venerdì 27 giugno 2014

Due fratelli per un’unica Chiesa


San Pietro è il fondamento della Chiesa, e Paolo l’architetto, il costruttore (Sant’Ambrogio di Milano, De Sp. S. II, 13, 158; P.L. 16, 808);

Festa dei Santi Pietro e Paolo – Anno A – 29 giugno 2014

Rito romano
At 12,1-11; Sal 33; 2 Tm 4,6-8.17-18; Mt 16,13-19

Rito Ambrosiano – III Domenica dopo Pentecoste
Gen 2,4b-17; Sal 103; Rm 5,12-17; Gv 3,16-21


1) Unità nella molteplicità.
Per celebrare la festa dei Santi Pietro e Paolo, la Liturgia della Messa di oggi propone due testi che si riferiscono a San Pietro e uno che parla di San Paolo.
Nella 1ª lettura presa dagli Atti degli Apostoli e nel Vangelo, che presenta un brano preso da San Matteo, si racconta l’assistenza premurosa che il Signore non fa mancare a Pietro nella sofferenza e nella prova, la professione di fede di Pietro (“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”), la sua gioia di credente, la missione che gli viene affidata di essere roccia.
Nella 2ª lettera a Timoteo, proposta come 2ª lettura, è delineata molto bene la fisionomia e la statura spirituale e morale di San Paolo.
Queste letture ci presentano due colonne della Chiesa nascente in generale, e della Chiesa di Roma, in particolare. La prima colonna è Pietro, che è la roccia posta da Cristo a fondamento della sua Chiesa, la seconda è Paolo, che è l’apostolo scelto per portare il messaggio evangelico ai pagani. Due persone profondamente diverse per temperamento e per cultura, ma accomunate da una straordinaria passione per Cristo. Un’unica missione è realizzata da loro percorrendo strade differenti, ma è convalidata dallo stesso sigillo della testimonianza spinta fino al versamento del sangue.
In questi due Apostoli ci è proposta l’immagine di ciò che ogni cristiano è chiamato ad essere: una persona afferrata da Cristo, con la missione di farLo conoscere attraverso la testimonianza della propria vita, donata a Dio con gioia e semplicità in ogni istante.

2) Le caratteristiche di San Pietro.
Il modo di essere Apostolo di Pietro può essere capito e imitato, se ne comprendiamo il carisma suo specifico che era fatto di fermezza, solidità, perseveranza, forza di essere nella diversità delle situazioni sempre sostanzialmente eguali a se stesso, di vivere e di sopravvivere, sicuri di un Vangelo iniziale, d’una coerenza attuale, di una meta finale. Sinteticamente detto: la fede.
Per avere la fede e vivere di fede non occorre avere doti speciali. Guardiamo la figura di Pietro: la sua grande fede si innestò su una umanità forte, ma semplice. Egli fu un pescatore di Galilea, un discepolo di Giovanni il Precursore. Poi fu chiamato da Gesù con un nuovo nome, Cefa, che significa Pietro1. Cristo lo chiamò ad essere pescatore di anime2 e pastore3. Gli affidò la Chiesa, insieme con gli altri undici e primo di essi. Il Redentore fece Apostolo4 questo discepolo, che era un uomo umile5, docile e modesto6, debole anche7, ed incostante e pauroso perfino8, ma pieno d’entusiasmo e di fervore9, di fede10, e di amore11. Pietro da subito esercitò nella nascente comunità cristiana12, di centro, di maestro, di capo. Un primato di amore e di verità, di fede, di fedeltà,
E’ la fede che dobbiamo domandare a Pietro, quella che da lui e dagli Apostoli ci deriva.
Che cosa saremmo senza la fede, la vera fede? Polvere di storia, granelli di sabbia sbattuta dal vento. Ma ci è richiesto qualche cosa di più, se vogliamo essere devoti di San Pietro. Ci è richiesta la fedeltà. La fede è di tutto il Popolo di Dio; ed anche la fedeltà; ma tocca principalmente a noi dare prova di fedeltà. «Siate forti nella fede» (1 Pt 5,9). Cioè non possiamo dirci discepoli e seguaci di San Pietro, se la nostra adesione al messaggio redentivo di Gesù Cristo non avesse quella fermezza interiore, quella coerenza esteriore, che ne fa un vero e pratico principio di vita.

