venerdì 24 febbraio 2017

La provvidenza dell’Amore

VIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 26 febbraio 2017
Rito Romano

Rito Ambrosiano
Os 1,9a;2,7a.b-10; Sal 102; Rm 8,1-4; Lc 15,11-32
Ultima Domenica dopo l’Epifania
detta “del perdono”


1) Provvidenza non destino.
Nella prima Lettura della Messa di questa domenica risuona una frase che è – secondo me – è una delle più toccanti della Bibbia: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro se ne dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,15). A questa rassicurazione che ci dice che Dio è buono, che il suo amore misericordioso è eterno e che la sua fedeltà non ha fine, la Liturgia di oggi accosta una pagina, anche lei incantevole, del Vangelo, in cui Gesù esorta i suoi discepoli a confidare nella provvidenza del Padre. Il Figlio di Dio ci assicura che il Padre suo e nostro nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, e conosce ogni nostra necessità (cfr Mt 6,24-34). Quindi fraternamente ci dice: “Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno” (Id. 6, 31-32).
Se utilizziamo un modo di guardare semplicemente umano, vediamo la miseria di tanti, provocata da disastri naturali o da conflitti umani, da malattie o da ingiustizie, e queste parole di Cristo ci sembrano se non assurde almeno poco realistiche. Invece, il Vangelo ci offre le parole del Messia, che invita non al fatalismo ma a credere nella Provvidenza. Certo va capito che la fede nella Provvidenza non evita il faticoso lavoro per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani.
Il Redentore svela che la nostra vita, le nostre persone non sono sottoposte alla fortuna bendata, al destino o fato cieco e capriccioso, che – come gli antichi greci e romani pensavano - avanza come un imponente carro con sopra di esso gli dei, mentre trascina dietro di sé gli uomini a lui legati con catene. All’umanità non resta che camminare alla velocità imposta dal destino, se rallenta o si ribella il carro la trascina ineluttabilmente. Questo è il destino come l’uomo senza la fede cristiana lo immagina: un forza arbitraria alla quale non si può fare altro che adattarsi. Incarnandosi e svolgendo la sua missione redentiva, Cristo si manifesta come il volto buono del destino.
Già l’Antico Testamento rivelava che il Signore ha creato tutte le cose e che tutto ciò che succede accade nell’ordine della sapienza amorosa di Dio. All’uomo Dio hai dato la libertà, affinché agisca di sua propria volontà. Dio ha tessuto così l’esistenza nel disegno liberante del suo amore, perché in tutto splenda la sua giustizia e la sua bontà. tuttavia l’uomo si è sviato da te e ha mutato l’ordine del tuo amore nell’oscura immagine del destino.
Il Nuovo Testamento ci insegna che in Cristo, Figlio di Dio, il Padre svela il suo volto e comincia un’opera nuova. Egli ha vinto il destino e ci ha mostrato negli avvenimenti la sua provvidenza. Ora, per noi tutto deve essere una disposizione del suo amore. Questo ci è dato come consolazione, ma anche come compito. Il messaggio non è un permesso di lasciar scorrere le cose con indolenza o di chiudere gli occhi davanti alla loro gravità, ma è ammonimento a un santo agire. Il Regno di Dio deve essere per noi l’unica cosa necessaria, per questo il Vangelo di oggi ci chiede di non avere due padroni e di cercare il Regno dei Cieli prima e sopra ogni cosa.
I nostri pensieri e le nostre azioni devono tendere a che il Regno di Dio venga e la sua giustizia si compia. Allora noi possiamo essere certi che tutto, anche le cose più oscure, ci è stato dato perché ci salviamo. Qualsiasi esperienza ci rechi il destino, dobbiamo con fede elevarla nel quadro della provvidenza divina, con fiducia superare la nostra ignoranza e con amore collaborare all' opera del Padre. Per questo preghiamo: “Aiutami, o Signore, a illuminare la confusione delle cose con la chiarezza della fede e a trasformare nella forza della fiducia la difficoltà di tutto ciò che pesa su di me. E il tuo Santo Spirito possa testimoniare nel mio cuore che io sono veramente tuo figlio, e ho ragione quando accetto tutti gli avvenimenti della tua mano. Fa’ che nella certezza del tuo amore trovino risposta quelle domande a cui nessuna sapienza umana può rispondere. Che tu mi ami è risposta a ogni domanda — fa’ che io lo senta quando giunge l’ora della prova. Amen” (Romano Guardini).

2) Dio Creatore, Padre Provvidente.
Lungo tutta la storia umana, nel pensiero dei filosofi, nelle dottrine delle grandi religioni ed anche nella semplice riflessione dell’uomo della strada, l’umanità è sempre stata alla ricerca delle ragioni per comprendere, anzi per giustificare l’agire di Dio nel mondo.
Come risposta a questa ricerca la Chiesa offre la dottrina della divina Provvidenza. E’, quello della Chiesa, un insegnamento che non nasce da una sua invenzione, anche se ispirata da pensieri di umanità, ma dal fatto che Dio si è rivelato così: nella storia del suo popolo Dio ha manifestato che la sua azione creativa e il suo intervento di salvezza erano indissolubilmente uniti, facevano parte di un unico disegno progettato da sempre. Dunque, il primo – non solo in ordine cronologico – il più alto e profondo documento della Provvidenza di Dio è la Bibbia, nella sua globalità. Nella Sacra Scrittura ci è rivelato l’intervento di Dio sulla natura con la creazione e il suo ancor più stupendo intervento con la redenzione, che ci fa creature nuove in un mondo rinnovato dall’amore di Dio in Cristo.
Già l’Antico Testamento parla di Provvidenza divina nei capitoli sulla creazione e in quelli più specificamente attenti all’opera della salvezza: nella Genesi e nei Profeti, specialmente in Isaia, nei Salmi cosiddetti del creato, nei Libri Sapienzali, così attenti a ritrovare il segno di Dio nel mondo.
Poi il Nuovo Testamento ci rivela che il nostro Padre che è nei cieli è onnipotente ma, al tempo stesso, è infinitamente provvidente e misericordioso: il suo cuore è vicino alla nostra miseria. Quando Gesù ci parla della Divina provvidenza nel Vangelo, ci parla di un Padre amorevole, che con dedizione vede ogni dettaglio della nostra vita, anche il più piccolo: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!” (Mt 10,29-31).
A questo riguardo, pur dentro un annuncio di tenerezza e di sollecitudine, si potrebbe pensare che c’è un’antitesi tra Provvidenza divina e libertà dell’uomo. Al contrario, c’è un rapporto di comunione nell’amore ed anche la tradizione della Chiesa e la vita dei santi ce ne sono testimoni.
A conferma di ciò ritrascrivo la risposta che Santa Teresa di Calcutta diede a un giornalista che le chiedeva: “Madre, Lei pone sempre l’accento sulla Provvidenza divina. Viviamo in un mondo dove tutto è organizzato. Che cosa fare perché la fede nella Provvidenza trovi in noi maggiore spazio?”

 Madre Teresa rispose: “Se si guarda la natura, vi si vedono milioni di uccelli, milioni di fiori meravigliosi, milioni di splendidi alberi, e Dio si cura di loro con il sole, con la pioggia, con la primavera, con l'inverno ... Se promettiamo a Dio di dare tutto il nostro cuore ai più poveri tra i poveri, le cose cambieranno. Io e le mie suore non riceviamo stipendio dallo Stato, né aiuto dalla Chiesa, non riceviamo nulla dalla gente per il nostro lavoro. Eppure abbiamo migliaia e migliaia di ammalati, molti bambini adottati. Ancora, mai abbiamo dovuto dire ‘Non abbiamo o non possiamo di più’. L’amore di Dio ha messo in movimento una moltitudine che fa parte a noi di quello che ha. Ogni giorno diamo da mangiare a circa 300.000 persone in tutto il mondo. Mai abbiamo dovuto respingere qualcuno dicendo: ‘Non abbiamo!’ Questa è la Provvidenza di Dio, questo è il delicato amore di Dio”.

