Rito
Romano – V Domenica di Quaresima – Anno A – 6 aprile 2014
Ez
37, 12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45
Rito
Ambrosiano – V Domenica di Quaresima
Es
14,15-31; Sal 105; Ef 2,4-10; Gv 11,1-53
1)
L’amore vince la morte.
Il
brano del Vangelo che è proposto oggi dalla Liturgia della Messa ci
invita a contemplare il miracolo della resurrezione di Lazzaro1
come anticipo e profezia della resurrezione di Gesù che avverrà a
Gerusalemme il giorno di Pasqua. Il fatto di Lazzaro risuscitato è
anche “segno” che la vita, quando è vissuta nell’amicizia con
Cristo, non è sconfitta dalla morte. Chi ama non muore, perché si
dona e vive nell’altro. Di più, chi è amato da Cristo non muore,
“dorme” ed è risvegliato da Cristo.
L’amore
verso Lazzaro
“strappa”
ancora un miracolo a Gesù. Se nel Cantico
dei cantici
si dice che “l’amore
è forte come la morte”(8,6),
in questo gesto Gesù mostra che l’amore è più forte della morte,
“risveglia” l’amico dal sonno mortale.
Molti
sono gli aspetti che si possono sottolineare in questo episodio.
Penso
sia utile iniziare dal luogo: la casa di Lazzaro, Marta e Maria a
Betania2.
Gesù va in questa casa perché queste tre persone sono “luogo”
dell’amicizia, e quindi la loro dimora è “luogo” di
condivisione e non solo di riposo o rifugio. Luogo di vita che vince
la morte, che va oltre la morte è un rapporti di amicizia vera di
comunione profonda.
Poi
è importante notare la sovrapposizione di due fatti: Lazzaro è
lasciato morire da Gesù come Gesù è lasciato morire in Croce dal
Padre. Umanamente è scandaloso. Gesù ama Lazzaro
(il Vangelo lo sottolinea ripetutamente) e tuttavia lo lascia morire:
perché? E Dio Padre ama il Figlio indicandolo come l’Amato e
tuttavia lo lascia morire in croce. Perché? Come credere che la
parola ultima non spetta alla morte, ma al Dio amore che dà la vita
e non si interrompe con la fine della vita biologica? Chiedendo che
Cristo aumenti la nostra fede e contemplando Cristo nella sua vita,
morte e resurrezione.
Ognuno
comprende che si tratta del mistero dell'esistenza dell'uomo: una
promessa di vita che poi pare smentita, una promessa di salvezza da
parte di Dio che poi sembra contraddirsi. Un mistero inquietante, che
in nessun modo va attenuato. Anche Gesù ha pianto di fronte alla
morte dell'amico, come ha provato smarrimento di fronte all'imminenza
della Croce. La morte, come la Croce, continua a rimanere qualcosa di
incomprensibile: Dio dice di amarci e poi ci lascia morire, sembra
proprio un abbandono.
2)
Il Pianto di Dio e la “risurrezione” di Marta e Maria.
Gesù
piange, dimostrando in tal modo di amare Lazzaro profondamente. Ma
ecco la domanda: “Costui che ha aperto gli occhi al cieco non
poteva far sì che questi non morisse?”. Fu la domanda dei presenti
di allora ed è anche la nostra domanda, che siamo i presenti di
oggi.
Ma
la stessa domanda ci si impone davanti alla morte in Croce di Gesù.
Se Gesù è Figlio di Dio, amato da Dio, perché è abbandonato alla
Croce? Se Dio è con lui, non dovrebbe accadere diversamente? Eppure
anche Dio ha pianto su Cristo e piange su di noi: “la
Messa è il pianto di Dio”
(San Pio da Pietrelcina) e “Anche
Dio piange: il suo pianto è come quello di un padre che ama i
figli”Papa
Francesco alla messa del 5 febbraio 2014).
Non
è facile vedere nella Croce un’epifania dell’amore, ma la
Quaresima e la Settimana Santa che si avvicina ci sono date per
contemplare questa manifestazione di carità imparando, ad “amare
il dolore
il quale ci rivela l'opera del suo amore”
(San Pio da Pietrelcina) e fare nostra la preghiera del salmo “È
in te la sorgente della vita, alla tua luce noi vediamo la luce”
(Sal 36).
Il
mistero dell'esistenza dell'uomo, amato da Dio e tuttavia abbandonato
alla morte, si rispecchia e si ingigantisce nel mistero della Croce
di Gesù. Ma anche si risolve. Perché c'è vedere e vedere, e della
Croce, come dell'esistenza dell'uomo, sono possibili due letture. C'è
lo sguardo privo di fede di chi si arresta allo scandalo, e vede
nella morte dell'uomo come nella Croce di Cristo il segno del
fallimento. E c'è lo sguardo che si apre alla fede e supera lo
scandalo, e vede che nella Croce di Gesù splende la risurrezione,
come nella morte dell'uomo. E questo è davvero per i cristiani un
punto fermo: se si vuol trovare nella storia e nella vita un senso,
occorre saper vedere nella Croce di Cristo la gloria di Dio. Non è
possibile diversamente.
La
risurrezione di Lazzaro, segno di un destino più generale che
coinvolge chi è convocato intorno a questa tavola. Gesù chiama
Lazzaro fuori dalla tomba. Ma Lazzaro risuscitato è il segno di
quanto accade anche alle sorelle Marta e Maria. Marta infatti
riconosce nell'amico il Signore della vita.
Credo
sia corretto dire che la risurrezione è credere in Gesù, perché
chi vive e crede in lui non muore in eterno (cf Gv
11,26), la “confessione di fede” di Marta è anche la
risurrezione delle due sorelle.
Le Vergini consacrate ci
danno un esempio di una “vita risorta” perché vivono la loro
vocazione come cammino di risurrezione, l’amicizia sponsale con
Cristo
come relazione personale nell’amore, basata sulla dedizione
completa a Cristo e sul riconoscimento radicale di lui. A
questa testimonianza d’amore queste donne ci mostrano l’importanza
della contemplazione come capacità di saper vedere trasparire il
Signore dagli eventi della nostra esistenza quotidiana e da quella di
tutta l'umanità. In ciò mettono in pratica quanto la Congregazione
per la Vita consacrata e la Società di Vita apostolica scriveva:
“La vita
consacrata, nel continuo succedersi ed affermarsi di forme sempre
nuove, è già in se stessa un'eloquente espressione di questa
presenza di Cristo, quasi una specie di Vangelo dispiegato nei
secoli. Essa appare infatti come «prolungamento nella storia di una
speciale presenza del Signore risorto». Da questa certezza le
persone consacrate devono attingere un
rinnovato slancio,
facendone la forza ispiratrice del loro cammino. La società odierna
attende di vedere in loro il riflesso concreto dell'agire di Gesù,
del suo amore per ogni persona, senza distinzioni o aggettivi
qualificanti. Vuole sperimentare che è possibile dire con l'apostolo
Paolo «Questa vita nella carne, io la vivo nella
fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me»
(Gal
2,
20).” (Istruzione Ripartire
da Cristo:
un rinnovato impegno della vita consacrata
nel terzo
millennio,
19 maggio 2002, n. 2).
