sabato 29 giugno 2019

Cristiano è chi decide per Cristo e lo segue.

Rito romano
XIII domenica del Tempo Ordinario – Anno C - 30 giugno 2019
1 Re 19, 16.19-21; Sal 15; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62 
Tu solo hai parole di vita eterna.

Rito ambrosiano
VI Domenica di Pentecoste
Es 24,3-18; Sal 49; Eb 8,6-13a; Gv 19,30-35
«È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

1) Sequela Christi.
Sequela di Cristo” è espressione che sinteticamente descrive l’intera esistenza cristiana. Che cosa vuol dire in concreto “seguire Cristo?”.
Vuol dire che chiedendo ai suoi discepoli a seguirlo, Gesù li ha chiamati a vivere con e come lui e ad amarlo.
In che cosa consiste seguire Cristo?
Vuol dire che siamo chiamati a diventare eco dell’avvenimento di Cristo, a diventare noi stessi “avvenimento”, perché il cristianesimo, prima di essere un insieme di dottrine o una regola per la salvezza, è l’ “avvenimento” dell’ incontro con Cristo, nel quale incorporarci e con il quale aderire filialmente alla volontà del Padre.
  L’avvenimento-Cristo non è solo da comprendere riconoscendolo. Bisogna aderirvi seguendo e amare questa Presenza che diventa forma della nostra vita nella verità e nell’amore.
Se meditiamo con attenzione il Vangelo vediamo che, all’inizio, per i primi discepoli, il senso era molto semplice ed immediato: significava che queste persone avevano deciso di lasciare la loro professione, i loro affari, tutta la loro vita per andare con Gesù. Significava intraprendere una nuova professione: quella di discepolo. Il contenuto fondamentale di questa professione era l’andare con il maestro, l’affidarsi totalmente alla sua guida.
Così la sequela era una cosa esteriore e, allo stesso tempo, molto interiore.
L’aspetto esteriore era il camminare dietro Gesù nelle sue peregrinazioni attraverso la Palestina.
L’aspetto interiore era il nuovo orientamento dell’esistenza, che non aveva più i suoi punti di riferimento negli affari, nel mestiere che dava da vivere, nella volontà personale, ma che si abbandonava totalmente alla volontà di un Altro.
L’essere a disposizione del Maestro era ormai diventata la ragione di vita del discepolo. Quale rinuncia questo comportasse a ciò che era proprio, quale distogliersi da se stessi, lo possiamo riconoscere in modo assai chiaro in alcune scene dei Vangeli, comprese quelle del Vangelo di questa domenica.
Ma tutto ciò non valeva solo per i discepoli di duemila anni fa, vale per ciascuno di noi. Cosa significa per noi la sequela e quale è la sua vera essenza: si tratta di un mutamento interiore dell’esistenza che permette il nostro esodo1 interiore ed esteriore.

2) La sequela è un esodo verso l’Amore.
Il Vangelo ‘romano’ di questa domenica ci presenta il Messia che si mette in cammino verso Gerusalemme. Gesù intraprende la strada verso la Città Santa (Lc 9,51) con consapevolezza, coraggio e decisione. Ma l’espressione greca, che è stata tradotta con l’avverbio “decisamente”, dice che Cristo: “Rese di pietra il suo volto”, che rende bene l'intensità dell'amore col quale il Figlio di Dio accoglie e obbedisce alla volontà del Padre.
Gesù Cristo sa che a Gerusalemme si compirà il suo destino d’amore e che la sua missione di Redentore vi troverà la sua piena attuazione con l'arresto, il processo e la condanna a morte. Ma non ha esitazione e con cuore saldo e volontà risoluta si incammina verso la Città Santa, spinto dall'amore per il Padre e per l’umanità intera.
In questo esodo il passo del Vangelo di oggi ci parla di alcuni anonimi personaggi, che il Messia, Pellegrino d’eternità, chiama perché li ama.
Sono persone, nelle quali ognuno di noi può identificarsi. Questi “anonimi” sono affascinati da Cristo ed hanno il forte desiderio seguire Cristo più da vicino. Lui è diventato il loro centro affettivo e intuiscono che con Lui la vita non sarà più banale né tantomeno disperata: Lui trasforma l’uomo in santo, cioè in uomo vero. Allora vale davvero la pena seguirLo anche se per fare ciò devono abbandonare le loro vite nelle mani di Dio.
La sequela è sempre un esodo da se stessi come ha felicemente detto Papa Francesco: “È Cristo che vi ha chiamate a seguirlo nella vita consacrata e questo significa compiere continuamente un “esodo” da voi stesse per centrare la vostra esistenza su Cristo e sul suo Vangelo, sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri progetti, per poter dire con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Questo “esodo” da se stessi è mettersi in un cammino di adorazione e di servizio” (Papa Francesco, alle Superiore Generali, 8 maggio 2013). E questo non vale solamente per le Suore che erano in udienza dal Papa.
Tutti i cristiani devono seguire Cristo, il che implica, duemila anni fa come oggi, l’avventura personale della ricerca di Lui, dell’andare con Lui. Comporta anche l’uscire dalla chiusura dell’io, lo spezzare l’individualismo che spesso caratterizza la società del nostro tempo.
Ma perché centrare la nostra vita su Cristo? Perché lasciare tutto per seguire quest’uomo che non promette denari né terre, e parla “solamente” d’amore, di povertà e di perfezione?
Perché Lui è il solo che ha parole di vita eterna, parole che spiegano la vita. Parole che danno senso e unità ad un’esistenza che altrimenti sarebbe smarrita e frammentata.

