III
Domenica di Avvento – Anno A – 11 dicembre 2016
Rito
Romano
Is
35,1-6.8.10; Sal 145; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11
Rito
Ambrosiano
Mi
5,1; Ml 3,1-5a. 6-7b; Sal 145; Gal 3, 23-28; Gv 1, 6-8. 15-18
V
Domenica di Avvento
Il
Precursore
1)
Gioia per il Dio vicino.
Il
Vangelo è gioia, è lieta e buona notizia di Dio che nasce in mezzo
a noi per stare sempre con noi: Lui è l’Emmanuele, che dona ai
poveri non solo qualcosa ma se stesso. Il Vangelo è messaggio di
gioia. Per questo, anche se tutto l’avvento è tempo di attesa e di
gioia, questa domenica è la domenica della gioia.
Vediamo
come la liturgia di oggi ci presenta questa gioia dell’attesa che a
Natale diventerà la felicità per il possesso di un bene conosciuto
e amato1:
Cristo Gesù.
Già
nell’antifona di ingresso della Messa la Chiesa ci invita ad essere
sempre lieti, usando le parole di San Paolo “Gaudete
in Domino semper – Rallegratevi nel Signore sempre”(Fil
4,4)
2.
Poi,
nella preghiera all’inizio della Messa di oggi, il Sacerdote
presenta il nostro desiderio di gioia pregando così: “Guarda, o
Padre, il tuo popolo che attende con fede il Natale del Signore, e
fa’ che giunga a celebrare con rinnovata esultanza il grande
mistero della salvezza” (Colletta della terza domenica di
Avvento).
Questa
preghiera d’inizio è seguita dalla prima lettura della Messa dove
Isaia afferma: “Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e
fiorisca la steppa... come fiore di narciso fiorisca; si canti con
gioia e con giubilo … Felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto”
(Is 35,1ss). Il profeta Isaia propone questo inno alla gioia
perché il popolo di Israele è stato liberato dalla schiavitù.
Il
Salmo 145, poi, descrive tutta la misericordia di Dio verso i
bisognosi e gli emarginati. E’ un inno di lode alla Provvidenza del
Signore: “Il Signore è fedele, rende giustizia agli oppressi, dà
il pane agli affamati, libera i prigionieri. Ridona la vista ai
ciechi, rialza chi è caduto, ama i giusti, protegge gli stranieri.
Egli sostiene l'orfano e la vedova, regna per sempre di generazione
in generazione”.
Queste
espressioni le ritroviamo nella terza lettura, quella del Vangelo.
Nel
Vangelo (terza lettura), Gesù insegna il Vangelo della gioia non
proponendo un discorso ma richiamando l’attenzione sul fatto che
con Lui “i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i
lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai
poveri è annunciato il Vangelo” (Mt 11, 2 - 5).
Gesù
opera tanti miracoli, che sono il segno della sua bontà, della sua
tenerezza, del suo amore, della sua salvezza per sempre: della sua
gioia.
2)
Giovanni il Precursore e annunciatore della gioia.
Nessuno
è escluso dalla gioia che aspettiamo sempre più intensamente. Ma
ciascuno di noi sa che questa non è un’attesa sempre facile. E’
per questo che la lettera di Giacomo (seconda lettura) parla della
pazienza del contadino. Paziente è chi, come il contadino, attende
il frutto del suo lavoro fino al tempo opportuno, che non spetta a
lui determinare. Paziente è chi non si lascia piegare dalle
avversità, ma rimane fermo e saldo nella sua “ostinata”
speranza.
Se
ritorniamo al Vangelo di oggi, vediamo che, dopo aver indicato le
opere sulle quali riflettere e in base alle quali è possibile dare
un giudizio su di Lui, il Redentore esprime il suo pensiero su
Giovanni il Precursore. Lo fa rivolgendosi alle folle. La grandezza
di Giovanni non consiste solo nell’austerità della sua vita e
nella fortezza del suo carattere. Sta piuttosto nell’aver accettato
il compito di correre davanti al Messia per prepararGli il terreno.
Il fatto che Giovanni è mandato per chiamare alla conversione e
indicare l'arrivo del Messia lo qualifica già per questo come un
messaggero di gioia.
Giovanni
il Battista è venuto per rendere testimonianza a Gesù e alla gioia
da Lui portata. Come non si può essere nella gioia se Giovanni ci
indica Cristo come Agnello che manifesta l’amore di Dio con la
misericordia?
