venerdì 30 dicembre 2016

La Madonna, Madre del Dio e della Pace

I Domenica dopo Natale – Anno A – 1° gennaio 2017
Rito Romano
Nm 6, 22-27; Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21
Maria Santissima, Madre di Dio

Rito Ambrosiano
Nm 6, 22-27; Sal 66; Fil 2,5-11; Lc 2.18-21
Solennità della Circoncisione del Signore

1) Benedetta dal frutto benedetto.
Otto giorni fa, abbiamo celebrato la nascita a Betlemme del Figlio di Dio, che “si è fatto bambino per farci uomini” (Sant’Ambrogio). Oggi, una settimana dopo la nascita di Gesù, la Liturgia ci invita a celebrare Maria Vergine quale Madre di Dio: colei che “ha dato alla luce il Re che governa il cielo e la terra per i secoli in eterno” (Antifona d’ingresso della Messa di oggi). La Liturgia ci fa meditare1 oggi sul Verbo fatto uomo, e ripete che è nato dalla Vergine. Lui è il “frutto benedetto del seno” di questa Vergine, che trovò in questo “frutto” tutto quello che Eva aveva desiderato mangiando un frutto nel quale non trovò quello che desiderava. Eva, infatti nel suo frutto desiderò tre cose, che il diavolo le aveva falsamente promesso, cioè 1) di diventare come Dio ed essere consapevole del bene e del male, 2) di avere il piacere, perché quel frutto era ‘buono da mangiare’, 3) di avere la bellezza perché quel frutto era bello da guardare.
Mangiando il frutto proibito, Eva infranse l’immagine e somiglianza con Dio. Nel frutto benedetto del suo seno, Maria, e con lei tutti i cristiani, ha trovato ciò che Eva cercava: l’unione con Dio per mezzo di Cristo e la somiglianza a Lui. Eva cercava piacere e gioia, ma ha trovato nudità e dolore. Mentre nel frutto del seno della Beata Vergine troviamo soavità e salvezza: chi mangerà questo frutto avrà vita eterna.
Eva cercava la bellezza che passa e preso un frutto di morte, Maria ha donato all'umanità il frutto più bello, che gli angeli contempleranno: egli è il più bello tra i figli degli uomini (cfr Sal 44,3), perché è lo splendore della gloria del Padre (Eb 1,3). Gesù, il Signore.
Dunque “cerchiamo nel frutto della Beata Vergine ciò che desideriamo, perché questo è il frutto benedetto da Dio. Così dunque anche la Vergine è benedetta, ma più benedetto è il suo frutto: Gesù” ( San Tommaso D’Aquino, Commento all’Ave Maria).

2) Le fasce di Cristo.
E’ vero che oggi, ottava del Natale, si celebra la festa di “Maria madre di Dio”, però non si può dimenticare che oggi è anche il 1° gennaio. Dunque comincia un nuovo anno solare, che è un ulteriore periodo di tempo che la Provvidenza ci dona nel contesto della salvezza inaugurata dal Redentore 2017 anni fa.
Ed anche se le letture bibliche della messa di oggi mettono l’accento sul «figlio di Maria» e sul «Nome del Signore», anziché su Maria, la Solennità di oggi è dedicata alla Vergine Madre di Dio, per sottolineare che il Verbo “senza-tempo” è entrato nel tempo proprio per mezzo di Maria. L’apostolo Paolo lo ricorda affermando che Gesù è nato “da una donna” (cfr Gal 4,4 – II Lettura di oggi).
Il titolo di “Madre di Dio” sottolinea la missione unica della Vergine Santa nella storia della salvezza: missione che sta alla base del culto e della devozione che il popolo cristiano le riserva. La Madonna non ha ricevuto il dono di Dio solo per se stessa, ma per recarlo nel mondo: nella sua verginità feconda, Dio ha donato agli uomini i beni della salvezza eterna, come dice la Colletta: “O Dio, che nella verginità feconda di Maria hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna, fa' che sperimentiamo la sua intercessione, poiché per mezzo di lei abbiamo ricevuto l’autore della vita, Cristo tuo Figlio”.
Nella liturgia di oggi domina umilmente la figura di Maria, vera Madre di Gesù, Uomo–Dio. L’odierna solennità non celebra però un’idea astratta, ma un mistero e un fatto storico: Gesù Cristo, persona divina, è nato da Maria Vergine, la quale è sua vera madre.
  Questa Madre avvolge il Figlio con delle fasce e questo “Bambino avvolto in fasce dentro una mangiatoia” (cfr. Lc 2,11-12) è il segno dato dagli angeli ai pastori per riconoscere il Re dei re. Partiti in fretta, i pastori arrivarono alla grotta di Betlemme e trovarono il Bambino fasciato non solo da panni bianchi ma da Maria e Giuseppe, le persone bianche di purezza, che con il loro puro amore riscaldavano il Neonato.
Natale, mistero della gioia: mistero dell'Incarnazione, della generazione miracolosa di un Dio che sceglie di rivelare il suo volto agli uomini non nell’abbraccio di un immenso cielo ornato da splendide stelle, ma tra le braccia di una giovane e pura donna, custodita da un uomo puro: Giuseppe.
Con gli occhi di San Giuseppe guardiamo Maria, la Vergine Madre, che è la prima a credere, e la prima a vedere il miracolo nato nella e dalla sua carne: il suo corpo è la seconda natura – la natura umana – di Cristo e il suo grembo è il primo trono del Re dei re, poi verrà la mangiatoia, poi la croce: oggi noi.
Con gli occhi di Maria contempliamo il Figlio di Dio nato come un uomo per l’uomo e affidato alle sue cure di madre. Lei vive con gli occhi su Cristo e fa tesoro di ogni suo gesto. Alla scuola dello sguardo di Maria possiamo cogliere con il cuore quello che i nostri occhi e la nostra mente non riescono da soli né a percepire, né a contenere.
Con gli occhi dei pastori, sorpresi dalla gioia, guardiamo il fatto che la pace per tutti è nata ed è custodita dalla tenerezza della Madre di Dio: Maria ha dato al mondo il Principe della Pace, Gesù redentore dell'umanità.
La nostra Pace, Cristo, è tra le braccia di una madre: Maria, una di noi. La Pace, Gesù, nato da donna, è il dono natalizio per eccellenza messo in braccio a noi. Lui è il volto della Pace che risplende per illuminare i nostri volti, mendicanti la pace.
Mendichiamo questa pace dalla Vergine Madre e l’avremo, come l’ebbero i pastori che “andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia” (Lc 2, 16). Questi poveri pastori, medicanti di Dio in un bambino, incontrarono il Principe della Pace nel bambino Gesù, che faceva di loro testimoni della gioia di sentirsi amati e capaci di amare, “operatori” di pace, della pace che nasce dall’esperienza di essere amati. Chiediamo a Maria, Madre di Dio, di aiutarci ad accogliere il Figlio suo e, in Lui, la vera pace.
Come i pastori cerchiamo di essere mendicanti del Cielo, affamati d’amore, assetati di pace, andiamo a Betlemme e stiamo in ginocchio davanti al presepe, che mostra Dio che si fa Bambino di pace e una Madre, che ce lo dona. Questa Vergine Madre mette al mondo il Figlio di notte, perché l’amore è sempre un dono che fa nascere il giorno. Lei diede alla luce la Luce. Maria rispecchia con particolare fulgore la Luce che è scesa nel mondo. Che questa Luce ci guidi per cammini di pace, perché “la luce di Gesù è una luce mite, è una luce tranquilla, è una luce di pace, è come la luce nella notte di Natale: senza pretese” (Papa Francesco).