3) Provvidenza e le Vergini consacrate nel mondo
E’ chiaro che l’insegnamento cristiano sulla Provvidenza, pur rimanendo sempre vero e valido per tutti, è praticato in modi diversi a seconda delle diverse vocazioni. Le Missionarie della Carità (le Suore di Madre Teresa di Calcutta), per esempio –ma non è l’unico esempio perché molte altre persone religiose lo fanno – potranno seguirlo in maniera più radicale, mentre una madre di famiglia dovrà tener conto dei propri doveri verso il marito ed i figli. In ogni caso, però, il cristiano si distingue per l’assoluta fiducia nel Padre celeste, come è stato per Gesù. E’ proprio la relazione con Dio Padre che dà senso a tutta la vita di Cristo, alle sue parole, ai suoi gesti di salvezza, fino alla sua passione, morte e risurrezione. Gesù ci ha dimostrato che cosa significa vivere con i piedi ben piantati per terra, attenti alle concrete situazioni del prossimo, e al tempo stesso tenendo sempre il cuore in Cielo, immerso nella misericordia di Dio.
Vale anche per queste consacrate quello che già nel 1600 San Vincenzo de Paoli scriveva nelle regole per le “sue” Figlie della Carità: Il fine principale per il quale Dio ha chiamato e riunito le Figlie della Carità è per onorare Nostro Signore Gesù Cristo come la sorgente e il modello di ogni Carità ... Considereranno che non sono monache, non avendo per monastero se non le case dei malati e quella dove risiede la superiora, per cella una camera d’affitto, per cappella la chiesa parrocchiale, per chiostro le vie della città, per clausura l’obbedienza, non dovendo andare se non dai malati e nei luoghi necessari per il loro servizio, per grata il timor di Dio, per velo la santa modestia, e non facendo altra professione per assicurare la loro vocazione all’infuori di quella continua fiducia che hanno nella divina Provvidenza e dell’offerta di tutto quello che sono e di tutto quello che fanno per il servizio dei poveri...” . (Da Regole Comuni delle Compagnia delle Figlie della Carità I,1-2). Le vergini consacrate nel mondo con la loro vita personale e non in comunità sono chiamate a fa risplendere in loro stesse il volto di Cristo, rendendo visibile nel mondo la Sua presenza. Con il cuore donato a Cristo e libero da legami umani, le vergini consacrate prendono su di sé le ansie dei fratelli e servono il Cristo, loro Sposo soprattutto e nelle sue membra sofferenti. Che il Signore aiuti loro e noi a sapere vedere –nelle vicende umane di ogni giorno - la divina Provvidenza che è la ragione dell’ordine (Cfr. Summa Theologica, I, 22, 3 ss.; 103, 1 ss.; Sap. 14, 3; Prov. 8; etc.). La Provvidenza è il riflesso del pensiero di Dio nelle cose e nella storia; “è la razionalità, sapiente e buona, palese o recondita, di cui tutto è impregnato” (Paolo VI).



Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona
De civitate Dei, 10, 14

La fede nella Provvidenza

       Come la retta educazione dell’individuo così anche quella del genere umano, per quanto riguarda il popolo di Dio, progredì attraverso traguardi di tempi, in analogia allo sviluppo delle età, affinché si formasse dalle cose divenienti all’apprendimento delle cose eterne e dalle visibili a quello delle invisibili. Quindi anche in quel tempo in cui da Dio si promettevano ricompense visibili, si inculcava che si deve adorare un solo Dio. Così l’intelligenza umana, anche per quanto riguarda gli stessi beni terreni della vita che fugge, si doveva sottomettere soltanto al vero Creatore e Signore dell’anima. È irragionevole infatti chi nega che tutte le cose, che gli angeli e gli uomini possano concedere agli uomini, sono in potere di un solo Onnipotente. Il platonico Plotino ammette senza esitazione la provvidenza e dimostra dalla bellezza dei fiori e delle piante che essa dal sommo Dio, che ha bellezza ineffabilmente intelligibile, giunge fino alle cose più basse della terra. Dichiara che tutte queste cose spregevoli ed estremamente precarie possono avere i gradi convenienti delle proprie forme soltanto se le ricevono dall’essere in cui permane la forma intelligibile e non diveniente che ha in atto la totalità dell’essere. Gesù lo dichiara con le parole: "Osservate i gigli del campo, non lavorano e non tessono. Ma io vi dico che neanche Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così un’erba del campo che oggi è e domani si getta nel braciere, quanto più voi, uomini di poca fede?" (Mt 6,28-29). Giustamente quindi l’anima ancora legata ai terreni desideri si abitua ad attendere soltanto dall’unico Dio i beni infiniti della terra che desidera nel tempo, perché‚ indispensabili alla vita che fugge, ma spregevoli al confronto con i beni della vita eterna. Così, pur nel desiderio dei beni terreni, non si allontana dal culto a lui che deve raggiungere disprezzandoli e volgendosi in senso contrario ad essi.


Sant’Ambrogio di Milano
Hexamer. 3, 36


3. Considerate i gigli dei campi...

       Ma quale spettacolo è quello di un campo in pieno rigoglio, quale profumo, quale attrattiva, quale soddisfazione per i contadini! Come potremmo spiegarlo degnamente con le nostre parole? Ma abbiamo la testimonianza della Scrittura dalla quale vediamo paragonata la bellezza della campagna alla benedizione e alla grazia dei santi, quando Isacco dice: "L’odore di mio figlio è l’odore d’un campo rigoglioso" (Gn 27,27). Perché descrivere le viole dal cupo colore purpureo, i candidi gigli, le rose vermiglie, le campagne tinte ora di fiori color d’oro ora variopinti ora color giallo zafferano, nelle quali non sapresti se rechi maggior diletto il colore dei fiori o il loro profumo penetrante? Gli occhi si pascono di questa gradevole visione e intorno ampiamente si sparge il profumo che ci riempie del suo piacevole effluvio. Perciò giustamente il Signore dice: "E la bellezza del campo è con me (Ps 49,11). È con lui, perché ne è l’autore: quale altro artefice infatti avrebbe potuto esprimere una così grande bellezza nelle singole creature? "Considerate i gigli del campo" (Mt 6,28), quale sia il candore dei loro petali, come questi, l’uno stretto all’altro, si rizzino dal basso verso l’alto in modo da riprodurre la forma d’un calice, come nell’interno di questo risplenda quasi un bagliore d’oro che, difeso tutt’intorno dalla protezione dei petali, non è esposto ad alcuna offesa. Se si cogliesse questo fiore e si sfogliassero i suoi petali, quale mano di artista sarebbe così abile da ridargli la forma del giglio? Nessuno saprebbe imitare la natura con tanta perfezione da presumere di ricostituire questo fiore, cui il Signore diede un riconoscimento così eccezionale da dire: "Nemmeno Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di questi" (Mt 6,29). Un sovrano ricchissimo e sapientissimo è giudicato da meno della bellezza di questo fiore.


venerdì 17 febbraio 2017

Perfezione, santità e misericordia

VII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 19 febbraio 2017
Rito Romano
Lv 19,1-2.17-18; Sal 102; 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48

