Festa
del Corpo e Sangue di Cristo – Anno C - 23 giugno 2019
Rito
romano
Gn
14, 18-20; Sal 109; 1 Cor 11, 23-26; Lc 9, 11-17
Rito
ambrosiano
II
Domenica di Pentecoste
Sir
18,1-12; Sal 135; Rm 8,18-25; Mt 6,25-33
1)
Il corpo di Cristo, offerto per noi
A
Natale il Verbo si è fatto carne, oggi celebriamo il fatto che la
“carne diventa Verbo” (H.U. von Balthasar).
Non servirebbe a nulla che il Verbo si faccia spirito. Donarsi
veramente a noi Lui lo può fare solamente come carne. Ciò che Dio
ha da dirci, ce lo dice corporalmente, con sua carne e con il suo
sangue. Questa carne e questo sangue sono davvero una comunicazione,
una parola, un regalo, una consegna di qualità del tutto speciale
perché divina. Quando riceviamo l’Eucaristia, spenso non pensiamo
che alla carne e al sangue e dimentichiamo che “il Verbo si è
fatto carne”. Dimentichiamo che ciò che riceviamo è la Parola di
Dio indirizzata a noi. Parola carica di signficato, carica di una
presenza, Parola fatta carne per donarsi a noi completamente
Dire
“ti amo” è facile a dirsi, ma difficile a dimostrarsi. Poiché
sono i fatti che dimostrano le parole, questi fatti devono essere
corporei. E questo vale anche nell’amore tra persone umane, dove
la parola deve diventare carne per compiere la sua verità: “Non
c’è amore più grande che dare la vita per l’amico”. E il
Verbo si è fatto carne per donare la vita perché noi avessimo la
Vita. “In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne
del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi
la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita
eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia
carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il
Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così
anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane
disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e
morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,
53-58).
La
sua incarnazione ha reso possibile l’offerta completa della sua
vita, per la salvezza di noi, che mangiano il suo corpo, beviamo il
suo sangue, diventando Colui che mangiamo e dimorando in Lui.
Mi
si permetta, dunque, di parlare di due Natali di Cristo. Nel primo, a
Betlemme (che vuol dire Casa del Pane) Gesù nacque alla vita
terrena, fu avvolto in fasce e fu messo in una mangiatoia, come per
indicare che anche lui sarà mangiato. Nel secondo Natale, a
Gerusalemme (che vuol dire Città di Pace), Gesù con il sacrificio
della Croce nacque alla vita celeste. Il suo Corpo nudo fu
“totalmente rivestito di Spirito Santo” (S. Giovanni Crisostomo,
Omelia VI, PG 46, 753) e donato come pane di vita eterna per tutti.
Il Cenacolo con il primo, santo convito e la Croce con il divino
sacrifico sono offerti come luogo di misericordia per trovare grazia,
perdono e aiuto.
Nell’anno
C, le letture della Messa della Festa del Corpo e Sangue del Signore
mettono in evidenza il dono, l’offerta.
Infatti,
nel brano della Genesi (prima lettura) ci propone il re di pace,
Melchisedek, che non fa cose strampalate o appariscenti, ma che offre
semplicemente pane e vino, con una benedizione (rendimento di grazie,
lode).
San
Paolo, nella seconda lettura presa dalla sua prima
lettera ai Corinti, trasmette ciò che a sua volta ha ricevuto in
dono. L’Evangelista San Luca nel presentare la moltiplicazione dei
pani (cfr terza lettura) mette sulla bocca di Gesù le seguenti
parole: “Date voi stessi da mangiare”. I discepoli risposero “non
abbiamo che cinque pani...”, poi obbedendo (=dando ascolto) al
Messia fanno sedere per gruppi la gente e così offrono a Gesù
l’occasione di fare il miracolo della moltiplicazione dei pani. Il
Vangelo di questa domenica, sembra, a prima vista, discostarsi dal
tema dell'eucaristia. Esso ci rimanda, infatti, al miracolo della
moltiplicazione dei pani e dei pesci, episodio notissimo ma che,
sembra esser lontano da quell'ultima cena di Pasqua, consumata da
Gesù a Gerusalemme. In realtà, anche il racconto di Luca parla, a
suo modo, di una cena, un banchetto improvvisato, in una zona
deserta, per commensali abbastanza inusuali. Gli oltre cinquemila
presenti, grazie al gesto di obbediente carità degli apostoli
ricevettero del pane per continuare a vivere una vita che finisce.