2
Betania: questo
nome deriva dall'ebraico ed è composto da due parole di cui il
primo è Beth (che è anche il nome della seconda lettera
dell'alfabeto ebraico).
“Beth”
significa casa (o luogo), esprime l'idea di qualcosa che lo contiene
è l'archetipo di tutte le case, la casa di Dio e uomo, il
santuario.
Vuol dire un luogo di santità sulla terra.
Il
secondo termine ebraico “ania”
sarebbe venuto da una parola ebraica che significa sia palma, sia
povertà o poveri o misericordia, grazia o benedizioni. Cristo va
dall’amico Lazzaro a Betania e, pochi giorni dopo, lascia Betania
e va a Gerusalemme (tra i due luoghi ci sono circa 3 chilometri) su
un asino, accompagnato dalla folla che lo saluta con rami di palme.
Questo dato conferma la presenza di palme in questo luogo e conferma
l’etimologia del nome. Simbolicamente la palma è segno di
fertilità e di cibo con i datteri, ma è anche il simbolo della
giustizia, giustizia di riparazione per il sapore amaro che è
suggerito dal suo nome ebraico “tamar”.
“Ania” può anche
venire da “Anania” = Yahweh
è stato misericordioso
o Hannah, grazia, benedizione. Quindi si può interpretare
“Betania”
come la
casa della misericordia, della grazia e della benedizione.
Lettura
Patristica
S.Agostino
d’Ippona
La
risurrezione di Lazzaro.
COMMENTO
AL VANGELO DI SAN GIOVANNI OMELIA 49
La
risurrezione di Lazzaro.
E'
cosa più grande creare gli uomini che risuscitarli. Tuttavia il
Signore si è degnato creare e risuscitare: li ha creati tutti e ne
ha risuscitati alcuni. Se avesse voluto, certamente avrebbe potuto
risuscitare tutti i morti. E questo farà alla fine del mondo.
1.
Fra tutti i miracoli compiuti da nostro Signore Gesù Cristo, quello
della risurrezione di Lazzaro è forse il più strepitoso. Ma se
consideriamo chi è colui che lo ha compiuto, la nostra gioia dovrà
essere ancora più grande della meraviglia. Risuscitò un uomo colui
che fece l'uomo; egli infatti è l'Unigenito del Padre, per mezzo del
quale, come sapete, furon fatte tutte le cose. Ora, se per mezzo di
lui furon fatte le cose, fa meraviglia che per mezzo di lui sia
risuscitato uno, quando ogni giorno tanti nascono per mezzo di lui?
E' cosa più grande creare gli uomini che risuscitarli. Tuttavia egli
si degnò creare e risuscitare: creare tutti e risuscitarne alcuni.
Infatti, benché il Signore Gesù abbia compiuto molte cose, non
tutte sono state scritte; lo stesso san Giovanni evangelista afferma
che Cristo Signore disse e fece molte cose che non furono scritte
(cf. Gv 20, 30); ma furono scelte quelle che si ritenevano
sufficienti per la salvezza dei credenti. Tu hai udito che il Signore
Gesù risuscitò un morto: ciò ti basti per convincerti che, se
avesse voluto , avrebbe potuto risuscitare tutti i morti. Del resto
si è riservato di far questo alla fine del mondo; poiché verrà
l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce
e ne usciranno;
così dice colui che, come avete sentito, con un grande miracolo
risuscitò uno che era morto da quattro giorni. Egli risuscitò un
morto in decomposizione; ma benché in tale stato, quel cadavere
conservava ancora la forma delle membra. Nell'ultimo giorno, ad un
cenno, ricostituirà il corpo dalle ceneri. Ma bisognava che intanto
compisse alcune cose, che a noi servissero come segni della sua
potenza per credere in lui, e prepararci a quella risurrezione che
sarà per la vita, non per il giudizio. E' in questo senso che egli
ha detto: Verrà
l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce
e ne usciranno, quelli che hanno agito bene per la risurrezione della
vita, quelli che hanno agito male per la risurrezione del giudizio
(Gv 5, 28-29).
2.
Apprendiamo dal Vangelo che tre sono i morti risuscitati dal Signore,
e ciò non senza un significato. Sì, perché le opere del Signore
non sono soltanto dei fatti, ma anche dei segni. E se sono dei segni,
oltre ad essere mirabili, devono pur significare qualcosa; e trovare
il significato di questi fatti è alquanto più impegnativo che
leggerli o ascoltarli. Abbiamo ascoltato il Vangelo che racconta come
Lazzaro riebbe la vita, pieni di ammirazione come se quello
spettacolo meraviglioso si svolgesse davanti ai nostri occhi. Se però
rivolgiamo la nostra attenzione ad opere di Cristo più meravigliose
di questa ci rendiamo conto che ogni uomo che crede risorge; se poi
riuscissimo a comprendere l'altro genere di morte molto più
detestabile, (quello cioè spirituale), vedremmo come ognuno che
pecca muore. Se non che tutti temono la morte del corpo, pochi quella
dell'anima. Tutti si preoccupano per la morte del corpo, che prima o
poi dovrà venire, e fanno di tutto per scongiurarla. L'uomo
destinato a morire si dà tanto da fare per evitare la morte, mentre
non altrettanto si sforza di evitare il peccato l'uomo che pure è
chiamato a vivere in eterno. Eppure quanto fa per non morire, lo fa
inutilmente: al più ottiene di ritardare la morte, non di evitarla.
Se invece si impegna a non peccare, non si affaticherà, e vivrà in
eterno. Oh, se riuscissimo a spingere gli uomini, e noi stessi
insieme con loro, ad amare la vita che dura in eterno almeno nella
misura che gli uomini amano la vita che fugge! Che cosa non fa uno di
fronte al pericolo della morte? Quanti, sotto la minaccia che pendeva
sul loro capo, hanno preferito perdere tutto pur di salvare la vita!
Chi infatti non lo farebbe per non essere colpito? E magari, dopo
aver perduto tutto, qualcuno ci ha rimesso anche la vita. Chi pur di
continuare a vivere, non sarebbe pronto a perdere il necessario per
vivere, preferendo una vita mendicante ad una morte anticipata? Se si
dice a uno: se non vuoi morire devi navigare, esiterà forse a farlo?
Se a uno si dice: se non vuoi morire devi lavorare, si lascerà forse
prendere dalla pigrizia? Dio ci comanda cose meno pesanti per farci
vivere in eterno, e noi siamo negligenti nell'obbedire. Dio non ti
dice: getta via tutto ciò che possiedi per vivere poco tempo tirando
avanti stentatamente; ti dice: dona i tuoi beni ai poveri se vuoi
vivere eternamente nella sicurezza e nella pace. Coloro che amano la
vita terrena, che essi non possiedono né quando vogliono né finché
vogliono, sono un continuo rimprovero per noi; e noi non ci
rimproveriamo a vicenda per essere tanto pigri, tanto tiepidi nel
procurarci la vita eterna, che avremo se vorremo e che non perderemo
quando l'avremo. Invece questa morte che temiamo, anche se non
vogliamo, ci colpirà.