Rito Ambrosiano
Bar 1,15a;2,9-15a; Sal 105; Rm 7,16a; Gv 8,1-11
Penultima Domenica dopo l’Epifania
detta “della divina clemenza”


1) Perfezione è accogliere l’amore.
Nelle letture della Messa di questa domenica ci sono due frasi che mi hanno colpito particolarmente: “Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo (Lv 19, 2 – I lettura) e Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48 - Vangelo), e che fanno nascere la seguenti domande: “In cosa consiste allora la santità alla quale Dio nel libro del Levitico ci spinge e la perfezione a cui ci invita Gesù? Chi può diventare perfetto come Dio Padre?”
La frase di Cristo riportata da San Luca “Siate misericordiosi come il Padre vostro” (Lc 6, 36) ci può aiutare nella risposta. Unendo questa frase a quella riportata da San Matteo: Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48), possiamo, in primo luogo, dire che la perfezione di Dio è la sua misericordia. Allora anche l'uomo può essere perfetto se vive la misericordia. “La bontà e la perfezione si radicano sulla misericordia” (Papa Francesco). Dunque con il Papa possiamo affermare che la perfezione dell'uomo è la conquista della misericordia, e la misericordia è la sintesi della lieta, buona notizia portata del Redentore.
In secondo luogo, possiamo dire che la nostra perfezione è vivere con umiltà come figli di Dio compiendo concretamente la sua volontà che ci da indicazioni chiare: i comandamenti, per essere come Lui. San Cipriano scriveva che “alla paternità di Dio deve corrispondere un comportamento da figli di Dio, perché Dio sia glorificato e lodato dalla buona condotta dell’uomo” (De zelo et livore, 15: CCL 3a, 83).
In terzo luogo, va ricordato che Cristo non ci chiede la perfezione nell’osservanza dei codici legali e dei regolamenti. Ci vuole perfetti, certo, ma nell’amore.
Mi spiego prendendo un episodio della vita di Santa Teresa del Bambin Gesù. In un momento della sua vita, questa santa Suora si domandò come in paradiso tutti potremo essere felici pienamente, perfettamente, avendo raggiunto ognuno gradi differenti di santità. A un certo punto, la piccola Teresa ebbe questa illuminazione: “Immaginiamo che il Paradiso sia come un meraviglioso campo pieno di fiori di tutte le specie, dai più grandi ai più piccoli, dalle rose alle margherite, dai gigli ai ciclamini. La rugiada del mattino riempie i vari fiori secondo la loro grandezza. Nessuno di essi è più pieno degli altri. Ognuno è colmo, perfetto di amore e di gioia e non ha, quindi, gelosia di chi è più grande”.
Noi non possiamo essere santi come lo sono, per esempio, santa Teresa del Bambin Gesù o san Benedetto o San Francesco o P. Pio da Pietrelcina o Madre Teresa di Calcutta . Certamente saremo molto meno, ma non è questo che conta. Conta il fatto che lasciamo colmare il nostro cuore – piccolo come una margherita o grande come un giglio- dall’amore di Dio.
Insomma essere perfetti nella santità vuol dire credere all’Amore, dilatando il nostro cuore perché accolga Dio.
Apriamoci all’amore di Dio. In ultima analisi la santità, anche se è una nostra risposta a Dio, è dono di Dio. A noi tocca aprirci a Lui nella fede e accogliere il suo amore.

2) La santità delle beatitudini.
Qualcuno potrebbe obiettare che questa santità come accoglienza dell’Amore è troppo facile. Non è più facile di quella che acquistò santa Maria Maddalena, la peccatrice pubblica. Questa donna si gettò ai piedi del Cristo e quando si alzò ottenne il suo elogio: “Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato” (Lc 7, 47). Perché “ha molto amato”? Che cosa aveva fatto? Aveva creduto all’Amore, non ha fatto altro. Tutto il suo peccato non l’aveva arrestata nel suo amore, che l’aveva gettata ai piedi del Cristo. Aveva creduto e si era abbandonata, si era aperta a ricevere il dono dell’amore divino, che l’ha colmata.
La storia di ogni cristiano è quella di un amore ogni volta colmato, e allo stesso tempo aperto su nuovi orizzonti, perché Dio dilata continuamente le possibilità dell'anima, per renderla capace di beni sempre maggiori. Dio stesso, che ha deposto in noi i germi di bene, e dal quale parte ogni iniziativa di santità, “modella il blocco... Limando e pulendo il nostro spirito, forma in noi il Cristo” (San Gregorio di Nissa, In Psalmos 2,11: PG 44,544B).
Questo amore è messo in pratica di chi vive le Beatitudini. E’, infatti, significativo che San Matteo riporti l’espressione di Gesù “siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” a conclusione del Discorso della Montagna, in cui Gesù proclama le Beatitudini e promulga il codice della nuova legge dell'amore.
Non a caso Gesù dice ai suoi discepoli che sono sale della terra e luce del mondo, dopo aver enunciato le Beatitudini. Senza lo spirito e la pratica delle Beatitudini non si può essere sale e luce, di cui il mondo avvolto dalle tenebre del nuovo paganesimo ha tanto bisogno.
In una società dominata dall'odio e dalla violenza e lacerata da divisioni e contrapposizioni, annunciare l'amore eroico ai nemici e la preghiera per i persecutori significa attuare la vera rivoluzione, di cui ha sempre bisogno la società di ogni tempo e di ogni luogo la rivoluzione dell’amore, che ha la sua fonte e il suo modello nell’amore infinito e umile del Padre Celeste.
E’ chiara l’indicazione del Redentore: per imitare il Padre Celeste bisogna vivere nello spirito delle beatitudini evangeliche e aprirsi totalmente all'amore del Padre, “che fa sorgere il Suo sole sopra i malvagi e i buoni e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti” (Mt 5, 45). In effetti, come potremmo affermare di voler imitare il Padre che tutto ama, dona e perdona, se rimanessimo così chiusi nel guscio del nostro egoismo, schiavi dei beni effimeri del mondo, con il cuore sbarrato davanti al bisogno e alla sofferenza del fratello?
L’invito ad essere perfetti come il Padre non è una richiesta di scalare la cima di un’alta montagna. Non ci è chiesto di essere forti ed esperti scalatori dello Spirito, come sono stati i santi già canonizzati dalla Chiesa. La perfezione di Dio è la meta di tutti i discepoli di Gesù, per tutti i cristiani che vogliono portare molto frutto e dare così gloria al Padre Celeste (Gv 15, 8).
La grandezza o perfezione divina è a misura d’uomo, perché è la grandezza dell’umiltà. “Dio, umile, si abbassa: viene da noi e si abbassa” (Papa Francesco). Dal cielo alla terra. Il Figlio di Dio si abbassa nella Grotta di Betlemme e in Croce di Gerusalemme, passando attraverso l’inginocchiarsi davanti agli apostoli per lavare loro i piedi. L’umiltà di Cristo, Figlio di Dio è un’offerta inginocchiata dell’Amore. E’ un’umiltà la cui fonte e centro sono il cuore divino. Come già insegnava San Tommaso d’Aquino, che scrisse cose profonde sull’umiltà di Dio, “Dio è davvero la fonte, il centro e il cuore dell’umiltà. In Lui non c’è egoismo. Lui è tutto slancio verso l’Altro: del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre nell’unità dello Spirito Santo” (P. Maurice Zundel). Questo donarsi reciproco si comunica a noi e fa di noi dei “perfetti” se umilmente doniamo a Lui non solo quello che abbiamo, ma quello che siamo. Dio si abbassa sulla nostra fragilità e la salva con la sua tenerezza.
Se fossimo davvero persuasi che Dio “crede” in noi, noi crederemmo in Lui. Se fossimo coscienti di essere amati da Lui in modo tenero e senza limiti, risponderemmo al Suo amore e faremmo di tutta la nostra vita un dono totale a Lui nell’umiltà, nella pace, nella verità, nella gioia.
Un modo significativo di questa risposta totale a Dio, offrendosi a Lui, è quello delle Vergini consacrate nel mondo. Con il rito della consacrazione e poi, con la vita quotidiana vissuta teneramente e umilmente in Lui, queste donne testimoniano che il fatto di appartenere a Dio non limita la libertà. Una vita vissuta nel dialogo di amore con Lui è una vita nella libertà, che la verità dell’Amore rende effettiva. La concupiscenza della carne e degli occhi e la superbia della vita sono trasformate in purezza di cuore e di sguardo a Cristo che – sulla croce - tiene per sempre aperte le sue braccia con tenerezza e umiltà. Queste donne consacrate testimoniano che la vita consacrata è vita di perfezione e segno per tutti i cristiani come insegna il Card. Newman: “E’ opinione di molti santi che, se noi vogliamo essere perfetti, non dobbiamo fare altro che adempire i nostri doveri quotidiani. Ecco una via breve che porta alla perfezione; breve, non perché sia facile, ma perché tutti la possono seguire...
Sull’essenza della perfezione è facile avere idee vaghe, idee che ci possono aiutare a parlarne, quando non abbiamo alcuna intenzione di tendervi risolutamente. Ma quando si desidera realmente la perfezione, e si cerca di raggiungerla, allora solo ciò che è chiaro e si tocca con mano può dare risultati soddisfacenti, giacché offre una specie di direzione pratica, che è una via per arrivarci. ...
E’ perfetto chi fa in modo giusto le sue azioni giornaliere; per raggiungere la perfezione non abbiamo bisogno di oltrepassare questi limiti.
Se tu mi domandi che cosa devi fare per essere perfetto, io ti risponderò così: non rimanere a letto dopo l’ora fissata per la levata; rivolgi i tuoi primi pensieri a Dio; fa’ una breve visita a Gesù sacramentato; recita bene la corona; sii raccolto; caccia i cattivi pensieri; fa’ con devozione a meditazione della sera; esamina ogni giorno la tua coscienza. Fa’ questo e sarai perfetto” (Card. John-Henri Newman). Gesti semplici che fanno si che la nostra “preghiera sia l’effusione del nostro cuore in quello di Dio” (San Pio da Pietrelcina) e le nostre azioni, piccole o grandi che siano, ne manifestino la misericordia verso tutti.