Con l’Eucaristia, il Pane di Vita, noi riceviamo in dono un
alimento miracoloso per la vita eterna.
Con
questo stupendo dono dell’Eucaristia, che è frutto della passione
e morte di Cristo, il nostro cuore, affamato di eterno, è saziato da
Gesù, che per noi si è “fatto” pane vivo e manna celeste. In
effetti il frumento seminato nella terra serve per produrre pane di
terra, che permette di vivere ma non impedisce di morire. Con
l’essere innalzato sulla Croce, il Salvatore è seminato nel cielo,
si “fa” pane di cielo, eterno, “Pane angelico fatto Pane per
gli uomini”, pellegrini dell’eterno che questo Pane ritempra
nelle forze di bene e nella fedeltà di Dio. Con la Comunione noi
siamo veramente in Dio e Dio è veramente in noi.
2)
La partecipazione all’offerta eucaristica.
L’offerta
di Gesù immolato si è trasformata in vita per noi. Come possiamo
parteciparvi?
S.
Giovanni Crisostomo fece una domanda simile e una volta durante la
predica chiese: “Come potremmo fare noi dei nostri corpi
un’ostia?”. E lui stesso rispose: “I vostri occhi non guardino
nulla di cattivo, e avrete offerto un sacrificio; la vostra lingua
non preferisca parole sconvenienti, e avrete fatto un’offerta; la
vostra mano non commetta peccato, e avrete compiuto un olocausto”.
All’offerta del corpo e del sangue del Signore che facciamo
sull’altare, si accompagni il sacrificio della nostra esistenza.
Ogni giorno, attingiamo dal Corpo e Sangue del Signore quell’amore
libero e puro che ci rende degni ministri (dalla parola latina
minister = minus quam alter = inferiore = servitore) del Cristo e
testimoni della sua gioia.
Nell’Eucaristia
il Salvatore viene a noi non tanto per premiare la nostra virtù,
quanto per comunicarci la forza di diventare santi, cioè persone
guidate dal suo amore sapiente e che hanno Lui come Ospite costante
nel nostro cuore. Siamo santi non se compiamo gesta straordinarie, ma
se siamo uniti a Cristo, se facciamo nostri i suoi atteggiamenti, i
suoi pensieri, se modelliamo la nostra vita sulla sua. Più faremo la
Comunione, più saremo in comunione con Dio e con i nostri fratelli e
sorelle. Lasciamoci guidare da questo amore divino, in modo tale che
l’ “Amen”, che diciamo quando riceviamo l’Ostia consacrata,
sia non solo affermato con la bocca, ma sentito con il cuore.
Il
pane eucaristico è frutto del dono di sé di Cristo, frutto della
sua passione e morte, frutto del suo amore “eccessivo”. Non ci
resta che adorarLo e ringraziarLo di averci ancorato all’eternità
come fratelli suoi, di averci messo nelle mani del Padre come figli
nel Figlio, di aver fatto “rivivere” la nostra carne nella sua
carne. “La partecipazione all’Eucaristia, sacramento della Nuova
Alleanza, è il vertice dell’assimilazione a Cristo, fonte di vita
eterna e forza del dono totale di sé” (B. Giovanii Paolo II,
Veritatis splendor, .21).
3)
Processione e adorazione.
Se
nel Giovedì Santo viene messo in evidenza lo stretto rapporto che
esiste tra l’Ultima Cena e il mistero della morte di Gesù in
croce. Oggi, festa del Corpus Domini, con la processione e
l’adorazione comunitaria dell’Eucaristia si attira l’attenzione
sul fatto che Cristo si è immolato per l’intera umanità.