3) Maternità e verginità di Luce e di Pace.
Questa mite e umile luce di Cristo è oggi portata in modo particolare dalle Vergini consacrate nel mondo. Grazie al dono di se stesse a Cristo che vivono per amore di Dio e degli altri le consacrate irradiano la stessa luce, che il loro Sposo porta al mondo. La loro vita vissuta umilmente fa “memoria del ‘primo amore’ con cui il Signore Gesù Cristo ha riscaldato il vostro cuore” (Benedetto XVI). Queste donne si donano completamente nella verginità, si offrono anima e corpo per stare con Cristo e mettersi come Lui al servizio di Dio e dei fratelli. La loro è un costante cammino con Cristo incontrato oggi a Betlemme, poi sulle strade della Terra Santa del cuore fino al Calvario, per essere con Lui strumenti della Sua pace.

1  Per aiutare questa meditazione prendo come spunto alcune riflessioni attribuite a San Tommaso d’Aquino nel suo Commento all’Ave Maria.

Lettura Patristica
Sant’Atanasio, vescovo
Lettera ad Epitetto 5-9
PG 26, 1058. 1062-1066)

Il Verbo ha assunto da Maria la natura umana
Il Verbo di Dio, come dice l'Apostolo, «della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (Eb 2, 16. 17) e prendere un corpo simile al nostro. Per questo Maria ebbe la sua esistenza nel mondo, perché da lei Cristo prendesse questo corpo e lo offrisse, in quanto suo, per noi.
Perciò la Scrittura quando parla della nascita del Cristo dice: «Lo avvolse in fasce» (Lc 2, 7). Per questo fu detto beato il seno da cui prese il latte. Quando la madre diede alla luce il Salvatore, egli fu offerto in sacrificio.
Gabriele aveva dato l'annunzio a Maria con cautela e delicatezza. Però non le disse semplicemente «colui che nascerà in te», perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma: «da te» (cfr. Lc 1, 35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei.
Il Verbo, assunto in sé ciò che era nostro, lo offrì in sacrificio e lo distrusse con la morte. Poi rivestì noi della sua condizione, secondo quanto dice l'Apostolo: «Bisogna che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità» (cfr. 1 Cor 15, 53).
Tuttavia ciò non è certo un mito, come alcuni vanno dicendo. Lungi da noi un tale pensiero. Il nostro Salvatore fu veramente uomo e da ciò venne la salvezza di tutta l'umanità. In nessuna maniera la nostra salvezza si può dire fittizia. Egli salvò tutto l'uomo, corpo e anima. La salvezza si è realizzata nello stesso Verbo.
Veramente umana era la natura che nacque da Maria, secondo le Scritture, e reale, cioè umano, era il corpo del Signore; vero, perché del tutto identico al nostro; infatti Maria è nostra sorella poiché tutti abbiamo origine in Adamo.
Ciò che leggiamo in Giovanni «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14), ha dunque questo significato, poiché si interpreta come altre parole simili.
Sta scritto infatti in Paolo: «Cristo per noi divenne lui stesso maledizione» (cfr. Gal 3, 13). L'uomo in questa intima unione del Verbo ricevette una ricchezza enorme: dalla condizione di mortalità divenne immortale; mentre era legato alla vita fisica, divenne partecipe dello Spirito; anche se fatto di terra, è entrato nel regno del cielo.
Benché il Verbo abbia preso un corpo mortale da Maria, la Trinità è rimasta in se stessa qual era, senza sorta di aggiunte o sottrazioni. E' rimasta assoluta perfezione: Trinità e unica divinità. E così nella Chiesa si proclama un solo Dio nel Padre e nel Verbo.

