venerdì 9 dicembre 2016

Gioite

III Domenica di Avvento – Anno A – 11 dicembre 2016
Rito Romano
Is 35,1-6.8.10; Sal 145; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11


Rito Ambrosiano
Mi 5,1; Ml 3,1-5a. 6-7b; Sal 145; Gal 3, 23-28; Gv 1, 6-8. 15-18
V Domenica di Avvento
Il Precursore


1) Gioia per il Dio vicino.
Il Vangelo è gioia, è lieta e buona notizia di Dio che nasce in mezzo a noi per stare sempre con noi: Lui è l’Emmanuele, che dona ai poveri non solo qualcosa ma se stesso. Il Vangelo è messaggio di gioia. Per questo, anche se tutto l’avvento è tempo di attesa e di gioia, questa domenica è la domenica della gioia.
Vediamo come la liturgia di oggi ci presenta questa gioia dell’attesa che a Natale diventerà la felicità per il possesso di un bene conosciuto e amato1: Cristo Gesù.
Già nell’antifona di ingresso della Messa la Chiesa ci invita ad essere sempre lieti, usando le parole di San Paolo Gaudete in Domino semper – Rallegratevi nel Signore sempre”(Fil 4,4) 2.
Poi, nella preghiera all’inizio della Messa di oggi, il Sacerdote presenta il nostro desiderio di gioia pregando così: “Guarda, o Padre, il tuo popolo che attende con fede il Natale del Signore, e fa’ che giunga a celebrare con rinnovata esultanza il grande mistero della salvezza” (Colletta della terza domenica di Avvento).
Questa preghiera d’inizio è seguita dalla prima lettura della Messa dove Isaia afferma: “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa... come fiore di narciso fiorisca; si canti con gioia e con giubilo … Felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto” (Is 35,1ss). Il profeta Isaia propone questo inno alla gioia perché il popolo di Israele è stato liberato dalla schiavitù.
Il Salmo 145, poi, descrive tutta la misericordia di Dio verso i bisognosi e gli emarginati. E’ un inno di lode alla Provvidenza del Signore: “Il Signore è fedele, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, libera i prigionieri. Ridona la vista ai ciechi, rialza chi è caduto, ama i giusti, protegge gli stranieri. Egli sostiene l'orfano e la vedova, regna per sempre di generazione in generazione”.
Queste espressioni le ritroviamo nella terza lettura, quella del Vangelo.
Nel Vangelo (terza lettura), Gesù insegna il Vangelo della gioia non proponendo un discorso ma richiamando l’attenzione sul fatto che con Lui “i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo” (Mt 11, 2 - 5).
Gesù opera tanti miracoli, che sono il segno della sua bontà, della sua tenerezza, del suo amore, della sua salvezza per sempre: della sua gioia.

2) Giovanni il Precursore e annunciatore della gioia.
Nessuno è escluso dalla gioia che aspettiamo sempre più intensamente. Ma ciascuno di noi sa che questa non è un’attesa sempre facile. E’ per questo che la lettera di Giacomo (seconda lettura) parla della pazienza del contadino. Paziente è chi, come il contadino, attende il frutto del suo lavoro fino al tempo opportuno, che non spetta a lui determinare. Paziente è chi non si lascia piegare dalle avversità, ma rimane fermo e saldo nella sua “ostinata” speranza.
Se ritorniamo al Vangelo di oggi, vediamo che, dopo aver indicato le opere sulle quali riflettere e in base alle quali è possibile dare un giudizio su di Lui, il Redentore esprime il suo pensiero su Giovanni il Precursore. Lo fa rivolgendosi alle folle. La grandezza di Giovanni non consiste solo nell’austerità della sua vita e nella fortezza del suo carattere. Sta piuttosto nell’aver accettato il compito di correre davanti al Messia per prepararGli il terreno. Il fatto che Giovanni è mandato per chiamare alla conversione e indicare l'arrivo del Messia lo qualifica già per questo come un messaggero di gioia.
Giovanni il Battista è venuto per rendere testimonianza a Gesù e alla gioia da Lui portata. Come non si può essere nella gioia se Giovanni ci indica Cristo come Agnello che manifesta l’amore di Dio con la misericordia?
Il Battista “permise” a Cristo di scendere nell’acqua del Giordano per compiere ogni giustizia (cfr Mt 3, 15), noi permettiamo a Dio di essere l’amore che scende nel nostro cuore per compiere in noi questa giustizia.
Giovanni, da piccolo e perfino ancora prima di nascere, indicò la presenza di Gesù sussultando di gioia nel grembo di sua mamma Elisabetta. Da adulto, da grande si fece piccolo perché Cristo crescesse (cfr Gv 3,30). Anche noi facciamoci piccoli e lasciamo che Cristo nasca e cresca in noi, dilatando il nostro cuore.
Allora saremo nella gioia e questa gioia renderà a noi evidente la presenza del Salvatore, come accadde a Giovanni il Precursore.
Allora saremo testimoni che il Signore che aspettiamo e che cerchiamo di amare e di incarnare è davvero il Dio amante della vita e datore di gioia.

