giovedì 27 luglio 2023

Dove c’è il tuo tesoro, lì c’è il tuo cuore.

  Rito Romano

XVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 30 luglio 2023

1Re 3,5.7-12; Sal 118; Rm 8,28-30; Mt 13,44-52

 

 

 

Rito Ambrosiano

1Sam 3,1-20; Sal 62; Ef 3,1-12; Mt 4,18-22

Domenica VIII dopo Pentecoste

 

            

1) Il Tesoro della vita

Il Vangelo di questa domenica ci propone la parte finale del capitolo 13 del Vangelo di San Matteo, in cui sono narrate le parabole che paragonano il Regno di Dio a un tesoro, a una pietra preziosa e a una rete gettata nel mare che raccoglie ogni tipo di pesce. 

Mentre, la parabola della rete ci ripete che il momento del giudizio è alla fine dei tempi e c’è un tempo dedicato alla penitenza, le parabole del tesoro e della perla ci ricordano non solo la necessità di fare uso anche delle ricchezze terrene pur di poter entrare nel regno dei cieli e gioire di questa appartenenza. Questi due brevi racconti ci insegnano soprattutto che Gesù, il Salvatore dell’uomo, viene per offrire ad ogni uomo che geme e soffre per il suo domani, il vero tesoro, la vera perla che assicura la felicità: il regno di Dio. Il Regno di Dio vale più delle cose, più della vita. Ha un valore primario per cui si deve essere pronti a sacrificare ogni altra realtà. Il Signore, la sua amicizia, il suo amore, la salvezza eterna sono il tesoro che nessuno può rubarci. Dicendo che c’è chi dà la vita per un tesoro e, oggi, Cristo si offre a noi come tesoro della vita: sappiamolo scegliere.

In effetti, con le due brevi parabole del tesoro nascosto nel campo e della perla di inestimabile valore il Messia insegna due cose. 

La prima è che il Regno richiede una scelta decisa e rapida: come quella dell’uomo che subito vende tutti i suoi averi per comprare il campo con il tesoro, o come un mercante che, senza perdere tempo vende tutto quello che ha per acquistare una perla di valore eccezionale. 

La seconda è che la scelta, che  implica un distacco totale, scaturisce dall’aver trovato qualcosa di valore inestimabile. E’ questo l'insegnamento vero della parabola. Il motivo che spinge il discepolo a lasciare è la gioia di aver trovato il tesoro della vita Il motivo della gioia è esplicito nella parabola dell'uomo che compra il campo: “Poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi”. Il Regno di Dio è esigente, ma trovarlo è il centuplo e la vita eterna.

Mi spiego meglio. Le due parabole descrivono due figure diverse: la prima ci racconta di un contadino che lavora in un campo che non è suo, la seconda ci parla di un mercante che è davvero molto ricco. Ma, secondo me, questi due personaggi sono i protagonisti soltanto in superficie. I veri protagonisti sono il tesoro e la perla, che seducono di due uomini, affascinandoli. Il contadino e il mercante agiscono, perché totalmente “afferrati” dal tesoro e dalla perla, in cui si sono imbattuti. Se riconosciamo che la perla preziosissima, il tesoro inestimabile è Cristo ed il suo Regno, capiamo anche che il Redentore non dice una cosa ovvia:  è ovviamente un vero affare fare comperare qualcosa che ha una valore superiore a quelle che paghiamo. E’ straordinario che con l’offerta di quello abbiamo non solo abbiamo di più, ma siamo di più: figli di Dio, perché abbiamo “guadagnato” il tesoro della vita: Cristo. In questo caso non è solo un colpo di fortuna, è una grazia stupenda alla quale corrispondere con pronta decisione ed abbandono totale.

 

2) Il vero guadagno

Un esempio di questa decisione e di questo abbandono di ciò che si ha ci viene da esempio San Paolo. Questi scrive: Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo”(Fil 3,8). Quest espressione: “Guadagnare Cristo” presenta qualche stranezza. In genere si dice di guadagnare qualcosa, o anche guadagnare un traguardo, ma non una persona. Se prestiamo attenzione al verbo greco katalambàno possiamo forse riconoscere in esso una nota di aggressività, quasi di prepotenza. Tant’è che alcuni traducono:  “Continuo la mia corsa per tentare di afferrare il premio, perché anch’io sono stato afferrato da Cristo Gesù” (Fil  3, 12).

            Sinceramente parlando, mi piace questa interpretazione del verbo scelto da Paolo, perché indica che per essere cristiani ci vuol della forza di carattere: la violenza che egli ha sfogato contro i cristiani e contro Cristo prima della sua conversione ora Paolo la mette a servizio della verità. Non è forse vero che anche Gesù ebbe a dire:  “Dai giorni di Giovanni il Battista il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11, 12)?

            Nel brano di lettera ai Filippesi che ho citato poco sopra, l’Apostolo delle Genti riconosce di essere caduto in un tremendo errore; si rende conto di aver sposato una causa sbagliata. Ora lui, illuminato da quella stessa luce che in un primo momento lo aveva accecato, confessa che quello era un falso guadagno, anzi un guadagno dannoso, alludendo ovviamente ad ogni privilegio di nascita e di educazione, ad ogni sforzo religioso e morale. 

            In questa rilettura della conversione di Paolo vediamo il frutto della grazia che guarisce, sprigionandosi dall’evento della passione e morte di Gesù, ma vi possiamo riconoscere anche l’azione della grazia illuminante che può venire solo dall’evento della risurrezione di Cristo, dalla persona di Cristo risorto. L’essere stato violentemente scaraventato da cavallo a terra è solo un pallido segno della vittoria pasquale che Gesù ha riportato su San Paolo. Il suo incontro con Cristo sulla via di Damasco   lo ha portato a formulare una nuova scala di valori, sovvertendo quella che precedentemente aveva caratterizzato la sua vita:  ciò che sembrava guadagno ora è diventato perdita, quello che sembrava ricchezza ora è diventato spazzatura, quello che sembrava giusto ora è diventato ingiusto.