3.
Se dunque il Signore, per sua grande grazia e misericordia, risuscita
le anime affinché non si muoia in eterno, ben possiamo supporre che
quei tre che egli risuscitò nei loro corpi significano e adombrano
la risurrezione delle anime, che si ottiene mediante la fede.
Risuscitò la figlia del capo della sinagoga, che si trovava ancora
in casa (cf Mc 5, 41-42); risuscitò il giovane figlio della vedova,
che era già stato portato fuori della città (cf. Lc 7 14-15);
risuscitò Lazzaro, che era stato sepolto da quattro giorni. Esamini
ciascuno la sua anima: se pecca muore, giacché il peccato è la
morte dell'anima. A volte si pecca solo col pensiero: ti sei
compiaciuto di ciò che è male, hai acconsentito, hai peccato; il
consenso ti ha ucciso; però la morte è solo dentro di te, perché
il cattivo pensiero non si è ancora tradotto in azione. Il Signore,
per indicare che egli risuscita tal sorta di anime, risuscitò quella
fanciulla che ancora non era stata portata fuori, ma giaceva morta in
casa, a significare il peccato occulto. Se però non soltanto hai
ceduto col pensiero al male, ma lo hai anche tradotto in opere, è
come se il morto fosse uscito dalla porta; ormai sei fuori, e sei un
morto portato alla sepoltura. Il Signore tuttavia risuscitò anche
quel giovane e lo restituì a sua madre vedova. Se hai peccato,
pentiti! e il Signore ti risusciterà e ti restituirà alla Chiesa,
che è la tua madre. Il terzo morto è Lazzaro. Siamo di fronte al
caso più grave, che è l'abitudine perversa. Una cosa infatti è
peccare, un'altra è contrarre l'abitudine al peccato. Chi pecca, ma
subito si emenda, subito riprende a vivere; perché non è ancora
prigioniero dell'abitudine, non è ancora sepolto. Chi invece pecca
abitualmente, è già sepolto, e ben si può dire che già
mette fetore, nel
senso che la cattiva fama che si è fatta comincia a diffondersi come
un pestifero odore. Così sono coloro che ormai sono abituati a tutto
e rotti ad ogni scelleratezza. Inutile dire a uno di costoro: non
fare così! Come fa a sentirti chi è come sepolto sotto terra,
corrotto, oppresso dal peso dell'abitudine? Né tuttavia la potenza
di Cristo è incapace di risuscitare anche uno ridotto così. Abbiamo
conosciuto, abbiamo visto, e ogni giorno vediamo uomini che, cambiate
le loro pessime abitudini, vivono meglio di altri che li
rimproveravano. Tu, ad esempio, avevi molto da ridire sulla condotta
del tale: ebbene, guarda la sorella stessa di Lazzaro (ammesso che
sia lei la peccatrice che unse i piedi del Signore, e glieli asciugò
con i suoi capelli dopo averglieli lavati con le sue lacrime); la sua
risurrezione è più prodigiosa di quella del fratello, perché è
stata liberata dal grave peso dei suoi cattivi costumi inveterati.
Era infatti una famosa peccatrice, e di lei il Signore disse: Le
sono rimessi molti peccati, perché ha amato molto
(Lc 7, 47). Abbiamo visto e conosciamo molti di questi peccatori:
nessuno disperi, nessuno presuma di sé. E' male disperare, ed è
male presumere di sé. Non disperare e scegli dove poter collocare la
tua speranza.
4.
Dunque il Signore risuscitò anche Lazzaro. Avete sentito in che
condizioni si trovava, cioè avete capito cosa significa questa
risurrezione di Lazzaro. Cominciamo a leggere, e siccome in questa
lettura molte cose sono chiare, non ci soffermeremo a spiegare ogni
dettaglio, onde poter dedicare l'attenzione a ciò che lo richiede.
S'era
ammalato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e della
sorella di lei Marta
(Gv 11, 1). Dalla lettura precedente ricorderete che il Signore
sfuggì dalle mani di coloro che volevano lapidarlo, e si ritirò
oltre il Giordano dove Giovanni battezzava (cf. Gv 10, 39-40). Ora,
mentre il Signore stava in quel luogo, Lazzaro si era ammalato in
Betania, un villaggio che era vicino a Gerusalemme.
5.
Maria
era colei che unse di unguento profumato il Signore e gli asciugò i
piedi con i suoi capelli. Era suo fratello Lazzaro ch'era ammalato.
Dunque, le sorelle mandarono a dire a Gesù
(Gv 11, 2-3). Sappiamo già dove mandarono il messaggio a Gesù,
poiché sappiamo dove egli era: era assente e si trovava al di là
del Giordano. Mandarono a dire al Signore che il loro fratello era
ammalato, e per pregarlo di venire a liberarlo dalla malattia. Egli
ritardò a guarirlo, per poterlo risuscitare. Che cosa dunque gli
mandarono a dire le sorelle di Lazzaro? Signore,
vedi, colui che tu ami è malato
(Gv 11, 3). Non dissero: Vieni subito! A lui che amava era
sufficiente la notizia. Non osarono dire: Vieni a guarirlo; oppure:
Qui comanda e là sarà fatto. Perché non dissero così anch'esse,
dal momento che la fede del centurione era stata tanto lodata per
essersi espressa così? Quello infatti disse: Non
son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola
e il mio servo sarà guarito
(Mt 8, 8). Le sorelle di Lazzaro non gli mandarono a dire niente di
tutto questo, ma soltanto: Signore,
vedi, colui che tu ami è malato. E'
sufficiente che tu lo sappia; poiché non puoi abbandonare quelli che
ami. Qualcuno dirà: come può Lazzaro rappresentare il peccatore ed
essere quindi amato dal Signore? Ascolti la sua parola: Non
sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori
(Mt 9, 13). Se infatti Dio non avesse amato i peccatori, non sarebbe
disceso dal cielo in terra.
6.
Udendo
ciò, Gesù rispose: Questa malattia non è per la morte, ma è per
la gloria di Dio, affinché per essa sia glorificato il Figlio di Dio
(Gv 11, 4). Questa glorificazione del Figlio di Dio, non aumentò la
sua gloria, ma giovò a noi. Disse che non era per la morte, perché
la morte stessa non era per la morte, ma l'occasione di un miracolo,
grazie al quale gli uomini avrebbero creduto in Cristo, evitando così
la vera morte. Osservate come il Signore in modo indiretto dice che è
Dio per quanti negano che il Figlio è Dio. Ci sono infatti degli
eretici i quali sostengono che il Figlio di Dio non è Dio. Ascoltino
costoro le sue parole: Questa
malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio. Per
quale gloria? e di quale Dio? Ascolta quanto segue: affinché
sia glorificato il Figlio di Dio. Questa malattia
- dice - non
è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di
essa
- cioè appunto per mezzo di questa malattia - sia
glorificato il Figlio di Dio.
7.