3) Seguire il Prossimo: il Dio con noi.
Parole che rendono la nostra esistenza lieta nella verità di un amore infinito: cioè santa. La giustizia non sazia il nostro cuore. Cristo chiama a seguirLo e propone il “superamento” della giustizia non con una teoria sull’amore, ma con un’esperienza d’amore: con l’esperienza dell’Amore che si fa prossimo a noi e che vince la morte.
Il vero antidoto alla morte non è la vita (che soccombe alla morte), è l’amore. Chi nella propria vita segue Cristo, vive dell’amore di Dio, possiede già in se stesso la vita risorta di Cristo e con questa risurrezione anticipata che permea la propria vita su questa terra, va incontro alla morte e la vince: Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è lo slancio d’amore (Ct 8,6). Giovanni nella prima lettera dice: Noi sappiamo che siamo transitati da morte a vita perché amiamo i nostri fratelli (Gv 1, 14). La grazia in Cristo diventa avvenimento. La morte non è più una sconfitta. In Gesù Cristo la morte è diventata un atto di amore.
Seguire Cristo è la vita del cristiano: l’Amore è il destino del discepolo cristiano (cfr Ef 1,5). Se lo seguiamo, stiamo amorosamente accanto a Cristo che si fa a noi prossimo. Se mettiamo i nostri piedi sulle sue tracce, ci avviciniamo sicuramente e quotidianamente alla nostra unica destinazione: a Dio, fonte di quella felicità per la quale siamo fatti.
In Cristo il Prossimo (Dio, che è a noi più intimo di noi stessi: Deus intimior intimo meo, diceva Sant’Agostino) e il prossimo diventano per noi amabili. L’amore per Dio ha la dimensione parallela dell’amore per i fratelli. Dobbiamo re-imparare ad ascoltare, ad intendere la Parola, di cui ogni uomo è portatore.
In Cristo il desiderio di infinito, il desiderio di essere Dio si realizza perché, seguendo Gesù Via e Verità, imitiamo la Sua santità. Il discepolo di Cristo non ricusa di essere simile Dio, di essere con Dio: “Dii estis” (=siete Dei, ricorda san Paolo, “Soyons des Dieux – commentava Bossuet - soyons des Dieux, le Christ le permet pour l'imitation de sa sainteté”). Il discepolo lo è nell’obbedienza al Salvatore, nell’abbandono al Padre.
Decenni fa si parlava del principio-speranza2, io preferisco parlare del principio-misericordia. In nome di questo principio noi, Chiesa-Popolo di Dio, siamo chiamati ad offrire l’amore di Cristo a tutti, annunciando loro le sue parole e le sue opere, la sua prossimità e la sua cura delle ferite spirituali e materiali dell’umanità. La dedizione di Cristo al Padre e alla nostra povera umanità, fino al dono sacrificale della sua esistenza rivela a noi e, tramite noi, al mondo chi è Dio: Amore che eternamente si dona, Amore che, con assoluta gratuità, si dedica alla creazione ferita e lacerata dal peccato.

