4ª
Domenica di Avvento – Anno A – 18 dicembre 2016
Rito Romano
Is
7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24
Rito
Ambrosiano
Is
62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38°
6ª
Domenica di Avvento
Domenica
dell’Incarnazione
o
della Divina Maternità della Beata Vergine Maria
1) Un modello di
attesa: Giuseppe
Nella prima domenica
di Avvento la Liturgia ci ha invitato a vivere intensamente l’attesa
dell’Atteso come l’ha vissuta la Madonna, non lasciando che il
nostro cuore si addormenti, perché appesantito da preoccupazioni
varie.
La
seconda domenica di questo tempo di attesa siamo stati invitati a
vivere una costante conversione. Per accogliere la Parola e non le
chiacchere, occorre saper ascoltare e accogliere la Parola con la
mente e col cuore trasformati dalla conversione.
La terza, facendoci
riflettere sull’esperienza dolorosa del carcere e del dubbio di S.
Giovanni Battista, ci ha insegnato che ci vuole la fiducia nella
Parola, altrimenti rimane lettera morta, non certamente Spirito e
Vita. Questa Parola è Vita e fonte di gioia.
Nella quarta domenica
di Avvento, dopo che in quelle precedenti ci
ha chiesto di vivere l’Avvento come Giovanni il Battista e la
Madonna hanno vissuto l’attesa di Cristo, la Liturgia ci
propone un terzo modello di come vivere l’Avvento: quello di San
Giuseppe.
Dunque, in
questa domenica la Chiesa ci chiede di vivere i pochi giorni
che ci separano dal Natale, come San Giuseppe ha vissuto i giorni che
sono passati dalla notte piena di timore, in cui - in sogno –
ricevette l’annuncio che in Maria, sua promessa sposa, era
germinata la Vita, alla notte piena di gioia, in cui il Figlio
di Dio nacque nella grotta di Betlemme.
La traiettoria che
Giuseppe ci indica è chiara: dall’ascolto della Parola dèttagli
da un angelo in sogno, all’abbandono fiducioso alla volontà di Dio
che gli chiede di essere il custode del Redentore che sta per
nascere.
Umanamente parlando
Giuseppe è grande, perché conoscendo e amando veramente Maria si
arrende davanti al concepimento in Maria, non discute sulle cause di
quella gravidanza inspiegabile e sceglie la via umanamente più
misericordiosa: difende la dignità di Maria, rinunciando ad un
pubblico rifiuto, - usanza di allora che sarebbe stato un condannare
Maria al disprezzo di tutti - e la congeda ‘in silenzio”.
Divinamente parlando
Giuseppe è grande, perché quando Dio stesso lo illumina sulla vera
identità del Figlio di Maria, nato non da uomo, ma dallo Spirito
Santo, Giuseppe ritorna sulla sua decisione (cioè si converte) e “la
prese con sé come sua sposa”. Si convertì cambiando modo di
ragionare. Questa conversione della mente implicò un cambiamento di
vita. Per essere il custode del Redentore, visse l’attesa della sua
nascita non aspettando un’idea, ma una persona. Per Lui il Natale
fu ricevere la visita di persona, fu un incontro che cambiò la vita.
Organizzò la sua vita per custodire la Vita e donarla al mondo.
Chiediamo umilmente la
grazia di potere imitare questo padre legale di Gesù. Non
dimentichiamo però l’aggettivo “legale” che deriva si dal
sostantivo “legge”, ma la legge della Carità. Contempliamo
stupiti e imitiamo tenaci la fede operosa di San Giuseppe e il suo
totale abbandono a ciò che il Signore gli chiede di fare di fronte
al mistero del concepimento e della nascita di Gesù: di esserne il
“padre legale”. Questa espressione è più corretta di quella di
“padre putativo”. In effetti, San Giuseppe non è un padre
solamente perché l’opinione comune lo reputa tale. Lui è
realmente padre. Certo, come ha ben scritto Sant’Agostino:
“Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità”.
2) I tre sì.
Riflettiamo ora sulla
frase finale del vangelo di oggi: “Quando si destò dal sonno,
Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese
con sé la sua sposa” (Mt.1, 14). Lo sposo di Maria disse sì
a Dio non parlando ma facendo. Nel silenzio il falegname di Nazareth
accettò ed espletò il compito di essere il Capo-famiglia, che
protegge la crescita di Cristo nel mondo. Lui è l’uomo a cui Dio
Padre ha affidato Suo Figlio da custodire e proteggere, e ci è
riuscito per questa semplice sequenza logica e pratica, a cui si è
sempre attenuto: la parola che aveva ascoltato l'ha sempre
immediatamente fatta, operata, incarnata.
Lui è il padre legale
di Cristo perché ha vissuta una paternità verso Gesù che si è
espressa concretamente assolvendo il compito di “custode del
Redentore” (San Giovanni Paolo II) e facendo della sua vita “un
servizio, un sacrificio, al mistero dell'incarnazione e alla missione
redentrice che vi è congiunta; nell'aver usato dell'autorità
legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale
dono di sè, della sua vita, del suo lavoro; nell'aver convertito la
sua umana vocazione all'amore domestico nella sovrumana oblazione di
sè, del suo cuore e di ogni capacità nell'amore posto a servizio
del Messia germinato nella sua casa” (Paolo VI, in Insegnamenti,
IV, 1966, p.110).
