venerdì 28 aprile 2017

I due discepoli di Emmaus: pellegrini ed evangelizzatori.

III Domenica di Pasqua – Anno A – 30 aprile 2017
Rito Romano
At 2,14.22-33; Sal 15; 1Pt 1,17-21; Lc 24,13-35

Rito Ambrosiano

At 19,1b-7; Sal 106; Eb 9,11-15; Gv 1,29-34


 
1) Da fuggitivi a pellegrini.
Il Vangelo di questa terza domenica di Pasqua è incentrato sul cammino di due discepoli, per i quali Emmaus è una tappa del loro allontanarsi da Gerusalemme dove hanno assistito alla fine della loro avventura a causa della morte di Cristo. E’ vero avevano sentito da alcune donne affermare che Gesù era risorto, ma era una notizia così incredibile, che se ne vanno dalla città dove il loro “sogno” era stato infranto dalla Croce.
Provvidenzialmente, Cristo si fa loro compagno di strada e, anche se -lungo il cammino- “vedono” in lui solamente un estraneo, accettano che cammini con loro e che lenisca la loro tristezza. Lo sconforto che hanno impedisce loro di credere che la Croce di Cristo è la chiave per entrare nella casa del Padre.
Con franchezza e amore questo “sconosciuto” dice loro: “O senza testa1 e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui (Lc 24, 25-27).
Ascoltando lo Sconosciuto, che con le sue parole ridona loro testa per capire e apre il cuore per accogliere, i due discepoli arrivano a Emmaus, dove si fermano per la notte e lo invitano a restare con loro perché a quell’ora la strada si fa pericolosa. A questo gesto di condivisione, Cristo risponde con un altro gesto di condivisione: spezza il pane per loro. Questo gesto eucaristico permette ai due “fuggitivi” di riconoscere il Signore.
Essi narravano le cose accadute lungo il cammino e come si era rivelato a loro nello spezzare il pane”. Questa frase, che conclude il racconto dell'esperienza pasquale dei due discepoli di Emmaus (Lc.24,13-35), sintetizza in modo meraviglioso il senso dell'esistenza cristiana di ogni discepolo di Gesù Cristo. Che cos'è la novità cristiana se non vivere la normalità della vita, con le gioie e le tristezze, le speranze e le angosce, illuminata, interpretata, dall'evento di Cristo che si rivela nella condivisione del pane spezzato? Il cammino di Emmaus con Lui che ci cambia la vita, è la descrizione dell'esperienza di ciascuno di noi, quando arriviamo a dirci l'un l'altro: "Il nostro cuore non ci bruciava dentro mentre parlava a noi sulla strada e ci spiegava le Scritture?".
Nella strada che conduce a Emmaus possiamo riconoscere il nostro cammino di fede, in cui invece di una locanda c’è la Chiesa, che con la Messa ci offre le Scritture e l’Eucarestia elementi indispensabili per l’incontro con il Signore. Se con le nostre preoccupazioni e difficoltà usciamo di casa per andare alla chiesa, lì potremo –almeno ogni domenica- andare spiritualmente a Emmaus, dove la Parola di Dio ci è spiegata e il Pane di Vita ci è donato. Lì Dio sta con noi, con la sua Parola ci consola e con il suo Pane ci ristora, cura e guarisce, donandoci la gioia.
Il cammino dei due discepoli di Emmaus è quello di tutti noi. Se camminando il nostro cuore non resta chiuso dalla tristezza, possiamo incontrare il Risorto nella Parola che ci accende il cuore e nel Pane che ci apre gli occhi. Nella Parola e nell’Eucaristia noi stessi passiamo dalla morte alla vita e riconosciamo che è vero quanto i primi testimoni oculari ci hanno raccontato: sappiamo che Gesù è risorto perché anche noi l’abbiamo incontrato e siamo risorti a una vita nuova nell’amore.
A noi in cammino, come ai due discepoli, Cristo ci annuncia il Vangelo della sua risurrezione, ci parla della storia di amore di Dio con il suo popolo, ci ricorda la perenne fedeltà di Dio, che ha stretto con noi un’alleanza eterna. Cristo ci parla ed apre il nostro cuore alle Sacre Scritture, svelando la profondità del Suo cuore ricolmo di amore, a causa o, meglio, grazie al quale “doveva” soffrire, morire,. Non poteva fare altro che amarci di quell’amore assoluto e infinito, che supera le barrire della morte e della carne.

2) Un amore senza fine e sino alla fine.
La memoria dei discepoli (e di ciascuno di noi) è ridestata dalla presenza di Cristo, che è Parola e Pane. Ora anche gli occhi del cuore si sono aperti e, allora come oggi, è possibile conoscere chi è Colui che li accompagna. Per la loro mente aperta dalla Parola e dalla frazione del Pane, l’oscuro evento della morte di Cristo diventa luce. Con la mente illuminata e il cuore aperto, la nostra tristezza diventa preghiera: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno ormai tramonta”. Sull’oscurità di un evento di morte (quella di Cristo), scende la luce di Cristo risorto. E’ stato sufficiente che i due discepoli esprimessero il loro desiderio di condivisione perché Lui, che in realtà desiderava rivelare il suo Amore per loro, accogliesse il loro invito, entrasse e rimasse con loro.
Facciamo altrettanto e Cristo entrerà nella nostra casa, nel nostro cuore, nella nostra vita. Allora Lui sarà a tavola con noi, come lo fu “con loro” e per noi, come “per loro”, il pane benedetto e spezzato diventa energia per il cammino, invertendo la marcia: verso Gerusalemme, per annunciare che Cristo è risorto davvero e loro lo hanno incontrato.
A questo punto emergono due domande importanti: come e dove si può incontrare il Risorto? Come riconoscere il Signore che cammina con noi? Nella locanda di Emmaus, a Cleopa e all’altro discepolo senza nome (nel quale quindi ciascuno di noi si può identificare) gli occhi si aprirono quando, seduto a tavola in loro compagnia, Gesù compì quattro gesti (prese il pane, ringraziò (in greco “eucharisto”) con la preghiera di benedizione, lo spezzò e lo distribuì), che portano indietro e in avanti.
Portano indietro facendo memoria della cena eucaristica nel Cenacolo e alla vita terrena di Gesù (una vita spezzata e condivisa in dono come pane spezzato) e alla croce che di quella vita è il compimento.
Portano in avanti, nel tempo della Chiesa, tempo in cui i cristiani continuano a “spezzare il pane” (uno dei primi nomi dati alla Messa). Questo spezzare il pane è dunque un gesto sacramentale, in un certo senso riassuntivo, nel quale si concentrano, sovrapponendosi, le tre tappe dell'esistenza di Gesù: il Gesù terreno, il Risorto e il Signore ora presente nella comunità. Lo “spezzare il pane” è sempre la modalità riconoscibile della presenza del Signore: è la modalità del Crocifisso, del Risorto e del Signore glorioso presente nella Chiesa. Si tratta di un amore fino alla fine e senza fine.