4) Seguire è imitare.
La sequela è non solo immedesimazione, ma è anche imitazione, soprattutto con la verginità. Gli apostoli e gli altri chiamati da Gesù nel vangelo di oggi non hanno aderito ad una organizzazione, ma sono entrati in comunione con il Signore che li invitava ad andare dietro a Lui. L’hanno imitato con verità e amore ed il loro cuore è cambiato, è stato convertito da cuore di pietra a cuore di carne (cfr Ez 36,28). La sequela fu per loro, e deve esserlo per noi, un ascolto denso di vita e un’immedesimazione con Cristo, facendoci suoi discepoli.
Qui è importante ricordare che il matrimonio cristiano e la verginità consacrata non sono due modi “opposti” di vivere nella Chiesa, la condizione di discepoli. Questi due modi, tuttavia, coincidono nell’essere, ciascuno dei due, simbolo compiuto delle nozze di Cristo con la Chiesa, perché tutti siamo chiamati alla carità perfetta.
Certo per quanto riguarda la verginità è importante ricordare, per esempio quanto Sant’Agostino d’Ippona insegna: “Seguite l'Agnello, perché la carne dell'Agnello è anch'essa vergine... voi avete ben ragione di seguirlo, con la verginità del cuore e della carne, dovunque vada. Che cos'è infatti seguire se non imitare? perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, come dice san Pietro apostolo, "affinché seguiamo le sue orme" (1 Pt 2, 21)”. La carità verso Cristo non poteva contentarsi di semplici vincoli di affetto con lui: essa aveva assoluto bisogno di manifestarsi con l'imitazione delle sue virtù e, in modo speciale, con la conformità alla sua vita tutta consacrata al bene e alla salvezza del genere umano.
Come fedeli discepole, le vergini consacrate seguono Cristo con amore indiviso e, oltre ad essere realmente “virgines consacratae” sono pure “sponsae Christi” in virtù di un’unzione dello Spirito: “Lo Spirito consolatore [...] oggi mediante il nostro ministero vi consacra con una nuova unzione spirituale” (Rituale della Consacrazione delle Vergini, 29); analogamente nella benedizione di congedo si afferma: “Lo Spirito santo [...] oggi ha consacrato i vostri cuori” (Ibid. 56).
Per le vergini consacrate l'amore senza riserve a Cristo si fa sequela senza condizioni e comporta una speciale assimilazione allo Sposo che richiede implicitamente l'osservanza dei consigli evangelici, per custodire integra la fedeltà a Lui. Un'essenziale «regola di vita» definisce l'impegno che ciascuna delle vergini consacrate assume col consenso del Vescovo, sia a livello spirituale che esistenziale. A questo riguardo il Papa raccomanda loro: Fate in modo che la vostra persona irradi sempre la dignità dell'essere sposa di Cristo ed esprima la novità dell'esistenza cristiana e l'attesa serena della vita futura”.
1     Esodo da odòs strada, ex = da, quindi è un uscita da un luogo d’esilio per una terra di libertà. Gli Ebrei ebbero il loro esodo dall’Egitto verso la Terra promessa. Il Figlio di Dio, disceso dal Cielo per salvarci, dalla terra è ritornato alla Casa del Padre camminando verso Gerusalemme, dove lo attendeva l’altare della Croce.
2     Nel 1964 Jürgen Moltmann scrisse “La Teologia della Speranza”, opera che entrò in dialogo con le filosofie della Speranza, soprattutto con il pensiero di Ernst Bloch, autore di “Il Principio Speranza” (1954-1959).


Lettura patristica
San Giovanni Crisostomo
Seguire Cristo (In Matth. 55, 1)


Nel Vangelo di Giovanni si legge: "Se il chicco di grano cadendo in terra non
muore, resta solo; ma se muore dà grande frutto" (Gv 12,24). Qui, trattando con
maggior ricchezza di argomenti questa verità, Gesú aggiunge che non solo lui
stesso deve morire, ma che pure i suoi discepoli debbono essere pronti a patire
e a morire. Vi sono - egli fa capire - talmente tanti vantaggi in queste
passeggere sofferenze che sarebbe un danno e una disgrazia per voi il non voler
morire; mentre sarebbe un bene e una grazia se foste disposti al supremo
sacrificio. Ma ciò è reso manifesto con evidenza dalle parole che seguono: per
ora Cristo tratta solo una parte di tale verità. Notate come non mette
costrizioni nelle sue parole. Non dice, ad esempio: Sia che lo vogliate, sia che
non lo vogliate, è necessario che affrontiate gravi sofferenze. Dice soltanto:
"Chi vuol venire dietro a me..." (Mt 16,24), cioè: Io non costringo né obbligo
alcuno a seguirmi, ma lascio ciascuno padrone della propria scelta; perciò dico
"chi vuole". Io infatti vi invito ai beni, non vi chiamo ai mali e alle pene, né
al castigo e al supplizio, perché io debba costringervi. La stessa natura di
questo bene ha forza sufficiente per trascinarvi. Parlando in tal modo il
Signore li attira ancor piú fortemente. Chi usa violenza, invece, chi costringe
con la forza, finisce spesso con l`allontanare. Al contrario, chi lascia alla
volontà dell`ascoltatore la libertà di accettare o di respingere una cosa,
l`attira a sé piú sicuramente. Il rispetto e l`ossequio della libertà è piú
forte della violenza. Ecco perché Gesú dice qui: "Chi vuole". I beni che offro -
egli fa intendere - sono cosí grandi ed eccezionali, che dovreste correre
spontaneamente verso di essi. Se qualcuno vi offrisse dell`oro e vi mettesse
davanti un tesoro, non userebbe certo violenza nel proporvi di accettarlo.
Ebbene, se andiamo verso quei doni senza esser spinti da nessuna costrizione,
tanto piú spontaneamente dovremmo correre ai beni del cielo. Se, da sola, la
natura di questi beni non vi convince ad accorrere per ottenerli, vuol dire che
siete indegni di riceverli: e qualora li riceviate ugualmente, non sarete in
grado di apprezzarne a fondo il valore. Ecco perché Cristo non costringe, ma con
indulgenza ci esorta. Siccome Gesú nota che i discepoli sussurrano tra di loro,
sono turbati per le sue parole, aggiunge: Non occorre agitarsi cosí. Se non
siete convinti che quanto vi propongo, qualora si compia non solo in me, ma
anche in voi, sia causa di infiniti beni, io non vi forzo, né vi costringo, ma
chiamo soltanto chi vuol seguirmi. E non crediate che "seguirmi" significhi ciò
che voi avete fatto sinora, accompagnandomi nelle mie peregrinazioni. E`
necessario che voi sopportiate molte fatiche, innumerevoli pericoli, se volete
davvero venire dietro a me. Tu, o Pietro, che mi hai riconosciuto Figlio di Dio,
non devi certo pretendere di ottenere la corona soltanto perché hai fatto questa
professione di fede, né devi credere che essa sia sufficiente per assicurarti la
salvezza, e che tu puoi vivere d`ora in avanti tranquillamente come se già
avessi compiuto tutto. Io potrei sicuramente, in quanto sono Figlio di Dio,
esimerti dal subire sciagure e prevenire tutti i pericoli cui sarai esposto, ma
non voglio farlo nel tuo stesso interesse, perché tu possa portare qualcosa di
tuo, contribuendo alla tua salvezza e procurandoti cosí maggior gloria. Se
qualcuno di coloro che presiedono ai giochi olimpici ha un amico atleta, non
vorrà certo proclamarlo vincitore solo per pura grazia e amicizia, ma piuttosto
per i suoi sforzi personali: e proprio per questo motivo si comporterà cosí, in
quanto è suo amico e gli vuol bene. Nello stesso modo agisce Cristo: quanto piú
ama un`anima, tanto piú vuole che essa contribuisca con le sue forze alla
propria gloria e non solo che l`ottenga grazie al suo aiuto.