Lettura Patristica
Salviano di Marsiglia
De gubernatione, 3, 5-6

   Forse qualcuno obietta che oggi non è più il tempo in cui ci sia dato di sopportare per Cristo ciò che gli apostoli sopportarono ai loro giorni. È vero: non vi sono imperatori pagani, non vi sono tiranni persecutori; non si versa il sangue dei santi, la fede non è messa alla prova con i supplizi. Dio è contenta che gli serviamo in questa nostra pace, che gli piacciamo con la sola purità immacolata delle azioni e la santità intemerata della vita. Ma per questo gli è dovuta più fede e devozione, perché esige da noi meno, pur avendoci elargito di più. Gli imperatori, dunque, sono cristiani, non c’è persecuzione alcuna, la religione non viene turbata, noi non veniamo costretti a dar prova della fede con un esame rigoroso: perciò dobbiamo piacere di più a Dio almeno con gli impegni minori. Dimostra infatti di essere pronto a imprese maggiori, se le cose lo esigeranno, colui che sa adempire i doveri minori.

       Omettiamo dunque ciò che sostenne il beatissimo Paolo, ciò che, come leggiamo nei libri di religione scritti in seguito, tutti i cristiani sostennero, ascendendo così alla porta della reggia celeste per i gradini delle loro pene, servendosi dei cavalletti di supplizio e dei roghi come di scale. Vediamo se almeno in quegli ossequi di religiosa devozione che sono minori e comuni e che tutti i cristiani possono compiere nella pace più stabile ed in ogni tempo, ci sforziamo realmente di rispondere ai precetti del Signore. Cristo ci proibisce di litigare. Ma chi obbedisce a questo comando? E non è un semplice comando, giungendo al punto di imporci di abbandonare ciò che è lo stesso argomento della lite pur di rinunciare alla lite stessa: "Se qualcuno" - dice infatti -"vorrà citarti in giudizio per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello" (Mt 5,40). Ma io mi chiedo chi siano coloro che cedano agli avversari che li spogliano, anzi, chi siano coloro che non si oppongano agli avversari che li spogliano? Siamo tanto lontani dal lasciare loro la tunica e il resto, che se appena lo possiamo, cerchiamo noi di togliere la tunica e il mantello all’avversario. E obbediamo con tanta devozione ai comandi del Signore, che non ci basta di non cedere ai nostri avversari neppure il minimo dei nostri indumenti, che anzi, se appena ci è possibile e le cose lo permettono, strappiamo loro tutto! A questo comando ne va unito un altro in tutto simile: disse infatti il Signore: "Se qualcuno ti percuoterà la guancia destra, tu offrigli anche l’altra" (Mt 5,39). Quanti pensiamo che siano coloro che porgano almeno un poco le orecchie a questo precetto o che, se pur mostrano di eseguirlo, lo facciano di cuore? E chi vi è mai che se ha ricevuto una percossa non ne voglia rendere molte? È tanto lontano dall’offrire a chi lo percuote l’altra mascella, che crede di vincere non solo percuotendo l’avversario, ma addirittura uccidendolo.

       "Ciò che volete che gli uomini tacciano a voi" - dice il Salvatore - fatelo anche voi a loro, allo stesso modo" (Mt 7,12). Noi conosciamo tanto bene la prima parte di questa sentenza che mai la tralasciamo; la seconda, la omettiamo sempre, come se non la conoscessimo affatto. Sappiamo infatti benissimo ciò che vogliamo che gli altri ci facciano, ma non sappiamo ciò che noi dobbiamo fare agli altri. E davvero non lo sapessimo! Sarebbe minore la colpa dovuta ad ignoranza, secondo il detto: "Chi non conosce la volontà del suo padrone sarà punito poco. Ma chi la conosce e non la eseguisce, sarà punito assai" (Lc 12,47). Ora la nostra colpa è maggiore per il fatto che amiamo la prima parte di questa sacra sentenza per la nostra utilità e il nostro comodo; la seconda parte la omettiamo per ingiuria a Dio. E questa parola di Dio viene inoltre rinforzata e rincarata dall’apostolo Paolo, il quale, nella sua predicazione, dice infatti: "Nessuno cerchi ciò che è suo, ma ciò che è degli altri" (1Co 10,24); e ancora: "I singoli pensino non a ciò che è loro, ma a ciò che è degli altri" (Ph 2,4). Vedi con quanta fedeltà abbia egli eseguito il precetto di Cristo: il Salvatore ci ha comandato di pensare a noi come pensiamo agli altri, egli invece ci comanda di badare più ai comodi altrui che ai nostri. È il buon servo di un buon Signore e un magnifico imitatore di un Maestro unico: camminando sulle sue vestigia ne rese, quasi, più chiare e, scolpite le orme. Ma noi cristiani facciamo ciò che ci comanda Cristo o ciò che ci comanda l’Apostolo? Né l’uno né l’altro, credo. Siamo tanto lungi tutti noi da offrire agli altri qualcosa con nostro incomodo, che badiamo sommamente ai nostri comodi, scomodando gli altri.


venerdì 10 febbraio 2017

L’amore compie la legge.