Preghiera per la pace
di San Francesco

Oh, Signore,
fa' di me lo strumento della Tua Pace;
Là, dove è l'odio che io porti l'amore.
Là, dove è l'offesa che io porti il Perdono.
Là, dove è la discordia che io porti l'unione.
Là, dove è il dubbio che io porti la Fede.
Là, dove è l'errore che io porti la Verità.
Là, dove è la disperazione che io porti la speranza.
Là, dove è la tristezza, che io porti la Gioia.
Là, dove sono le tenebre che io porti la Luce.
Oh Maestro,
fa' ch'io non cerchi tanto d'essere consolato, ma di consolare.
Di essere compreso, ma di comprendere.
Di essere amato, ma di amare.
Poiché:
è donando che si riceve,
è perdonando che si ottiene il Perdono,
ed è morendo, che si risuscita alla Vita eterna.


venerdì 23 dicembre 2016

Natale di Vita a Betlemme, che è la Chiesa

Is 9,1-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14
Messa di Mezzanotte
25 dicembre 2016


  1. Enato a Betlemme, andiamo e inginocchiamoci.
Nella Messa di mezzanotte e del mattino la liturgia di Natale propone la narrazione della nascita di Gesù secondo San Luca1 che riporta lannuncio dellangelo ai pastori: Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore (Lc 2, 11).
Oggi, 25 dicembre 2016, per noi “è nato un Salvatore, che è Cristo Signore, nella città di Davide”. Questa città è Betlemme e, come fecero i pastori appena ebbero udito l’annuncio angelico, è là che dobbiamo affrettarci.
Oggi, come la santa notte di più di 2000 anni fa questo è il segno che è dato “un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia” (Lc 2, 12). E’ un segno che colpisce per la sua totale semplicità. Ciò che meraviglia è l’assenza di ogni tratto meraviglioso. I pastori, e noi con loro, sono sì avvolti e intimoriti dalla gloria di Dio, ma il segno che ricevono è semplicemente: “Troverete un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia” (id.). E quando giungono a Betlemme non vedono altro che un umile bambino in una povera greppia. La meraviglia del Natale sta qui. Senza la rivelazione degli angeli non capiremmo che quel bambino deposto in una mangiatoia è il Signore. E senza il bambino deposto nella mangiatoia non capiremmo che la gloria del vero Dio è diversa dalla gloria dell’uomo.
L’Amore onnipotente è “sotto le forme di un Bambino. L’Onnipotenza come non-potenza. Non-potenza come Amore, che supera tutto, che a tutto dà senso. (S. Giovanni Paolo II, Omelia del 24 dicembre 1985). Dio si è fatto piccolo Bambino perché potessimo comprenderLo, accoglierLo, amarLo.
Questo Piccolo ci chiede di essere amato: riveriamoLo come Signore degli angeli, ma amiamolo come tenero bambino. TemiamoLo come Signore della potenza, ma amiamolo avvolto in fasce. RispettiamLo come il Re del cielo, ma amiamoLo nella mangiatoia che è trono e altare. Amiamolo mettendoci in ginocchio e cerchiamo di scorgere nei suoi occhi ridenti di bambino gli occhi commossi del Crocifisso e quelli luminosi del Risorto, pregando: “Signore, Dio nostro, concedi a noi, che godiamo di celebrare con questi misteri la nascita di nostro Signore Gesù Cristo, di meritare con una degna condotta, di giungere alla comunione con Lui” (Or. dopo la Comunione). Lui è il Pane di Vita che nasce a Betlemme, che in ebraico vuole dire “casa del pane” .
“Questa casa del Pane è oggi la Chiesa, in cui si dispensa il corpo di Cristo, il vero pane. La mangiatoia di Betlemme è l’altare in chiesa. Qui si nutrono le creature di Cristo. Le fasce sono il velo del sacramento. Qui, sotto le specie del pane e del vino, c'è il vero corpo e sangue di Cristo. In questo sacramento noi crediamo che c’è Cristo vero, ma avvolto in fasce ossia invisibile. Non abbiamo nessun segno così grande e evidente della natività di Cristo come il corpo che mangiamo e il sangue che beviamo ogni giorno accostandoci all'altare: ogni giorno vediamo immolarsi colui che una sola volta nacque per noi dalla Vergine Maria. Affrettiamoci dunque, fratelli, a questo presepe del Signore; ma prima, per quanto ci è possibile, prepariamoci con la sua grazia a questo incontro, perché ogni giorno e in tutta la nostra vita, ‘con cuore puro, coscienza retta e fede sincera’ (2 Cor 6, 6), possiamo cantare insieme agli angeli : “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2, 14)” (Aelredo di Rievaulx, Discorso 2 per Natale).

  1. Umiltà del Natale.
Senza la rivelazione portata con gioia e umiltà dagli Angeli non capiremmo che il bambino deposto in una mangiatoia è il Signore. E senza il bambino deposto nella mangiatoia non capiremmo che la gloria del vero Dio è diversa dalla gloria dell'uomo.
Questa gloria si manifesta nell’umiltà ed è capita dall’umiltà. Per questo il Vangelo ci chiede di imitare l’umiltà dei pastori che, riconoscendo in un povero bambino ancora senza parola il Logos, la Parola, senso pieno della loro vita, Lo adorarono come Re dei re che, però aveva come trono una povera mangiatoia. Ed è per questo che dobbiamo imitare l’umiltà degli angeli, che nella notte stellata e benedetta cantavano: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”.
Secondo San Bernardo di Chiaravalle gli angeli sono inseriti vitalmente nel piano salvifico, attuato da Cristo. Non solo perché accettano questo disegno redentivo e vi collaborano attivamente con il loro amore pieno e incondizionato.
A ben riflettere, già prima della incarnazione del suo Verbo, Dio si è “servito” degli angeli per preparare gli uomini al grande evento della venuta di suo Figlio sulla Terra.  Anche dopo l’incarnazione del Verbo, durante la sua passione morte e resurrezione, gli Angeli furono presenti ed attivi. Ed anche quando Gesù ritornerà nella gloria alla fine dei tempi, saranno ancora gli angeli ad annunciare il suo avvento finale.
A questo punto, ispirandomi ancora a San Bernardo, faccio una precisazione circa la relazione degli Angeli con Cristo. Questi è Dio, quindi gli angeli sono sottomessi a lui, ma il Figlio di Dio ha preso la debolezza umana e in quanto uomo  è inferiore ad essi. Qui si vede la loro umiltà: servono il Verbo anche come uomo, si sottomettono alla sua signoria, anche umana, perché in questo evento si attua, si concretizza, si concentra  il volere superiore di Dio Padre.  Così ha voluto il Padre e loro accolgono la sua altissima volontà, prostrandosi davanti al bambino che nasce a Betlemme. Gesù è un bambino, un uomo in tutto uguale a noi eccetto il peccato, quindi un essere debole, fragile, rispetto a loro che sono puri spiriti, tuttavia in quella carne umana sussiste il Verbo eterno di Dio, il loro Signore.  Per questa ragione si inchinano, lo adorano, si prostrano e cantano la sua gloria, lo servono con grande disponibilità e umiltà. Facciamo altrettanto, perché l’umiltà di Cristo è servita dall’umiltà degli angeli e dei pastori, per primi, poi arriveranno gli umili Re Magi.
Il Natale è un mistero di umiltà ed è buono se è interiore, se è celebrato nel silenzio del cuore umile, nella coscienza fatta attenta e pensosa. Ed è interiore e rinnovatore, se ci fa cogliere il discorso che, entrando nel mondo, Gesù ha pronunciato non con le parole, ma con i fatti. Quale discorso? Quello dell’umiltà; è questa la lezione fondamentale del mistero di Dio fatto uomo, ed è questa la medicina prima di cui abbiamo bisogno (cfr. S. Agostino d’Ippona, De Trin. 8, 5, 7, P.L. 42, 952). È da questa radice che può rinascere la vita buona.
L’invito all’umiltà sarà più tardi ripetuto da Cristo adulto quando dirà: “Se non vi farete piccoli come bambini, non potrete entrare nel Regno dei cieli” (Mt 18, 2).
Oggi, parafraserei questa frase così: “Se non diventerete come questo Bambino, non entrerete nel Regno dei Cieli”.