Lui
è il Dio con noi, l'Emmanuele, e noi siamo invitati a portarlo nel
mondo: oggi con la processione, ogni giorno con la testimonianza dei
passi del cuore, che ha stabilità nel suo amore.
Il
suo passaggio con noi e per (par - by) noi fra le case e per le
strade del nostro mondo sia per (pour – for) noi un’offerta di
gioia, di vita immortale, di pace e di amore.
Il
fatto di mostrare per le strade del mondo Gesù sotto il segno
sacramentale del Pane consacrato diventa anche educazione a scorgerlo
sotto il segno di ogni nostro fratello, sotto il segno di tutti gli
avvenimenti della nostra vita. Il portare questo Vangelo eucaristico
nel mondo, fa in modo che portiamo questa divina Presenza agli uomini
ed alle donne di tutti tempi, portando loro la benedizione grande e
divina: Gesù Cristo in persona.
E’
l’Amore che ci raduna, ci invita a camminare seguendo Cristo con i
passi del cuore, ci chiama ad adorarlo. Dall'abisso del nostro essere
fragile creature non possiamo che adorare. “Di fatto l'adorazione
non è che il sentimento del nostro nulla, ma non un sentimento che
avvilisce, non un sentimento che ci umilia: è un sentimento di
umiltà, ma non di umiliazione, perché l'anima esperimenta il suo
nulla nella misura che si fa presente dinanzi all'assoluta grandezza”
(Divo Barsotti). Dall'adorazione nascono la familiarità e la
fiducia, perché l'adorazione eucaristica è l’adorazione di Dio di
amore immenso, di grazia infinita e di misericordia senza limiti.
E’
un’adorazione che fa vivere una vera e completa adesione a Cristo,
quale è espressa dalle Vergini consacrate che con il dono totale di
sé sono entrate in rapporto di particolare intimità e di unione con
Cristo, fino a fare di Lui il centro dell’esistenza, come la
Madonna che fu la prima Vergine Consacrata cristiana e che fu la
personificazione stessa di questa adorazione di Gesù.
C’è
un profondo rapporto tra la verginità e l’adorazione: entrambe
sono pervase dall’unica, appassionata brama di vedere l’Amato
faccia a faccia, poterlo finalmente stringere tra le braccia,
raggiungere l’unione a lungo sospirata. Come la verginità anche
l’adorazione sembra che non abbia uno scopo “pratico”, ma
“almeno” è un modo per manifestare che il Signore è tutto e
vale la pena dare se stessi e spendere il tempo solamente per lui. Il
proprio corpo e cuore consacrati a Dio nella verginità, il tempo
trascorso in adorazione davanti a Gesù non toglie nulla alla nostra
vita ed al nostro lavoro. Ci radica intimamente in Dio e ci avvicina
profondamente gli uni gli altri, intensifica il nostro amore
reciproco, rende la presenza di Cristo più viva, più reale:
qualcosa o, meglio, qualcuno che veramente ci unisce.
LETTURA
PATRISTICA
San
Giovanni Crisostomo,
Sull’Eucarestia
“Vuoi
onorare il corpo di Cristo?
Non
permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei
poveri, privi di panni per coprirsi.
Non
onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo tra- scuri
quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: "Questo
è il mio corpo", confermando il fatto con la parola, ha detto
anche: "Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare"
e "ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più
piccoli fra questi, non l'avete fatto neppure a me".
Il
corpo di Cristo che sta sull'altare non ha bisogno di mantelli, ma di
anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura.
Impariamo
dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l'onore
più gradito, che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare, è
quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi.
Che
vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di
vasi d'oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero?
Prima
sazia l'affamato, e solo in seguito orna l'altare con quello che
rimane.
Gli
offrirai un calice d'oro e non gli darai in bicchiere d'acqua? che
bisogno c'è di adornare con veli d'oro il suo altare, se poi non gli
offri il vestito necessario? che guadagno ne ricava egli?
Dimmi:
se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene,
adornassi d'oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe, o
piuttosto non s'infurierebbe contro di te? e se vedessi uno coperto
di stracci e intirizzito dal freddo, e, trascurando di vestirlo, gli
innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si
riterrebbe for- se di essere beffeggiato e insultato in modo atroce?