3) Verginità, Parola e Eucaristia.
A questo amore che si dona completamente, le vergini consacrate nel mondo si donano completamente e diventa particolarmente vero per loro quanto accadde alla Vergine Maria quando disse all’angelo di Dio: “Avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1,38).  Il suo cuore divenne un tabernacolo e in modo speciale ciascuna di queste consacrate potrebbe dire: “Avvenga di me secondo la tua parola riguardo alla Parola. San Bernardo di Chiaravalle in modo geniale commenta: “La Parola che era in principio presso Dio (cfr Gv 1,2) si faccia carne dalla mia carne secondo la tua parola.  Venga a me la Parola, non pronunciata, che passi, ma concepita, affinchè rimanga, rivestita cioè di carne, non di aria. Venga a me la Parola non solo udibile agli orecchi, ma anche visibile agli occhi, palpabile alle mani, portabile in braccio”.
Sull’esempio delle Vergini consacrate, preghiamo con queste parole di San Bernardo: “Quanto a me prego che il Verbo di Dio s'incarni nel mio grembo, secondo la tua parola. Non voglio che venga a me solennemente declamato, o significato in modo simbolico, o sognato con l'immaginazione, ma nel silenzio ispirato, personalmente incarnato, corporalmente inviscerato. La Parola, dunque, che in sé non poteva né aveva bisogno di essere fatta, si degni di essere fatta (in me e) a me secondo la tua parola”.  Insomma il Mistero eucaristico manifesta un intrinseco rapporto con la verginità consacrata, in quanto questa è espressione della dedizione esclusiva della Chiesa a Cristo, che essa accoglie come suo Sposo con fedeltà radicale e feconda. Nell’Eucaristia la verginità consacrata trova ispirazione ed alimento per la sua dedizione totale a Cristo.

1  La parola greca usata è ἀνόητος (anoetos) cioè senza testa – sarebbe ‘senza mente’, cioè la testa c’è tutta, ma non si usa la mente, il cervello. Cioè quanto alla testa manca ‘solo’ il cervello, quanto il cuore batte ogni tanto e non per l’Amore che è morto e risorto per loro


Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona
Sermone 235, 1 – 4


       Il Signore Gesù, dopo essere risuscitato dai morti, trovò per via due dei suoi discepoli, che conversavano insieme dei fatti del giorno, e disse loro: "
Che sono questi discorsi che andate facendo tra di voi, e perché siete tristi?", ecc.; il fatto è narrato dal solo evangelista Luca. Marco si limita a dire che apparve a due discepoli lungo la via (Mc 16,12 Mc 16,13): ma quel che essi dissero al Signore, od anche ciò che questi disse loro, egli lo ha tralasciato.

       "
Cristo con i discepoli per via". Cosa dunque ci ha apportato questa lezione? Qualcosa di grande, se cerchiamo di comprendere. Gesù apparve: era visto con gli occhi, ma non era riconosciuto. Il Maestro camminava con loro per via, anzi era lui stesso la via: essi però non camminavano ancora per la via; li trovò bensì che esorbitavano dalla via. Quando infatti era stato con loro, prima della sua Passione, aveva loro tutto predetto: che avrebbe patito, che sarebbe morto e risuscitato il terzo giorno (Mt 20,18-19): tutto aveva predetto; ma la morte di lui fu oblio per loro. Così rimasero turbati quando lo videro pendente dal legno, sì da dimenticare il docente, da non aspettare il risorgente, né da tener fede all’autore delle promesse.

       "
Noi", dicono essi, "speravamo che avrebbe operato la redenzione d’Israele". O discepoli, voi speravate; dunque ora non sperate più? Ecco che Cristo vive, mentre la speranza è morta in voi ! Certamente Cristo vive. E Cristo vivo trovò morti i cuori dei discepoli: ai loro occhi apparve e non apparve; ed era visto e si nascondeva. Ma se non era visto, in qual modo lo ascoltavano mentre interrogava, o rispondevano alle sue domande? Egli viaggiava per via con loro come un compagno, mentre era il capo medesimo. Senz’altro lo vedevano, però non lo riconoscevano. "I loro occhi erano infatti appesantiti e incapaci di riconoscerlo", come abbiamo sentito. Non dice che erano incapaci di vedere, bensì che erano incapaci di riconoscerlo.

       "Perché Cristo volle essere riconosciuto nella frazione del pane. Il premio dell’ospitalità". Orsù, fratelli, dove volle essere riconosciuto il Signore? Nella frazione del pane. Siamone certi, spezziamo il pane, e conosciamo il Signore. Non ha voluto essere conosciuto se non lì; il che vale per noi che non eravamo destinati a vederlo nella carne, e tuttavia avremmo mangiato la sua carne. Perciò, chiunque tu sia, o fedele; chiunque tu sia che non vuoi essere detto vanamente cristiano; chiunque tu sia che non senza ragione entri in chiesa; chiunque tu sia che ascolti con timore e speranza la parola di Dio, ti consoli la frazione del pane. L’assenza del Signore non è assenza: abbi fede, ed è con te colui che non vedi. Quei tali, quando parlava con loro il Signore, non avevano fede: perché non credevano che fosse risorto, non speravano che potesse risorgere. Avevano perduto la fede, avevano perduto la speranza. Camminavano morti in compagnia della stessa vita. Con loro camminava la vita, ma nei loro cuori la vita non era stata ancora richiamata.

       Anche tu, quindi, se vuoi avere la vita, fa’ ciò che essi fecero, affinché tu conosca il Signore. Essi gli dettero ospitalità. Il Signore era infatti simile ad uno che vuole andare oltre, essi però lo trattennero. E dopo esser giunti al luogo cui erano diretti, dissero: "
Resta ancora qui con noi, si fa sera infatti e il giorno volge al declino". Accogli l’ospite, se vuoi conoscere il Salvatore. Ciò che aveva portato via l’infedeltà, lo restituì l’ospitalità. Il Signore, dunque, si fece conoscere nella frazione del pane.
Imparate dove cercare il Signore, imparate dove possedere, dove conoscere, quando mangiate. I fedeli infatti hanno conosciuto in questa lezione qualcosa che meglio comprendiamo e che quei tali non conobbero. "Cristo si è assentato con il corpo perché si edificasse la fede". Il Signore è stato conosciuto; e dopo essere stato conosciuto, mai più ricomparve. Si separò da loro con il corpo, colui che era trattenuto dalla fede. Per questo infatti il Signore si assentò con il corpo da tutta la Chiesa, e ascese al cielo, perché si edificasse la fede. Se infatti non conosci se non ciò che vedi, dove sta la fede? Ma se credi anche ciò che non vedi, godrai quando vedrai. Si edifica la fede, perché si respinge l’apparenza. Verrà ciò che non vediamo; verrà, fratelli, verrà: ma, attento a come ti troverà. Infatti, verrà ciò che dicono gli uomini: Dove, quando, come, quando sarà, quando verrà? Sta’ certo, verrà: e non soltanto verrà, ma verrà anche se tu non vuoi.


venerdì 21 aprile 2017

Figli del Padre di Misericordia, fonte di pace.