3) Umiltà e Verginità.
I pastori hanno capito col cuore che -nel bambino che vedevano nella grotta - la promessa del profeta Isaia era diventata realtà: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità” (Is 9,5 - I Lettura della Messa della Notte).
L’angelo di Dio invita anche noi ad incamminarci col cuore per vedere il bambino che giace nella mangiatoia. Anche per noi il segno di Dio è la semplicità. Il segno di Dio è il bambino. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo per noi. Questo è il suo modo di regnare: amando e lasciandosi amare con umile semplicità
Da noi Cristo non vuole nient’altro che il nostro amore. Mediante questa carità impariamo ad entrare nei suoi sentimenti, nel suo pensiero e nella sua volontà; impariamo a vivere con Gesù e a praticare con Lui anche l’umiltà della rinuncia che fa parte dell’essenza dell’amore. “L’amore cristiano o è umile o non è amore di Dio” (Papa Francesco, 8 aprile 2013).
Un modo significativo di vivere questo umile amore è quello delle Vergini consacrate nel mondo. Queste donne sull’esempio di Maria Vergine e Madre stanno accanto a Cristo imitando in modo particolare la Madonna, il cui cuore e mente sono pienamente umili. Fu per la sua singolare umiltà che Dio chiese il ‘sì’ di questa  giovane donna, per realizzare il suo disegno di amore e di misericordia.
La verginità di Maria è unica e irripetibile, ma le vergini consacrate nel mondo ci testimoniano che il suo significato spirituale riguarda ogni cristiano. Le persone vergini mostrano che chi confida profondamente e umilmente nell’amore di Dio, accoglie in sé Gesù, e lo dona al mondo in un Natale quotidiano.
Nel nascondimento della loro vita accolgono anche e soprattutto l’insegnamento della grande umiltà di un Maestro che ancora non parla ma che per loro è davvero Tutto.

1 “In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse ilcensimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinioera governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria  città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazareth, salì in Giudea allacittà di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e allafamiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che eraincinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.  Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in unamangiatoia, perché per loro non cera posto nellalloggio.
Cerano in quella regione alcuni pastori che, pernottando allaperto, vegliavanotutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore sipresentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi dagrande timore, ma langelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio unagrande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato pervoi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete unbambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2, 1 – 15, Vangelodella Messa della Notte, Lc 15 – 20, Vangelo della Messa dellaurora)


Lettura Patristica
San Basilio Magno (329-379)
Omelia

Dio sulla terra, Dio in mezzo agli uomini: non un Dio che consegna la legge tra bagliori di fuoco e suoni di tromba su un monte fumante, o in densa nube fra lampi e tuoni, seminando il terrore tra coloro che lo ascoltano; ma un Dio incarnato, che con soavità e dolcezza parla a creature che hanno la sua stessa natura. Un Dio incarnato, che non agisce da lontano o per mezzo di profeti, ma attraverso l'umanità che ha assunto in proprio a rivestire la sua persona, per ricondurre a sé, nella nostra stessa carne fatta sua, tutto il genere umano. In che modo, per mezzo di uno solo, lo splendore raggiunse tutti? In che modo la divinità risiede nella carne?Come il fuoco nel ferro: non per trasfor-mazione, ma per partecipazione. Il fuoco, infatti, non passa nel ferro, ma rimanendo dov'è, gli comunica la sua virtù; né per questa comunicazione diminuisce, ma pervade di sé tutto quello a cui si comunica. Così il Dio-Verbo, senza mai separarsi da se stesso, «venne ad abitare in mezzo a noi»; senza subire alcun mutamento, «si fece carne»: il cielo che lo conteneva non rimase privo di lui mentre la terra lo accoglieva nel suo seno.
2. Cerca di penetrare nel mistero: Dio assume la carne proprio per distruggere la morte in essa nascosta. Come gli antidoti di un veleno, una volta ingeriti, ne annullano gli effetti, e come le tenebre di una casa si dissolvono alla luce del sole, così la morte che dominava sull'umana natura fu distrutta dalla presenza di Dio. E come il ghiaccio rimane solido nell'acqua finché dura la notte e regnano le tenebre, ma tosto si scioglie al calore del sole, così la morte che aveva regnato fino alla venuta di Cristo, appena apparve la grazia di Dio Salvatore e sorse il sole di giustizia, «fu ingoiata dalla vittoria» (1 Cor 15,54), non potendo coesistere con la Vita. O grandezza della bontà e dell'amore di Dio per gli uomini! Diamogli gloria insieme ai pastori, esultiamo con gli angeli «perché oggi ci è nato il Salvatore, che è Cristo Signore» (Le 2,11). Anche a noi il Signore non è apparso nella forma di Dio, che avrebbe sgomentato la nostra fragilità, ma in quella di servo, per restituire alla libertà coloro che erano in schiavitù. Chi è così tiepido, così poco riconoscente che non gioisca, non esulti, non porti doni? Oggi è festa per tutte le creature. Nessuno vi sia che non offra qualcosa, nessuno si mostri ingrato. Esplodiamo anche noi in un canto di esultanza.