VI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 12 febbraio 2017
Rito Romano
Sir 15,16-21; Sal 118; 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37

Rito Ambrosiano
1Sam 21,2-6a; Sal 42; Eb 4,14-16; Mt 12,9b-21
Domenica VI dopo l’Epifania

1) L’amore è compimento della legge.
All’inizio della Messa di questa 6ª domenica del tempo ordinario (Anno A) la preghiera del sacerdote è: “O Dio, che riveli la pienezza della legge nella giustizia nuova fondata sull’amore, fa’ che il popolo cristiano, radunato per offrirti il sacrificio perfetto, sia coerente con le esigenze del Vangelo, e diventi per ogni uomo segno di riconciliazione e di pace” (Colletta VI domenica dell’anno A).
Con questa preghiera che sintetizza bene la Liturgia della Parola di oggi, la Chiesa ci invita a pregare perché la legge evangelica dell’amore guidi il pensare e l’agire dell'uomo, di ognuno di noi. Quando manca l’amore tutto diventa difficile, pesante e, spesso, inaccettabile e non c’è regola umana, che possa reggere di fronte a chi non ama e non sente nel cuore la voce di Dio, che è amore. Per questo la Liturgia ci fa pregare nella Colletta che si può usare tutti gli anni: “O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora”. 1
In effetti, nel Vangelo di oggi Cristo non offre semplicemente delle regole aggiornate, migliorate perché più complete. Dicendo: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (Mt 5, 17), Gesù afferma di voler portare a compimento la Legge e i Profeti2. Il Redentore dà pieno compimento alla legge perché, osservandola, la compie e perché, indicando l’amore come perno della legge, la completa: tutto è compiuto nell’amore.
Non dimentichiamo che tutti i comandamenti sono espressione dell’amore di Dio e sorgente dell’amore tra noi. Sono il pilastro fondamentale della vita, che costruisce il suo cammino verso il Cielo, come –per esempio- ce lo ricorda il Siracide, che insegna: “Se vuoi osservare i suoi (di Dio) comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in lui, anche tu vivrai. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. Grande infatti è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa I suoi occhi sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini. A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare” (Sir 15, 16-21 – II lettura della Messa di oggi).
E’ importante ricordare che già la Legge (la Torah consegnata a Mosè) è prima di tutto un dono che Dio ha fatto al suo popolo, con lo scopo di far conoscere la sua volontà salvifica. Un esempio di questo pensiero lo si può trovare nel lungo salmo 118 (119) in cui si cantano le lodi della Legge e che ci fa pregare cosi: “Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita, osserverò la tua parola. Aprimi gli occhi perché io consideri le meraviglie della tua legge. Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti e la seguirò sino alla fine. Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge e la osservi con tutto il cuore” (Sal 118, 17-18.34-36).
Oggi, con la nuova Legge Gesù, nuovo Mosé, ci dà dei comandi che ci insegnano a costruire la vita e il rapporto con il Signore come amore, come risposta d'amore, al suo amore infinito, l'unica vera fonte della salvezza. La salvezza viene dal Signore, viene dall’amore, non viene dall'osservanza della legge, non viene dalle nostre opere, ma da Dio. Le nostre opere e l'osservanza dei precetti ci devono essere ma nella fede e nell'amore. Nella fede, sapendo che è il Signore che ci dà ogni grazia e ogni salvezza, e noi siamo felici di vivere nell'umiltà e nella verità davanti a Dio; nell’amore che è essere appassionati e innamorati di Dio perché Lui ci ha conquistati, nell’amore che è condivisione e dono di noi stessi al prossimo, escludendo di giudicare, di sentirci migliori, di confrontarci con gli altri, di disprezzarli, di escluderli - se dipendesse in noi - dalla salvezza del Signore. Atteggiamenti tipici nei farisei e in noi, per tante forme di fariseismo che ci portiamo dentro.

2) Ma io vi dico…
Gesù, nel Vangelo di oggi, più volte ripete: “Ma Io vi dico...”, ma non lo fa per contrapporsi all’Antico Testamento, Il Signore non vuole un compimento formale della legge, che non coinvolga il cuore; sapendo bene che ciò che contamina l’uomo sono le violenze, i giudizi, gli adulteri che escono dal cuore dell’uomo, è venuto a “dare compimento” alla legge antica. Si è interamente donato, offerto alla volontà del Padre e, risuscitato dai morti, ci dona uno spirito nuovo. Non si entra nel Regno di Dio con l’osservanza meticolosa della legge, come facevano scribi e farisei: ora è possibile una “giustizia superiore”: “Siate santi, come io sono santo” (Lev 19,2).
La “giustizia di scribi e farisei” aveva, come la nostra, i limiti della propria carne, perché fondata su opere che avevano perduto il sapore della gratuità, lettera morta, senza Spirito. 
Lo dimostrano le parole di Gesù nel vangelo di oggi: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geenna” (Mt 5, 21s)). In questa parola sembra che Gesù dica parole assurde quali: “Un pensiero che sfiora appena la mente, ed è come uccidere un uomo”. Papa Francesco ha chiaramente ricordato quella forma di omicidio sottile e “facile”, che sono le maldicenze ed i rancori: “Quello che nel suo cuore odia suo fratello é un omicida. Noi siamo abituati alle chiacchiere, ai pettegolezzi. Ma quante volte le nostre comunità, anche la nostra famiglia, sono un inferno dove si gestisce questa criminalità di uccidere il fratello e la sorella con la lingua”.
Sono parole paradossali che rivelano il male che scorre nel cuore di tutti: se non siamo capaci di “pensare bene” come illudersi di poter “compiere il bene”? Quante messe e preghiere, quante buone parole e buoni consigli, sguardi umili, ma il cuore dov’è? Che ne è del nostro prossimo: il padre, la madre, i fratelli e sorelle di sangue, i vicini di casa e di lavoro, i fratelli e sorelle in comunità? Uccisi nel cuore, sepolti e dimenticati.
Non è il buon cuore ma il cuore (cioè la radice del nostro essere) che deve cambiare.
Lo scopo della legge di Dio non è altro che quello di custodire, coltivare, far fiorire l’umanità dell’uomo. Per questo -ripeto- Gesù “comanda” un unico salto di qualità: la conversione del cuore.
La conversione del cuore è vissuta dalle Vergini consacrate mediante la consacrazione e la perseveranza in un cammino in cui in ciascuna di loro (ma ciò vale anche per ciascuno di noi) Cristo sia tutto: “Siamo tutti del Signore e Cristo è tutto per noi: se desideri risanare le tue ferite, egli è medico; se sei angustiato dall’arsura della febbre, egli è fonte; se ti trovi oppresso dalla colpa, egli è giustizia; se hai bisogno di aiuto, egli è potenza; se hai paura della morte, egli è vita; se desideri il paradiso, egli è via; se rifuggi le tenebre, egli è luce; se sei in cerca di cibo, egli è nutrimento” (Sant’Ambrogio di Milano, De Virginibus, PL 16, 99).
La vocazione delle vergini è una chiamata a far fiorire a compiere in Cristo la loro umanità grazie ad una virtù angelica. A questo riguardo San Cipriano scrivendo alle vergini afferma giustamente: “Quello che noi saremo un giorno, voi già cominciate ad esserlo. Voi fin da questo secolo godete la gloria della risurrezione, passate attraverso il mondo senza contagiarvene. Finché perseverate caste e vergini, siete eguali agli angeli di Dio” (De habitu virginum, 22: PL 4, 462).
Felice è colei che fa le sue scelte di vita alla luce della legge del Signore e insistentemente implora, con la preghiera, che il Signore le dia la forza di custodire la legge nel cuore e di osservarla nella vita di ogni giorno.