venerdì 21 giugno 2019

Il Corpo di Cristo: Pane di Vita, Pane angelico per gli uomini.

Festa del Corpo e Sangue di Cristo – Anno C - 23 giugno 2019

Rito romano
Gn 14, 18-20; Sal 109; 1 Cor 11, 23-26; Lc 9, 11-17

Rito ambrosiano
II Domenica di Pentecoste
Sir 18,1-12; Sal 135; Rm 8,18-25; Mt 6,25-33

1) Il corpo di Cristo, offerto per noi
A Natale il Verbo si è fatto carne, oggi celebriamo il fatto che la “carne diventa Verbo” (H.U. von Balthasar).
Non servirebbe a nulla che il Verbo si faccia spirito. Donarsi veramente a noi Lui lo può fare solamente come carne. Ciò che Dio ha da dirci, ce lo dice corporalmente, con sua carne e con il suo sangue. Questa carne e questo sangue sono davvero una comunicazione, una parola, un regalo, una consegna di qualità del tutto speciale perché divina. Quando riceviamo l’Eucaristia, spenso non pensiamo che alla carne e al sangue e dimentichiamo che “il Verbo si è fatto carne”. Dimentichiamo che ciò che riceviamo è la Parola di Dio indirizzata a noi. Parola carica di signficato, carica di una presenza, Parola fatta carne per donarsi a noi completamente
Dire “ti amo” è facile a dirsi, ma difficile a dimostrarsi. Poiché sono i fatti che dimostrano le parole, questi fatti devono essere corporei. E questo vale anche nell’amore tra persone umane, dove la parola deve diventare carne per compiere la sua verità: “Non c’è amore più grande che dare la vita per l’amico”. E il Verbo si è fatto carne per donare la vita perché noi avessimo la Vita. “In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6, 53-58).
La sua incarnazione ha reso possibile l’offerta completa della sua vita, per la salvezza di noi, che mangiano il suo corpo, beviamo il suo sangue, diventando Colui che mangiamo e dimorando in Lui.
Mi si permetta, dunque, di parlare di due Natali di Cristo. Nel primo, a Betlemme (che vuol dire Casa del Pane) Gesù nacque alla vita terrena, fu avvolto in fasce e fu messo in una mangiatoia, come per indicare che anche lui sarà mangiato. Nel secondo Natale, a Gerusalemme (che vuol dire Città di Pace), Gesù con il sacrificio della Croce nacque alla vita celeste. Il suo Corpo nudo fu “totalmente rivestito di Spirito Santo” (S. Giovanni Crisostomo, Omelia VI, PG 46, 753) e donato come pane di vita eterna per tutti. Il Cenacolo con il primo, santo convito e la Croce con il divino sacrifico sono offerti come luogo di misericordia per trovare grazia, perdono e aiuto.
Nell’anno C, le letture della Messa della Festa del Corpo e Sangue del Signore mettono in evidenza il dono, l’offerta. 