Figli del Padre di Misericordia1, fonte di pace.

II Domenica di Pasqua – della divina Misericordia – Anno A – 23 aprile 2017
Rito romano
At 2,42-47; Sal 117; 1Pt 1,3-9; Gv 20,19-31

Rito Ambrosiano

At 4,8-24; Sal 117; Col 2,8-15; Gv 20,19-31



1) Domenica2 della misericordia, il “secondo nome” dell’amore.
Cos’è la misericordia? Null’altro si potrebbe dire, che “una miseria raccolta nel cuore”. Quando la miseria altrui tocca e colpisce il tuo cuore, quella è misericordia” (P. David Maria Turoldo). Questa misericordia è possibile quando si crede in Dio Amore, che ha Misericordia “come secondo nome”, come scrisse S. Giovanni Paolo II nell’Enciclica Dives in Misericordia.
E se fu questo santo Papa a dare ufficialmente il titolo di ‘Domenica della Divina Misericordia’ a questa II Domenica di Pasqua, è utile sottolineare che il motivo, almeno implicito, lo si può trovare nel Vangelo di oggi, dove si racconta che il Redentore entra nel Cenacolo e, apparendo agli Apostoli, dà loro la pace e l'incarico di “amministrare” il perdono e la riconciliazione, cioè la misericordia di Dio, che Gesù ha manifestato in lungo e in largo nella sua vita terrena. Infatti, al paralitico, prima ancora di rialzarlo in piedi, dice: “Figliolo i tuoi peccati ti sono perdonati” suscitando una certa sorpresa perché solo Dio può rimettere i peccati. Ma Gesù è davvero Dio, perciò può perdonare divinamente. Ai suoi discepoli racconta che Dio è come un pastore buono che va a ricercare la pecorella smarrita, o come quel papà che perdona il figlio che se ne era andato con metà dell'eredità e usa anche grande pazienza con l'altro che era rimasto e si era incavolato. Gesù raccomanda la misericordia nella preghiera del Padre Nostro (... rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori), di perdonare fino a settanta volte sette, di saper distinguere il peccato dal peccatore e, non limitandosi a dare solo dei bei insegnamenti, dalla croce dice addirittura: "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
E da Risorto affida alla sua Chiesa questa missione di annunciare, vivere, celebrare e diffondere la misericordia divina, che Lui ha tanto raccomandato e praticato.
In questo modo il Risorto rivela il senso della Chiesa. Gesù l’ha voluta per annunciare - a tutti gli uomini e in tutti i tempi –il vangelo della sua morte e risurrezione, cioè la salvezza da lui portata, liberando tutti quelli che credono in lui dalla morte e dal peccato. Il Redentore manda dunque i suoi apostoli a proclamare la misericordia divina3.
Questa misericordia viene da un Dio che è Padre teneramente fermo e paternamente amorevole.


2) La fede condizione per essere perdonati e avere la vita.
Il brano del Vangelo di oggi dice anche qual è la condizione per ricevere la Misericordia Paterna. L’evangelista dichiara di aver scritto “perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”. E poco prima, narrando il celebre episodio dell'incredulità di Tommaso, invitato dal Risorto a toccare le ferite per cui era morto, del Risorto riferisce le consolanti e insieme inquietanti parole: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”. La fede, dunque, è la condizione per essere perdonati e “avere la vita”.
Per questo all’inizio della Messa di oggi, a nome di tutti i fedeli, il Sacerdote prega: “Dio di eterna misericordia, che nella ricorrenza pasquale infiammi la fede del tuo popolo, accresci in noi la grazia che ci hai dato, perché tutti comprendiamo l’inestimabile ricchezza del Battesimo che ci ha purificati, dello Spirito che ci ha rigenerati, del Sangue che ci ha redenti” (Colletta4). E’ mediante la fede nel Vangelo e mediante il Battesimo che si “acquista” la salvezza, cioè la remissione dei peccati e il dono della vita nuova e vera.
Se “con fede la invochiamo, la misericordia ci viene concessa; mentre la confessiamo viva e reale, realmente ci trasforma. È questo un contenuto fondamentale della nostra fede, che dobbiamo conservare in tutta la sua originalità: prima di quella del peccato, abbiamo la rivelazione dell’amore con cui Dio ha creato il mondo e gli esseri umani. L’amore è il primo atto con il quale Dio si fa conoscere e ci viene incontro. Teniamo, pertanto, aperto il cuore alla fiducia di essere amati da Dio. Il suo amore ci precede sempre, ci accompagna e rimane accanto a noi nonostante il nostro peccato” (Papa Francesco, Lett. Ap. Misericordia et misera, 20 novembre 2016).
Per vivere questa fede, per credere all’amore, ci è di esempio Madre Teresa di Calcutta, Missionaria della Carità. Lei ha fatto tutto quello che ha fatto per Cristo. A chi le chiese chi è Cristo per lei, Madre Teresa disse:Chi è Gesù per me? Gesù è il Verbo fatto uomo, è il pane della vita, è la vittima offerta per i nostri peccati sulla croce, è il sacrificio offerto per i miei peccati e per quelli del mondo, è la parola che va proclamata, è la verità, che deve essere narrata, è la via che deve essere percorsa, è la vita, che deve essere vissuta è la luce che deve essere fatta splendere, è l’amore che deve essere amato, è la gioia che deve essere condivisa, è il sacrificio che deve essere offerto, è la pace che deve essere data, è il pane della vita che deve essere mangiato, è l’affamato che deve essere nutrito, è l’assetato, che deve essere dissetato, è il nudo che deve essere vestito, è l’uomo solo, che deve essere consolato, è il non voluto, che deve essere voluto, è il drogato che bisogna aiutare, è la prostituta da sottrarre al pericolo e da sostenere, è il carcerato che bisogna visitare”.
Santa Teresa di Calcutta era così certa di Cristo risorto che spesso affermava: “Non lasciare mai che le tue preoccupazioni crescano fino al punto di farti dimenticare la gioia del Cristo risorto”.
La gioia, dono del Signore risorto, è una partecipazione alla sua stessa gioia. Non ci sono due gioie differenti, una per Dio e una per l’uomo. Si tratta sempre, in un caso come nell’altro, di una gioia che affonda le sue radici nell’amore. Questa gioia non sta nell’assenza della Croce, ma nel comprendere che il Crocifisso è risorto. La fede permette una diversa lettura della Croce e del dramma dell'uomo. Pace e gioia sono al tempo stesso i doni del Risorto e le tracce per riconoscerlo. Ma occorre infrangere l’attaccamento a se stessi. Questa piccola, grande Suora era certa del paradiso, dove anelava andare, ma era altrettanto certa che già sulla terra è possibile essere con Gesù e comunicare la sua gioia, amando il prossimo come Lui lo ama e servendolo come Lui lo serve. In questo modo questa Santa è stata Missionaria della Carità misericordiosa. Non è importante che facciamo cose grandi come lei ha fatto, l’importante è che facciamo piccole cose con grande amore.
Dio è amore. La rivelazione del suo amore è Cristo: come Figlio ci rivela la Paternità del Padre. Come Uomo ci rivela il suo amore sponsale per la Chiesa.
A questo amore rispondono in modo particolare le Vergini consacrate che si consacrano a Cristo quale ragione della loro vita. Come san Leandro di Siviglia scrive “per le vergini consacrate Cristo è tutto: sposo, fratello, amico, parte dell’eredità, premio, Dio e Signore” (Regula sancti Leandri, Introductio).
Consacrandosi a Cristo Sposo5, le Vergini ne condividono completamente la missione di misericordia che va fino all’estremo dono di sé sulla via della carità. Queste donne testimoniano che non serve disperdersi in tante cose secondarie o superflue, ma concentrarsi sulla realtà fondamentale, che è l’incontro con Cristo, con la sua misericordia, con il suo amore e l’amare i fratelli come lui ci ha amato. Un incontro con Cristo che è anche adorazione e donazione piena a Lui. Questo San Giovanni Paolo II volle ribadire scrivendo: “Nella verginità [consacrata] si esprime ... il radicalismo del Vangelo: lasciare tutto e seguire Cristo” (Lett. Ap. Mulieris Dignitatem, 20), amandolo e portando al prossimo la Sua misericordia.