venerdì 16 dicembre 2016

Il sì di Giuseppe, il padre legale di Gesù, figlio di Maria.

Domenica di Avvento – Anno A – 18 dicembre 2016
Rito Romano
Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24


Rito Ambrosiano
Is 62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38°
6ª Domenica di Avvento
Domenica dell’Incarnazione
o della Divina Maternità della Beata Vergine Maria

1) Un modello di attesa: Giuseppe
Nella prima domenica di Avvento la Liturgia ci ha invitato a vivere intensamente l’attesa dell’Atteso come l’ha vissuta la Madonna, non lasciando che il nostro cuore si addormenti, perché appesantito da preoccupazioni varie.
La seconda domenica di questo tempo di attesa siamo stati invitati a vivere una costante conversione. Per accogliere la Parola e non le chiacchere, occorre saper ascoltare e accogliere la Parola con la mente e col cuore trasformati dalla conversione.
La terza, facendoci riflettere sull’esperienza dolorosa del carcere e del dubbio di S. Giovanni Battista, ci ha insegnato che ci vuole la fiducia nella Parola, altrimenti rimane lettera morta, non certamente Spirito e Vita. Questa Parola è Vita e fonte di gioia.
Nella quarta domenica di Avvento, dopo che in quelle precedenti ci ha chiesto di vivere l’Avvento come Giovanni il Battista e la Madonna hanno vissuto l’attesa di Cristo, la Liturgia ci propone un terzo modello di come vivere l’Avvento: quello di San Giuseppe.
Dunque, in questa domenica la Chiesa ci chiede di vivere i pochi giorni che ci separano dal Natale, come San Giuseppe ha vissuto i giorni che sono passati dalla notte piena di timore, in cui - in sogno – ricevette l’annuncio che in Maria, sua promessa sposa, era germinata la Vita, alla notte piena di gioia, in cui il Figlio di Dio nacque nella grotta di Betlemme.
La traiettoria che Giuseppe ci indica è chiara: dall’ascolto della Parola dèttagli da un angelo in sogno, all’abbandono fiducioso alla volontà di Dio che gli chiede di essere il custode del Redentore che sta per nascere.
Umanamente parlando Giuseppe è grande, perché conoscendo e amando veramente Maria si arrende davanti al concepimento in Maria, non discute sulle cause di quella gravidanza inspiegabile e sceglie la via umanamente più misericordiosa: difende la dignità di Maria, rinunciando ad un pubblico rifiuto, - usanza di allora che sarebbe stato un condannare Maria al disprezzo di tutti - e la congeda ‘in silenzio”.
Divinamente parlando Giuseppe è grande, perché quando Dio stesso lo illumina sulla vera identità del Figlio di Maria, nato non da uomo, ma dallo Spirito Santo, Giuseppe ritorna sulla sua decisione (cioè si converte) e “la prese con sé come sua sposa”. Si convertì cambiando modo di ragionare. Questa conversione della mente implicò un cambiamento di vita. Per essere il custode del Redentore, visse l’attesa della sua nascita non aspettando un’idea, ma una persona. Per Lui il Natale fu ricevere la visita di persona, fu un incontro che cambiò la vita. Organizzò la sua vita per custodire la Vita e donarla al mondo.
Chiediamo umilmente la grazia di potere imitare questo padre legale di Gesù. Non dimentichiamo però l’aggettivo “legale” che deriva si dal sostantivo “legge”, ma la legge della Carità. Contempliamo stupiti e imitiamo tenaci la fede operosa di San Giuseppe e il suo totale abbandono a ciò che il Signore gli chiede di fare di fronte al mistero del concepimento e della nascita di Gesù: di esserne il “padre legale”. Questa espressione è più corretta di quella di “padre putativo”. In effetti, San Giuseppe non è un padre solamente perché l’opinione comune lo reputa tale. Lui è realmente padre. Certo, come ha ben scritto Sant’Agostino: “Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità”.


2) I tre sì.
Riflettiamo ora sulla frase finale del vangelo di oggi: “Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (Mt.1, 14). Lo sposo di Maria disse sì a Dio non parlando ma facendo. Nel silenzio il falegname di Nazareth accettò ed espletò il compito di essere il Capo-famiglia, che protegge la crescita di Cristo nel mondo. Lui è l’uomo a cui Dio Padre ha affidato Suo Figlio da custodire e proteggere, e ci è riuscito per questa semplice sequenza logica e pratica, a cui si è sempre attenuto: la parola che aveva ascoltato l'ha sempre immediatamente fatta, operata, incarnata.
Lui è il padre legale di Cristo perché ha vissuta una paternità verso Gesù che si è espressa concretamente assolvendo il compito di “custode del Redentore” (San Giovanni Paolo II) e facendo della sua vita “un servizio, un sacrificio, al mistero dell'incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell'aver usato dell'autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sè, della sua vita, del suo lavoro; nell'aver convertito la sua umana vocazione all'amore domestico nella sovrumana oblazione di sè, del suo cuore e di ogni capacità nell'amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa” (Paolo VI, in Insegnamenti, IV, 1966, p.110).
Grazie al “sì” silenzioso di Giuseppe, Maria, la donna del “sì” totale a Dio, ebbe una casa dove il Verbo di Dio, che aveva detto “sì”, divenne l’Emmanuele, il Dio con noi, per noi e in noi. Come dice San Paolo, in Cristo non c’è stato il ‘sì’ e il ‘no’: ma solo il ‘sì’ (Cfr. 2 Cor 1, 18-19) ). Nel Getsemani ricordiamo l’atto di affidamento di Gesù alla volontà del Padre: non la mia ma la tua volontà si compia, o Padre (Cfr. Lc 22, 42) ). Il salmo 39 ci fa pregare: “Tu non hai voluto offerte e sacrifici: un corpo mi hai dato; allora io detto: ecco io vengo”. E nella lettera agli Ebrei: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: ‘Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà’” (10, 4-10)