All’esperienza di San Paolo possiamo certamente accostare anche la nostra. In un momento della nostra vita, tutti siamo sollecitati dalla parola di Dio, tutti abbiamo incontrato Cristo che ci ha chiamati ad entrare in questo dinamismo della fede che salva e che è –prima di tutto- dono che scaturisce dal cuore di Dio e dal costato di Cristo. In un bel momento della nostra vita Cristo si è fatto incontro a ciascuno di noi.

            La conseguenza che ne deriva è che un cristiano, per poter dire di essere tale fino in fondo, per poter dire di essersi formato alla scuola di Gesù, deve riprodurre in se stesso le fattezze di Cristo crocifisso, addirittura deve assomigliare a Gesù morto.

            E per fare questo non dobbiamo essere persone eccezionali. Dobbiamo avere una sola pretesa: quella dell’umiltà crocifissa, come quella di San Paolo, che – presentandosi ai cristiani di Corinto avanzò un’unica pretesa:  “Avevo infatti deciso di non insegnarvi altro che Cristo e Cristo crocifisso”. E per non predicare a vuoto aggiunge:  “Mi presentai a voi debole, pieno di timore e di preoccupazione” (1 Cor 2, 2-3). 

L’importante è proporre agli altri quello che abbiamo sperimentato su noi stessi, senza sottrarci al “comando dell’amore” che ci vincola fino al dono totale di noi stessi.
            Una sintesi stupenda di tutto questo itinerario di ascesi al Regno, di questo esodo verso la Casa del Padre ci è data sempre da San Paolo, quando scrive:  “Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so:  dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere in Cristo Gesù” (Fil 3, 13-14). 

 

 

 

3) Il “guadagno” delle vergini consacrate.

Tuttavia, qualcuno potrebbe obiettare: se l’Apostolo delle Genti era completamente affascinato dal suo Signore. perché avrebbe dovuto sentire la necessità di “guadagnare” Cristo?

Cristo gli si era già rivelato chiaramente e gli aveva sconvolto la vita, riempiendola di gioia. Eppure, nonostante ciò, Paolo si sentiva “costretto” a guadagnare il cuore e l’amore di Cristo.  L’intero essere di Paolo – il suo ministero, la sua vita e lo scopo intrinseco di essa – tutto era incentrato solo sul desiderio di piacere al suo Maestro e Signore.  Tutto il resto era spazzatura per lui, persino le cose “buone”. Perché “occorre” guadagnare il cuore di Gesù? Non siamo già l’oggetto dell’amore di Dio? 

In effetti, il Suo amore benevolo si estende a tutta l’umanità. Ma c’è un altro tipo d’amore che deve sempre crescere e “guadagnare” l’amato. E’ l’amore affettuoso per Cristo, simile a quello che c’è tra marito e moglie. Questo amore è espresso in modo sublime nel Cantico dei cantici. In questo libro, lo Sposo è ritratto come un tipo di Cristo, ed in un passo il Signore parla della Sua sposa così: Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, mia sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una perla sola della tua collana! Quanto è soave il tuo amore, sorella mia, mia sposa, quanto più inebriante del vino è il tuo amore” (Ct 4, 9-10).

            La Sposa di Cristo è la Chiesa, che brama piacere al suo Signore. Nella Chiesa questa sponsalità à vissuta e testimoniata in modo speciale dalle vergini consacrate, che sono chiamate a vivere l’amore a Cristo in obbedienza amorosa e confidente, separandosi da tutte le cose terrene, perché il loro cuore è rapito da Cristo. Dicendo sì a Cristo si sono lasciate “rubare il cuore” da Lui e sono chiamate a concentrarsi solamente su di Lui e, in Lui, amano il prossimo, servendolo con gioia.

 

Lettura Patristica

San Giovanni Crisostomo (344/354 – 407)

In Matth. 47, 2

 

Stimare il Vangelo al di sopra di tutto


       "Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo: l’uomo che l’ha trovato, lo nasconde di nuovo e, fuor di sé dalla gioia, va, vende tutto quanto possiede, e compra quel campo. Inoltre il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; e trovata una perla di gran valore, va, vende tutto ciò che possiede e la compra" (
Mt 13,44-46). Come le due parabole del granello di senape e del lievito non differiscono molto tra di loro, così anche le parabole del tesoro e della perla si assomigliano: sia l’una che l’altra fanno intendere che dobbiamo preferire e stimare il Vangelo al di sopra di tutto. Le parabole del lievito e del chicco di senape si riferiscono alla forza del Vangelo e mostrano che esso vincerà totalmente il mondo. Le due ultime parabole, invece, pongono in risalto il suo valore e il suo prezzo. Il Vangelo cresce infatti e si dilata come l’albero di senape ed ha il sopravvento sul mondo come il lievito sulla farina; d’altra parte, il Vangelo è prezioso come una perla, e procura vantaggi e gloria senza fine come un tesoro.


       Con queste due ultime parabole noi apprendiamo non solo che è necessario spogliarci di tutti gli altri beni per abbracciare il Vangelo, ma che dobbiamo fare questo atto con gioia. Chi rinunzia a quanto possiede, deve essere persuaso che questo è un affare, non una perdita. Vedi come il Vangelo è nascosto nel mondo, al pari di un tesoro, e come esso racchiude in sé tutti i beni? Se non vendi tutto, non puoi acquistarlo e, se non hai un’anima che lo cerca con la stessa sollecitudine e con lo stesso ardore con cui si cerca un tesoro, non puoi trovarlo. Due condizioni sono assolutamente necessarie: tenersi lontani da tutto ciò che è terreno ed essere vigilanti. "Il regno dei cieli" - dice Gesù -"è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; e trovata una perla di gran valore, va, vende tutto ciò che possiede e la compra" (
Mt 13,45-46). Una sola, infatti, è la verità e non è possibile dividerla in molte parti. E come chi possiede la perla sa di essere ricco, ma spesso la sua ricchezza sfugge agli occhi degli altri, perché egli la tiene nella mano, - non si tratta qui di peso e di grandezza materiale, - la stessa cosa accade del Vangelo: coloro che lo posseggono sanno di essere ricchi, mentre chi non crede, non conoscendo questo tesoro, ignora anche la nostra ricchezza.