3) Testimoni della gioia.
Nel Vangelo di questa domenica di fronte agli inviati di Giovanni il Battista, che chiedono se sia lui il Messia, Gesù risponde dicendo quello che è mediante quello che fa: i miracoli. Queste sue azioni stupefacenti parlano da se stesse della sua origine in Dio, della sua missione redentrice. E’ lui il Messia atteso, non c'è altro da attendere, perché la sua vita è un inno alla carità, alla solidarietà in modo perfetto e definitivo. Non bisogna attendere altro consolatore degli afflitti, altro samaritano che cura il malcapitato lungo la via. Gesù si fa carico della sofferenza umana, interviene con i suoi poteri a salvare chi si trova nel bisogno e portare nel mondo la gioia evangelica.
I santi continuano questa opera di Cristo. L’esempio più recente è quello di Santa Teresa di Calcutta.
Questa Missionaria della Carità e madre dei poveri è una testimone bellissima ed attuale Di questa gioia evangelica, che nasce da un fatto, da un evento di liberazione. Questa Santa è stata a contatto con la miseria, il degrado umano, la morte, vivendo ogni giorno tra i più poveri dei poveri. La sua anima ha conosciuto la prova della notte oscura della fede, eppure ha donato a tutti il sorriso di Dio. Lei stessa esprime la sua esperienza di gioia così: “Noi aspettiamo con impazienza il paradiso, dove c'è Dio, ma è in nostro potere stare in paradiso fin da quaggiù e fin da questo momento. Essere felici con Dio significa: amare come Lui, aiutare come Lui, dare come Lui, servire come Lui” (La gioia di darsi agli altri, Ed. Paoline, 1987, p. 143).
Da questa madre dei poveri impariamo che la gioia entra nel cuore di chi si pone al servizio dei piccoli e dei poveri. In chi ama così, Dio prende dimora, e l’anima è nella gioia. Se invece si fa della felicità un idolo, si sbaglia strada ed è veramente difficile trovare la gioia di cui parla Gesù e che riceviamo nell’incontro con Gesù. Questo insegna Papa Francesco scrivendo: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (Es. Ap. Evangelii gaudium, 1).
Un altro esempio attuale, contemporaneo di vita spesa nella gioia di Cristo atteso e accolto con gioia ci viene dalle Vergini consacrate nel mondo. Grazie alla verginità offerta per il Regno di Dio queste donne instaurano un rapporto di amore personale ed esclusivo con la persona di Cristo. La rinuncia dell’amore umano (eros) per vivere nell’amore di Dio (agape) testimonia che Cristo è tutto per loro. La gioia è esperienza di essere amati perciò la gioia della vergine consacrata è Cristo: “Questa sarà la gioia delle Vergini di Cristo: gioia a proposito di Cristo, gioia in Cristo, gioia con Cristo, gioia al seguito di Cristo, gioia per mezzo di Cristo, gioia a causa di Cristo” (S. Agostino d’Ippona, De virginitate, 27: PL 40, 411). Questa gioia è promessa dal Vescovo durante il Rito della consacrazione: “Cristo, Figlio della Vergine e sposo delle vergini, sarà la vostra gioia e corona sulla terra, finché vi condurrà alle nozze eterne nel suo regno, dove cantando il canto nuovo seguirete l’Agnello dovunque vada” (RVC 27, progetto di omelia) e “Ricevete l’anello delle mistiche nozze con Cristo e custodite integra la fedeltà al vostro Sposo, perché siate accolte nella gioia del convito eterno” (RCV 40)

1  S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-IIæ, q. 31, a. 3.


2  E’ grazie a questa antifona che questa domenica ha preso il nome di domenica “Gaudete” cioè “rallegratevi”, perché il Messia è davvero vicino.