1 Nell’Enciclica Dives in misericordia, San Giovanni Paolo II spiega le due parole semitiche che sono sottese alla parola italiana “misericordia»”: dare di nuovo il cuore a chi è in stato di miseria.
La prima parola è hesed. Fa riferimento ad una promessa, richiama perciò una fedeltà all’interno di una alleanza, come quella sponsale. E’ un amore che parla di solidarietà radicale vicendevole e giurata. E’ un amore che diventa anche esigente e conosce la collera della gelosia. Due amanti sono gelosi.
La seconda parola è rahamîn. Alla sua radice troviamo rehem, utero. Ci parla di tenerezza materna, di amore al frutto delle proprie viscere. Ci richiama la paternità di Dio in Osea 11: una paternità amorevole, una tenerezza ferma. Dio ama teneramente come una madre ed è al tempo stesso guida forte come un padre, superando tutte le categorie culturali che tendono ad attribuire separatamente la fermezza al padre, la dolcezza alla madre.

2 Nel 1992, San Giovanni Paolo II istituì la festa della Divina Misericordia e stabilì che fosse celebrata in tutta la Chiesa Cattolica oggi, II domenica di Pasqua, detta anche “Domenica in albis”, perché quanti erano stati battezzati durante la notte di Pasqua deponevano le vesti bianche indossate durante la Veglia di Pasqua appena ricevuto il Battesimo.
3 Mistero profondo, e tremenda responsabilità! Dio ha voluto aver bisogno di uomini per raggiungere gli altri uomini; di più, ratifica in anticipo le loro decisioni. E’ anche vero che assicura loro lo Spirito Santo, cioè la costante assistenza divina: ma il pensiero che la misericordia di Dio si consegna in fragili e indegne mani umane, fa tremare le vene e i polsi di chi è chiamato ad amministrarla.
4 Deus misericórdiæ sempitérnæ, qui in ipso paschális festi recúrsu fidem sacrátæ tibi plebis accéndis, auge grátiam quam dedísti, ut digna omnes intellegéntia comprehéndant, quo lavácro ablúti, quo spíritu regeneráti, quo sánguine sunt redémpti.
5 L’espressione «sposarsi con Dio», conviene maggiormente alla donna. Le vergini cristiane sono state considerate, fin dall'antichità come spose di Cristo. Si può dire che esse rappresentano, nella maniera più appropriata e più completa, la qualità di sposa di Cristo che si attribuisce alla Chiesa. Nelle vergini consacrate si personifica questa relazione di sposa con il Cristo. In effetti, la consacrazione verginale dà a questa relazione tutto il suo valore. La vergine che dona tutto il suo cuore a Cristo rinuncia a uno sposo umano per prendere direttamente il Signore come sposo. Nel matrimonio vi è l’attuazione delle nozze di Cristo e della Chiesa, come dice san Paolo (Ef 5,28). Nella verginità questa attuazione è più totale, perché solo Cristo diventa lo Sposo, senza la mediazione di uno sposo umano Il legame di sposa della Chiesa con il Cristo raggiunge così la sua più grande profondità.



Lettura Patristica
San Cipriano di Cartagine (210 – 258)
De Ecclesiae unitate


  Il Signore dice a Pietro: "Io ti dico: tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli ciò che tu legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo, e ciò che tu scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche in cielo" (Mt 16,18s). Su uno solo egli edifica la Chiesa, quantunque a tutti gli apostoli, dopo la sua Risurrezione, abbia donato uguali poteri dicendo: "Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo! A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti" (Jn 20,21-23). Tuttavia, per manifestare l’unità, costituì una cattedra sola, e dispose con la sua parola autoritativa che il principio di questa unità derivasse da uno solo. Quello che era Pietro, certo, lo erano anche gli altri apostoli: egualmente partecipi all’onore e al potere; ma l’esordio procede dall’unità, affinché la fede di Cristo si dimostri unica. E a quest’unica Chiesa di Cristo allude lo Spirito Santo nel Cantico dei Cantici quando, nella persona del Signore, dice: "Unica è la colomba mia, la perfetta mia, unica di sua madre, la prediletta della sua genitrice" (Ct 6,9). Chi non conserva quest’unità della Chiesa, crede forse di conservare la fede? Chi si oppone e resiste alla Chiesa, confida forse di essere nella Chiesa? Eppure è anche il beato apostolo Paolo che lo insegna, e svela il sacro mistero dell’unità dicendo: "Un solo corpo e un solo spirito, una sola speranza della vostra vocazione, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio" (Ep 4,4-6).