       A questo punto, tuttavia, per evitare che gli uomini confidino soltanto nella predicazione evangelica e credano che la sola fede basti a salvarli, il Signore aggiunge un’altra parabola piena di terrore. Quale? La parabola della rete. "Parimenti il regno dei cieli è simile a una rete che, gettata nel mare, raccoglie ogni sorta di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e, sedutisi, ripongono in ceste i buoni, buttando via i cattivi" (
Mt 13,47-48). In che cosa differisce questa parabola da quella della zizzania? In realtà anche là alcuni uomini si salvano, mentre altri si dannano. Nella parabola della zizzania, tuttavia, gli uomini si perdono perché seguono dottrine eretiche e, ancor prima di questo, perché non ascoltano la parola di Dio; mentre coloro che sono raffigurati nei pesci cattivi si dannano per la malvagità della loro vita. Costoro sono senza dubbio i più miserabili di tutti, perché, dopo aver conosciuto la verità ed essere stati presi da questa rete spirituale, non hanno saputo neppure in tal modo salvarsi.



 

sabato 22 luglio 2023

Il Regno di Dio è dimora per l’uomo.

Rito Romano

XVI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 23 luglio 2023

Sap 12,13.16-19; Sal 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43

 

 

Rito Ambrosiano

Gs 4,1-9; Rm 3 29-31; Lc 13,22-30

Domenica VII dopo Pentecoste

 

 

 

1) La crescita del Regno.

Tre sono le parabole che in questa domenica il Vangelo ci fa meditare: quella del grano e della zizzania, quella del granellino di senape, e infine quella del lievito.

Queste tre parabole raccontano l’amore con cui Dio cura tutte le cose; della sorprendente iniziativa Divina che con “giustizia” e “mitezza” tiene nel palmo della sua mano la vita dell’uomo.

Il Regno dei Cieli sempre viene, vince e si afferma se, con umiltà, l’uomo si lascia guidare da Dio che dona ai suoi figli «la buona speranza», che rende il cuore umano, seppur piccolo, capace di contenere tutta la Grazia e di tendere al Regno celeste

 Per descrivere il Regno dei Cieli, Gesù ci presenta tre immagini, che hanno in comune il verbo “crescere”: il grano buono e la zizzania “crescono” insieme per poi essere separati, il grano di senape “cresce” per diventare un grande albero, il pugno di lievito nella farina fa crescere la massa della pasta. 

Quindi, una delle caratteristiche del Regno dei Cieli è quella di non essere qualcosa di statico, ma di dinamico, destinato a “crescere” ogni giorno e in ogni circostanza. 

            La parabola del granellino di senape che diventa un albero indica la “crescita” del Regno di Dio sulla terra. Sulla bocca di Gesù questa era anche una temeraria profezia. Chi poteva immaginare, poco meno di duemila anni fa, che il Vangelo predicato in villaggi sconosciuti al resto del mondo a povera gente, non istruita e con lavori umili quali quello del contadino e del pescatore avrebbe in poco tempo conquistato il mondo? Anche la parabola del lievito nella farina significa la “crescita” del Regno, non tanto però in estensione, quanto in intensità; indica la forza trasformatrice del vangelo che come lievito “crescere” la farina e la prepara a diventare pane.

            Queste due parabole furono comprese facilmente dai discepoli, non così la terza, del grano e della zizzania, che Gesù fu costretto a spiegare loro a parte. Il seminatore –disse il Messia- era lui stesso, i figli del regno sono il seme buono,  i figli del maligno sono la zizzania, il campo è il mondo e la Chiesa, che è il pezzo di mondo salvato, e la mietitura è la fine del mondo, quando “i giusti splenderanno come il sole nel Regno del Padre loro”. Gregorio Palamas commenta: “I servi del Padre si accorsero che c’era la zizzania nel campo, che cioè gli empi e i cattivi erano mescolati ai buoni e vivevano insieme con loro, persino nella Chiesa di Cristo. Dissero al Signore : ‘Vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania ?’, in altri termini : ‘che togliamo questa gente dalla terra facendola morire ?’ ... Col tempo, molti empi e peccatori, nel vivere insieme con uomini pii e giusti giungono al punto di pentirsi e di convertirsi; si mettono alla scuola della pietà e della virtù, e smettono di essere zizzania per diventare grano. Così gli angeli, afferrando di forza tali uomini prima che potessero pentirsi, rischiavano di sradicare il grano, raccogliendo la zizzania. Per di più, ci sono spesso stati uomini di buona volontà fra i figli e i discendenti dei cattivi. Per questo, colui che sa ogni cosa prima che succeda non ha permesso che la zizzania fosse sradicata prima il momento opportuno” (Omelia 27,  PG 151, 345-353). Dunque se vogliamo essere salvati dal castigo lla fine del mondo e ereditare il REgno eterno di Dio dobbiamo essere grano e non zizzania, astenendoci da ogni parola vana o cattiva, esercitandoci nelle varie virtù e producendo veri frutti di penitenza. In questo modo diventeremo degni del granaio celeste, e saremo chiamati figli del Padre, l'Altissimo, e, lieti e risplendenti della gloria divina, entreremo come eredi nel Regno celeste.

 

2) La Pazienza di Dio.

Credo che il tema più importante della parabola sia la pazienza di Dio. La liturgia di questa domenica lo sottolinea con la scelta della prima lettura che è un inno alla forza di Dio che si manifesta sotto forma di pazienza: “Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento” (Sap 12, 16-19).

La pazienza di Dio non è un semplice aspettare, è longanimità, misericordia, volontà di salvare. “Non sai che la pazienza di Dio ti spinge alla conversione?” (Rm 2, 4). Lui è davvero, “un Dio di pietà, compassionevole, lento all’ira e pieno di amore” (Sal 85, salmo responsoriale della Messa di oggi).