Lettura patristica
San Gregorio Magno
Omelia 6, 2-5

       Ma ascoltiamo quello che [Gesù] dice di Giovanni, dopo che i discepoli di questo si sono allontanati: "Cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento?" (Mt 11,7). Così dicendo certamente intendeva negare, non affermare. La canna, infatti, alla brezza più lieve si piega in un’altra parte. E cosa s’intende per canna se non un animo carnale, che appena è sfiorato dalla lode o dal biasimo subito si piega da questa o da quella parte? Se infatti dalla bocca degli uomini soffia il vento della lode, si rallegra, si riempie di orgoglio e tutto si strugge in tenerezza. Ma se da dove veniva il vento della lode soffia il vento del biasimo, subito s’inclina dall’altra parte accendendosi d’ira. Giovanni però non era una canna agitata dal vento, poiché‚ non si lasciava blandire dal favore né il biasimo lo irritava, da qualunque parte venisse. La prosperità non lo rendeva orgoglioso e le avversità non potevano prostrarlo. Pertanto, Giovanni non era una canna agitata dal vento, dal momento che nessuna vicissitudine umana riusciva a smuoverlo dalla sua fermezza. Impariamo perciò, fratelli carissimi, a non essere come una canna agitata dal vento, rafforziamo l’animo nostro in mezzo ai soffi delle lingue, e rimanga inflessibile lo stato della mente. Nessun biasimo ci spinga all’ira, nessun favore ci inclini a una sterile debolezza. La prosperità non ci faccia insuperbire, le avversità non ci turbino, di modo che, radicati in una solida fede, non ci lasciamo smuovere dalla mutevolezza delle cose transitorie.

       Così continua ad esprimersi [Gesù] riguardo a Giovanni: "Ma che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito di morbide vesti? Ecco, quelli che portano morbide vesti abitano nei palazzi dei re" (Mt 11,8). Infatti descrivono Giovanni vestito con peli di cammello intrecciati. E cos’è questo: "Ecco, quelli che portano morbide vesti abitano nei palazzi dei re", se non un dire apertamente che quanti rifuggono dal soffrire amarezze per amore di Dio e sono dediti soltanto alle cose esteriori, militano non per il regno celeste, ma per quello terreno? Nessuno dunque creda che nel lusso e nella preoccupazione delle vesti non ci sia alcun peccato, poiché se non ci fosse colpa, il Signore non avrebbe affatto lodato Giovanni per l’asprezza delle sue vesti...

       E già Salomone aveva detto: "Le parole dei savi sono come pungoli, e come chiodi piantati profondamente" (Qo 12,11). A chiodi e a pungoli sono paragonate le parole dei sapienti, perché esse non sanno accarezzare le colpe dei peccatori, ma bensì le pungono.

       "Ma chi siete andati a vedere nel deserto? Un profeta? Sì, vi dico; e più che un profeta" (Mt 11,9). È infatti compito del profeta predire le cose future, non indicarle. Giovanni è più che un profeta, perché indicò, mostrandolo, colui del quale nel suo ufficio di precursore aveva profetato. Ma poiché‚ [Giovanni] non è una canna agitata dal vento, poiché non è vestito di morbide vesti, poiché‚ il nome di profeta non basta a dire il suo merito, ascoltiamo dunque in che modo possa essere degnamente chiamato. Continua [il Vangelo]: "Egli è colui del quale sta scritto: Ecco io ti mando innanzi il mio angelo, perché prepari la tua via dinanzi a te" (Ml 3,1). Ciò che in greco viene espresso col termine angelo, tradotto, significa messaggero. Giustamente, dunque, viene chiamato angelo colui che è mandato ad annunziare il sommo Giudice: affinché‚ dimostri nel nome la dignità dell’azione che compie. Il nome è certamente alto, ma la vita non gli è inferiore.

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