1  In latino: “Deus, qui te in rectis et sincéris manére pectóribus ásseris, da nobis tua grátia tales exsístere, in quibus habitáre dignéris”

2  Per gli Ebrei la Legge con i precetti o insegnamenti del Signore e le parole dei suoi servi (i Profeti appunto) indicavano la loro Bibbia.
A complemento di informazione ricordo che la BIBBIA EBRAICA ha 39 Libri così suddivisi:
1. La Torah (Pentateuco);
2. I Profeti a) anteriori (Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele, 1-2 Re); b) posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e i 12 profeti minori);
3. Gli altri scritti: Salmi, Proverbi, Giobbe, Cantico dei Cantici, Daniele, Rut, Qoèlet, Ester, Esdra, Neemia, 1-2 Cronache, le Lamentazioni.
La BIBBIA CRISTIANA comprende 73 libri)
Antico Testamento (46 libri)
1. Il Pentateuco (corrisponde alla Torah ebraica: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio)
2. I Libri storici (Giosuè, Giudici, Rut, 1-2 Samuele, 1-2 Re, 1-2 Cronache, Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta, Ester, 1-2 Maccabei)
3. Libri sapienziali (Giobbe, Salmi, Proverbi, Qoelet, Cantico dei Cantici, Sapienza, Siracide).
4. Libri profetici
• maggiori (Isaia, Geremia, le Lamentazioni, Baruc, Ezechiele, Daniele) • minori (Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia).
Nuovo Testamento (27 libri)
1. Vangeli (Matteo, Marco, Luca, Giovanni)
2. Atti degli Apostoli
3. Lettere (Romani, 1-2 Corinti, Galati, Efesini, Filippesi, Colossesi 1-2 Tessalonicesi, 1-2 Timoteo, Tito, Filemone, Ebrei, Giacomo, 1-2 Pietro, 1-2-3 Giovanni, Giuda)
4. Apocalisse 

Lettura Patristica
Sant'Efrem, diacono
Commenti dal Diatessaron, 1, 18-19
SC 121, 52-53

La parola di Dio è sorgente inesauribile di vita

Chi è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue parole? E' molto più ciò che ci sfugge di quanto riusciamo a comprendere. Siamo proprio come gli assetati che bevono ad una fonte. La tua parola offre molti aspetti diversi, come numerose sono le prospettive di coloro che la studiano. Il Signore ha colorato la sua parola di bellezze svariate, perché coloro che la scrutano possano contemplare ciò che preferiscono. Ha nascosto nella sua parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla.
La sua parola è un albero di vita che, da ogni parte, ti porge dei frutti benedetti. Essa è come quella roccia aperta nel deserto, che divenne per ogni uomo, da ogni parte, una bevanda spirituale. Essi mangiarono, dice l'Apostolo, un cibo spirituale e bevvero una bevanda spirituale (cfr. 1 Cor 10, 2).
Colui al quale tocca una di queste ricchezze non creda che non vi sia altro nella parola di Dio oltre ciò che egli ha trovato. Si renda conto piuttosto che egli non è stato capace di scoprirvi se non una sola cosa fra molte altre. Dopo essersi arricchito della parola, non creda che questa venga da ciò impoverita. Incapace di esaurirne la ricchezza, renda grazie per la immensità di essa. Rallegrati perché sei stato saziato, ma non rattristarti per il fatto che la ricchezza della parola ti superi. Colui che ha sete è lieto di bere, ma non si rattrista perché non riesce a prosciugare la fonte. E` meglio che la fonte soddisfi la tua sete, piuttosto che la sete esaurisca la fonte. Se la tua sete è spenta senza che la fonte sia inaridita, potrai bervi di nuovo ogni volta che ne avrai bisogno. Se invece saziandoti seccassi la sorgente, la tua vittoria sarebbe la tua sciagura. Ringrazia per quanto hai ricevuto e non mormorare per ciò che resta inutilizzato. Quello che hai preso o portato via è cosa tua, ma quello che resta è ancora tua eredità. Ciò che non hai potuto ricevere subito a causa della tua debolezza, ricevilo in altri momenti con la tua perseveranza. Non avere l'impudenza di voler prendere in un sol colpo ciò che non può essere prelevato se non a più riprese, e non allontanarti da ciò che potresti ricevere solo un po' alla volta.

venerdì 3 febbraio 2017

Sale e luce

V Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 5 febbraio 2017
Rito Romano
Is 58,7-10; Sal 111; 1Cor 2,1-5; Mt 5,13-16

Rito Ambrosiano
Es 16,2-7a.13b-18|2Cor 8,7-15|Lc 9,10b-17

1) Il sale1 della terra, la luce2 del mondo è Gesù e noi con Lui.
Nel Vangelo di questa domenica Cristo dice ai suoi discepoli di sempre: “Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13 e 14). Con queste parole Gesù non ci invita a sforzarci di diventare sale e luce, ci rivela quello che siamo. Non ci dice che cosa dobbiamo fare, ci ricorda quello che siamo già: sale e luce. Certo all’essere segue l’agire e, quindi, prendendo coscienza che siamo come il sale, che conserva e dà sapore, e come la luce illumina, che dà sicurezza, riscalda, noi abbiamo il compito di donare nuovo “sapore” al mondo, e di preservarlo dalla corruzione, con la sapienza di Dio, che risplende pienamente sul volto del Figlio, perché Egli è la “luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,9).
Dicendo: “siete il sale della terra”, Gesù ci spiega che tutta la natura umana corrotta dal peccato è diventata insipida, ma per mezzo del nostro ministero di testimonianza, la grazia dello Spirito Santo rigenererà e conserverà il mondo. Per questo il Redentore ci insegna le virtù delle Beatitudini, quelle che sono le più necessarie, le più efficaci per noi che vogliamo assomigliare a Lui. Chi è mite, umile, misericordioso, giusto, non rinchiude in se stesso le buone opere che ha compiute, ma ha cura che queste sorgenti zampillino anche per il bene degli altri. Chi ha il cuore puro, chi è operatore di pace, chi soffre la persecuzione per la verità, ecco la persona che consacra la vita al bene di tutti. Se ci sciogliamo come il sale diamo sapore alla vita del mondo, costruiamo una cultura della vita ed una civiltà dell’amore.
Dicendo: “siete luce del mondo”, Cristo ci insegna che, uniti a Lui, noi possiamo diffondere in mezzo alle tenebre dell’indifferenza e dell’egoismo la luce dell’amore di Dio, vera sapienza che dona significato all’esistenza e all’agire degli uomini, A questo insegnamento sul fatto che siamo luce Gesù aggiunge subito queste parole: “Non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 15 - 16).