       Quest’unità dobbiamo conservare salda e difendere soprattutto noi, vescovi, che nella Chiesa presidiamo, dimostrando così che lo stesso nostro episcopato è unico e indiviso. Nessuno inganni i fratelli con la menzogna, nessuno corrompa la loro fede nella verità con perfida prevaricazione! L’episcopato è unico, e i singoli ne possiedono ciascuno una parte, ma «in solido». Anche la Chiesa è unica, e si propaga in una moltitudine vastissima per la sua feconda prolificità, proprio come i raggi del sole sono molti, ma lo splendore è unico, i rami degli alberi sono molti, ma unico è il tronco saldamente attaccato alla radice, e come dalla sorgente unica defluiscono molti ruscelli e quantunque sembri che una numerosa copia di acqua largamente si diffonda tuttavia essa conserva alla sua origine l’unità. Dalla massa dei sole togli un raggio: l’unità della luce non ammette divisione; dall’albero stacca un ramo: il ramo non potrà più germogliare; dalla fonte isola un ruscello: questo subito seccherà.

       Così, anche la Chiesa del Signore diffonde luce per tutta la terra, dappertutto fa giungere i suoi raggi; tuttavia unico è lo splendore che dappertutto essa diffonde, né si scinde l’unità del corpo. Estende i suoi rami frondosi per tutta la terra riversa in ogni direzione le sue acque in piena, ma unico è il principio unica è l’origine, unica è la madre ricca di frutti e feconda. Dal suo grembo nasciamo, dal suo latte siamo nutriti, dal suo Spirito siamo vivificati.

venerdì 14 aprile 2017

Cristo è risorto, cercatelo tra i vivi.

Domenica di Pasqua – Resurrezione del Signore – Anno A – 16 aprile 2017
At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Gv 20,1-9


1) Il cristianesimo è la religione dei vivi.
“Fra tutti i giorni dell’anno che la Liturgia celebra in vari modi, non ce n’è uno, che superi per importanza la festa di Pasqua, perché, nella Chiesa di Dio, questa rende sacre tutte le altre solennità. Anche la nascita del Signore è orientata verso questo mistero: il Figlio di Dio non ebbe altra ragione di nascere, che quella di essere inchiodato alla croce. Nel grembo della Vergine, infatti, egli prese carne mortale; in questa carne mortale fu realizzato interamente il disegno della passione; e così avvenne che, per un piano ineffabile della misericordia di Dio, questa diventasse per noi sacrificio redento re, abolizione del peccato e inizio di risurrezione alla vita eterna” (San Leone Magno, Sermo XLVIII, 1 - P.L. 54, 298 A - 299 A). Quindi è stato giusto e doveroso preparaci alla Pasqua con il cammino (=l’esodo) quaresimale ci ha resi ancor più consapevoli che siamo un popolo “costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità” (Lumen Gentium, 9), e da Lui preso per essere strumento della redenzione di tutta l’umanità.
Oggi, inizia l’esodo pasquale per camminare “nel mondo alla ricerca della città futura e permanente (cfr. Eb 13, 14) e portare al mondo Cristo, autore della salvezza e principio di unità e di pace, perché noi, Chiesa, siamo per tutti e per ciascuno il sacramento visibile di questa unità salvifica” (cfr. Ibid.).
Chi ci guida in questo cammino? Cristo risorto dalla morte, una morte alla quale l’avevano condannato assurdamente, perché Lui aveva detto al mondo la verità ed aveva dato l’amore.
Gesù, buon Pastore, ci guida usando come pastorale la Croce, sulla quale è morto. Il suo (di Gesù) morire in Croce tra gli insulti e i maltrattamenti, da Lui patiti fino alla morte, fu un morire per noi, povere creature, per il nostro vantaggio e al nostro posto. Mentre pativa l’odio degli uomini, prendeva questo odio su di sé; togliendolo a loro e accogliendolo nella sua misericordia. Il suo fu un morire dell’amore che non muore.
Cristo, buon Pastore, non solo guida le sue pecore, ma prende quella smarrita sulle sue spalle e la porta a casa. Stretti al suo Corpo viviamo, e in comunione con il suo Corpo giungiamo fino al cuore di Dio.
Questo cuore infinito ci è stato rivelato da Cristo che, mediante la sua risurrezione, rivela che l’amore è più forte della morte, più forte del male. La forza per mezzo della quale ci porta con sé, tenendoci stretti sulle sue spalle. Uniti al suo amore, saliamo anche con Lui verso la casa del Cielo, la dimora della Vita nell’amore.
In Cristo crocifisso, il dolore umano ha un senso, perché non mira a distruggere la vita, ma a chi lo sa accettare serve a renderla più intensa e perfetta: santa e salvifica.
La croce non è “scandalo” solo per gli ebrei e “follia” per i greci di duemila anni fa, anche oggi per molti essa è “scandalo” e “follia”. Ma se contempliamo con attenzione e devozione il mistero della Pasqua capiamo che l’ “assurdo” e “scandaloso” agire di Dio ha come ragione l’amore gratuito, misericordioso e onnipotente di Dio per gli uomini che si manifesta in pienezza e potenza sulla Croce di Cristo. In effetti, questa Croce ha due facce: l’apparente sconfitta e la vittoria, il Crocifisso e il Risorto. Nella Croce si rivela tutta la cattiveria e la miseria dell'uomo che non esita a condannare il Figlio di Dio innocente, ma si manifesta anche tutta la profondità e l'efficacia del perdono di Dio.
In Cristo crocifisso e risorto l’ultima parola non ce l’ha l’odio, ma l’amore. In questa totale carità, e non altrove, va cercata la vera ragione della speranza cristiana, la buona notizia1, che dà senso e spessore alla vita e alla storia, nonostante i fallimenti. Ma è una buona e lieta notizia, che esige conversione non solo ad una vita morale buona ma alla religione della Vita vera.
In questa religione, camminiamo con Cristo risorto che passa dalla morte alla vita, e passiamo dal sacrificio alla gloria, dall’abnegazione alla fecondità, dalla rinuncia all’amore, dall’amore alla vita. Non c’è altra via che conduce alla beatitudine, alla pienezza completa, alla Vita. E’ il cammino tracciato dalla Resurrezione.

2) Cristo è risorto, non è qui.
Alle pie donne che, nel primo bagliore del giorno, erano andate al sepolcro per imbalsamare il corpo di Gesù, gli angeli dissero: "Voi cercate Gesù Nazareno, il crocefisso. E’ risorto, non è qui". Questa parole esprimono tutto il mistero che oggi noi celebriamo: Gesù Nazareno, il crocefisso, è risorto.
Cosa vuol dire questa affermazione: “E’ risorto”? Non vuol dire che Gesù morto in croce è stato rianimato, restituito cioè alla vita di prima, come per esempio era successo al figlio della vedova di Naim e a Lazzaro, che furono richiamati dalla morte ad una vita che poi doveva concludersi con una morte definitiva. La risurrezione di Gesù non è un superamento della morte fisica, che conosciamo anche oggi: superamento provvisorio che ad un certo momento termina con un morte senza ritorno. Gesù non rivive come un morto rianimato, ma in forza della potenza divina, al di sopra e al di fuori della zona di ciò che è fisicamente e chimicamente misurabile. La potenza di Dio fa sì che il corpo morto-crocefisso di Gesù sia reso partecipe della stessa vita divina: vita eterna. Vita qualitativamente diversa da quella vissuta prima.
Per usare parole più concrete (almeno lo spero): il Verbo incarnato è introdotto, passando attraverso la morte, con la sua umanità in quella Gloria divina di cui nella sua divinità godeva da sempre. Nell’ultima sera della sua vita terrena, Gesù aveva pregato così: “e ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse” (Gv 17,5). La mattina di Pasqua questa preghiera è stata esaudita.