Infatti, nel brano della Genesi (prima lettura) ci propone il re di pace, Melchisedek, che non fa cose strampalate o appariscenti, ma che offre semplicemente pane e vino, con una benedizione (rendimento di grazie, lode).
San
Paolo, nella seconda lettura presa dalla sua prima lettera ai Corinti, trasmette ciò che a sua volta ha ricevuto in dono. L’Evangelista San Luca nel presentare la moltiplicazione dei pani (cfr terza lettura) mette sulla bocca di Gesù le seguenti parole: “Date voi stessi da mangiare”. I discepoli risposero “non abbiamo che cinque pani...”, poi obbedendo (=dando ascolto) al Messia fanno sedere per gruppi la gente e così offrono a Gesù l’occasione di fare il miracolo della moltiplicazione dei pani. Il Vangelo di questa domenica, sembra, a prima vista, discostarsi dal tema dell'eucaristia. Esso ci rimanda, infatti, al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, episodio notissimo ma che, sembra esser lontano da quell'ultima cena di Pasqua, consumata da Gesù a Gerusalemme. In realtà, anche il racconto di Luca parla, a suo modo, di una cena, un banchetto improvvisato, in una zona deserta, per commensali abbastanza inusuali. Gli oltre cinquemila presenti, grazie al gesto di obbediente carità degli apostoli ricevettero del pane per continuare a vivere una vita che finisce. Con l’Eucaristia, il Pane di Vita, noi riceviamo in dono un alimento miracoloso per la vita eterna.
Con questo stupendo dono dell’Eucaristia, che è frutto della passione e morte di Cristo, il nostro cuore, affamato di eterno, è saziato da Gesù, che per noi si è “fatto” pane vivo e manna celeste. In effetti il frumento seminato nella terra serve per produrre pane di terra, che permette di vivere ma non impedisce di morire. Con l’essere innalzato sulla Croce, il Salvatore è seminato nel cielo, si “fa” pane di cielo, eterno, “Pane angelico fatto Pane per gli uomini”, pellegrini dell’eterno che questo Pane ritempra nelle forze di bene e nella fedeltà di Dio. Con la Comunione noi siamo veramente in Dio e Dio è veramente in noi.
2) La partecipazione all’offerta eucaristica.
L’offerta di Gesù immolato si è trasformata in vita per noi. Come possiamo parteciparvi?
S. Giovanni Crisostomo fece una domanda simile e una volta durante la predica chiese: “Come potremmo fare noi dei nostri corpi un’ostia?”. E lui stesso rispose: “I vostri occhi non guardino nulla di cattivo, e avrete offerto un sacrificio; la vostra lingua non preferisca parole sconvenienti, e avrete fatto un’offerta; la vostra mano non commetta peccato, e avrete compiuto un olocausto”. All’offerta del corpo e del sangue del Signore che facciamo sull’altare, si accompagni il sacrificio della nostra esistenza. Ogni giorno, attingiamo dal Corpo e Sangue del Signore quell’amore libero e puro che ci rende degni ministri (dalla parola latina minister = minus quam alter = inferiore = servitore) del Cristo e testimoni della sua gioia.
Nell’Eucaristia il Salvatore viene a noi non tanto per premiare la nostra virtù, quanto per comunicarci la forza di diventare santi, cioè persone guidate dal suo amore sapiente e che hanno Lui come Ospite costante nel nostro cuore. Siamo santi non se compiamo gesta straordinarie, ma se siamo uniti a Cristo, se facciamo nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, se modelliamo la nostra vita sulla sua. Più faremo la Comunione, più saremo in comunione con Dio e con i nostri fratelli e sorelle. Lasciamoci guidare da questo amore divino, in modo tale che l’ “Amen”, che diciamo quando riceviamo l’Ostia consacrata, sia non solo affermato con la bocca, ma sentito con il cuore.
Il pane eucaristico è frutto del dono di sé di Cristo, frutto della sua passione e morte, frutto del suo amore “eccessivo”. Non ci resta che adorarLo e ringraziarLo di averci ancorato all’eternità come fratelli suoi, di averci messo nelle mani del Padre come figli nel Figlio, di aver fatto “rivivere” la nostra carne nella sua carne. “La partecipazione all’Eucaristia, sacramento della Nuova Alleanza, è il vertice dell’assimilazione a Cristo, fonte di vita eterna e forza del dono totale di sé” (B. Giovanii Paolo II, Veritatis splendor, .21).