3) Le caratteristiche di San Paolo.
Per descrivere il carisma, il dono spirituale specifico che ha ricevuto San Paolo, mi servirò di quanto scrive San Tommaso d’Aquino nel suo commento alle lettere di questo Apostolo delle Genti e di un paragone fatto da San Giovanni Crisostomo.
Il grande teologo domenicano inquadra la figura di san Paolo e la sua opera con il richiamo alla espressione degli Atti degli Apostoli (9,15) con la quale il Signore parla di Paolo ad Anania in una visione: “Egli è per me vaso di elezione per portare ai popoli il mio nome”. L’immagine del vaso è sovente usata nella Scrittura per indicare gli uomini e San Tommaso si serve di questa immagine per descrivere le caratteristiche della figura di san Paolo.
Quattro sono le caratteristiche di un vaso:
1) è un prodotto della libera volontà di un artigiano,
2) è un contenitore capiente,
3) è fatto per essere usato, quindi
4) è utile.
In effetti,
1) come un vaso è plasmato dall’artigiano, così Paolo è un uomo plasmato da Dio. E’ creta docile nelle “mani” creative di Dio, che fatto con materiale prezioso come l’oro, il quale indica la ricchezza della sapienza, della carità e di tutte le virtù ricevute da questo Apostolo. Infatti San Paolo insegnò i misteri della Sapienza divina, elogiò la carità e raccomandò agli uomini le virtù da coltivare.
2) Come contenitore, Paolo fu pieno del nome di Gesù, da predicare e da amare.
3) Egli fu usato secondo la nobiltà più grande: per portare il nome di Gesù nel corpo, ricevendo le stimmate di Cristo, e nella bocca, come la colomba del diluvio portò nel becco il ramoscello d’ulivo che è simbolo della misericordia di Dio. Infatti, Gesù è questa misericordia: il suo nome significa Salvatore. Paolo stesso fu destinatario di questa misericordia, un convertito, ma la portò con la predicazione anche ai pagani eletti.
4) Quanto all’utilità, Paolo divenne infatti maestro delle genti. E il frutto del suo insegnamento sono le sue lettere, nelle quali è esposta la dottrina della grazia di Cristo.
Per capire questo 4 punto è utile il paragone che San Giovanni Crisostomo fa tra Paolo e Noè: “Paolo non mise insieme delle assi per fabbricare un'arca; piuttosto, invece di unire delle tavole di legno, compose delle lettere e così strappò di mezzo ai flutti, non due, tre o cinque membri della propria famiglia, ma l'intera ecumene che era sul punto di perire” (Paneg. 1,5). Proprio questo può -ancora e sempre- fare l’apostolo Paolo. Prendere da lui, tanto dal suo esempio apostolico quanto dalla sua dottrina, sarà quindi uno stimolo per il consolidamento dell’identità cristiana di ciascuno di noi e per il rinnovarsi costante della Chiesa.
Infine, vorrei mettere in evidenza la frase di San Paolo che –secondo me- meglio esprime quello che questo Apostolo è: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). E’ un nuovo senso della vita, dell’esistenza umana, che consiste nella comunione con Gesù Cristo vivente; non solo con un personaggio storico, un maestro di saggezza, un leader religioso, ma con un uomo in cui Dio abita personalmente.
Secondo il linguaggio contemporaneo, potremmo dire che San Paolo era un uomo interculturale. In effetti riassumeva in sé tre mondi: quello ebraico, quello greco e quello romano. Non a caso Dio affidò a lui la missione di portare il Vangelo dall’Asia Minore alla Grecia e poi a Roma, gettando un ponte che avrebbe proiettato il Cristianesimo fino agli estremi confini della terra.
Protagonisti di questa missione siamo tutti noi cristiani, uomini e donne che, come san Paolo, possono dire: “Per me il vivere è Cristo”. Persone, famiglie, comunità che accettano di lavorare nella vigna del Signore (cfr Mt 20,1-16). Operai umili e generosi, che non chiedono altra ricompensa se non quella di partecipare alla missione di Gesù e della sua Chiesa.
In questa missione le Vergini consacrate nel mondo hanno un compito particolare, quello di testimoniare nel loro lavoro quotidiano che si può vivere in Cristo, con Cristo e per Cristo, cioè “della Sua parola, del Suo Corpo, del Suo Spirito”, come scrive Sant’Agostino che aggiungeva che “la gioia delle vergini consacrate viene da Cristo, è in Cristo, con Cristo, alla sequela di Cristo, per mezzo di Cristo e in vista di Cristo”:
Tutti siamo chiamati a seguire Cristo riponendo in Lui il senso ultimo della propria vita, fino a poter dire con l'Apostolo: “Per me il vivere è Cristo”. “Ma un’esperienza singolare della luce che promana dal Verbo incarnato fanno certamente i chiamati alla vita consacrata, cheli pone quale segno e profezia per la comunità dei fratelli e per il mondo. Non possono perciò non trovare in essi particolare risonanza le parole estatiche di Pietro: “Signore, è bello per noi stare qui” (Mt 17, 4).Queste parole dicono la tensione cristocentrica di tutta la vita cristiana. Esse, tuttavia, esprimono con particolare eloquenza il carattere totalizzante che costituisce il dinamismo profondo della vocazione alla vita consacrata “( Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Post-sinodale Vita Consecrata, n. 15).