3) Il sì delle Vergini consacrate nel mondo: un sì dentro i tre sì.
Tutti desideriamo essere come Maria e Giuseppe e con loro essere la casa di Cristo. Tutti siamo chiamati ad essere testimoni della Parola che non colpisce solo l’udito ma i cuori aprendoli e dimorandovi stabilmente.
E se ora mi domandassi quale “utilità” ha la devozione a San Giuseppe per le vergini consacrate, che con il loro sì si impegnano ad essere testimoni speciali della fecondità della Parola, risponderei che le aiuta a vivere nell’umiltà di stare al posto scelto per loro dal Padre
Mediante il sacrificio totale di sè Giuseppe esprime il suo generoso amore verso la Madre di Dio, facendole dono sponsale di sé in modo verginale. Pur deciso a ritirarsi per non ostacolare il piano di Dio che si stava realizzando in lei, egli per espresso ordine angelico la trattiene con sè e ne rispetta l'esclusiva appartenenza a Dio.
Inoltre la verginità rappresenta l’imitazione del modo con cui Giuseppe ha vissuto l’affetto verso Gesù e verso la Madonna e anticipa il modo compiuto di vivere gli affetti nella vita eterna. Da qui scaturisce la modalità di vivere la maternità e paternità di chi si consacra a Dio. Ma non si deve mai dimenticare che per generare bisogna essere stati generati e per essere padri e madri bisogna non solo essere stati, ma essere tuttora figli. Essere generati dall’amore ci rende a nostra volta capaci di trasmettere e di donare vita. Da qui l’importanza di vivere una effettiva appartenenza alla Chiesa, di cui San Giuseppe è il Patrono.
Sull’esempio di Gesù, Maria e Giuseppe anche noi diciamo il nostro ‘sì’ . Allora la nostra vita sarà trasfigurata dalla misericordia di Dio.


Lettura Patristica
San Agostino d’Ippona
Sermone 51, 16.26; 20.30


La vera paternità di Giuseppe
La dignità verginale ebbe origine dalla Madre del Signore, quando cioè nacque il re di tutti i popoli; fu lei a meritare non solo d’avere il figlio ma anche di non soggiacere alla corruzione. Come dunque quello era vero matrimonio e matrimonio senza corruzione, così quel che la moglie partorì castamente, perché il marito non avrebbe dovuto accoglierlo castamente? Come infatti era casta la moglie, così era casto il marito; e come era casta la madre, così era casto il padre. Colui dunque che dice: "Giuseppe non doveva essere chiamato padre, perché non aveva generato il figlio", nel procreare i figli cerca la libidine, non l’affetto ispirato dalla carità. Giuseppe con l’animo compiva meglio ciò che altri desidera compiere con la carne. Così, per esempio, anche coloro che adottano dei figli, non li generano forse col cuore più castamente, non potendoli generare carnalmente? Vedete, fratelli, i diritti dell’adozione, per cui un uomo diventa figlio di uno dal quale non è nato, in modo che ha maggior diritto nei suoi riguardi la volontà dell’adottante che non la natura del generante.
Allo stesso modo che è casto marito, così [Giuseppe] è pure casto padre. Ciò che lo Spirito Santo effettuò, lo effettuò per ambedue. È detto: Essendo un uomo giusto (Mt 1, 19). Giusto dunque l’uomo, giusta la donna. Lo Spirito Santo, che riposava nella giustizia di ambedue, diede un figlio ad entrambi. (…) L’Evangelista dice anche: E gli partorì un figlio (Lc 2, 7), parole con cui senza dubbio si afferma che Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità. Così dunque egli è padre e lo è realmente. (…) E perché è padre? Perché tanto più sicuramente padre, quanto più castamente padre. In realtà si credeva ch’egli fosse padre di nostro Signore Gesù Cristo in modo diverso; lo fosse cioè come tutti gli altri padri che generano carnalmente, non come quelli che accolgono i figli con il solo affetto spirituale. Difatti anche Luca dice: Era opinione comune che Giuseppe fosse il padre di Gesù (Lc 3, 23). Perché era opinione comune? Perché l’opinione e il giudizio della gente era portato verso ciò che di solito fanno gli uomini. Il Signore dunque non è discendente di Giuseppe per via carnale, sebbene fosse ritenuto tale. Tuttavia alla pietà e alla carità di Giuseppe nacque dalla vergine Maria un figlio, e proprio il Figlio di Dio.

venerdì 9 dicembre 2016

Gioite

III Domenica di Avvento – Anno A – 11 dicembre 2016
Rito Romano
Is 35,1-6.8.10; Sal 145; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11


Rito Ambrosiano
Mi 5,1; Ml 3,1-5a. 6-7b; Sal 145; Gal 3, 23-28; Gv 1, 6-8. 15-18
V Domenica di Avvento
Il Precursore