2) Opere di luce.
Se è vero che nella luce amica di noi cristiani gli uomini trovano Cristo, luce di vita e verità perfetta, è altrettanto vero che siamo luce non tanto con la dottrina o le parole, ma soprattutto, con le opere che la nostra luce risplende nel mondo.
Per fare ciò non dobbiamo avere particolari doti, dobbiamo “predicare” con le nostre opere. Non ci sarebbe un non credente, se noi fossimo cristiani come si deve.
San Francesco di Sales diceva: “Non parlare di Dio a chi non te lo chiede. Ma vivi in modo tale che, prima o poi, te lo chieda”.
E’ proprio così: sono le nostre opere che riaccendono la domanda e convincono. In questo modo saremo sale della terra e luce del mondo. In questo modo noi saremo dei veri missionari anche senza dire una parola. Papa Francesco insegna: “Tutti noi battezzati, siamo discepoli missionari e siamo chiamati a diventare nel mondo un vangelo vivente: con una vita santa daremo ‘sapore’ ai diversi ambienti e li difenderemo dalla corruzione, come fa il sale: e porteremo la luce di Cristo con la testimonianza di una carità genuina.”
Per chi, invece, è chiamato a predicare con la parola, si impone una legge: quella di mettere in pratica ciò che predica agli altri. È inevitabile che non venga accolta la predicazione quando questa non è seguita dall'esempio. San Giovanni Crisostomo diceva: “Gli alunni osservano la condotta dei maestri e, se vedono che anche loro sono presi dagli stessi difetti, o addirittura da peggiori, come potranno ammirare il Cristianesimo?” E aggiungeva: “Quando io cerco in te i segni per riconoscerti cristiano, trovo segni del tutto opposti. Se volessi giudicare chi sei dai luoghi che tu frequenti, dalle persone corrotte con le quali ti trovi, dalle parole che niente hanno di serio e di utile, direi che nulla mi resta per riconoscerti cristiano”. Giustamente, san Francesco di Sales si chiedeva: “Che differenza passa tra il Vangelo e la vita di un santo?”. Poi lui stesso si rispondeva: “È la stessa differenza che vi è tra una sinfonia scritta sul rigo musicale e una sinfonia eseguita”. Ed è così: nella vita di un santo, o perlomeno di un fervente cristiano, impariamo come si mette in pratica il Vangelo. Noi tutti, inoltre, dobbiamo sforzarci di essere questa “sinfonia eseguita” per tutti i fratelli che incontreremo sul nostro cammino.
Dunque siamo chiamati ad essere sale della terra e luce del mondo, compiendo le buone opere. A questo punto è normale chiedersi in che cosa consistano le buone opere, di cui parla Gesù nel Vangelo di oggi. Per buone opere non si deve pensare solamente alle opere di misericordia le quali non devono mai mancare, ma anche tutte le singole virtù. Per essere concreti, ricordo ora brevemente quelle che sono le virtù e quelli che sono i vizi capitali. Prima di tutte elenco le virtù teologali: fede, speranza e carità, e quelle cardinali: giustizia, prudenza, fortezza e temperanza. Ma non vanno trascurate le virtù che si trovano nelle Beatitudini: pazienza, purezza, umiltà, mitezza, semplicità o povertà di spirito. Vale la pena ricordare anche i vizi capitali, che sono sette: superbia, accidia, lussuria, ira, gola, invidia e avarizia. Ogni volta che ci facciamo prendere da questi vizi, diamo una contro-testimonianza e allontaniamo il nostro prossimo dalla Verità. Se, al contrario, eserciteremo le virtù e faremo le buone opere, saremo luce che illumina, sale che dà sapore.
L’importante è che non ci fermiamo alla superficie di noi stessi, ma andiamo verso la cella segreta del cuore, dove si trova una manciata di sale e una scintilla di luce. Vivendo secondo il Vangelo quella scintilla accenda la lampada e la nostra luce risplenda nelle nostre opere di bene.
E facciamo ciò con umiltà sapendo che il sale della terra, la luce del mondo è Gesù. La nostra persona sarà luce e sale se – grazie ad una vita buona - parlerà di Lui, e il meno possibile di se stessa.

3) Le Vergini consacrate nel mondo: donne di opere di luce.
In Cristo le nostre opera buone sono opere di luce. Sono le opere fatte dai poveri, dai puri, dai miti. Quando come regola di vita mettiamo in pratica il comando dell’amore, allora siamo sale e luce per quelli che incontriamo. In qualsiasi luogo dove ci si vuol bene, dove si vive la carità nella verità, là è sparso il sale che dà sapore buono alla vita. Dove c’è l’amore a Cristo e per Cristo, dove c’è una vita di comunione, là c’è la luce che sconfigge il buio, c’è una lampada che da luce ai passi di molti.
E’ l’amore il “sale della terra e la luce del mondo”. E’ l’amore che dona sapore e luce alla vita. E’ l’amore il cuore della sapienza e la via dell’annuncio del Vangelo della gioia. È l’amore che ci chiama a condividere, per essere e per testimoniare.
L’amore di Dio è paragonabile al sale e alla luce e quindi bisogna averne cura. Un esempio di come questo amore vada coltivato ci viene dalle vergini consacrate nel mondo. Sant’Agostino disse: “Innamorarsi di Dio è la storia d’amore più grande; cercarlo è l’avventura più grande; trovarlo è il massimo conseguimento umano”, condividerlo è la missione di chi a questo amore si è consacrato.
Con la loro vita consacrata e casta queste donne testimoniano in modo umile che l’amore di Cristo è parte integrante della vita e che è paragonabile al sale ed alla luce. In Cristo la loro vita è intessuta di luce: luce di fede che illumina il cuore e rischiara la mente, luce dell’amore che riscalda e feconda. Con la loro vita offerta quotidianamente sono lampade che fanno risplendere nel mondo la luce di Cristo. Queste consacrate non solo portano la lampada delle vergini prudenti, esse sono lampade accese, cioè vigilanti, che per risplendere hanno l’olio della fedeltà nell’amore e la perseveranza nel ben operare.
  Con umile coraggio queste donne hanno accettato la chiamata che Dio ha loro proposto. Nella sua onnipotenza e tenerezza, Dio le chiama ad essere sante nella verginità vissuta nel mondo. Sarebbe da stupidi vantarsi di una simile chiamata, ma è segno di responsabilità accoglierla, testimoniando che è possibile vivere una vita intessuta di luce già su questa terra.

1  Il SALE, che normalmente è usato sui cibi per renderli più saporiti ed anche per conservarli, ha questi significati simbolici soprattutto nel mondo biblico: 1. Il sale dell'alleanza e della solidarietà. Nell'Antico Oriente esisteva un patto del sale, sinonimo di alleanza inviolabile. 2. Il sale dell'amore. “Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri" (Mc 9,50)3. Il sale della vita. Nel Medio oriente si friziona con il sale il bambino appena nato per dargli vigore e vitalità (Ez. 16,4) e anche per tenere lontani dalla sua esistenza gli spiriti del male. 4. Il sale della sapienza. Anche noi per indicare una persona senza intelligenza diciamo che è “scipita”. Mettere il sale dell'intelligenza, della riflessione nelle proprie parole significa diventare persone capaci di consigliare, di sostenere, di confortare e guidare altri (Col 4,6)5. Il sale della morte. L'acqua salata non disseta, il sale versato sulla ferita, brucia, le distese di sale del Mar Morto non permettono la vita. Nell’antichità in Oriente come tra i Greci e i Romani quando si voleva considerare morta per sempre una città conquistata e rasa al suolo, si versava sale sulle sue rovine. 6. Il sale della maledizione. Nella Bibbia si parla varie volte della “maledizione del sale”: Dt 29,22; Ger 17,6. 7. Il sale della purificazione. Le vittime sacrificali erano cosparse di sale perché fossero rese pure.


2   LA LUCE, che illumina e riscalda, ha questi significati: 1. è la prima creatura che Dio desidera creare: "Sia la Luce". 2. Dio stesso è Luce: “Egli è la luce e in lui non vi sono tenebre” (1Gv 1,5)3. La Parola di Dio è luce: “La sua parola è lampada ai nostri passi”(Sal 109,105)4. Gesù stesso si proclama luce vera del mondo venuta per illuminare ogni uomo (Gv 1,5; 8,12)5. Luce fonte di vita: il mondo immerso in una perenne oscurità morirebbe, così come muore una pianta.


Lettura Patristica
San Giovanni Crisostomo
In Matth. 15, 6 s.