3) Processione e adorazione.
Se nel Giovedì Santo viene messo in evidenza lo stretto rapporto che esiste tra l’Ultima Cena e il mistero della morte di Gesù in croce. Oggi, festa del Corpus Domini, con la processione e l’adorazione comunitaria dell’Eucaristia si attira l’attenzione sul fatto che Cristo si è immolato per l’intera umanità.
Lui è il Dio con noi, l'Emmanuele, e noi siamo invitati a portarlo nel mondo: oggi con la processione, ogni giorno con la testimonianza dei passi del cuore, che ha stabilità nel suo amore.
Il suo passaggio con noi e per (par - by) noi fra le case e per le strade del nostro mondo sia per (pour – for) noi un’offerta di gioia, di vita immortale, di pace e di amore.
Il fatto di mostrare per le strade del mondo Gesù sotto il segno sacramentale del Pane consacrato diventa anche educazione a scorgerlo sotto il segno di ogni nostro fratello, sotto il segno di tutti gli avvenimenti della nostra vita. Il portare questo Vangelo eucaristico nel mondo, fa in modo che portiamo questa divina Presenza agli uomini ed alle donne di tutti tempi, portando loro la benedizione grande e divina: Gesù Cristo in persona.
E’ l’Amore che ci raduna, ci invita a camminare seguendo Cristo con i passi del cuore, ci chiama ad adorarlo. Dall'abisso del nostro essere fragile creature non possiamo che adorare. “Di fatto l'adorazione non è che il sentimento del nostro nulla, ma non un sentimento che avvilisce, non un sentimento che ci umilia: è un sentimento di umiltà, ma non di umiliazione, perché l'anima esperimenta il suo nulla nella misura che si fa presente dinanzi all'assoluta grandezza” (Divo Barsotti). Dall'adorazione nascono la familiarità e la fiducia, perché l'adorazione eucaristica è l’adorazione di Dio di amore immenso, di grazia infinita e di misericordia senza limiti.
E’ un’adorazione che fa vivere una vera e completa adesione a Cristo, quale è espressa dalle Vergini consacrate che con il dono totale di sé sono entrate in rapporto di particolare intimità e di unione con Cristo, fino a fare di Lui il centro dell’esistenza, come la Madonna che fu la prima Vergine Consacrata cristiana e che fu la personificazione stessa di questa adorazione di Gesù.
C’è un profondo rapporto tra la verginità e l’adorazione: entrambe sono pervase dall’unica, appassionata brama di vedere l’Amato faccia a faccia, poterlo finalmente stringere tra le braccia, raggiungere l’unione a lungo sospirata. Come la verginità anche l’adorazione sembra che non abbia uno scopo “pratico”, ma “almeno” è un modo per manifestare che il Signore è tutto e vale la pena dare se stessi e spendere il tempo solamente per lui. Il proprio corpo e cuore consacrati a Dio nella verginità, il tempo trascorso in adorazione davanti a Gesù non toglie nulla alla nostra vita ed al nostro lavoro. Ci radica intimamente in Dio e ci avvicina profondamente gli uni gli altri, intensifica il nostro amore reciproco, rende la presenza di Cristo più viva, più reale: qualcosa o, meglio, qualcuno che veramente ci unisce.


LETTURA PATRISTICA
San Giovanni Crisostomo,
Sull’Eucarestia

Vuoi onorare il corpo di Cristo?
Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi.
Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo tra- scuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: "Questo è il mio corpo", confermando il fatto con la parola, ha detto anche: "Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare" e "ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli fra questi, non l'avete fatto neppure a me".
Il corpo di Cristo che sta sull'altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura.
Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l'onore più gradito, che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare, è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi.
Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d'oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero?
Prima sazia l'affamato, e solo in seguito orna l'altare con quello che rimane.
Gli offrirai un calice d'oro e non gli darai in bicchiere d'acqua? che bisogno c'è di adornare con veli d'oro il suo altare, se poi non gli offri il vestito necessario? che guadagno ne ricava egli?
Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d'oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe, o piuttosto non s'infurierebbe contro di te? e se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, e, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe for- se di essere beffeggiato e insultato in modo atroce?
Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bi- sognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell'edificio sacro.
Attacchi catene d'argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere.
Dico questo non per vietarvi di procurare tali addobbi e arredi sacri, ma per esortarvi a offrire, insieme a questi, anche il necessario aiuto ai poveri, o, meglio, perché questo sia fatto prima di quello.
Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò, mentre adorni l'ambiente per il culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre.
Questo è il tempio vivo più prezioso di quello.
San Giovanni Crisostomo