1) Gioia per il Dio vicino.
Il Vangelo è gioia, è lieta e buona notizia di Dio che nasce in mezzo a noi per stare sempre con noi: Lui è l’Emmanuele, che dona ai poveri non solo qualcosa ma se stesso. Il Vangelo è messaggio di gioia. Per questo, anche se tutto l’avvento è tempo di attesa e di gioia, questa domenica è la domenica della gioia.
Vediamo come la liturgia di oggi ci presenta questa gioia dell’attesa che a Natale diventerà la felicità per il possesso di un bene conosciuto e amato1: Cristo Gesù.
Già nell’antifona di ingresso della Messa la Chiesa ci invita ad essere sempre lieti, usando le parole di San Paolo Gaudete in Domino semper – Rallegratevi nel Signore sempre”(Fil 4,4) 2.
Poi, nella preghiera all’inizio della Messa di oggi, il Sacerdote presenta il nostro desiderio di gioia pregando così: “Guarda, o Padre, il tuo popolo che attende con fede il Natale del Signore, e fa’ che giunga a celebrare con rinnovata esultanza il grande mistero della salvezza” (Colletta della terza domenica di Avvento).
Questa preghiera d’inizio è seguita dalla prima lettura della Messa dove Isaia afferma: “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa... come fiore di narciso fiorisca; si canti con gioia e con giubilo … Felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto” (Is 35,1ss). Il profeta Isaia propone questo inno alla gioia perché il popolo di Israele è stato liberato dalla schiavitù.
Il Salmo 145, poi, descrive tutta la misericordia di Dio verso i bisognosi e gli emarginati. E’ un inno di lode alla Provvidenza del Signore: “Il Signore è fedele, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, libera i prigionieri. Ridona la vista ai ciechi, rialza chi è caduto, ama i giusti, protegge gli stranieri. Egli sostiene l'orfano e la vedova, regna per sempre di generazione in generazione”.
Queste espressioni le ritroviamo nella terza lettura, quella del Vangelo.
Nel Vangelo (terza lettura), Gesù insegna il Vangelo della gioia non proponendo un discorso ma richiamando l’attenzione sul fatto che con Lui “i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo” (Mt 11, 2 - 5).
Gesù opera tanti miracoli, che sono il segno della sua bontà, della sua tenerezza, del suo amore, della sua salvezza per sempre: della sua gioia.

2) Giovanni il Precursore e annunciatore della gioia.
Nessuno è escluso dalla gioia che aspettiamo sempre più intensamente. Ma ciascuno di noi sa che questa non è un’attesa sempre facile. E’ per questo che la lettera di Giacomo (seconda lettura) parla della pazienza del contadino. Paziente è chi, come il contadino, attende il frutto del suo lavoro fino al tempo opportuno, che non spetta a lui determinare. Paziente è chi non si lascia piegare dalle avversità, ma rimane fermo e saldo nella sua “ostinata” speranza.
Se ritorniamo al Vangelo di oggi, vediamo che, dopo aver indicato le opere sulle quali riflettere e in base alle quali è possibile dare un giudizio su di Lui, il Redentore esprime il suo pensiero su Giovanni il Precursore. Lo fa rivolgendosi alle folle. La grandezza di Giovanni non consiste solo nell’austerità della sua vita e nella fortezza del suo carattere. Sta piuttosto nell’aver accettato il compito di correre davanti al Messia per prepararGli il terreno. Il fatto che Giovanni è mandato per chiamare alla conversione e indicare l'arrivo del Messia lo qualifica già per questo come un messaggero di gioia.
Giovanni il Battista è venuto per rendere testimonianza a Gesù e alla gioia da Lui portata. Come non si può essere nella gioia se Giovanni ci indica Cristo come Agnello che manifesta l’amore di Dio con la misericordia?
Il Battista “permise” a Cristo di scendere nell’acqua del Giordano per compiere ogni giustizia (cfr Mt 3, 15), noi permettiamo a Dio di essere l’amore che scende nel nostro cuore per compiere in noi questa giustizia.
Giovanni, da piccolo e perfino ancora prima di nascere, indicò la presenza di Gesù sussultando di gioia nel grembo di sua mamma Elisabetta. Da adulto, da grande si fece piccolo perché Cristo crescesse (cfr Gv 3,30). Anche noi facciamoci piccoli e lasciamo che Cristo nasca e cresca in noi, dilatando il nostro cuore.
Allora saremo nella gioia e questa gioia renderà a noi evidente la presenza del Salvatore, come accadde a Giovanni il Precursore.
Allora saremo testimoni che il Signore che aspettiamo e che cerchiamo di amare e di incarnare è davvero il Dio amante della vita e datore di gioia.