Dunque, nel Regno di Dio non c’è posto perciò per servi impazienti che non sanno far altro che invocare i castighi di Dio e indicargli di volta in volta chi deve colpire. Gesù un giorno rimproverò due discepoli che gli chiedevano di far piovere fuoco dal cielo su coloro che li avevano rifiutati. 

Imitare la pazienza di Dio non implica che dobbiamo aspettare la mietitura come quei servi trattenuti a fatica perché pronti ad agire con la falce in pugno, quasi fossimo ansiosi di vedere la faccia dei malvagi nel giorno del giudizio. 

Questa pazienza non implica neppure che dobbiamo rimanere a braccia conserte e senza far niente, ma anzi dobbiamo lavorare con impegno a cambiare noi stessi e, per quanto ci è possibile, gli altri da zizzania in buon grano. In questo mondo sarà esaudita la preghiera d’inizio della Messa di oggi: “Ci sostenga sempre, o Padre, la forza e la pazienza del tuo amore; fruttifichi in noi la tua parola, seme e lievito della Chiesa, perché si ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova, che il Signore al suo ritorno farà splendere come il sole nel tuo regno” (Colletta della XVI Domenica del Tempo Ordinario, Anno A).

 

 

3) Verginità e pazienza.

 Siamo tutti frutto della pazienza misericordiosa di Dio. In essa siamo nati, custoditi, accompagnati. Nella sua pazienza abbiamo conosciuto le insondabili possibilità di male del nostro cuore ingannato, e le infinite possibilità di amore dello stesso cuore ricolmo di Spirito Santo. 

Cristo è il “segno” più alto della pazienza di Dio, che per primo è paziente, costante, fedele al suo amore verso di noi. Lui è il vero “agricoltore” della storia, che sa attendere. 
            Dalla torre di Babele in poi, troppe volte gli uomini hanno tentato di costruire il mondo da soli, senza o contro Dio.  Il risultato è stato sempre contro l’uomo.

La perseveranza paziente nella costruzione della storia, sia a livello personale che comunitario, non si identifica con la tradizionale virtù della prudenza, di cui certamente si ha bisogno, ma è qualcosa di più grande e più complesso e, al tempo stesso, è qualcosa di umile e semplice. 

Con la perseverante fedeltà ai loro “proposita” le vergini consacrate ci testimoniano che essere costanti e pazienti nel vivere la vocazione alla verginità contribuiscono a costruire la storia del mondo, perché solo edificando su di Lui e con Lui la costruzione è ben fondata, non è strumentalizzata per fini ideologici, ma è veramente degna dell’uomo.

La semplice vita di queste donne consacrate è una risposta alla chiamata all’umiltà e alla misericordia che si sprigiona dalla parabola evangelica del grano e della zizzania, ed una testimonianza che noi tutti possiamo mettere in pratica ogni giorno. La verginità consacrata fa di queste donne delle spose di Cristo, il cui amore paziente e misericordioso è riflesso nella loro persona e nella loro vita. Esse sono il terreno particolarmente fertile, che accoglie Gesù Cristo il quale è stato solamente grano senza zizzania.  Lui è quel chicco di grano che un giorno cadde in terra, morì e fu sepolto. Nell’Eucaristia quel chicco, divenuto pane, viene a noi per farci “frumento di Dio” verginalmente consacrato.

 

 

 

Lettura Patristica

San Giovanni Crisostomo (344/354  407)

In Matth. 46, 1


       “Considerate, invece, l’affettuoso interessamento dei servitori verso il loro padrone. Essi si sarebbero già levati per andare a sradicare la zizzania, anche se in tal modo non avrebbero agito in modo discreto e opportuno. Questo tuttavia mostra la loro cura per il buon seme e testimonia che il loro unico scopo non sta nel punire il nemico - non è questa la necessità più urgente - ma nel salvare il grano seminato. Essi perciò cercano il mezzo per rimediare rapidamente al male fatto dal diavolo. E neppure questo vogliono fare a caso, non s’arrogano infatti questo diritto, ma attendono il parere e l’ordine del padrone. "Vuoi, dunque, che andiamo a raccoglierla?" (
Mt 13,28) - gli chiedono. Cosa risponde il padrone? Egli vieta loro di farlo, dicendo che c’è pericolo, nel raccogliere la zizzania, di sradicare anche il grano. Parla così per impedire le guerre, le uccisioni, lo spargimento di sangue.”

 

Origene (185 - 254)

In Matth. 10, 2

 

Ma, mentre dormono coloro che non praticano il comando di Gesù che dice: "Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione" (Mt 26,41 Mc 14,38 Lc 22,40), il diavolo, che fa la posta (1P 5,8), semina quella che viene detta la zizzania, le dottrine perverse, al di sopra di ciò che alcuni chiamano i pensieri naturali, e al di sopra dei buoni semi venuti dal Logos. Secondo tale interpretazione, il campo designerebbe il mondo intero e non solamente la Chiesa di Dio; infatti è nel mondo intero che il Figlio di Dio ha seminato il buon seme e il cattivo la zizzania (Mt 13,37-38), cioè le dottrine perverse che, per la loro nocività, sono «figlie del maligno». Ma ci sarà necessariamente, alla fine del mondo, che vien detta «la consumazione del secolo», una mietitura, perché gli angeli di Dio preposti a tale compito raccolgano le cattive dottrine che si saranno sviluppate nell’anima e le consegnino alla distruzione, gettandole, perché brucino, in quello che viene definito fuoco (Mt 13,40). E così, «gli angeli», servitori del Logos, raduneranno «in tutto il regno» di Cristo, «tutti gli scandali» presenti nelle anime e i ragionamenti «che producono l’empietà», e li distruggeranno gettandoli nella «fornace di fuoco», quella che consuma (Mt 13,41-42) così del pari coloro che prenderanno coscienza che, poiché hanno dormito, hanno accolto in sé stessi i semi del cattivo, piangeranno e saranno, per così dire, in collera con sé stessi. Sta in ciò, in effetti, "lo stridor di denti" (Mt 13,42), ed è anche per questo che è detto nei Salmi: "Hanno digrignato i denti contro di me" (Ps 35,16). È soprattutto allora che "i giusti brilleranno", non tanto in modo diverso, come agli inizi, bensì tutti alla maniera di un unico "sole, nel regno del Padre loro" (Mt 13,43).