Pensa
la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bi- sognoso
di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece
il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell'edificio sacro.
Attacchi
catene d'argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è
incatenato in carcere.
Dico
questo non per vietarvi di procurare tali addobbi e arredi sacri, ma
per esortarvi a offrire, insieme a questi, anche il necessario aiuto
ai poveri, o, meglio, perché questo sia fatto prima di quello.
Nessuno
è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il
tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco
inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò, mentre adorni
l'ambiente per il culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che
soffre.
Questo
è il tempio vivo più prezioso di quello.
San
Giovanni Crisostomo
Come
Lettura (quasi) patristica da meditare propongo la Sequenza scritta
da san Tommaso d’Aquino e che si legge oggi nella liturgia della
Santa Messa. E’ un magnifico componimento che ci immette nei
contenuti teologici dell’Eucaristia in modo chiaro e profondo. Ne
presento quelli che sono, secondo me da sottolineare, più sotto
propongo il testo latino integrale con la traduzione letterale.
"Questa
è la festa solenne nella quale celebriamo la prima sacra cena. È il
banchetto del nuovo Re, nuova Pasqua, nuova legge; e l'antico è
giunto a termine. Cede al nuovo il rito antico, la realtà disperde
l'ombra: luce, non più tenebra. Cristo lascia in sua memoria ciò
che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo. Obbedienti al suo
comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza. È
certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue
il vino. Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la
natura. È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà
sublimi. Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in
ciascuna specie. Chi ne mangia non lo spezza, né separa, né divide:
intatto lo riceve. Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono:
mai è consumato. Vanno i buoni, vanno gli empi; ma diversa ne è la
sorte: vita o morte provoca. Vita ai buoni, morte agli empi: nella
stessa comunione ben diverso è l'esito! Quando spezzi il sacramento
non temere, ma ricorda: Cristo è tanto in ogni parte, quanto
nell'intero. È diviso solo il segno non si tocca la sostanza; nulla
è diminuito della sua persona".
Etimologia
di eucaristia e brevissima storia dell’origine della
festa del Corpo e del Sangue di Cristo.
-
Eὖ" "èu" è un avverbio, e significa "bene",
in tutte le sue accezioni, mentre "χάρις" "chàris"
significa "grazia, dono".
Il
verbo greco "εὐχαριστέω" "eucharistèo"
significa "ringraziare", ma di fatto l'espressione
"εὐχάριστια" può essere intesa sia come
"ringraziamento" nei confronti di Gesù per il suo
sacrificio e la salvezza del genere umano, sia come "buona
carità", nel senso dell'atto vero e proprio del Cristo nel
subire la morte per la salvezza del genere umano.
-
La festa del Corpus Domini ha le sue origini dal miracolo di Bolsena
(cittadina sul lago omonimo in provincia di Viterbo - Italia). Un
sacerdote boemo, di passaggio, nel 1263, andò a celebrare la Messa
nella Chiesa di Santa Cristina, tormentato dai dubbi intorno alla
reale presenza del Corpo del Signore, nell'ostia consacrata. Al
momento della frazione dell'ostia, sotto il suo sguardo esterrefatto,
caddero dal calice gocce di sangue sul corporale e sul pavimento. Fu
subito informato il Papa, Urbano IV, che risiedeva ad Orvieto, il
quale fece esaminare il prodigio da illustri teologi del tempo quali
S. Tommaso d'Aquino e S. Bonaventura da Bagnoregio. Accertato il
miracolo, il Papa istituì la festa del Corpus Domini, da celebrarsi
ogni anno in tutto il mondo cristiano.
Sequentia
Lauda,
Sion Salvatórem,
lauda
ducem et pastórem
in
hymnis et cánticis.
Quantum
potes, tantum aude:
quia
maior omni laude,
nec
laudáre súfficis.
Laudis
thema speciális,
panis
vivus et vitális
hódie
propónitur.