Gesù
voleva bene a Marta e alla sorella di lei, Maria, e a Lazzaro
(Gv 11, 5). Lazzaro era malato, esse erano tristi, tutti erano amati:
chi li amava era il salvatore degli infermi, colui che risuscita i
morti, il consolatore degli afflitti. Com'ebbe,
dunque, sentito che egli era ammalato, si trattenne ancora due giorni
nel luogo dov'era
(Gv 11, 6). Ricevuta la notizia, rimane dov'era, lasciando passare
quattro giorni. E non senza un motivo: forse, anzi certamente, il
numero dei giorni racchiude un significato. Poi
disse di nuovo ai suoi discepoli: Torniamo in Giudea
(Gv 11, 7), dove per poco non era stato lapidato, e da dove sembrava
essersi allontanato proprio per sfuggire alla lapidazione. Come uomo
si era allontanato; ma ritornandovi, egli sembrava quasi dimenticare
la debolezza umana, per mostrare la sua potenza. Torniamo
- disse - in
Giudea.
8.
Notate lo spavento dei discepoli di fronte a questa risoluzione. I
discepoli gli dissero: Rabbi, i Giudei cercavano or ora di lapidarti
e tu vuoi tornare di nuovo colà? Gesù rispose: Non sono forse
dodici le ore del giorno?
(Gv 11, 8-9). Qual è il senso di questa risposta? I discepoli gli
avevano fatto osservare: I
Giudei cercavano or ora di lapidarti e tu vuoi tornare di nuovo colà,
cioè
vuoi tornare là per farti lapidare? E il Signore rispose: Non
sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non
inciampa perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte
inciampa perché la luce non è in lui
(Gv 11, 9-10). Egli parla qui del giorno, ma nella nostra
intelligenza fa ancora notte. Invochiamo il giorno affinché cacci
via la notte e con la sua luce rischiari il nostro cuore. Che cosa ha
voluto dire il Signore? Mi sembra, per quanto appare dall'altezza e
profondità di queste parole, che abbia voluto rimproverare la loro
esitazione e la loro poca fede. Essi infatti pretendevano consigliare
il Signore a evitare la morte, mentre egli era venuto a morire per
sottrarre loro alla morte. In altra circostanza san Pietro, che era
pieno d'amore per il Signore, ma che ancora non aveva ben capito il
motivo della sua venuta, temette per la sua morte e dispiacque alla
Vita, cioè al Signore. Il Signore aveva annunciato ai discepoli che
avrebbe dovuto patire a Gerusalemme da parte dei Giudei, e Pietro,
parlando a nome anche degli altri, disse: Dio
ti scampi, o Signore; questo non ti accadrà. E
il Signore gli rispose: Indietro,
Satana! perché non hai il senso delle cose di Dio, ma di quelle
degli uomini.
E dire che poco prima Pietro, confessando il Figlio di Dio, si era
meritato questo elogio: Beato
sei tu, Simone figlio di Jona, perché non carne e sangue te l'ha
rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli
(Mt 16, 16-23). A quello cui aveva detto Beato
sei tu, ora
dice: Indietro,
Satana!,
in quanto Pietro non era beato da sé. Ma da parte di chi? Perché
non carne e sangue te l'ha rivelato, ma il Padre mio che è nei
cieli. Ecco
perché sei beato, non da te, ma da me. Non perché io sia il Padre,
ma perché tutto ciò che appartiene al Padre è mio (cf. Gv 16, 15).
Se l'esser beato, Pietro lo deve al Signore, a chi deve l'esser
satana? Ecco che il Signore glielo dice. Gli ha indicato il motivo
per cui è beato: perché non
la carne e il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è
nei cieli, ecco
perché sei beato; ma ascolta anche perché ti ho detto: Indietro,
satana!: perché
non
hai il senso delle cose di Dio ma di quelle degli uomini. Nessuno
s'illuda: di per se stesso, ogni uomo è Satana; se è beato, è dono
di Dio. Che vuol dire "di per se stesso" se non in forza
del proprio peccato? Se togli il peccato, che rimane di tuo? La
giustizia è, dice, roba mia. Infatti, che cos'hai che tu non abbia
ricevuto (cf. 1 Cor 4, 7)? Siccome avevano la pretesa, essi che erano
uomini, di dare consiglio a Dio, e pretendevano i discepoli insegnare
al maestro, i servi al Signore, i malati al medico, egli li
rimproverò dicendo: Non
sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non
inciampa. Come
a dire: seguitemi, se non volete inciampare; non vi mettete a darmi
consigli, proprio voi che dovreste riceverli da me. Qual è dunque il
senso della frase: Non
sono forse dodici le ore del giorno? Il
Signore si scelse dodici Apostoli per mostrare che egli era il
giorno. Se io sono il giorno - dice - e voi le ore, forse le ore
possono dare consigli al giorno? Sono le ore che seguono il giorno,
non viceversa. Se però essi erano le ore, Giuda che cosa
rappresentava? Faceva parte anch'egli delle dodici ore? Se era
un'ora, risplendeva; se risplendeva, come ha potuto consegnare il
giorno alla morte? Ma il Signore con queste parole non si riferiva a
Giuda, bensì al suo successore, che già egli aveva presente. Mattia
infatti prese il posto di Giuda, e così gli Apostoli rimasero dodici
(cf. At 1, 26). Non senza motivo dunque il Signore aveva scelto
dodici Apostoli: perché egli era il giorno in senso spirituale. Le
ore, dunque, seguano il giorno, le ore annuncino il giorno, e dal
giorno ricevano luce e splendore, di modo che attraverso l'annuncio
che ne danno le ore il mondo creda nel giorno. Questo in sostanza
vuol dire il Signore con la sua esortazione: Seguite me, se non
volete inciampare.
9.
Così
parlò, poi soggiunse: Lazzaro, l'amico nostro, dorme; ma io vado a
svegliarlo
(Gv 11, 11). Era la verità. Per le sorelle Lazzaro era morto, ma per
il Signore egli dormiva. Per gli uomini, che non potevano
risuscitarlo, era morto; ma il Signore poteva farlo uscire dal
sepolcro più facilmente di quanto tu non possa svegliare e far
scendere dal letto uno che dorme. Tenendo, dunque, conto della sua
potenza, disse che Lazzaro stava dormendo. Spesso, del resto, nella
Scrittura si parla di tutti gli altri morti come di coloro che
dormono; come quando l'Apostolo dice: Noi
non vogliamo, fratelli, che siate nell'ignoranza riguardo a quelli
che dormono, onde non vi rattristiate alla maniera degli altri che
non hanno speranza
(1 Thess 4, 12). Parla dei morti come di coloro che dormono, in
ordine alla risurrezione che egli annunzia. Dormono tutti i morti,
tanto i buoni come i cattivi. Ma come tutti noi ci addormentiamo e ci
rialziamo, ciascuno però con il suo sogno (alcuni fanno sogni lieti,
altri invece sogni angosciosi, tanto che svegliandosi vorrebbero non
riaddormentarsi per non ricadere in balia di essi), così tutti
moriamo e risorgiamo ma ciascuno col suo giudizio particolare. Ed
ancora: differiscono i generi di detenzione a cui ciascuno è
sottoposto in attesa di essere giudicato; il tipo di detenzione è
proporzionato alla gravità del delitto: alcuni vengono affidati ai
littori, che esercitano il loro ufficio in modo umano, mite e civile;
altri vengono consegnati alle guardie, altri ancora vengono gettati
in carcere; e anche in carcere non tutti occupano il medesimo luogo,
ma più sotterraneo se più grave è il delitto. Ora come in questo
mondo differiscono secondo la sorveglianza i generi di detenzione,
così differiscono per i morti, come pure differiscono le
retribuzioni per i risorti. Viene accolto il povero e viene accolto
il ricco; ma il primo nel seno di Abramo, il secondo dove patirà la
sete e non troverà neppure una goccia d'acqua (cf. Lc 16, 22-24).