Grazie al “sì”
silenzioso di Giuseppe, Maria, la donna del “sì” totale a Dio,
ebbe una casa dove il Verbo di Dio, che aveva detto “sì”,
divenne l’Emmanuele, il Dio con noi, per noi e in noi. Come dice
San Paolo, in Cristo non c’è stato il ‘sì’ e il ‘no’: ma
solo il ‘sì’ (Cfr. 2 Cor 1, 18-19) ). Nel Getsemani
ricordiamo l’atto di affidamento di Gesù alla volontà del Padre:
non la mia ma la tua volontà si compia, o Padre (Cfr. Lc 22,
42) ). Il salmo 39 ci fa pregare: “Tu non hai voluto offerte
e sacrifici: un corpo mi hai dato; allora io detto: ecco io vengo”.
E nella lettera agli Ebrei: “Tu non hai voluto né
sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai
gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto:
‘Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro
– per fare, o Dio, la tua volontà’” (10, 4-10)
3) Il sì delle
Vergini consacrate nel mondo: un sì dentro i tre sì.
Tutti desideriamo
essere come Maria e Giuseppe e con loro essere la casa di Cristo.
Tutti siamo chiamati ad essere testimoni della Parola che non
colpisce solo l’udito ma i cuori aprendoli e dimorandovi
stabilmente.
E se ora mi domandassi
quale “utilità” ha la devozione a San Giuseppe per le vergini
consacrate, che con il loro sì si impegnano ad essere testimoni
speciali della fecondità della Parola, risponderei che le aiuta a
vivere nell’umiltà di stare al posto scelto per loro dal Padre
Mediante il sacrificio
totale di sè Giuseppe esprime il suo generoso amore verso la Madre
di Dio, facendole dono sponsale di sé in modo verginale. Pur deciso
a ritirarsi per non ostacolare il piano di Dio che si stava
realizzando in lei, egli per espresso ordine angelico la trattiene
con sè e ne rispetta l'esclusiva appartenenza a Dio.
Inoltre
la verginità rappresenta l’imitazione del modo con cui Giuseppe ha
vissuto l’affetto verso Gesù e verso la Madonna e anticipa il modo
compiuto di vivere gli affetti nella vita eterna. Da qui scaturisce
la modalità di vivere la maternità e paternità di chi si consacra
a Dio. Ma non si deve mai dimenticare che per generare bisogna essere
stati generati e per essere padri e madri bisogna non solo essere
stati, ma essere tuttora figli. Essere generati dall’amore ci rende
a nostra volta capaci di trasmettere e di donare vita. Da qui
l’importanza di vivere una effettiva appartenenza alla Chiesa, di
cui San Giuseppe è il Patrono.
Sull’esempio di Gesù,
Maria e Giuseppe anche noi diciamo il nostro ‘sì’ . Allora la
nostra vita sarà trasfigurata dalla misericordia di Dio.
Lettura Patristica
San Agostino d’Ippona
Sermone 51, 16.26;
20.30
La vera paternità
di Giuseppe
La dignità verginale
ebbe origine dalla Madre del Signore, quando cioè nacque il re di
tutti i popoli; fu lei a meritare non solo d’avere il figlio ma
anche di non soggiacere alla corruzione. Come dunque quello era vero
matrimonio e matrimonio senza corruzione, così quel che la moglie
partorì castamente, perché il marito non avrebbe dovuto accoglierlo
castamente? Come infatti era casta la moglie, così era casto il
marito; e come era casta la madre, così era casto il padre. Colui
dunque che dice: "Giuseppe non doveva essere chiamato padre,
perché non aveva generato il figlio", nel procreare i figli
cerca la libidine, non l’affetto ispirato dalla carità. Giuseppe
con l’animo compiva meglio ciò che altri desidera compiere con la
carne. Così, per esempio, anche coloro che adottano dei figli, non
li generano forse col cuore più castamente, non potendoli generare
carnalmente? Vedete, fratelli, i diritti dell’adozione, per cui un
uomo diventa figlio di uno dal quale non è nato, in modo che ha
maggior diritto nei suoi riguardi la volontà dell’adottante che
non la natura del generante.
Allo stesso modo che è
casto marito, così [Giuseppe] è pure casto padre. Ciò che lo
Spirito Santo effettuò, lo effettuò per ambedue. È detto: Essendo
un uomo giusto (Mt 1, 19). Giusto dunque l’uomo, giusta la
donna. Lo Spirito Santo, che riposava nella giustizia di ambedue,
diede un figlio ad entrambi. (…) L’Evangelista dice anche: E
gli partorì un figlio (Lc 2, 7), parole con cui senza
dubbio si afferma che Giuseppe è padre non per virtù della carne,
ma della carità. Così dunque egli è padre e lo è realmente. (…)
E perché è padre? Perché tanto più sicuramente padre, quanto più
castamente padre. In realtà si credeva ch’egli fosse padre di
nostro Signore Gesù Cristo in modo diverso; lo fosse cioè come
tutti gli altri padri che generano carnalmente, non come quelli che
accolgono i figli con il solo affetto spirituale. Difatti anche Luca
dice: Era opinione comune che Giuseppe fosse il padre di Gesù
(Lc 3, 23). Perché era opinione comune? Perché l’opinione e il
giudizio della gente era portato verso ciò che di solito fanno gli
uomini. Il Signore dunque non è discendente di Giuseppe per via
carnale, sebbene fosse ritenuto tale. Tuttavia alla pietà e alla
carità di Giuseppe nacque dalla vergine Maria un figlio, e proprio
il Figlio di Dio.
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