3) Testimoni della gioia.
Nel Vangelo di questa domenica di fronte agli inviati di Giovanni il Battista, che chiedono se sia lui il Messia, Gesù risponde dicendo quello che è mediante quello che fa: i miracoli. Queste sue azioni stupefacenti parlano da se stesse della sua origine in Dio, della sua missione redentrice. E’ lui il Messia atteso, non c'è altro da attendere, perché la sua vita è un inno alla carità, alla solidarietà in modo perfetto e definitivo. Non bisogna attendere altro consolatore degli afflitti, altro samaritano che cura il malcapitato lungo la via. Gesù si fa carico della sofferenza umana, interviene con i suoi poteri a salvare chi si trova nel bisogno e portare nel mondo la gioia evangelica.
I santi continuano questa opera di Cristo. L’esempio più recente è quello di Santa Teresa di Calcutta.
Questa Missionaria della Carità e madre dei poveri è una testimone bellissima ed attuale Di questa gioia evangelica, che nasce da un fatto, da un evento di liberazione. Questa Santa è stata a contatto con la miseria, il degrado umano, la morte, vivendo ogni giorno tra i più poveri dei poveri. La sua anima ha conosciuto la prova della notte oscura della fede, eppure ha donato a tutti il sorriso di Dio. Lei stessa esprime la sua esperienza di gioia così: “Noi aspettiamo con impazienza il paradiso, dove c'è Dio, ma è in nostro potere stare in paradiso fin da quaggiù e fin da questo momento. Essere felici con Dio significa: amare come Lui, aiutare come Lui, dare come Lui, servire come Lui” (La gioia di darsi agli altri, Ed. Paoline, 1987, p. 143).
Da questa madre dei poveri impariamo che la gioia entra nel cuore di chi si pone al servizio dei piccoli e dei poveri. In chi ama così, Dio prende dimora, e l’anima è nella gioia. Se invece si fa della felicità un idolo, si sbaglia strada ed è veramente difficile trovare la gioia di cui parla Gesù e che riceviamo nell’incontro con Gesù. Questo insegna Papa Francesco scrivendo: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (Es. Ap. Evangelii gaudium, 1).
Un altro esempio attuale, contemporaneo di vita spesa nella gioia di Cristo atteso e accolto con gioia ci viene dalle Vergini consacrate nel mondo. Grazie alla verginità offerta per il Regno di Dio queste donne instaurano un rapporto di amore personale ed esclusivo con la persona di Cristo. La rinuncia dell’amore umano (eros) per vivere nell’amore di Dio (agape) testimonia che Cristo è tutto per loro. La gioia è esperienza di essere amati perciò la gioia della vergine consacrata è Cristo: “Questa sarà la gioia delle Vergini di Cristo: gioia a proposito di Cristo, gioia in Cristo, gioia con Cristo, gioia al seguito di Cristo, gioia per mezzo di Cristo, gioia a causa di Cristo” (S. Agostino d’Ippona, De virginitate, 27: PL 40, 411). Questa gioia è promessa dal Vescovo durante il Rito della consacrazione: “Cristo, Figlio della Vergine e sposo delle vergini, sarà la vostra gioia e corona sulla terra, finché vi condurrà alle nozze eterne nel suo regno, dove cantando il canto nuovo seguirete l’Agnello dovunque vada” (RVC 27, progetto di omelia) e “Ricevete l’anello delle mistiche nozze con Cristo e custodite integra la fedeltà al vostro Sposo, perché siate accolte nella gioia del convito eterno” (RCV 40)

1  S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-IIæ, q. 31, a. 3.


2  E’ grazie a questa antifona che questa domenica ha preso il nome di domenica “Gaudete” cioè “rallegratevi”, perché il Messia è davvero vicino.


Lettura patristica
San Gregorio Magno
Omelia 6, 2-5

       Ma ascoltiamo quello che [Gesù] dice di Giovanni, dopo che i discepoli di questo si sono allontanati: "Cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento?" (Mt 11,7). Così dicendo certamente intendeva negare, non affermare. La canna, infatti, alla brezza più lieve si piega in un’altra parte. E cosa s’intende per canna se non un animo carnale, che appena è sfiorato dalla lode o dal biasimo subito si piega da questa o da quella parte? Se infatti dalla bocca degli uomini soffia il vento della lode, si rallegra, si riempie di orgoglio e tutto si strugge in tenerezza. Ma se da dove veniva il vento della lode soffia il vento del biasimo, subito s’inclina dall’altra parte accendendosi d’ira. Giovanni però non era una canna agitata dal vento, poiché‚ non si lasciava blandire dal favore né il biasimo lo irritava, da qualunque parte venisse. La prosperità non lo rendeva orgoglioso e le avversità non potevano prostrarlo. Pertanto, Giovanni non era una canna agitata dal vento, dal momento che nessuna vicissitudine umana riusciva a smuoverlo dalla sua fermezza. Impariamo perciò, fratelli carissimi, a non essere come una canna agitata dal vento, rafforziamo l’animo nostro in mezzo ai soffi delle lingue, e rimanga inflessibile lo stato della mente. Nessun biasimo ci spinga all’ira, nessun favore ci inclini a una sterile debolezza. La prosperità non ci faccia insuperbire, le avversità non ci turbino, di modo che, radicati in una solida fede, non ci lasciamo smuovere dalla mutevolezza delle cose transitorie.

       Così continua ad esprimersi [Gesù] riguardo a Giovanni: "Ma che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito di morbide vesti? Ecco, quelli che portano morbide vesti abitano nei palazzi dei re" (Mt 11,8). Infatti descrivono Giovanni vestito con peli di cammello intrecciati. E cos’è questo: "Ecco, quelli che portano morbide vesti abitano nei palazzi dei re", se non un dire apertamente che quanti rifuggono dal soffrire amarezze per amore di Dio e sono dediti soltanto alle cose esteriori, militano non per il regno celeste, ma per quello terreno? Nessuno dunque creda che nel lusso e nella preoccupazione delle vesti non ci sia alcun peccato, poiché se non ci fosse colpa, il Signore non avrebbe affatto lodato Giovanni per l’asprezza delle sue vesti...

       E già Salomone aveva detto: "Le parole dei savi sono come pungoli, e come chiodi piantati profondamente" (Qo 12,11). A chiodi e a pungoli sono paragonate le parole dei sapienti, perché esse non sanno accarezzare le colpe dei peccatori, ma bensì le pungono.

       "Ma chi siete andati a vedere nel deserto? Un profeta? Sì, vi dico; e più che un profeta" (Mt 11,9). È infatti compito del profeta predire le cose future, non indicarle. Giovanni è più che un profeta, perché indicò, mostrandolo, colui del quale nel suo ufficio di precursore aveva profetato. Ma poiché‚ [Giovanni] non è una canna agitata dal vento, poiché non è vestito di morbide vesti, poiché‚ il nome di profeta non basta a dire il suo merito, ascoltiamo dunque in che modo possa essere degnamente chiamato. Continua [il Vangelo]: "Egli è colui del quale sta scritto: Ecco io ti mando innanzi il mio angelo, perché prepari la tua via dinanzi a te" (Ml 3,1). Ciò che in greco viene espresso col termine angelo, tradotto, significa messaggero. Giustamente, dunque, viene chiamato angelo colui che è mandato ad annunziare il sommo Giudice: affinché‚ dimostri nel nome la dignità dell’azione che compie. Il nome è certamente alto, ma la vita non gli è inferiore.