Come Lettura (quasi) patristica da meditare propongo la Sequenza scritta da san Tommaso d’Aquino e che si legge oggi nella liturgia della Santa Messa. E’ un magnifico componimento che ci immette nei contenuti teologici dell’Eucaristia in modo chiaro e profondo. Ne presento quelli che sono, secondo me da sottolineare, più sotto propongo il testo latino integrale con la traduzione letterale.
"Questa è la festa solenne nella quale celebriamo la prima sacra cena. È il banchetto del nuovo Re, nuova Pasqua, nuova legge; e l'antico è giunto a termine. Cede al nuovo il rito antico, la realtà disperde l'ombra: luce, non più tenebra. Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo. Obbedienti al suo comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza. È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino. Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi. Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in ciascuna specie. Chi ne mangia non lo spezza, né separa, né divide: intatto lo riceve. Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato. Vanno i buoni, vanno gli empi; ma diversa ne è la sorte: vita o morte provoca. Vita ai buoni, morte agli empi: nella stessa comunione ben diverso è l'esito! Quando spezzi il sacramento non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni parte, quanto nell'intero. È diviso solo il segno non si tocca la sostanza; nulla è diminuito della sua persona".



Etimologia di eucaristia e brevissima storia dell’origine della festa del Corpo e del Sangue di Cristo.

- Eὖ" "èu" è un avverbio, e significa "bene", in tutte le sue accezioni, mentre "χάρις" "chàris" significa "grazia, dono".
Il verbo greco "εὐχαριστέω" "eucharistèo" significa "ringraziare", ma di fatto l'espressione "εὐχάριστια" può essere intesa sia come "ringraziamento" nei confronti di Gesù per il suo sacrificio e la salvezza del genere umano, sia come "buona carità", nel senso dell'atto vero e proprio del Cristo nel subire la morte per la salvezza del genere umano.

- La festa del Corpus Domini ha le sue origini dal miracolo di Bolsena (cittadina sul lago omonimo in provincia di Viterbo - Italia). Un sacerdote boemo, di passaggio, nel 1263, andò a celebrare la Messa nella Chiesa di Santa Cristina, tormentato dai dubbi intorno alla reale presenza del Corpo del Signore, nell'ostia consacrata. Al momento della frazione dell'ostia, sotto il suo sguardo esterrefatto, caddero dal calice gocce di sangue sul corporale e sul pavimento. Fu subito informato il Papa, Urbano IV, che risiedeva ad Orvieto, il quale fece esaminare il prodigio da illustri teologi del tempo quali S. Tommaso d'Aquino e S. Bonaventura da Bagnoregio. Accertato il miracolo, il Papa istituì la festa del Corpus Domini, da celebrarsi ogni anno in tutto il mondo cristiano.