10.
Profitto dell'occasione per ricordare alla vostra Carità che le
anime uscendo da questo mondo non trovano tutte la medesima
accoglienza. Vanno incontro al gaudio se sono buone, ai tormenti se
sono malvagie. Dopo la risurrezione, il gaudio dei buoni sarà
maggiore, e i tormenti dei malvagi saranno più terribili allorché
ai tormenti delle anime si aggiungerà quello dei corpi. I santi
Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli, i martiri, i buoni fedeli sono
stati accolti nella pace; ma tutti dovranno aspettare la fine dei
tempi per ricevere ciò che Dio ha promesso: egli infatti ha promesso
anche la risurrezione della carne, la distruzione della morte, la
vita eterna insieme con gli angeli. Questo lo dovremo ricevere tutti
insieme. Il riposo concesso dopo questa vita a chi lo merita, lo
riceve ciascuno appena muore. I primi a conseguirlo sono stati i
Patriarchi (pensate da quanto tempo essi riposano in pace!); poi è
stata la volta dei Profeti, più vicini a noi gli Apostoli, più
vicini ancora i santi martiri, e ogni giorno i buoni fedeli. Alcuni
si trovano in questo riposo da molto tempo, altri non da molto tempo,
altri da pochi anni e altri infine da pochissimo tempo. Ma quando si
sveglieranno dal loro sonno, tutti insieme riceveranno ciò che è
stato loro promesso.
11.
Lazzaro,
l'amico nostro, dorme; ma vado a svegliarlo. Allora i discepoli gli
dissero... Risposero
secondo quanto avevano compreso: Signore,
se dorme guarirà!
(Gv 11, 12). Il sonno dei malati infatti viene interpretato come un
sintomo di guarigione. Ora,
Gesù aveva parlato della morte di lui, mentre essi avevano creduto
che parlasse dell'assopimento nel sonno. Allora Gesù disse loro
apertamente...
In maniera velata aveva detto: dorme,
in
maniera aperta disse: Lazzaro
è morto e sono contento per voi di non essere stato là, affinché
crediate
(Gv 11, 13-15). So che è morto, e io non c'ero. Infatti gli era
stato detto solamente che era malato, non che era morto. Ma che cosa
poteva rimanere nascosto a colui che lo aveva creato, e alle cui mani
era emigrata l'anima del defunto? Egli dice: Sono
contento per voi di non essere stato là, affinché crediate; perché
cominciassero a meravigliarsi del fatto che il Signore sapeva che
Lazzaro era morto senza aver visto né sentito che era morto. Questo
serve a ricordare che la fede degli stessi discepoli, che già
credevano in lui, aveva ancora bisogno di essere sostenuta dai
miracoli; non perché mancasse e dovesse ancora nascere, ma perché
c'era già e doveva crescere; anche se l'espressione che ha usato può
far pensare che essi dovevano ancora cominciare a credere. Infatti
egli non dice: Sono
contento per voi perché
così la vostra fede crescerà, o sarà rafforzata; dice: affinché
crediate; il
che si deve intendere: affinché crediate di più e con maggior
fermezza.
[Significato
del morto da quattro giorni.]
12.
Ma
andiamo da lui. Disse allora Tommaso, chiamato Didimo, agli altri
discepoli: Andiamo anche noi per morire con lui. Arrivato, dunque,
Gesù trovò Lazzaro già da quattro giorni nella tomba
(Gv 11, 15-17). Molto si potrebbe dire su questi quattro giorni, come
di altri passi oscuri della Scrittura, che consentono diverse
interpretazioni secondo la diversa capacità di chi legge. Diremo
anche noi quello che ci sembra voglia significare il morto di quattro
giorni. Come infatti nel cieco dalla nascita vedemmo rappresentato
tutto il genere umano, così in questo morto possiamo vedervi
rappresentati molti; poiché una medesima cosa può esser
rappresentata in più modi. Quando l'uomo nasce, nasce già con la
morte; perché eredita da Adamo il peccato. E' per questo che
l'Apostolo dice: Per
causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e mediante il
peccato la morte, e in tal modo la morte passò in tutti gli uomini
in cui tutti hanno peccato
(Rm 5, 12). Ecco il primo giorno della morte, che l'uomo deriva dalla
sua triste origine. Poi cresce, comincia a toccare l'età della
ragione per cui prende coscienza della legge naturale che tutti gli
uomini portano scritta nel cuore: Non fare agli altri ciò che non
vuoi sia fatto a te. Forse che questo s'impara sui libri, e non si
legge invece nelle pagine della natura stessa? Vuoi forse essere
derubato? Certamente non lo vuoi. Ecco la legge scolpita nel tuo
cuore: Non fare ciò che non vuoi per te. Ma gli uomini
trasgrediscono anche questa legge: ed ecco il secondo giorno della
morte. Dio promulgò la legge per mezzo di Mosè suo servo; in essa
sta scritto: Non
uccidere, non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza,
onora il padre e la madre, non desiderare la roba del tuo prossimo,
non desiderare la donna del tuo prossimo
(Es 20, 12-17). Questa è la legge scritta, ed anch'essa viene
disprezzata: ecco il terzo giorno della morte. Che cosa rimane? Viene
il Vangelo, viene annunciato il Regno dei cieli, ovunque si predica
Cristo; si minaccia l'inferno, si promette la vita eterna; ma anche
questa legge viene disprezzata; gli uomini trasgrediscono il Vangelo:
ecco il quarto giorno della morte. A ragione si può dire che ormai
il morto emana fetore. Non ci sarà dunque misericordia per costoro?
Non è possibile. Il Signore non disdegna di accostarsi anche a tutti
questi morti per risuscitarli.
13.
Molti
Giudei erano venuti da Marta e da Maria per consolarle del loro
fratello. Marta, appena seppe che arrivava Gesù, gli andò incontro,
mentre Maria restò a casa. Marta disse a Gesù: Signore, se tu fossi
stato qui, mio fratello non sarebbe morto; ma anche adesso so che
qualunque cosa domanderai a Dio, Dio te la concederà
(Gv 11, 19-22). Non disse: Ti prego di risuscitare subito mio
fratello. Come poteva sapere infatti che a suo fratello giovasse
risorgere? Quindi disse soltanto: So che puoi farlo, se vuoi; ma sei
tu che devi giudicare se è il caso di farlo, non io. Ma
anche adesso so che qualunque cosa domanderai a Dio, Dio te la
concederà.