3) Cercatelo in Galilea, cioè tra i vivi.
Dopo aver detto alle pie donne: “Non è qui, è risorto”, gli angeli aggiungono subito: “Andate in Galilea, là lo vedrete”. Cosa vuol dire per noi oggi questa indicazione di andare in Galilea. Secondo me, almeno per noi, “Galilea” non è un luogo geografico, è un luogo del cuore, un luogo esistenziale.
Non dobbiamo cercare Cristo nei sepolcri dei defunti, neppure tra i grandi personaggi impolverati dal tempo che noi chiamiamo storia, tantomeno nei libri e nelle utopie. Cerchiamolo tra i vivi, cerchiamolo perché Cristo è il Dio del fiore vivo e non dei morti pensieri.
Ma mi si potrebbe chiedere: “Come possiamo essere sicuri che i vivi non ci ingannano?”. In questo caso risponderei così: “Cercatelo tra i viventi in Cristo, cioè nella Chiesa”. Cerchiamolo tra quelli che hanno la forza e la grazia di affermare : “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena” (1 Gv 1, 1-4).
Alla luce di quanto scrive San Giovanni, cerco di indicare alcuni modi di dove e come si incontra Gesù Risorto.
Il primo – ne ho fatto cenno poco sopra - è la Chiesa, che diventa esperienza concreta nella comunità cristiana, dove la Parola ci edifica, i Sacramenti ci santificano e ci rendono partecipi della vita di Cristo.
Il secondo è la consuetudine con la Bibbia e, in particolare, il Vangelo da intendere come la testimonianza di chi ha incontrato Gesù e che per opera dello Spirito Santo ha consegnato la sua esperienza nello scritto dei quattro Vangeli. Il Vangelo è fondamentale: va letto, studiato, meditato, pregato, vissuto con l’aiuto dello Spirito Santo e dentro la Chiesa che, fedele lungo i secoli alla testimonianza degli Apostoli, ce lo presenta nella liturgia e ce lo mette tra le mani perché sia il nostro nutrimento di ogni giorno.
Il terzo modo di incontrare Cristo, morto e risorto, sono i sacramenti, in particolare l’Eucaristia che ci mette in comunione con il dono di sé di Gesù e ci rende suo Corpo, e la Confessione, grazie alla quale riceviamo il frutto della redenzione che ci viene dalla croce di Cristo e la nostra vita si rinnova con un cuore purificato e aperto al Redentore ed al prossimo.
Il quarto modo è quello di praticare le opere di misericordia materiale e spirituale che ci permettono di percepire la presenza di Cristo nel povero, nel fratello bisognoso. A questo riguardo, teniamo presente i la parabola del giudizio finale, dove Gesù dice: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,35-36).

4) Testimoni dell’Amore risorto.
Ogni cristiano è chiamato ad essere testimone della risurrezione di Cristo, soprattutto in quegli ambienti umani dove più forte è l’oblio di Dio e lo smarrimento dell’uomo, coltivando nel cuore l’impegno a dimorare nell’amore di Dio, rimanendo uniti a Lui e tra di noi. Qual è allora la specificità della testimonianza delle Vergini consacrate nel mondo? Quella che è possibile vivere esclusivamente per amore di Cristo. Donandosi completamente a Cristo, vivono anche un amore di obbedienza a Lui, facendo la sua volontà e vivendo il suo amore crocifisso. Gesù ad un certo punto per amare è andato in un’esperienza progressiva di svuotamento di sé fino alla croce. Se vogliamo amare da cristiani dobbiamo saperlo e fare come lui. Questo modo di amare mette l’Altro prima di me e mi fa vivere del suo amore di Risorto. Sì, l’amore di Cristo è un amore risorto, un amore che ricomincia sempre da capo, è un amore di Pasqua. L’amore del cristiano è luminoso, come il sole del mattino, è un amore che si riprende, che non rimane adagiato, che si risolleva sempre di nuovo. È un amore pieno di coraggio perché è il dono commosso di sé. L’amore di Gesù è così ed è capace di trasformare la tristezza in gioia, di far ardere il cuore, di ricordare le Scritture, come ai due discepoli di Emmaus. L’amore verginale è, in un modo speciale, un amore risorto. La verginità consacrata testimonia che si può vivere per Dio e nel suo amore, e annunciare con la parole e con la vita la risurrezione di Cristo, testimoniando la comunione tra noi e la carità verso tutti, nessuno escluso.

1  La parola “vangelo” viene da quella greca “euangelion” che vuol dire buona notizia





Lettura Patristica
San Gregorio Magno
Hom. 26, 10-11




La festa degli uomini e la festa eterna


       Ecco, noi stiamo celebrando le feste pasquali; ma dobbiamo vivere in modo tale da meritare di giungere alla festa eterna. Passano tutte le feste che si celebrano nel tempo. Cercate, voi che siete presenti a queste solennità, di non essere esclusi dalla solennità eterna. Cosa giova partecipare alle feste degli uomini, se poi si è costretti ad essere assenti dalle feste degli angeli? La presente solennità è solo un’ombra di quella futura. Noi celebriamo questa una volta l’anno per giungere a quella che non è d’una volta l’anno, ma perpetua. Quando, al tempo stabilito, noi celebriamo questa, la nostra memoria si risveglia al desiderio dell’altra. Con la partecipazione, dunque, alle gioie temporali, l’anima si scaldi e si accenda verso le gioie eterne, affinché goda in patria quella vera letizia che, nel cammino terreno, considera nell’ombra del gaudio. Perciò, fratelli, riordinate la vostra vita e i vostri costumi. Pensate come verrà severo, al giudizio, colui che mite risuscitò da morte. Certamente nel terribile giorno dell’esame finale egli apparirà con gli angeli, gli arcangeli, i troni, le dominazioni, i principati e le potestà, allorché i cieli e la terra andranno in fiamme e tutti gli elementi saranno sconvolti dal terrore in ossequio a lui. Abbiate davanti agli occhi questo giudice così tremendo; temete questo giudice che sta per venire, affinché, quando giungerà, lo possiate guardare non tremanti ma sicuri. Egli infatti dev’essere temuto per non suscitare paura. Il terrore che ispira ci eserciti nelle buone opere, il timore di lui freni la nostra vita dall’iniquità. Credetemi, fratelli: più ci affannerà ora la vista delle nostre colpe, più saremo sicuri un giorno alla sua presenza.