Quem
in sacræ mensa cenæ,
turbæ
fratrum duodénæ
datum
non ambígitur.
Sit
laus plena, sit sonóra,
sit
iucúnda, sit decóra
mentis
iubilátio.
Dies
enim solémnis ágitur,
in
qua mensæ prima recólitur
huius
institútio.
In
hac mensa novi Regis,
novum
Pascha novæ legis
Phase
vetus términat.
Vetustátem
nóvitas,
umbram
fugat véritas,
noctem
lux elíminat.
Quod
in cena Christus gessit,
faciéndum
hoc expréssit
in
sui memóriam.
Docti
sacris institútis,
panem,
vinum, in salútis
consecrámus
hóstiam.
Dogma
datur Christiánis,
quod
in carnem transit panis,
et
vinum in sánguinem.
Quod
non capis, quod non vides,
animósa
firmat fides,
præter
rerum órdinem.
Sub
divérsis speciébus,
signis
tantum, et non rebus,
latent
res exímiæ.
Caro
cibus, sanguis potus:
manet
tamen Christus totus,
sub
utráque spécie.
A
suménte non concísus,
non
confráctus, non divísus:
ínteger
accípitur.
Sumit
unus, sumunt mille:
quantum
isti, tantum ille:
nec
sumptus consúmitur.
Sumunt
boni, sumunt mali:
sorte
tamen inæquáli,
vitæ
vel intéritus.
Mors
est malis, vita bonis:
vide
paris sumptiónis
quam
sit dispar éxitus.
Fracto
demum sacraménto,
ne
vacílles, sed memento,
tantum
esse sub fragménto,
quantum
toto tégitur.
Nulla
rei fit scissúra:
signi
tantum fit fractúra:
qua
nec status nec statúra
signáti
minúitur.
Ecce
panis Angelórum,
factus
cibus viatórum:
vere
panis fíliórum,
non
mitténdus cánibus.
In
figúris præsignátur,
cum
Isaac immolátur:
agnus
paschæ deputátur:
datur
manna pátribus.
Bone
Pastor, panis vere,
Iesu,
nostri miserére:
tu
nos pasce, nos tuére:
tu
nos bona fac vidére
in
terra vivéntium.
Tu,
qui cuncta scis et vales:
qui
nos pascis hic mortales:
tuos
ibi commensáles,
coherédes
et sodales
fac
sanctórum cívium. Amen.
Allelúia.
|
Traduzione
letterale
Loda
o Sion il Salvatore,
loda
la Guida e il Pastore
in
inni e cantici.
Quanto
puoi tanto ardisci:
perché
(Egli è) superiore ad ogni lode,
e
(tu) non basti a lodarlo.
Come
tema di lode speciale,
il
Pane vivo e datore di vita
viene
oggi proposto,
il
quale, alla mensa della sacra cena,
alla
schiera dei dodici fratelli,
non
si dubita dato.
La
lode sia piena, sia risonante,
sia
lieto, sia appropriato
il
giubilo della mente,
poiché
si celebra il giorno solenne,
nel
quale di questa mensa si ricorda
la
prima istituzione.
In
questa mensa del nuovo Re,
la
nuova Pasqua della nuova legge
pone
fine al vecchio tempo.
La
novità (allontana) la vetustà,
la
verità allontana l'ombra,
la
luce elimina la notte.
Ciò
che Cristo fece durante la cena
comandò
da farsi
in
suo ricordo.
Ammaestrati
coi sacri insegnamenti,
consacriamo
il pane e il vino,
ostia
di salute.
Ai
cristiani vien dato come dogma
che
il pane si cambia in carne,
e
il vino in sangue.
Ciò
che non comprendi, ciò che non vedi,
ardita
assicura la fede,
contro
l’ordine delle cose.
Sotto
specie diverse,
(che
sono) solamente segni e non cose,
si
nascondono cose sublimi.
La
carne (è) cibo, il sangue bevanda:
eppure
Cristo resta intero
sotto
ciascuna specie.
Da
colui che (lo) assume, non spezzato,
non
rotto, non diviso:
(ma)
intero è ricevuto.