14.
Gesù
le disse: Tuo fratello risorgerà. L'espressione
era ambigua, perché non le disse: Ora risusciterò tuo fratello; ma
le disse: Tuo
fratello risorgerà. Marta
gli rispose: So
che risorgerà, nella risurrezione, nell'ultimo giorno
(Gv 11, 23-24). Era come dire: Di quella risurrezione sono sicura, di
questa no. Le
disse Gesù: Io sono la risurrezione. Tu
dici che tuo fratello risorgerà nell'ultimo giorno. Questo è vero.
Però colui per mezzo del quale risorgerà, può farlo risorgere
anche adesso, perché Io
sono la risurrezione e la vita
(Gv 11, 25). Ascoltate, fratelli, ascoltate ciò che dice. Tutti i
circostanti erano nell'attesa di veder Lazzaro, un morto di quattro
giorni, rivivere. Ebbene, ascoltiamo e risorgiamo. Quanti in questa
folla sono oppressi dal peso della cattiva abitudine! Forse tra
quelli che mi ascoltano ci sono taluni ai quali vien detto: Non
vogliate inebriarvi di vino, che è causa di dissolutezza
(Ef 5, 18). Essi rispondono: non possiamo farne a meno! Forse mi
ascoltano alcuni che si sono lasciati corrompere da ogni disordine e
vizio, ai quali vien detto: non fate così, se non volete perdervi.
Ma essi rispondono: non riusciamo a liberarci dalle nostre abitudini.
O Signore, risuscita costoro! Io
sono
- egli dice - la
risurrezione e la vita. E'
la risurrezione perché è la vita.
15.
Chi
crede in me anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede in me
non morirà in eterno
(Gv 11, 25-26). Che vuol dire questo? Chi
crede in me, anche se è morto come
è morto Lazzaro, vivrà,
perché
egli non è Dio dei morti ma dei viventi. Così rispose ai Giudei,
riferendosi ai patriarchi morti da tanto tempo, cioè ad Abramo,
Isacco e Giacobbe: Io
sono il Dio di Abramo, il Dio d'lsacco e il Dio di Giacobbe; non sono
Dio dei morti ma dei viventi: essi infatti sono tutti vivi
(Mt 22, 32; Lc 20, 37-38). Credi dunque, e anche se sei morto,
vivrai; se non credi, sei morto anche se vivi. Proviamolo. Ad un tale
che indugiava a seguirlo e diceva: Permettimi
prima di andare a seppellire mio padre, il
Signore rispose: Lascia
che i morti seppelliscano i loro morti; tu vieni e seguimi
(Mt 8, 21-22). Vi
era
là un morto da seppellire, e vi erano dei morti intenti a
seppellirlo: questi era morto nel corpo, quelli nell'anima. Quando è
che muore l'anima? Quando manca la fede. Quando è che muore il
corpo? Quando viene a mancare l'anima. La fede è l'anima della tua
anima. Chi
crede in me
- egli dice - anche
se è morto nel
corpo, vivrà
nell'anima,
finché anche il corpo risorgerà per non più morire. Cioè: chi
crede in me, anche
se morirà vivrà.
E chiunque vive nel
corpo e
crede in me, anche
se temporaneamente muore per la morte del corpo, non
morirà in eterno per
la vita dello spirito e per la immortalità della risurrezione.
Questo è il senso delle sue parole: E
chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Lo credi tu?
- domanda Gesù a Marta -; Ed
essa risponde: Sì, Signore, io ho creduto che tu sei il Cristo, il
Figlio di Dio, che sei venuto in questo mondo
(Gv 11, 26-27). E credendo questo, ho con ciò creduto che tu sei la
risurrezione, che tu sei la vita; ho creduto che chi crede in te,
anche se muore, vivrà, e che chi vive e crede in te, non morirà in
eterno.
16.
Detto
questo, andò a chiamare Maria, sua sorella, dicendole in silenzio:
IL maestro è qui e ti chiama
(Gv 11, 28). E' da notare che "in silenzio" significa
sottovoce: come infatti avrebbe potuto dire, rimanendo in silenzio:
IL
maestro è qui e ti chiama? E'
da notare altresì che l'evangelista non ha detto né dove né come
né quando il Signore aveva chiamato Maria: per amore di brevità
preferisce farcelo sapere solo attraverso le parole di Marta.
17.
Ella,
udito questo, si alza in fretta e va da lui. Gesù, però, non era
ancora entrato nel villaggio, ma stava sempre nel luogo dove gli era
venuta incontro Marta. I Giudei che erano in casa con lei a
consolarla, al vedere Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono
pensando che sarebbe andata al sepolcro a piangere
(Gv 11, 29-31). Perché l'evangelista si preoccupa di raccontarci
questo particolare? Per informarci della circostanza che aveva
raccolto tanta gente, quando Lazzaro fu risuscitato. I Giudei,
pensando che Maria corresse al sepolcro per cercare nelle lacrime
sollievo al suo dolore, la seguirono, e così il grande miracolo
della risurrezione di uno che era morto da quattro giorni ebbe
moltissimi testimoni.
18.
Maria,
giunta al luogo dov'era Gesù, al vederlo gli si gettò ai piedi ed
esclamò: Signore, se fossi stato qui, mio fratello non sarebbe
morto. Gesù, vedendola piangere, e con lei piangere i Giudei che
l'accompagnavano, fremette nello spirito, si turbò e disse: Dove
l'avete deposto?
(Gv 11, 32-34). Non so cosa abbia voluto indicarci il Signore con
questo fremito e con questo suo turbamento. Chi poteva turbarlo, se
non era lui a turbare se stesso? Perciò, fratelli miei, tenete ben
presente la sua potenza prima di cercare il significato del suo
turbamento. Tu puoi essere turbato senza volerlo; Cristo invece si
turbò perché volle. E' vero che Gesù ha sentito la fame, è vero
che si è rattristato ed è altrettanto vero che è morto; ma tutto
questo perché l'ha voluto lui: era in suo potere soffrire questo o
altro o non soffrire affatto. Il Verbo ha assunto l'anima, ma anche
la carne, armonizzando, nell'unità della sua persona, la natura
dell'uomo tutto intero. La luce del Verbo, è vero, illuminò l'anima
di Pietro e l'anima di Paolo, illuminò le anime degli altri apostoli
e dei santi profeti; di nessuna però si poté dire: Il
Verbo
si è fatto carne
(Gv 1, 14); di nessuna si può dire: Io
e
il Padre siamo una cosa sola
(Gv 20, 30). L'anima e la carne di Cristo formano col Verbo di Dio
una sola persona, un solo Cristo. C'è in lui la massima potenza, e
perciò la debolezza umana obbediva in tutto alla sua volontà. Ecco
il senso dell'espressione: egli
si turbò.
19.