       Certamente, se qualcuno di voi dovesse comparire in giudizio dinanzi a me domani insieme al suo avversario, passerebbe tutta la notte insonne, pensando con animo inquieto a cosa gli potrebbe essere detto, a come controbattere, verrebbe assalito da un forte timore di trovarmi severo, avrebbe paura di apparirmi colpevole. Ma chi sono io? o cosa sono io? Io, tra non molto, dopo essere stato un uomo, diventerò un verme, e dopo ancora, polvere. Se dunque con tanta ansia si teme il giudizio della polvere, con quale attenzione si dovrà pensare, e con quale timore si dovrà prevedere il giudizio di una così grande maestà?

venerdì 7 aprile 2017

La Passione dell’Amico, che dona la vita per l’amico.

Domenica delle Palme – Anno A – 9 aprile 2017
Rito Romano
Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mt 26,14- 27,66

Rito Ambrosiano
Is 52, 13-53,12; Sal 87; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11
Settimana Autentica
Domenica delle Palme nella Passione del Signore
 
1) La gioia della Croce.
La liturgia di questa Domenica, che fa entrare nella Settimana Santa e Grande1 e Autentica2 propone due fasi: una piena di gioia, la seconda colma di dolore.
Nella prima fase siamo chiamati a partecipare alla gioia per il Messia, che entra trionfante in Gerusalemme ed è accolto dal popolo che agita le palme con canti di gioia. Il popolo inneggia a Gesù, perché lo riconosce come il Messia, il Cristo, il Re inviato da Dio. Gesù il Figlio dell’uomo è anche il Figlio di Dio.
Nella seconda fase, ci è messo davanti agli occhi ed al cuore il fatto che a questo riconoscimento festoso fa seguito3 il dramma di questo Signore, che è processato, flagellato, e messo in Croce fino a farlo morire.
Come si collegano questi due momenti, che ci sembrano così contraddittori tra di loro? Come perciò si congiungono i due ricordi? Nella Croce, che è trono, altare e cattedra, e nel segno di Croce che siamo chiamati a fare spesso, soprattutto all’inizio di ogni liturgia.
Per capire questa risposta, immedesimiamoci in qualcuno della folla che in quel giorno acclamò Gesù dicendo: “Osanna! Benedetto colui, che viene nel nome del Signore” (Mc 11,9; Sal 117/118, 25s). Dunque, la gente eleva questo grido davanti a Gesù, perché riconosce il Lui Colui che viene nel nome del Signore (l'espressione “Colui che viene nel nome del Signore”, infatti, era diventata la designazione del Messia). In Gesù riconoscono Colui che veramente viene nel nome del Signore e porta la presenza di Dio in mezzo a loro. Questo grido di speranza di Israele, questa acclamazione a Gesù durante il suo ingresso in Gerusalemme, giustamente è diventata nella Chiesa l’acclamazione a Colui, che viene incontro a noi e ci propone il suo Regno. Entriamo nel suo regno di pace e salutiamo in Lui in un certo qual modo anche tutti i nostri fratelli e sorelle, ai quali Egli viene, per divenire veramente un regno di pace in mezzo a questo mondo lacerato.
Questo Re è un re totalmente diverso dagli altri, perché:
  • è povero (usa un’asina per entrare da “trionfatore” in Gerusalemme); è un povero4 tra i poveri e per i poveri;
  • ha come trono una Croce, propria di chi dona la vita e non di chi la toglie;
  • usa la Croce come una cattedra da dove insegna che l'amore che è più forte della morte. Lui è re e maestro che ci insegna di non opporre all’ingiustizia un’altra ingiustizia, alla violenza un’altra violenza. Lui ci insegna che possiamo e dobbiamo vincere il male soltanto con il bene e mai rendendo male per male.

Con Cristo la Croce non è più segno di negazione della vita, ma altare dove si compie il sacrificio per la vita. Se qualcuno mi chiedesse a chi questo sacrificio è fatto? Risponderei che è fatto all’amore, all’amore ferito in noi, all’Amore infinito, ferito in noi, da noi e per noi.

2) Passione di Cristo.
In questa Domenica delle Palme siamo invitati a riconoscere che la croce è il vero albero della vita, sul quale Cristo, che è vita, ha sconfitto la morte con il dono amoroso, totale di se stesso. La Croce è lo strumento della Passione di Cristo non solamente perché lo fa patire con dolori immensi, ma perché mostra come il Suo amore sia appassionato.
Si, Cristo ci ama appassionatamente, fino a morire per noi. Non è questo che in fondo tutti desideriamo? In effetti, desideriamo qualcuno che ci ami davvero, di quell'amore che non troviamo da nessuna parte, se non a brandelli, nei genitori, nei fidanzati, nelle famiglie, nei figli, negli amici. Frammenti di quello che ci urge disseminati nei giorni e che poi è così difficile rimetterli insieme perché diano senso, e pace, e gioia alle nostre esistenze. Eccolo oggi Colui che stiamo desiderando. Eccolo amarci sino a farsi uccidere per noi.
Oggi con pietà, attenzione e devozione leggiamo il racconto della Passione e vi incontreremo il Sinedrio, i Sommi Sacerdoti Anna e Caifa, il re Erode, il procuratore Pilato, il delinquente Barabba, e tutti gli altri, e le fruste, e i chiodi, e la lancia e la Croce. Ma con gli occhi del cuore vi vedremo anche le trame delle nostre vite. La Passione è la nostra vita. Di ieri, di oggi, di domani. Le pene, le ansie, i dolori, i sogni infranti, le tristezze, i peccati. Nella Passione di Cristo è racchiuso l’intreccio della nostra vita. Vi troveremo un senso per tutto quello che sembra scombinato, fili senza capo né coda, dolori e gioie attorcigliate sulle ore, esperienze gettate alla rinfusa nei giorni. La storia nostra è tutta dentro la passione d'amore di Gesù, proprio per noi, proprio per tutto di noi.
Meditiamo con devozione il racconto della Passione del Redentore, vi troveremo l’amore che nasce dalle sofferenze patite da Cristo per noi. Lui è sceso dal Cielo per amore e per amore appassionato ha dato la sua vita per noi, e ancor oggi continua a scendere in ogni istante della nostra vita, per mettervi la sua carità. “Lui non è venuto a spiegare la croce ma a distendervi sopra” (Paul Claudel), quindi più che spiegazioni e discorsi da ascoltare, contempliamo il fatto di Cristo in Croce. Un fatto, semplice e vero: Lui in Croce per noi, per stare con noi, sempre. E tutto di noi è trasformato in amore. Questo amore lascia passare, come una bella vetrata della Cattedrale di Chartes, il sole della gioia e della risurrezione.
Se vogliamo vivere autenticamente questa Domenica delle Palme e la Settimana Santa, di cui essa è la porta, guardiamo con gli occhi del cuore Gesù paziente (= ‘malato’ d’amore) Crocifisso, in modo da riconoscere nella sua carne la nostra carne. “Tremi la creatura di fronte al supplizio del suo Redentore. Si spezzino le pietre dei cuori infedeli, ed escano fuori travolgendo ogni ostacolo coloro che giacevano nella tomba. Appaiano anche ora nella città santa, cioè nella Chiesa di Dio, i segni della futura risurrezione e, ciò che un giorno deve verificarsi nei corpi, si compia ora nei cuori” (Giovanni Crisostomo).