Il
Battista “permise” a Cristo di scendere nell’acqua del Giordano
per compiere ogni giustizia (cfr Mt 3, 15), noi permettiamo a
Dio di essere l’amore che scende nel nostro cuore per compiere in
noi questa giustizia.
Giovanni,
da piccolo e perfino ancora prima di nascere, indicò la presenza di
Gesù sussultando di gioia nel grembo di sua mamma Elisabetta. Da
adulto, da grande si fece piccolo perché Cristo crescesse (cfr Gv
3,30). Anche noi facciamoci piccoli e lasciamo che Cristo nasca e
cresca in noi, dilatando il nostro cuore.
Allora
saremo nella gioia e questa gioia renderà a noi evidente la presenza
del Salvatore, come accadde a Giovanni il Precursore.
Allora
saremo testimoni che il Signore che aspettiamo e che cerchiamo di
amare e di incarnare è davvero il Dio amante della vita e datore di
gioia.
3)
Testimoni della gioia.
Nel
Vangelo di questa domenica di fronte agli inviati di Giovanni il
Battista, che chiedono se sia lui il Messia, Gesù risponde dicendo
quello che è mediante quello che fa: i miracoli. Queste sue azioni
stupefacenti parlano da se stesse della sua origine in Dio, della sua
missione redentrice. E’ lui il Messia atteso, non c'è altro da
attendere, perché la sua vita è un inno alla carità, alla
solidarietà in modo perfetto e definitivo. Non bisogna attendere
altro consolatore degli afflitti, altro samaritano che cura il
malcapitato lungo la via. Gesù si fa carico della sofferenza umana,
interviene con i suoi poteri a salvare chi si trova nel bisogno e
portare nel mondo la gioia evangelica.
I
santi continuano questa opera di Cristo. L’esempio più recente è
quello di Santa Teresa di Calcutta.
Questa
Missionaria della Carità e madre dei poveri è una testimone
bellissima ed attuale Di questa gioia evangelica, che nasce da un
fatto, da un evento di liberazione. Questa Santa è stata a contatto
con la miseria, il degrado umano, la morte, vivendo ogni giorno tra i
più poveri dei poveri. La sua anima ha conosciuto la prova della
notte oscura della fede, eppure ha donato a tutti il sorriso di Dio.
Lei stessa esprime la sua esperienza di gioia così: “Noi
aspettiamo con impazienza il paradiso, dove c'è Dio, ma è in nostro
potere stare in paradiso fin da quaggiù e fin da questo momento.
Essere felici con Dio significa: amare come Lui, aiutare come Lui,
dare come Lui, servire come Lui” (La gioia di darsi agli altri,
Ed. Paoline, 1987, p. 143).
Da
questa madre dei poveri impariamo che la gioia entra nel cuore di chi
si pone al servizio dei piccoli e dei poveri. In chi ama così, Dio
prende dimora, e l’anima è nella gioia. Se invece si fa della
felicità un idolo, si sbaglia strada ed è veramente difficile
trovare la gioia di cui parla Gesù e che riceviamo nell’incontro
con Gesù. Questo insegna Papa Francesco scrivendo: “La gioia del
Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano
con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal
peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con
Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (Es. Ap. Evangelii
gaudium, 1).
Un
altro esempio attuale, contemporaneo di vita spesa nella gioia di
Cristo atteso e accolto con gioia ci viene dalle Vergini consacrate
nel mondo. Grazie alla verginità offerta per il Regno di Dio queste
donne instaurano un rapporto di amore personale ed esclusivo con la
persona di Cristo. La rinuncia dell’amore umano (eros) per
vivere nell’amore di Dio (agape) testimonia che Cristo è
tutto per loro. La gioia è esperienza di essere amati perciò la
gioia della vergine consacrata è Cristo: “Questa sarà la gioia
delle Vergini di Cristo: gioia a proposito di Cristo, gioia in
Cristo, gioia con Cristo, gioia al seguito di Cristo, gioia per mezzo
di Cristo, gioia a causa di Cristo” (S. Agostino d’Ippona, De
virginitate, 27: PL 40, 411). Questa gioia è promessa dal
Vescovo durante il Rito della consacrazione: “Cristo, Figlio della
Vergine e sposo delle vergini, sarà la vostra gioia e corona sulla
terra, finché vi condurrà alle nozze eterne nel suo regno, dove
cantando il canto nuovo seguirete l’Agnello dovunque vada” (RVC
27, progetto di omelia) e “Ricevete l’anello delle mistiche
nozze con Cristo e custodite integra la fedeltà al vostro Sposo,
perché siate accolte nella gioia del convito eterno” (RCV 40)
1 S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-IIæ, q. 31, a. 3.
2 E’ grazie a questa antifona che questa domenica ha preso il nome di domenica “Gaudete” cioè “rallegratevi”, perché il Messia è davvero vicino.