       

 

 

 

 

 

giovedì 13 luglio 2023

Ascoltare la Parola con il cuore per condividerla

  Rito Romano

XV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 16 luglio 2023

Is 55,10-11; Sal 64; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23

 

 

Rito Ambrosiano

Es 33,18-34,10; Sal 76 (77); 1Cor 3,5-11; Lc 6,20-31

Domenica VI dopo Pentecoste

 

            1) Ascoltatori della Parola.

Nel Vangelo di questa domenica Gesù racconta la parabola del seminatore, che continua a seminare nel cuore degli uomini perché ha fiducia in noi. Lui sa che prima o poi l’uomo aprirà le orecchie e gli occhi e il suo cuore all’ascolto e inizierà una vita nella condivisione perenne con Lui, la Parola che ci dice parole efficaci di vita eterna.

Va però tenuto presente che l’efficacia di questa parola è tale quando l’uomo la ascolta, la comprende e agisce di conseguenza. Quindi per avere tutto il nostro essere aperto all’ascolto della parola di Gesù e diventare ascoltatori docili e disponibili della Parola che salva, facciamo nostra questa preghiera: “Fa’, o Signore, che ascolti con attenzione e ricordi costantemente il tuo insegnamento, che lo metta in pratica con forza e coraggio, disprezzando le ricchezze e allontanando tutte le inquietudini della vita mondana...Fa' che mi fortifichi da ogni parte e mediti le tue parole mettendo profonde radici e purificandomi da tutti gli attacchi mondani» (San Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo secondo San Matteo 44,3-4).

            Se, quali ascoltatori della Parola, oggi andremo da Cristo lo ascolteremo parlarci da una barca. Nel Vangelo di oggi il Signore ci parla da una barca. La sua cattedra è un Legno che solca le acque, immagine della Croce, dalla quale dal giorno della sua passione è maestro di tutte le nazioni et attira ogni persona a sé.

Se, navigheremo nel mare della vita attaccati al legno della Croce, il Vangelo di oggi risuonerà in noi  con grande efficacia e la Croce ci farà cogliere il senso più profondo di quanto Cristo dice a noi peccatori, salvati dalle acque del male.

Se siamo veri ascoltatori della Parola, dobbiamo ascoltare in modo non ingenuo come chi aspetta da Cristo qualcosa che risolva i problemi contingenti, che riordini la vita secondo i piccoli desideri umani e non secondo il cuore che desidera l’infinito. Chi non è maturo  accoglie con gioia la Parola ma, per la fretta di sistemare la propria vita, non si accorge che essa è crocifissa e che crocifigge in Cristo chi la accoglie. Le parole del Redentore sono parole di vita perché, attraverso la Croce, purificano da ogni opera morta e uniscono al Signore Gesù, a Cristo e Cristo Crocifisso, Parola di amore e di verità. Questa Parola ha bisogno di un luogo (il nostro cuore), ha bisogno di scendere in fondo, e, lì, morire, come un seme, per mettere radice, per crescere e germogliare, e resistere dinnanzi alle bufere e alle intemperie, come una casa costruita sulla Roccia.

Nella casa costruita sulla roccia, la Parola non è soffocata dalle preoccupazioni, e può crescere perché ha spazio e aria. In essa il cuore non è dissipato nelle cose del mondo si fa grande,, magnanimo e ospitale. L’ascolto maturo e sincero impedisce è l’adulterio del cuore è proprio quello che ha reso così difficile la storia del popolo di Israele, che ha impedito alla Parola dell’Alleanza di compiersi. La carne, la corruttibilità di questo mondo ha reso impossibile il compiersi della Legge.

La Parola della Croce è stoltezza e scandalo per gli intelligenti e i sapienti di questo mondo. Non la comprendono, ascoltano ma è come se non ascoltassero. I criteri sono altri, la propria giustizia, le proprie opere, gli scribi e i farisei che “non possono” ascoltare la Parola di Gesù presi come sono da se stessi, dai propri pregiudizi, dalla presunzione d’aver capito bene come si vive, di aver individuato quali sono gli atteggiamenti giusti per vivere bene. Pensano che sia un problema di buon senso e di buon cuore. Invece è una questione di cuore e di senso della vita intesa come direzione e significato della vita secondo la mente e il cuore di Cristo
            Questa è la realtà. La verità. Se non siamo convertiti. siamo tutti questi terreni di cui parla il Vangelo di oggi. Questi terreni rendono difficile se non impossibile il rapporto fra la Parola e la nostra vita. Ma il Vangelo di oggi è davvero una Buona lieta Notizia. Il Signore ci dice che siamo beati, perché vediamo e ascoltiamo quello che i profeti non hanno visto e né udito. Siamo beati perché ci è stato svelato il mistero del Regno di Dio, Amore misericordioso e provvidente. 

 

2) La verginità e la concezione della Parola.

La parola che Cristo semina in noi si scontra spesso con l’aridità del nostro cuore e, anche quando viene accolta, rischia di rimanere sterile. Di conseguenza, dobbiamo domandare a Dio la grazia, che libera il terreno del nostro cuore, lo libera dalla pigrizia, dalle incertezze e da tutti i timori che possono frenarlo. In questo modo la Parola del Signore sarà messa in pratica, in modo autentico e gioioso. 

Il cuore di ognuno di noi il campo della fede. Ed è nella nostra vita quotidiana che il Redentore chiede di entrare con la sua Parola, con la sua presenza.

