza di essere Figlio: non nella ricerca e nell'affermazione di una grandezza concentrata su se stesso, rivendicata in concorrenza col Padre, ma in una grandezza tutta sospesa all'ascolto del Padre, tutta rivolta al Padre. La filiazione di Gesù rinvia al Padre.
I sacerdoti dunque, senza volerlo, manifestano la profonda verità di Gesù. E mostrano intuizione legando insieme la sua fiducia nel Padre e la sua pretesa di essere Figlio (Mt 27,43). Sbagliando però il modo di guardare la Croce.
Per loro, come per noi, è il momento in cui il Padre deve rispondere alla fiducia del Figlio, venendo in suo soccorso. Invece è il momento in cui il Figlio mostra tutta la sua fiducia nel Padre. Il Padre risponderà, ma dopo.
Gesù muore sulla Croce assaporando sino in fondo l’abbandono. Ma appena morto la prospettiva si rovescia. La luce scaturisce solo dopo che le tenebre divennero più fitte (Mt 27,45).
Occorre essere veramente santi perché la Croce non sia scandalo e assurdità
Non è facile accettare che Dio salvi l'umanità, si manifesti Salvatore degli uomini proprio nel totale fallimento umano, proprio nella suprema umiliazione, nell'abbandono dei discepoli, nell'oltraggio da parte di coloro che Egli stesso aveva beneficato e nello stesso abbandono del Padre.
Ci vuole veramente una grande fede perché noi possiamo riconoscere il Figlio di Dio in Colui che sopra la Croce grida: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Ci vuole una grande fede per riconoscere che proprio quest’Uomo è Colui nel quale riposa ogni nostra speranza: ogni speranza dell'uomo in uno che grida all'abbandono di Dio.
Due segni verso la fine del racconto della passione secondo San Mattero testimoniano che la morte di Gesù è salvezza. Il primo è il velo del tempio che si lacera (Mt 27,51), il secondo è il riconoscimento della filiazione divina di Gesù da parte dei soldati pagani (Mt 27,54).
Il giudizio dei passanti e dei sacerdoti ebrei era, dunque, falso. La lacerazione del velo del tempio è una risposta alla derisione dei passanti: il tempio è davvero finito e una prospettiva nuova si apre. E il riconoscimento dei soldati è una risposta alle derisioni dei sacerdoti ebrei
Gesù è davvero il Figlio di Dio - proprio perché è rimasto sulla Croce anziché scendere - e mentre i giudei lo rifiutano, i pagani lo riconoscono. Noi pagani convertiti possiamo vedere ciò che gli altri non vedono se il cuore è puro.
E un cuore puro è possibile non solamente quando sentiamo proclamare: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio», e pensiamo istintivamente alla virtù della purezza. Questo rimando è innegabile: c’è una «purezza di cuore» che si esprime nella castità dei pensieri, degli sguardi e dei gesti, nel modo di vivere la nostra sessualità.
Ma il riferimento più diretto della Beatitudine dei «puri di cuore» non è all’impurità, bensì all’ipocrisia che è fare della vita un teatro in cui si recita; è indossare una maschera, cessare di essere persona e diventare personaggio. Coltivare l’apparenza più che il cuore, significa dare più importanza all’uomo che a Dio. L’ipocrisia è dunque essenzialmente mancanza di fede; ma è anche mancanza di carità verso il prossimo perché non riconosce all’altro una dignità.
Secondo il Vangelo quello che decide della purezza o meno di una azione è l’intenzione: cioè se è fatta per essere visti dagli uomini o per piacere a Dio (cf Mt 6,2-6). Il puro di cuore in ogni sua parola, gesto e scelta lascia trasparire se stesso in modo del tutto sincero, vero, autentico. Il puro di cuore è schietto, leale, retto, non ambiguo, non inquinato. Si presenta, non si rappresenta! Non prende a prestito la personalità a secondo delle circostanze. “È puro un cuore che non finge e non si macchia con menzogna e ipocrisia. Un cuore che rimane trasparente come acqua sorgiva, perché non conosce ; un cuore il cui amore è vero e non è soltanto passione di un momento” (Benedetto XVI). Come le Vergini consacrate ce lo testimoniano ogni giorno nell’abbandono totale a Cristo Sposo. Come lo afferma il Vescovo durante la preghiera di consacrazione delle Vergini consacrate : « Signore, Dio nostro, tu che vuoi dimorare nelluomo prendi dimora in color che ti sono consacrati, tu che ami i cuori liberi e puri »  (Rito di consacrazione delle Vergini, n. 24).



Lettura Patristica
Sant’Agostino di’Ippona

DALLEESPOSIZIONI SUI SALMI (En. in Ps. 61, 22)
Quanti beni ci ha recati la passione di Cristo!
Sì, fratelli, era necessario il sangue del giusto perché fosse cassata la sentenza che condannava i peccatori. Era a noi necessario un esempio di pazienza e di umiltà; era necessario il segno della croce per sconfiggere il diavolo e i suoi angeli (cf. Col 2, 14. 15). La passione del Signore nostro era a noi necessaria; infatti, attraverso la passione del Signore, è stato riscattato il mondo. Quanti beni ci ha arrecati la passione del Signore! Eppure la passione di questo giusto non si sarebbe compiuta se non ci fossero stati gli iniqui che uccisero il Signore. E allora? Forse che il bene che a noi è derivato dalla passione del Signore lo si deve attribuire agli empi che uccisero il Cristo? Assolutamente no. Essi vollero uccidere, Dio lo permise. Essi sarebbero stati colpevoli anche se ne avessero avuto solo l'intenzione; quanto a Dio, però, egli non avrebbe permesso il delitto se non fosse stato giusto.
Che male fu per il Cristo l'essere messo a morte? Malvagi furono certo quelli che vollero compiere il male; ma niente di male capitò a colui che essi tormentavano. Venne uccisa una carne mortale, ma con la morte venne uccisa la morte, e a noi venne offerta una testimonianza di pazienza e presentata una prova anticipata, come un modello, della nostra resurrezione. Quanti e quali benefici derivarono al giusto attraverso il male compiuto dall'ingiusto! Questa è la grandezza di Dio: essere autore del bene che tu fai e saper ricavare il bene anche dal tuo male. Non stupirti, dunque, se Dio permette il male. Lo permette per un suo giudizio; lo permette entro una certa misura, numero e peso. Presso di lui non c'è ingiustizia. Quanto a te, vedi di appartenere soltanto a lui, riponi in lui la tua speranza; sia lui il tuo soccorso, la tua salvezza; in lui sia il tuo luogo sicuro, la torre della tua fortezza. Sia lui il tuo rifugio, e vedrai che non permetterà che tu venga tentato oltre le tue capacità (cf. 1 Cor 10, 13); anzi, con la tentazione ti darà il mezzo per uscire vittorioso dalla prova. È infatti segno della sua potenza il permettere che tu subisca la tentazione; come è segno della sua misericordia il non consentire che ti sopravvengano prove più grandi di quanto tu possa tollerare. Di Dio infatti è la potenza, e tua, Signore, è la misericordia; tu renderai a ciascuno secondo le sue opere.
IN BREVE...
Si celebra la passione del Signore: è tempo di gemere, tempo di piangere, tempo di confessare e di pregare. Ma chi di noi è capace di versare lacrime secondo la grandezza di tanto dolore? (En. in Ps. 21, 1)