Lettura
patristica
San
Gregorio Magno
Omelia
6, 2-5
Ma
ascoltiamo quello che [Gesù] dice di Giovanni, dopo che i discepoli
di questo si sono allontanati: "Cosa
siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento?"
(Mt
11,7).
Così dicendo certamente intendeva negare, non affermare. La canna,
infatti, alla brezza più lieve si piega in un’altra parte. E cosa
s’intende per canna se non un animo carnale, che appena è sfiorato
dalla lode o dal biasimo subito si piega da questa o da quella parte?
Se infatti dalla bocca degli uomini soffia il vento della lode, si
rallegra, si riempie di orgoglio e tutto si strugge in tenerezza. Ma
se da dove veniva il vento della lode soffia il vento del biasimo,
subito s’inclina dall’altra parte accendendosi d’ira. Giovanni
però non era una canna agitata dal vento, poiché‚ non si lasciava
blandire dal favore né il biasimo lo irritava, da qualunque parte
venisse. La prosperità non lo rendeva orgoglioso e le avversità non
potevano prostrarlo. Pertanto, Giovanni non era una canna agitata dal
vento, dal momento che nessuna vicissitudine umana riusciva a
smuoverlo dalla sua fermezza. Impariamo perciò, fratelli carissimi,
a non essere come una canna agitata dal vento, rafforziamo l’animo
nostro in mezzo ai soffi delle lingue, e rimanga inflessibile lo
stato della mente. Nessun biasimo ci spinga all’ira, nessun favore
ci inclini a una sterile debolezza. La prosperità non ci faccia
insuperbire, le avversità non ci turbino, di modo che, radicati in
una solida fede, non ci lasciamo smuovere dalla mutevolezza delle
cose transitorie.
Così
continua ad esprimersi [Gesù] riguardo a Giovanni: "Ma
che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito di morbide vesti?
Ecco, quelli che portano morbide vesti abitano nei palazzi dei re"
(Mt
11,8).
Infatti descrivono Giovanni vestito con peli di cammello intrecciati.
E cos’è questo: "Ecco,
quelli che portano morbide vesti abitano nei palazzi dei re",
se non un dire apertamente che quanti rifuggono dal soffrire amarezze
per amore di Dio e sono dediti soltanto alle cose esteriori, militano
non per il regno celeste, ma per quello terreno? Nessuno dunque creda
che nel lusso e nella preoccupazione delle vesti non ci sia alcun
peccato, poiché se non ci fosse colpa, il Signore non avrebbe
affatto lodato Giovanni per l’asprezza delle sue vesti...
E
già Salomone aveva detto: "Le
parole dei savi sono come pungoli, e come chiodi piantati
profondamente"
(Qo
12,11).
A chiodi e a pungoli sono paragonate le parole dei sapienti, perché
esse non sanno accarezzare le colpe dei peccatori, ma bensì le
pungono.
"Ma
chi siete andati a vedere nel deserto? Un profeta? Sì, vi dico; e
più che un profeta"
(Mt
11,9).
È infatti compito del profeta predire le cose future, non indicarle.
Giovanni è più che un profeta, perché indicò, mostrandolo, colui
del quale nel suo ufficio di precursore aveva profetato. Ma poiché‚
[Giovanni] non è una canna agitata dal vento, poiché non è vestito
di morbide vesti, poiché‚ il nome di profeta non basta a dire il
suo merito, ascoltiamo dunque in che modo possa essere degnamente
chiamato. Continua [il Vangelo]: "Egli
è colui del quale sta scritto: Ecco io ti mando innanzi il mio
angelo, perché prepari la tua via dinanzi a te"
(Ml
3,1).
Ciò che in greco viene espresso col termine angelo, tradotto,
significa messaggero. Giustamente, dunque, viene chiamato angelo
colui che è mandato ad annunziare il sommo Giudice: affinché‚
dimostri nel nome la dignità dell’azione che compie. Il nome è
certamente alto, ma la vita non gli è inferiore.
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