Ho parlato della potenza; ora vediamo il significato del suo
turbamento. Lazzaro morto da quattro giorni e chiuso nel sepolcro è
simbolo di un grande peccatore. Perché si turba il Cristo, se non
per insegnarti che tu devi metterti in agitazione quando ti vedi
oppresso e schiacciato da tanta mole di peccati? Ti sei esaminato, ti
sei riconosciuto colpevole, ti sei detto: ho fatto quel peccato e Dio
mi ha perdonato; ho commesso quell'altro e Dio ha differito il
castigo; ho ascoltato il Vangelo e l'ho disprezzato; sono stato
battezzato e sono ricaduto nelle medesime colpe; che faccio? dove
vado? come posso uscirne? Quando parli così, già il Cristo freme
perché in te freme la fede. Negli accenti di chi freme si annuncia
la speranza di chi risorge. Se dentro di te c'è la fede, dentro di
te c'è Cristo che freme: se in noi c'è fede, in noi c'è Cristo. Lo
dice l'Apostolo: Per
mezzo della fede, Cristo abita nei vostri cuori
(Ef 3, 17). La presenza di Cristo nel tuo cuore è legata alla fede
che tu hai in lui. Questo è il significato del fatto che egli
dormiva nella barca: essendo i discepoli in pericolo, ormai sul punto
di naufragare, gli si avvicinarono e lo svegliarono. Cristo si levò,
comandò ai venti e ai flutti, e si fece gran bonaccia (cf. Mt 8,
24-26). E' quello che avviene dentro di te: mentre navighi, mentre
attraversi il mare tempestoso e pericoloso di questa vita, i venti
penetrano dentro di te; soffiano i venti, si levano i flutti e
agitano la barca. Quali venti? Hai ricevuto un insulto e ti sei
adirato; l'insulto è il vento, l'ira è il flutto; sei in pericolo
perché stai per reagire, stai per rendere ingiuria per ingiuria e la
barca sta per naufragare. Sveglia Cristo che dorme. E' per questo che
sei agitato e stai per ricambiare male per male, perché Cristo nella
barca dorme. Il sonno di Cristo nel tuo cuore vuol dire il torpore
della fede. Se svegli Cristo, se cioè la tua fede si riscuote, che
ti dice Cristo che si è svegliato nel tuo cuore? Ti dice: Io mi son
sentito dire indemoniato (Gv 7, 20), e ho pregato per loro. Il
Signore ascolta e tace; il servo ascolta e si indigna? Ma, tu vuoi
farti giustizia. E che, mi son forse fatto giustizia io? Quando la
fede ti parla così, è come se si impartissero comandi ai venti e ai
flutti: e viene la calma. Risvegliare Cristo che dorme nella barca è,
dunque, scuotere la fede; allo stesso modo Cristo frema nel cuore
dell'uomo oppresso da una grande mole e abitudine di peccato, nel
cuore dell'uomo che trasgredisce anche il santo Vangelo; Cristo
frema, cioè l'uomo rimproveri se stesso. Ascolta ancora: Cristo ha
pianto, l'uomo pianga se stesso. Per qual motivo infatti Cristo ha
pianto se non perché l'uomo impari a piangere? Per qual motivo
fremette e da se medesimo si turbò se non perché la fede dell'uomo,
giustamente scontento di se stesso, impari a fremere condannando le
proprie cattive azioni, affinché la forza della penitenza vinca
l'abitudine al peccato?
20.
E
disse: dove l'avete deposto? Sapevi
che era morto, e non sapevi dove era stato sepolto? Questo significa
che Dio quasi non conosce più l'uomo che si è perduto in questa
maniera. Non ho osato dire: non conosce. Ho detto quasi,
perché
in effetti non c'è nulla che Dio non conosca. La prova che Dio quasi
non conoscerà più l'uomo perduto si trova nelle parole che il
Signore pronuncerà nel giudizio: Non
vi conosco; allontanatevi da me!
(Mt 7, 23). Che significa non
vi conosco? Significa:
non vi vedo nella mia luce, non vi vedo nella giustizia che io
conosco. Così anche qui, come se egli non conoscesse più un così
grande peccatore, dice: Dove
l'avete deposto? Così
si era espressa la voce di Dio nel paradiso dopo che l'uomo peccò:
Adamo
dove sei?
(Gn 3, 9). Gli
dicono: Signore, vieni e vedi. Che
vuol dire: vedi?
Vuol
dire: abbi pietà. Il Signore infatti vede allorché usa
misericordia. Per questo col salmista gli diciamo: Vedi
la mia miseria, la mia pena, e perdona tutti i miei peccati
(Sal 24, 18).
21.
E
Gesù pianse. Dissero allora i Giudei: Guarda come l'amava!
(Gv 11, 35-36). Che vuol dire lo
amava? Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori al
pentimento
(Mt 9, 13). Ma alcuni di loro soggiunsero:
Non poteva costui, che ha aperto gli occhi al cieco, fare altresì
che questo non morisse?
(Gv 11,37). Colui che non ha impedito che un malato morisse, farà
molto di più: risusciterà un morto.
22.
Intanto
Gesù, fremendo di nuovo in se stesso, giunse al sepolcro. Egli
fremerà anche in te, se sei disposto a rivivere. Per ognuno che sia
sotto il peso di un'abitudine perversa vien detto che Cristo si
reca al sepolcro. Era una grotta, contro la quale era stata posta una
pietra
(Gv 11, 38). Il morto sotto la pietra rappresenta il colpevole sotto
la legge. Sapete infatti che la legge data ai Giudei fu scritta sulla
pietra (cf. Es 31, 18). Tutti i colpevoli sono sotto la legge, mentre
quelli che vivono bene sono con la legge. La legge non serve per il
giusto (cf. 1 Tim 1, 9). Che significa dunque la parola del Signore:
Levate
via la pietra
(Gv 11, 39)? Significa: Proclamate la grazia. L'apostolo Paolo
infatti dice di essere ministro del Nuovo Testamento, non della
lettera ma dello spirito, poiché
la lettera uccide
- egli dice - mentre
lo spirito vivifica
(2 Cor 3, 6). La lettera che uccide, è come la pietra che opprime.
Levate
via la pietra! egli
dice. Cioè togliete il peso della legge, e proclamate la grazia. Se
si fosse data una legge capace di conferire la vita, la
giustificazione scaturirebbe dalla legge; la Scrittura invece ha
rinserrato ogni cosa sotto il peccato, perché venisse data la
promessa in virtù della fede in Gesù Cristo a quelli che credono
(Gal 3, 21-22). Dunque: Levate
via la pietra!
23.
Gli
dice Marta, la sorella del morto: Signore, già puzza, perché son
quattro giorni che è là. Gesù le dice: Non ti ho detto che, se
credi, vedrai la gloria di Dio?
(Gv 11, 39-40). Le dice che vedrà la gloria di Dio perché sta per
risuscitare un morto di quattro giorni che già puzza. Tutti
infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio
(Rm 3, 23); e ancora: Dove
abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia
(Rm 5, 20).
24.