(Lo)
riceve uno, (lo) ricevono mille:
quanto
questi tanto quello;
né
ricevuto si consuma.
(Lo)
ricevono i buoni, (lo) ricevono i malvagi,
ma
con ineguale sorte:
di
vita o di morte.
È
morte per i malvagi, vita per i buoni:
vedi
di pari assunzione
quanto
sia diverso l’effetto.
Spezzato
finalmente il Sacramento,
non
tentennare, ma ricorda
che
tanto c’è sotto un frammento
quanto
si nasconde nell’intero.
Nessuna
scissura si fa della sostanza;
si
fa rottura solo del segno:
per
cui né lo stato né la dimensione
del
Segnato è sminuita.
Ecco
il pane degli angeli
fatto
cibo dei viandanti:
vero
pane dei figli
da
non gettare ai cani.
Nelle
figure è preannunciato,
con
Isacco è immolato,
quale
Agnello pasquale è designato,
è
dato qual manna ai padri.
Buon
pastore, pane vero,
o
Gesù, abbi pietà di noi:
Tu
nutrici, proteggici,
Tu
fa' che noi vediamo le cose buone
nella
terra dei viventi.
Tu,
che tutto sai e puoi,
che
qui pasci noi mortali:
facci
lassù Tuoi commensali,
coeredi
e compagni
dei
santi cittadini. Amen.
Alleluia. |
Traduzione
liturgica italiana
Sion,
loda il Salvatore,
la
tua guida, il tuo pastore,
con
inni e cantici.
Impegna
tutto il tuo fervore:
egli
supera ogni lode,
non
vi è canto che sia degno.
Pane
vivo, che dà vita:
questo
è tema del tuo canto,
oggetto
della lode.
Veramente
fu donato
agli
apostoli riuniti
in
fraterna e sacra cena.
Lode
piena e risonante,
gioia
nobile e serena
sgorghi
oggi dallo spirito.
Questa
è la festa solenne
nella
quale celebriamo
la
prima sacra cena.
È
il banchetto del nuovo Re,
nuova
Pasqua, nuova legge;
e
l'antico è giunto a termine.
Cede
al nuovo il rito antico,
la
realtà disperde l'ombra:
luce,
non più tenebra.
Cristo
lascia in sua memoria
ciò
che ha fatto nella cena:
noi
lo rinnoviamo.
Obbedienti
al suo comando,
consacriamo
il pane e il vino,
ostia
di salvezza.
È
certezza a noi cristiani:
si
trasforma il pane in carne,
si
fa sangue il vino.
Tu
non vedi, non comprendi,
ma
la fede ti conferma,
oltre
la natura.
È
un segno ciò che appare:
nasconde
nel mistero
realtà
sublimi.
Mangi
carne, bevi sangue:
ma
rimane Cristo intero
in
ciascuna specie.
Chi
lo mangia non lo spezza,
né
separa, né divide:
intatto
lo riceve.
Siano
uno, siano mille,
ugualmente
lo ricevono:
mai
è consumato.
Vanno
i buoni, vanno gli empi;
ma
diversa ne è la sorte:
vita
o morte provoca.
Vita
ai buoni, morte agli empi:
nella
stessa comunione
ben
diverso è l'esito!
Quando
spezzi il sacramento,
non
temere, ma ricorda:
Cristo
è tanto in ogni parte,
quanto
nell'intero.
È
diviso solo il segno,
non
si tocca la sostanza;
nulla
è diminuito
della
sua persona.
Ecco
il pane degli angeli,
pane
dei pellegrini,
vero
pane dei figli:
non
dev'essere gettato.
Con
i simboli è annunziato,
in
Isacco dato a morte,
nell'agnello
della Pasqua,
nella
manna data ai padri.
Buon
Pastore, vero pane,
o
Gesù, pietà di noi;
nutrici
e difendici,
portaci
ai beni eterni
nella
terra dei viventi.
Tu
che tutto sai e puoi,
che
ci nutri sulla terra,
conduci
i tuoi fratelli
alla
tavola del cielo,
nella
gioia dei tuoi santi.
Amen.
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