Il sale della terra

       "Voi siete il sale della terra" (Mt 5,13). Con tali parole egli mostra che era necessario dar loro quei grandi precetti. Dice, in sostanza, che non soltanto per la loro vita personale, ma anche per la salvezza di tutti gli uomini quell’insegnamento verrà affidato a loro. Io non vi mando - sembra dire - come un tempo furono mandati i profeti a due città, o a dieci, o a venti, o a un popolo in particolare, ma vi invio alla terra, al mare, al mondo intero, a questo mondo che vive nella corruzione. Dicendo: «Voi siete il sale della terra», fa capire che la sostanza degli uomini è stata resa insipida e corrotta dai peccati. Per questo egli esige soprattutto dai suoi apostoli quelle virtù che sono necessarie e utili per convertire molti. Quando un uomo è mansueto, umile, misericordioso e giusto, non tiene chiuse in sé simili virtù, ma fa sì che queste eccellenti sorgenti, scaturite dalla sua anima, si diffondano a vantaggio degli altri uomini. Inoltre chi ha il cuore puro, chi è pacifico, chi subisce persecuzioni a causa della verità, pone la sua vita per il bene di tutti. Non crediate, dunque - è come se dicesse Gesù -, che io vi trascini a battaglie occasionali e che sia per ragioni di poco conto che io vi «il sale della terra» . Ma perché allora? Essi hanno forse guarito ciò che era corrotto e putrefatto? No, non è questo che hanno fatto gli apostoli. Il sale non può rimediare alla putrefazione. Gli apostoli, ripeto, non hanno fatto questo. Ma quando la grazia di Dio avrà essi si dimostreranno veramente il «sale della terra», mantenendo e conservando gli uomini in questa nuova vita che hanno ricevuta da Dio. È opera di Cristo liberare gli uomini dalla corruzione del peccato, ma tocca agli apostoli, con la loro sollecitudine e con i loro sforzi, impedire ad essi di ricadere in quello stato di corruzione. Osservate come, a poco a poco, Gesù manifesta che gli apostoli sono al di sopra dei profeti. Egli non li chiama soltanto dottori della Palestina, ma maestri di «tutta la terra» e maestri severi e terribili. E ciò che è degno di ammirazione è il fatto che essi, senza adulare e senza compiacere gli uomini, ma, al contrario, comportandosi come fa il sale, si sono fatti amare da tutti. Non stupitevi, quindi, - sembra continuare Gesù, - se, tralasciando gli altri, mi rivolgo in particolare a voi e vi trascino in così grandi rischi. Considerate quante e quali sono le città, i popoli e le genti a cui sto per inviarvi. Perciò, non voglio che vi limitiate ad essere prudenti e sapienti, ma voglio che facciate anche gli altri simili a voi. Quanto devono essere saggi coloro dai quali dipende la salvezza degli altri! Occorre loro una virtù sovrabbondante, in modo da parteciparne i vantaggi anche agli altri uomini. Ebbene se voi non avrete abbastanza virtù per comunicarla anche agli altri, - sembra concludere Gesù, - non ne avrete neppure abbastanza per voi stessi.

       Non lamentatevi, quindi, quasi fosse troppo duro e difficile quanto vi chiedo. Agli altri, infatti, che si trovano nell’errore, sarà possibile la conversione per mezzo vostro. Ma se voi perderete il vostro vigore, perderete voi stessi e gli altri con voi. Quanto più sono importanti i compiti che vi vengono affidati, tanto più dovete dedicarvi agli altri con zelo.

       Per questo Gesù dice le parole seguenti: "Ma se il sale diviene insipido, con che gli si renderà il sapore? A null’altro più è buono che ad essere buttato via perché sia calpestato dagli uomini" (Mt 5,13). Quando gli altri uomini ricadranno in mille colpe, essi potranno ottenerne il perdono. Ma se il maestro stesso diventa colpevole, niente potrà scusarlo e la sua colpa sarà punita con estrema giustizia. Nel timore che gli apostoli, sentendo dire che il mondo li avrebbe coperti di ingiurie che li avrebbe perseguitati e che avrebbe detto di loro tutto ii male possibile avessero avuto paura di farsi avanti e di mettersi in mezzo a parlare alla gente, Gesù dichiarò apertamente che, se essi non erano pronti ad affrontare questo, invano li aveva scelti. Voi non dovete temere - sembra dire - di essere calunniati; dovete piuttosto temere di apparire adulatori, perché‚ allora diverreste un sale insipido, «a null’altro buono che ad essere buttato via, perché sia calpestato dagli uomini». Ma, se voi conservate tutta la vostra sapidità di fronte alla corruzione, e se allora la gente dirà male di voi, rallegratevi perché questo è l’effetto che fa il sale, che morde e punge le piaghe. Le maledizioni degli uomini vi seguiranno inevitabilmente; ma, lungi dal procurarvi del male, esse testimonieranno la vostra fermezza. Se, invece, il timore delle calunnie vi farà perdere il vigore che vi è indispensabile, allora patirete conseguenze ben peggiori e sarete coperti dalle ingiurie e dal disprezzo di tutti: questo significano le parole «calpestato dagli uomini».

       Subito dopo il Salvatore passa a un paragone ancor più elevato: "Voi siete la luce del mondo" (Mt 5,14), - egli dice. Non li chiama soltanto luce di una gente o di venti città, ma «luce del mondo», di tutta la terra, e luce intelligibile, più splendente dei raggi del sole, come anche il sale, di cui ha appena parlato, è un sale del tutto spirituale. Parla dapprima del sale, e dopo della luce, per mostrare quale vantaggio proviene da parole aspre come il sale e quale utile effetto deriva da una dottrina severa, che consolida le anime e non permette che si rilassino e si corrompano, ma le eleva e le conduce come per mano sulla strada della virtù.

       "Non può una città che sia posta sopra un monte restar nascosta; né si accende una lucerna per porla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere e così essa fa lume a quanti sono in casa" (Mt 5,14-15). Gesù Cristo stimola ancora una volta con queste parole i suoi apostoli a vigilare sulla loro condotta, avvertendoli di stare sempre sul chi vive, poiché sono esposti agli occhi di tutti gli uomini e combattono in un’arena elevata nel mezzo della terra. Non fermatevi - egli dice - a considerare dove noi ora ci troviamo seduti e che noi, qui, siamo in un piccolo angolo del mondo. Voi sarete al cospetto di tutti gli uomini, così come lo è una città posta in cima a una montagna o una lampada che splenda su un candelabro in una casa...

       "Risplenda allo stesso modo la vostra luce agli occhi degli uomini, affinché vedendo le vostre buone opere diano gloria al Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,16). Io, infatti, - sembra dire Gesù, - ho acceso la luce perché essa continui ad ardere; voi dovete essere vigilanti e pieni di zelo non solo per voi, ma anche per quelli che hanno ottenuto questa stessa legge e sono stati condotti alla verità. Le calunnie non potranno oscurare il vostro splendore, se voi vivrete con perfezione e in modo da convertire tutti gli uomini. La vostra vita sia degna della grazia e della verità che avete ricevuto: e, come questa va predicata ovunque, così anche la vostra vita vada di pari passo con essa. Ma, oltre la salvezza degli uomini, Gesù mette in risalto un altro effetto, valido a mantenerli vigilanti nel combattimento e a stimolarne tutto lo zelo. Non solo, infatti, convertirete tutto il mondo -egli aggiunge - vivendo in questo modo nuovo, ma procurerete la gloria di Dio. Se invece voi agirete diversamente, sarete colpevoli della perdizione degli uomini e del fatto che il nome di Dio sarà disonorato dai bestemmiatori.