3) Le vergini consacrate e la passione di Cristo.
Ora, come di consueto, mi rivolgo in particolare alle Vergini consacrate, che hanno lasciato tutto per conservare integra la perla della loro castità, e seguono appassionatamente Cristo. Che con particolare intensità, in questi giorni santi, si dedichino alla meditazione e all'imitazione della passione di Cristo, paragonato ad una perla per la quale le vergine rinunciano ad ogni piacere di quaggiù per testimoniare il loro riconoscente amore di oblazione allo Sposo in croce. “Ci sono infatti due vie molto brevi ed efficaci per servire Dio.
Il primo itinerario consiste nell'osservare le leggi e le pratiche ordinarie che raccomanda la santa Chiesa; in senso più specifico, si tratta di seguire i consigli dati da Cristo nel vangelo, ossia i voti di castità, povertà e obbedienza, e altre sante consuetudini. Tutte le regole, che derivano dai consigli evangelici e dalle costituzioni dei nostri santi Padri, offrono la meravigliosa possibilità di dominare il comportamento esteriore e di applicarsi alle virtù.
Quanto al secondo itinerario, esso consiste nell'imitare la passione di Cristo Gesù, meditandola assiduamente e castamente” (Discorso di un autore anonimo renano-fiammingo).
Il loro vita castamente donata a Cristo porta in sè i segni della futura risurrezione e, ciò che un giorno deve verificarsi nei corpi, si compie ora nei cuori loro, e anche nei nostri se come loro viviamo con purezza.

1  Liturgia orientale.

2  Liturgia ambrosiana.

3  Come la lettura della Passione del Signore Gesù secondo San Matteo ci ricorda.


4  Non è una povertà materiale., qui per povertà s'intende nel senso degli anawim d'Israele, di quelle anime credenti ed umili che incontriamo intorno a Gesù – nella prospettiva della prima Beatitudine del Discorso della montagna.


Lettura Patristica
Anonimo del IX secolo
Homelia. 10

Sermone per la Domenica delle Palme

       Fratelli, che siete venuti in chiesa con maggiore impulso del solito, e che avete portato con voi con gioia rami d’albero, vi prego. Ma giova farlo con coloro che non sanno perché lo fanno, né cosa significhino queste cose?

       Voi dovete sapere che in questo giorno, cioè il giovedì prima della sua Passione, il nostro Salvatore si pose a sedere su un’asina presso il monte degli Ulivi per dirigersi verso Gerusalemme (Jn 12,1). Ora la folla, saputo che Gesù era diretto a Gerusalemme, gli andò incontro con rami di palme (cf. Jn 12,14 Mt 21,1-7 Mc 11,1-7 Lc 19,29-35), "e siccome egli già si apprestava a discendere il monte degli Ulivi, nella sua gioia la folla di coloro che discendevano si mise a lodare Dio a gran voce" (Jn 12,12-13). Durante quei cinque giorni, cioè da questo fino alla sera del giovedì in cui fu consegnato dopo la Cena, egli insegnò tutti i giorni nel tempio e dimorò tutte le notti sul monte degli Ulivi. E poiché il decimo giorno del mese si rinchiudeva l’agnello che doveva essere immolato il quattordicesimo giorno dai figli d’Israele, è a pieno titolo che questo vero Agnello, cioè il Cristo Signore, entrò quel giorno, lui che doveva essere crocifisso il venerdì nella Gerusalemme dove era rinchiuso l’agnello tipico. Oggi perciò, "le persone in gran numero, stesero i loro mantelli sulla strada e altre oggi tagliavano rami dagli alberi e ne cospargevano" (Mt 21,8) del pari il cammino del Salvatore.

       E se la santa Madre Chiesa celebra oggi corporalmente questi avvenimenti, è perché si adempiano, il che è molto più importante, spiritualmente. Infatti, ogni anima santa è l’asina di Dio. Il Signore si asside sull’asina e si dirige verso Gerusalemme, quando abita nelle vostre anime, fa loro disprezzare questo mondo e amare la patria celeste. Voi gettate le vostre vesti davanti a Dio sulla strada se mortificate i vostri corpi con l’astinenza preparandogli così il cammino per venire a voi. Voi tagliate rami d’alberi se vi preparate il cammino per andare a Dio, praticando le virtù dei santi Padri. Cosa fu Abramo? Cosa fu Giuseppe? E David? Cosa furono gli altri giusti, se non alberi che portano frutto? Imparate l’obbedienza alla scuola di Abramo, la castità alla scuola di Giuseppe, l’umiltà alla scuola di David, se vi aggrada ottenere la salvezza eterna.

       La palma significa la vittoria. Così noi portiamo palme nella mano, se cantiamo la vittoria gloriosa del Signore, sforzandoci di vincere il diavolo con una buona condotta. Ecco perché dovete anche sapere, o fratelli, che porta invano il ramo d’ulivo colui che non pratica le opere di misericordia. Come pure, è senza alcun profitto che porta la palma colui che si lascia vincere dalle astuzie del diavolo. Rientrate in voi stessi, carissimi, ed esaminate se fate spiritualmente ciò che compite corporalmente.

       Credetelo molto fermamente, fratelli, sarebbe pericoloso per noi non annunciarvi i misteri del nostro Salvatore, ma è altresì pericoloso per voi non prestar loro che poca attenzione. Noi vi esortiamo in definitiva a prepararvi tanto maggiormente, quanto più si avvicina la festa di Pasqua, a purificarvi da tutto ciò che è invidia, odio, collera, parole ingiuriose, maldicenze e calunnie, per poter celebrare degnamente quel giorno.

       Perdonate coloro che hanno peccato contro di voi, affinché il Signore perdoni i vostri peccati: colui che avrà serbato odio o collera, sia pure nei confronti di un sol uomo, celebrerà la Pasqua per sua sventura, poiché non mangerà la vita con Pietro, ma riceverà nella santa comunione la morte con Giuda. Allontani da voi tale sciagura, colui che vi ha creato con potenza, riscattato con amore, Gesù Cristo nostro Signore, che vive e regna con il Padre e lo Spirito Santo, Dio, nei secoli dei secoli. Amen.