La cosa da fare e vero pericolo nella vita è non rendersi conto della realtà, entrandovi con umiltà che ci fa riconoscere che siamo strada, sassi e spine. La nostra carne è incapace –da sola- di avere la vita che dura. Per questo, Dio ha mandato il Suo unico Figlio, con una carne simile alla nostra perché facesse di noi la terra fertile capace di accogliere la Parola di salvezza e di farla germogliare nel mondo. 

La Croce ha arato la carne del Signore, i chiodi e le spine, la lancia e l’aceto hanno dissodato perfettamente la “terra” di Cristo. Per questo, nella nostra Croce di ogni giorno vi è la nostra vita redenta. Le ferite fisiche o spirituali che subiamo ogni giorno, se messe sulla Croce, diventano le porte attraverso le quali la Parola di Dio può entrare in noi. Quando condividiamo l’amore crocifisso di Gesù la sua Parola scende in noi, penetra fino in fondo, vi mette radici e dà frutti abbondanti in ogni in ogni situazione. La Parola crocifissa da i frutti della Croce: l’amore e la misericordia, le piaghe gloriose del Signore, sangue e acqua, vita e vita eterna.

Une esempio di questo amore crocifisso ci è dato dalle vergini consacrate, la cui dedizione diventa feconda a partire dall’ascolto. Queste donne ci testimoniano quanto sia saggio vivere una vita dedicate alla ricerca di Dio a partire dall’ascolto, che inizia ad essere feconda nell’annuncio della sua Parola. “Faciem tuam, Domine, requiram: il tuo volto, Signore, io cerco (Sal 26,8) … La vita consacrata è nel mondo e nella Chiesa segno visibile di questa ricerca del volto del Signore e delle vie che conducono a Lui (cfr Gv 14,8) … La persona consacrata testimonia dunque l’impegno, gioioso e insieme laborioso, della ricerca assidua e sapiente della volontà divina” (cfr Cong. per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Istruz. Il servizio dell’autorità e l’obbedienza. Faciem tuam Domine requiram, 11 maggio 2008, n. 1).

Essendo ascoltatrici assidue della Parola, acquisiscono la sapienza, perché ogni sapienza di vita nasce dalla Parola del Signore. Il magistero pontificio le invite ad essere scrutatricii della Parola, attraverso la lettura frequente della Bibbia, la lectio divina, poiché la vita consacrata “nasce dall’ascolto della Parola di Dio ed accoglie il Vangelo come sua norma di vita. Vivere nella sequela di Cristo casto, povero ed obbediente è in tal modo una «esegesi» vivente della Parola di Dio. Lo Spirito Santo, in forza del quale è stata scritta la Bibbia, è il medesimo che illumina di luce nuova la Parola di Dio ai fondatori e alle fondatrici. Da essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni regola vuole essere espressione, dando origine ad itinerari di vita cristiana segnati dalla radicalità evangelica” (Esort. ap. postsinodale Verbum Domini, 83),

 

 

Lettura Patristica

Sant’Efrem, il Siro

Diatessaron, 11, 12-15.17 s.

 

 


       Il seminatore è unico ed ha sparso la sua semente in modo equo, senza fare eccezione di persone; ma ogni terreno, da se stesso, ha mostrato il suo amore con i propri frutti. Il Signore manifesta così con la sua parola che il Vangelo non giustifica per forza, senza il consenso della libertà; le orecchie sterili che egli non ha privato della semente delle sue sante parole ne sono la prova.

       "La semente cadde sul bordo della strada" (
Mt 13,19), ecco una cosa che è l’immagine stessa dell’anima ingrata, di colui che non ha fatto fruttificare il proprio talento ed ha disprezzato il proprio benefattore (Mt 25,24-30). La terra che aveva tardato ad accogliere il suo seme, è divenuta luogo di passaggio per tutti i malintenzionati; così non vi fu più posto in essa per il padrone, perché vi potesse entrare da lavoratore, ne potesse rompere la durezza e spargervi il suo seme. Nostro Signore ha descritto il maligno sotto i tratti degli uccelli, poiché il maligno ha portato via il seme (Mt 13,19). Egli ha voluto indicare così che il maligno non prende per forza la dottrina che è stata distribuita nel cuore. Nell’immagine che egli ha proposto, ecco che in effetti la voce del Vangelo si pone alla porta dell’orecchio, come il grano alla superficie di una terra che non ha nascosto nel suo seno ciò che è caduto su di essa; infatti non è stato permesso agli uccelli di penetrare nella terra alla ricerca di quel seme che la terra aveva nascosto sotto le sue ali.

       "E quella parte che era caduta sui sassi" (
Mt 13,20); Dio che è buono manifesta così la sua misericordia; quantunque la durezza della terra non fosse stata rotta dal lavoro, nondimeno egli non l’ha privata del suo seme. Questa terra rappresenta coloro che si estraniano dalla dottrina di Nostro Signore, come quei tali che hanno detto: "Quella parola è dura; chi può intenderla?" (Jn 6,60). E come Giuda; infatti egli ha ascoltato la parola del Maestro ed ha messo i fiori per l’azione dei suoi miracoli, ma al momento della tentazione, è divenuto sterile.


       Il terreno spinoso (
Mt 13,22), nonostante il grano ricevuto, ha ceduto la propria forza ai rovi e agli spini. Buttando audacemente il suo seme su una terra ribelle al lavoro altrui, il padrone ha manifestato la sua carità. Nonostante il predominio dei rovi, egli ha sparso a profusione il suo seme sulla terra, perché essa non potesse avere scusanti...


       La terra buona e ubertosa (
Lc 8,8) è immagine delle anime che agiscono secondo verità, alla maniera di coloro che sono stati chiamati ed hanno abbandonato tutto per seguire Cristo. . .