Sequentia
Lauda, Sion Salvatórem,
lauda ducem et pastórem
in hymnis et cánticis.
Quantum potes, tantum aude:
quia maior omni laude,
nec laudáre súfficis.
Laudis thema speciális,
panis vivus et vitális
hódie propónitur.
Quem in sacræ mensa cenæ,
turbæ fratrum duodénæ
datum non ambígitur.
Sit laus plena, sit sonóra,
sit iucúnda, sit decóra
mentis iubilátio.
Dies enim solémnis ágitur,
in qua mensæ prima recólitur
huius institútio.
In hac mensa novi Regis,
novum Pascha novæ legis
Phase vetus términat.
Vetustátem nóvitas,
umbram fugat véritas,
noctem lux elíminat.
Quod in cena Christus gessit,
faciéndum hoc expréssit
in sui memóriam.
Docti sacris institútis,
panem, vinum, in salútis
consecrámus hóstiam.
Dogma datur Christiánis,
quod in carnem transit panis,
et vinum in sánguinem.
Quod non capis, quod non vides,
animósa firmat fides,
præter rerum órdinem.
Sub divérsis speciébus,
signis tantum, et non rebus,
latent res exímiæ.
Caro cibus, sanguis potus:
manet tamen Christus totus,
sub utráque spécie.
A suménte non concísus,
non confráctus, non divísus:
ínteger accípitur.
Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
nec sumptus consúmitur.
Sumunt boni, sumunt mali:
sorte tamen inæquáli,
vitæ vel intéritus.
Mors est malis, vita bonis:
vide paris sumptiónis
quam sit dispar éxitus.
Fracto demum sacraménto,
ne vacílles, sed memento,
tantum esse sub fragménto,
quantum toto tégitur.
Nulla rei fit scissúra:
signi tantum fit fractúra:
qua nec status nec statúra
signáti minúitur.
Ecce panis Angelórum,
factus cibus viatórum:
vere panis fíliórum,
non mitténdus cánibus.
In figúris præsignátur,
cum Isaac immolátur:
agnus paschæ deputátur:
datur manna pátribus.
Bone Pastor, panis vere,
Iesu, nostri miserére:
tu nos pasce, nos tuére:
tu nos bona fac vidére
in terra vivéntium.
Tu, qui cuncta scis et vales:
qui nos pascis hic mortales:
tuos ibi commensáles,
coherédes et sodales
fac sanctórum cívium. Amen.
Allelúia.
Traduzione letterale
Loda o Sion il Salvatore,
loda la Guida e il Pastore
in inni e cantici.
Quanto puoi tanto ardisci:
perché (Egli è) superiore ad ogni lode,
e (tu) non basti a lodarlo.
Come tema di lode speciale,
il Pane vivo e datore di vita
viene oggi proposto,
il quale, alla mensa della sacra cena,
alla schiera dei dodici fratelli,
non si dubita dato.
La lode sia piena, sia risonante,
sia lieto, sia appropriato
il giubilo della mente,
poiché si celebra il giorno solenne,
nel quale di questa mensa si ricorda
la prima istituzione.
In questa mensa del nuovo Re,
la nuova Pasqua della nuova legge
pone fine al vecchio tempo.
La novità (allontana) la vetustà,
la verità allontana l'ombra,
la luce elimina la notte.
Ciò che Cristo fece durante la cena
comandò da farsi
in suo ricordo.
Ammaestrati coi sacri insegnamenti,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salute.
Ai cristiani vien dato come dogma
che il pane si cambia in carne,
e il vino in sangue.
Ciò che non comprendi, ciò che non vedi,
ardita assicura la fede,
contro l’ordine delle cose.
Sotto specie diverse,
(che sono) solamente segni e non cose,
si nascondono cose sublimi.
La carne (è) cibo, il sangue bevanda:
eppure Cristo resta intero
sotto ciascuna specie.
Da colui che (lo) assume, non spezzato,
non rotto, non diviso:
(ma) intero è ricevuto.
(Lo) riceve uno, (lo) ricevono mille:
quanto questi tanto quello;
né ricevuto si consuma.
(Lo) ricevono i buoni, (lo) ricevono i malvagi,
ma con ineguale sorte:
di vita o di morte.
È morte per i malvagi, vita per i buoni:
vedi di pari assunzione
quanto sia diverso l’effetto.
Spezzato finalmente il Sacramento,
non tentennare, ma ricorda
che tanto c’è sotto un frammento
quanto si nasconde nell’intero.
Nessuna scissura si fa della sostanza;
si fa rottura solo del segno:
per cui né lo stato né la dimensione
del Segnato è sminuita.
Ecco il pane degli angeli
fatto cibo dei viandanti:
vero pane dei figli
da non gettare ai cani.
Nelle figure è preannunciato,
con Isacco è immolato,
quale Agnello pasquale è designato,
è dato qual manna ai padri.
Buon pastore, pane vero,
o Gesù, abbi pietà di noi:
Tu nutrici, proteggici,
Tu fa' che noi vediamo le cose buone
nella terra dei viventi.
Tu, che tutto sai e puoi,
che qui pasci noi mortali:
facci lassù Tuoi commensali,
coeredi e compagni
dei santi cittadini. Amen.
Alleluia.



Traduzione liturgica italiana

Sion, loda il Salvatore,
la tua guida, il tuo pastore,
con inni e cantici.
Impegna tutto il tuo fervore:
egli supera ogni lode,
non vi è canto che sia degno.
Pane vivo, che dà vita:
questo è tema del tuo canto,
oggetto della lode.
Veramente fu donato
agli apostoli riuniti
in fraterna e sacra cena.
Lode piena e risonante,
gioia nobile e serena
sgorghi oggi dallo spirito.
Questa è la festa solenne
nella quale celebriamo
la prima sacra cena.
È il banchetto del nuovo Re,
nuova Pasqua, nuova legge;
e l'antico è giunto a termine.
Cede al nuovo il rito antico,
la realtà disperde l'ombra:
luce, non più tenebra.
Cristo lascia in sua memoria
ciò che ha fatto nella cena:
noi lo rinnoviamo.
Obbedienti al suo comando,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salvezza.
È certezza a noi cristiani:
si trasforma il pane in carne,
si fa sangue il vino.
Tu non vedi, non comprendi,
ma la fede ti conferma,
oltre la natura.
È un segno ciò che appare:
nasconde nel mistero
realtà sublimi.
Mangi carne, bevi sangue:
ma rimane Cristo intero
in ciascuna specie.
Chi lo mangia non lo spezza,
né separa, né divide:
intatto lo riceve.
Siano uno, siano mille,
ugualmente lo ricevono:
mai è consumato.
Vanno i buoni, vanno gli empi;
ma diversa ne è la sorte:
vita o morte provoca.
Vita ai buoni, morte agli empi:
nella stessa comunione
ben diverso è l'esito!
Quando spezzi il sacramento,
non temere, ma ricorda:
Cristo è tanto in ogni parte,
quanto nell'intero.
È diviso solo il segno,
non si tocca la sostanza;
nulla è diminuito
della sua persona.
Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev'essere gettato.
Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell'agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri.
Buon Pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi;
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo,
nella gioia dei tuoi santi.
Amen.