Tolsero,
allora, la pietra. Gesù levò gli occhi al cielo e disse: Padre, ti
ringrazio di avermi ascoltato. Io però sapevo che tu mi ascolti
sempre, ma l'ho detto per il popolo che mi circonda, affinché
credano che tu mi hai mandato. E, detto questo, con gran voce gridò
(Gv 11, 41-43). Fremette, pianse, con gran voce gridò. Quanto è
difficile che si alzi chi è oppresso dal peso delle cattive
abitudini! E tuttavia si alza: una grazia occulta interiormente lo
vivifica e al suono della voce potente si alza. Che cosa è avvenuto?
Con gran voce gridò: Lazzaro,
vieni fuori! Il morto uscì con i piedi e le mani legate da fasce e
la faccia avvolta in un sudario
(Gv 11, 43-44). Ti meravigli che abbia potuto camminare con i piedi e
le mani legati, e non ti meravigli che sia risorto un morto di
quattro giorni? L'una e l'altra sono dovute alla potenza del Signore,
non alla forza del morto. Esce ancora legato; è ancora avvolto,
eppure viene fuori. Che significa? Quando disprezzi la grazia di Dio,
giaci morto; e se la disprezzi al punto che ho detto, giaci sepolto.
Ma quando confessi il tuo peccato, vieni fuori. Che significa infatti
venir fuori, se non manifestarsi uscendo come da un nascondiglio?
Perché tu abbia a riconoscere la tua colpevolezza, Dio ti chiama a
gran voce, cioè con una grazia straordinaria. E siccome il morto era
uscito ancora legato, come un reo confesso non ancora assolto,
affinché fosse sciolto dai suoi peccati, il Signore disse ai
servitori: Scioglietelo
e lasciatelo andare
(Gv 11, 44). Che significa scioglietelo
e lasciatelo andare? Ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto
nei cieli
(cf. Mt 16, 19).
25.
Molti
dei Giudei venuti da Maria, e che avevano visto ciò che egli aveva
fatto, credettero in lui. Ma alcuni di essi si recarono dai farisei a
riferire ciò che aveva fatto Gesù
(Gv 11, 45-46). Non tutti i Giudei che erano venuti da Maria
credettero, però in gran numero. Ma
alcuni di essi, cioè
alcuni dei Giudei che erano venuti, oppure anche di quelli che
avevano creduto, si
recarono dai farisei a riferire ciò che aveva fatto Gesù, per
recare un annuncio che convincesse anche i farisei a credere, o più
probabilmente per fare una denuncia che provocasse il loro furore.
Comunque fossero le intenzioni di chi andò a riferire, i farisei
furono informati.
26.
I
gran sacerdoti e i farisei radunarono allora un consiglio e dicevano:
Che facciamo?
(Gv 11, 47). Non dicevano mica: Crediamo! Quegli uomini perversi
infatti erano più impegnati a infierire su di lui fino a eliminarlo
che non a cercare la loro salvezza. E tuttavia erano perplessi e si
consultavano. Infatti dicevano: Che
facciamo? perché quest'uomo fa molti prodigi! Se lo lasciamo
continuare, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e ci
distruggeranno città e nazione
(Gv 11, 47-48). Temevano di perdere le cose temporali e non si
preoccupavano della vita eterna, e così perdettero l'una e l'altra.
I Romani infatti, dopo la passione e la glorificazione del Signore,
distrussero la loro città e la loro nazione, espugnando la città e
deportando la popolazione. Si realizzò così la profezia: I
figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre
(Mt 8, 12). Temevano che se tutti avessero creduto in Cristo, non
sarebbe rimasto nessuno a difendere la città e il tempio di Dio
contro i Romani. Erano infatti convinti che la dottrina di Cristo
fosse contraria al tempio e alle leggi dei loro padri.
27.
Uno
di essi, però, Caifa, che era sommo sacerdote di quell'anno, disse
loro: Voi non ci capite nulla, né riflettete che è nel vostro
interesse che un uomo solo muoia e non perisca la nazione intera.
Ora, questo non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote di
quell'anno, profetò
(Gv 11, 49-51). Apprendiamo qui che lo spirito di profezia può
annunciare il futuro anche per bocca di un uomo indegno; la qual cosa
l'evangelista l'attribuisce a un'occulta disposizione di Dio, per il
fatto che Caifa era pontefice, cioè sommo sacerdote. Può sembrare
strano che l'evangelista dica di Caifa che era sommo sacerdote per
quell'anno, dato che Dio aveva stabilito che un sommo sacerdote
dovesse restare in carica fino alla sua morte. Ma è risaputo che in
seguito, per soddisfare ambizioni ed evitare contese, si stabilì che
fossero più di uno fra i Giudei, e che ciascuno a turno esercitasse
la carica per un anno. Anche di Zaccaria si dice che mentre
prestava servizio sacerdotale nel turno della sua classe, innanzi a
Dio, secondo l'uso del sacro ministero, gli toccò in sorte di
entrare nel santuario del Signore per bruciare l'incenso
(Lc 1, 8-9). Questo dimostra che vi era più di un sommo sacerdote, e
che prestavano il loro servizio a turno, poiché solo al sommo
sacerdote spettava bruciare l'incenso (cf. Es 30, 7). E probabilmente
anche durante il medesimo anno prestavano servizio in diversi, ai
quali si avvicendavano altri nell'anno successivo, e tra questi
veniva sorteggiato chi doveva bruciare l'incenso. E cosa profetò
Caifa? Profetò che
Gesù sarebbe morto per la nazione, e non per quella nazione
soltanto, ma anche per radunare insieme i figli di Dio dispersi
(Gv 11, 51-52). Questo lo ha aggiunto l'evangelista, in quanto la
profezia di Caifa si limitava alla nazione dei Giudei, nella quale si
trovavano quelle pecore di cui il Signore aveva detto: Sono
stato mandato soltanto alle pecore perdute della casa d'lsraele
(Mt 15, 24). Ma l'evangelista sapeva che esistevano altre pecore che
non erano di quell'ovile, e che dovevano essere radunate, in modo che
vi fosse un solo ovile, e un solo pastore (cf. Gv 10, 16). Tutto
questo, però, l'evangelista lo dice tenendo conto della
predestinazione, in quanto quelli che non credevano in lui, non erano
ancora né sue pecore né figli di Dio.
28.
Da
quel giorno, dunque, decisero di farlo morire. Gesù non si faceva
più vedere in pubblico fra i Giudei, ma si ritirò nella regione
prossima al deserto, in una città chiamata Efraim, e là soggiornò
con i suoi discepoli
(Gv 11, 53-55). Non gli era certo venuto meno il suo potere, perché,
se avesse voluto, avrebbe ben potuto rimanere pubblicamente in mezzo
ai Giudei senza che essi potessero fargli del male. Egli volle invece
offrire ai discepoli l'esempio di come si possa vivere accettando la
debolezza umana; e mostrare loro che i suoi fedeli, che sono le sue
membra, possono, senza commettere peccato, sottrarsi ai loro
persecutori; e che si deve cercare di sfuggire al furore degli
iniqui, anziché provocarli maggiormente col mettersi nelle loro
mani.
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