       Nonostante una volontà unanimemente buona che ha ricevuto con gioia il seme dei beni, la terra buona e ubertosa produce in modi diversi, dove «il trenta», dove «il sessanta», dove «il cento»; tutte le parti della terra fanno crescere secondo il proprio potere e nella gioia, alla stregua di coloro che avevano ricevuto "cinque talenti" e ne hanno guadagnati "dieci, ciascuno secondo la sua capacità" (
Mt 25,14-30). Colui che rende «il cento» sembra possedere la perfezione dell’elezione; egli ha ricevuto il sigillo di una morte offerta in testimonianza per Dio. Quelli che rendono «il sessanta», sono coloro che sono stati chiamati e che hanno abbandonato il proprio corpo a dolorosi tormenti per il loro Dio, ma non sono arrivati al punto di morire per il loro Signore; tuttavia restano buoni fino alla fine. «Il trenta», è la misura quotidiana della buona terra; sono coloro che sono stati eletti alla vocazione di discepoli e sui quali non si sono levati i tempi della persecuzione; sono tuttavia coronati dalle loro opere buone, proprio come una terra è coronata dal suo frutto, ma non sono stati chiamati al martirio e alla testimonianza della loro fede.

 

 

Lecture Patristique

Saint Grégoire le Grand (+ 604)
Homélies sur l'Évangile, 1, 15, 1-24,

PL 76, 1131-1133


Le texte de saint Grégoire, que l'homéliaire propose comme commentaire de l'évangile de Matthieu, explique en fait la parabole telle qu'elle est rapportée dans l'évangile de Luc (
Lc 8,4-15).

L'évangile que vous venez d'entendre n'appelle pas d'explication, mais une recommandation. En effet, la Vérité elle-même en a fourni une explication que la faiblesse humaine ne se hasarde pas à discuter. Cependant, en rapport avec l'explication qu'en donne le Seigneur, vous devez examiner avec attention le point suivant: si je vous avais dit que la semence représente la parole, le champ le monde, les oiseaux les démons, et les épines les richesses, vous auriez peut-être, dans le secret de votre coeur, hésité à me croire. Aussi bien le Seigneur a-t-il daigné expliquer lui-même ce qu'il venait de dire, pour que vous soyez capables de rechercher également la signification des paroles qu'il n'a pas voulu expliquer lui-même. 

Qui donc m'aurait cru si j'avais avancé que les épines figurent les richesses, d'autant plus que les premières sont acérées et les secondes agréables. Les richesses sont pourtant bien des épines, puisque les soucis qu'elles entraînent avec elles déchirent l'âme de leurs pointes et, après l'avoir poussée au péché, la laissent couverte de sang, comme par une blessure.D'après un autre évangéliste qui rapporte la même parabole, le Seigneur ne les appelle pas richesses mais, avec raison, richesses trompeuses (cf. Mt 13,22). Elles le sont, en effet, puisqu'elles ne peuvent demeurer longtemps en notre possession et qu'elles ne font pas disparaître la pauvreté de notre âme.

Car les seules vraies richesses sont celles qui nous enrichissent de vertus. Aussi, frères bien-aimés, si vous désirez vous enrichir, aimez les vraies richesses. Si vous cherchez à parvenir au sommet de l'honneur véritable, avancez-vous vers le Royaume céleste. Si vous affectionnez la gloire que procure un rang élevé, hâtez-vous de vous enrôler dans la céleste cour des anges.

Après avoir écouté les paroles du Seigneur, retenez-les dans votre âme, car la parole de Dieu est la nourriture de l'âme. 
La parole que l'on écoute sans la conserver dans les profondeurs de la mémoire, ressemble à une nourriture avalée, puis rejetée par un estomac malade. Aussi bien, celui qui ne garde pas les aliments n'a absolument aucun espoir de vivre. Si donc, après avoir reçu la nourriture de la sainte exhortation, vous ne gardez pas en mémoire les paroles de vie, qui sont les aliments de la justice, craignez le péril de la mort éternelle. <>

Veillez dès lors à ce que la parole que vous avez reçue résonne au fond de votre coeur et y demeure. Prenez garde que la semence ne tombe le long du chemin, de crainte que l'Esprit mauvais ne vienne enlever la parole de votre mémoire. Prenez garde que le sol pierreux ne reçoive la semence et ne produise une bonne action dépourvue des racines de la persévérance. 
Beaucoup, en effet, se réjouissent en entendant la parole, et se disposent à entreprendre de bonnes oeuvres. Mais à peine les épreuves ont-elles commencé à les assaillir qu'ils renoncent à ce qu'ils avaient entrepris. Ainsi, le sol pierreux a manqué d'eau, si bien que le germe de la graine n'est pas parvenu à donner le fruit de la persévérance.

Mais la bonne terre donne du fruit par la patience: entendons par là que nos bonnes oeuvres ne peuvent avoir aucune valeur si en outre nous ne supportons pas patiemment les désagréments que nous cause notre prochain. 
D'ailleurs, plus nous avançons vers la perfection, plus nous avons à endurer de souffrances ici-bas. En effet, une fois que notre âme a abandonné l'amour du monde présent, l'hostilité de ce monde grandit. Voilà pourquoi nous en voyons beaucoup peiner sous un lourd fardeau, alors que leurs oeuvres sont bonnes. Ils ont, il est vrai, déjà renoncé aux convoitises terrestres, et pourtant ils sont affligés de très cruelles épreuves. Mais, selon la parole du Seigneur, ils portent du fruit par leur constance (Lc 8,15), en supportant humblement ces épreuves, si bien qu'après avoir souffert, ils seront invités à entrer dans la paix du ciel.

 

 

Patristic Reading

Saint Augustin of Hippo

Sermon XXIII

On the words of the gospel, Mt 13,19 etc., Where the Lord Jesus explaineth the parables of the sower.

1). Both yesterday and to-day ye have heard the parables of the sower, in the words of our Lord Jesus Christ. Do ye who were present yesterday, recollect to-day. Yesterday we read of that sower, who when he scattered seed, “some fell by the way side,”1 which the birds picked up; “some in stony places,” which dried up from the heat; “some among thorns, which were choked,” and could not bring forth fruit; and “other some into good ground, and it brought forth fruit, a hundred, sixty, thirty fold.” But to-day the Lord hath again spoken another parable of the sower, “who sowed good seed in his field. While men slept the enemy came, and sowed tares upon it.”2 As long as it was only in the blade, it did not appear; but when the fruit of the good seed began to appear, “then appeared the tares also.” The servants of the householder were offended, when they saw a quantity of tares among the good wheat, and wished to root them out, but they were notsuffered to do so; but it was said to them, “Letboth grow together until the harvest.”3 Now the Lord Jesus Christ explained this parable also; and said that He was the sower of the good seed, and He showed how that the enemy who sowed the tares was the devil; the time of harvest, the end of the world; His field the whole world. And what saith He? “In the time of harvest I will say to the reapers, Gather ye together first the tares, to burn them, but gather the wheat into My barn.” Why are ye so hasty, He says, ye servants full of zeal? Ye see tares among the wheat, ye see evil Christians among the good; and ye wish to root up the evil ones; be quiet, it is not the time of harvest. That time will come, may it only find you wheat! Why do ye vex yourselves? Why bear impatiently the mixture of the evil with the good? In the field they may be with you, but they will not be so in the barn.

2. Now ye know that those three places mentioned yesterday where the seed did not grow, “the way side,” “the stony ground,” and “the thorny places,” are the same as these “tares.” They received only a different name under a different similitude. For when similitudes are used, or the literal meaning of a term is not expressed, not the truth but a similitude of the truth is conveyed by them. I see that but few have understood my meaning; yet it is for the benefit of all that I speak. In things visible, a way side is a way side, stony ground is stony ground, thorny places are thorny places; they are simply what they are, because the names are used in their literal sense. But in parables and similitudes one thing may be called by many names; therefore there is nothing inconsistent in my telling you that that “way side,” that “stony ground,” those “thorny places,” are bad Christians, and that they too are the “tares.” Is not Christ called “the Lamb”? Is not Christ “the Lion” too? Among wild beasts, and cattle, a lamb is simply a lamb, and a lion, a lion: but Christ is both. The first are respectively what they are in propriety of expression;the Latter both together in a figurative sense.4 Nay much more; besides this it may happen that under a figure, things very different from one another may be called by one and the same name. For what is so different as Christ and the devil? yet both Christ and the devil are called “a lion.” Christ is called “a lion:” “The Lion hath prevailed of the tribe of Judah;”5 and the devil is called a lion: “Know ye not that your adversary the Devil walketh about as a roaring lion, seeking whom he may devour?”6 Both the one and the other then is a lion; the one a lion by reason of His strength; the other for his savageness; the one a lion for His “prevailing;” the other for his injuring. The devil again is a serpent, “that old serpent;”7 are we commanded then to imitate the devil, when our Shepherd told us, “Be ye wise as serpents, and simple as doves”?8

3. Accordingly I yesterday addressed “the way side,” I addressed the “stony ground,” I addressed the “thorny places;” and I said, Be ye changed whilst ye may: turn up with the plough the hard ground, cast the stones out of the field, pluck up the thorns out of it. Be loth to retain that hard heart, from which the word of God may quickly pass away and be lost. Be loth to have that lightness of soil, where the root of charity can take no deep hold. Be loth to choke the good seed which is sown in you by my labours, with the lusts and the cares of this world. For it is the Lord who sows; and we are only His labourers. But be ye the “good ground.” I said yesterday, and I say again today to all, Let one bring forth “a hundred, another sixty, another thirty fold.” In one the fruit is more, in another less; but all will have a place in the barn. Yesterday I said all this, to-day I am addressing the tares; but the sheep themselves are the tares. O evil Christians, O ye, who in filling only press the Church by your evil lives; amend yourselves before the harvest come. “Say not, I have sinned, and what hath befallen me?”9 God hath not lost His power; but He is requiring repentance from thee. I say this to the evil, who yet are Christians; I say this to the tares. For they are in the field; and it may so be, that they who to-day are tares, may to-morrow be wheat. And so I will address the wheat also.

4. O ye Christians, whose lives are good, ye sigh and groan as being few among many, few among very many. The winter will pass away, the summer will come; lo! the harvest will soon be here. The angels will come who can make the separation, and who cannot make mistakes. We in this time present are like those servants of whom it was said, “Wilt Thou that we go and gather them up?”10 for we were wishing, if itmight be so, that no evil ones should remain among the good. But it has been told us, “Let both grow together until the harvest.”11 Why? For ye are such as may be deceived. Hear finally; “Lest while ye gather up the tares, ye root up also the wheat with them.”12 What good are ye doing? Will ye by your eagerness make a waste of My harvest? The reapers will come, and who the reapers are He hath explained, “And the reapers are the angels.”13 We are but men, the reapers are the angels. We too indeed, if we finish our course, shall be equal to the angels of God; but now when we chafe against the wicked, we are as yet but men. And we ought now to give ear to the words, “Wherefore let him that thinketh he standeth, take heed lest he fall.”14 For do ye think, my Brethren, that these tares we read of do not get up into this15 seat?16 Think ye that they are all below, and none above up here? God grant we may not be so. “But with me it is a very small thing that I should be judged of you.”17 I tell you of a truth, my Beloved, even in these high seats there is both wheat, and tares, and among the laity there is wheat, and tares. Let the good tolerate the bad; let the bad change themselves, and imitate the good. Let us all, if it may be so, attain to God; let us all through His mercy escape the evil of this world. Let us seek after good days, for we are now in evil days; but in the evil days let us not blaspheme, that so we may be able to arrive at the good days.


1 (
Mt 13,3-8.
2 (
Mt 13,24-25.
3 (
Mt 13,30 
Per similitudinem.
5 (
Ap 5,5 
6 (
1P 5,8 
7 (
Ap 12,9 
8 (
Mt 10,16).
9 (
Si 5,4 
10 (
Mt 13,28 
11 (
Mt 13,30 
12 (
Mt 13,29 
13 (
Mt 13,39 
14 (
1Co 10,12 
15 Apsidas.
16 Apsis the higher semicircular or arched part of the chancel, where the bishop had his throne with the presbyters. 
See Bing). Antiq. B. 8,c. 6,§§ 9, 10.
17 (
1Co 4,3