1 Gv 1, 42; Mt 16, 18.
2 Lc 5, 10.
3 Gv 21, 15, ss.
4 Lc 6, 13.
5 Lc 5, 8.
6 Cf. Gv 13, 9; 1 Pt. 5, 1.
7 Mt 14, 30.
8 Mt 26, 40-45, 69 ss.; Gal. 2, 11.
9 Mt. 26, 33; Mc. 14, 47.
10Gv 6, 68; Mt 16, 17.
11Lc. 22, 62; Gv 21, 15 ss.

12Cf At. 1 - 12, 17.


Lettura patristica
Sant'Agostino, vescovo
Dal Discorso 295, 1-2. 4. 7-8 (PL 38, 1348-1352)
Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato.
Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa.
    Il beato Pietro, il primo degli apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: «E io ti dico: Tu sei Pietro» (Mt 16, 18). E precedentemente Pietro si era rivolto a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16). E Gesù aveva affermato come risposta: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Su questa pietra stabilirò la fede che tu professi. Fonderò la mia chiesa sulla tua affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Tu infatti sei Pietro. Pietro deriva da pietra e non pietra da Pietro. Pietro deriva da pietra, come cristiano da Cristo.
    Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l'incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l'intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l'intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli è la personificazione dell'universalità e dell'unità della Chiesa. «A te darò» quello che è stato affidato a tutti. È ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che è stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un'altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).
    Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l'incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l'unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro è il primo degli apostoli.
    Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell'amore la testimonianza, come la presunzione è stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell'amore ciò che avevi legato per timore.
    E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro.
    Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch'essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli.
    Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione.


venerdì 20 giugno 2014

Eucaristia: cibo per la fame di Amore.

CORPUS DOMINI - Anno A22 giugno 2014

Rito Romano
Dt 8,2-3.14b-16a; Sal 147; 1 Cor 10,16-17; Gv 6,51-58

Rito Ambrosiano
Dt 8,2-3. 14b-16a; Sal 147; 1Cor 10,16-17; Gv 6, 51-58

1) Pane di Vita e di Amore.
Per entrare nel mistero dellEucaristia, prima di tuttosecondo me- è necessario ricordarsi delle parole di Gesù:Dio ha amato talmente il mondo da donare il Suo figlio Unico perché il mondo si salvi per mezzo di Lui(cfr Gv 3, 16).
L'Eucaristia è il sacramento, che perpetua questo dono che viene dallamore fedele di Dio.
Per questo, nella festa del Corpo e del Sangue del Signore la Liturgia propone come Prima Lettura della Messa di oggi un brano del Deuteronomio, che è un invito a non dimenticare che durante l’esodo Dio è sempre stato accanto al popolo di Israele. Nel Suo amore fedele, Dio non ha esitato a mettere alla prova gli Ebrei nel deserto, ma è stato sempre accanto a loro ed ha dato loro la manna perché continuassero il cammino verso la terra promessa.
Nella Seconda Lettura, san Paolo ci parla del fine dell’Eucaristia che è di “formare un solo corpo” (cfr 1 Cor 17), di essere tutti in comunione con Cristo e di essere tra noi fratelli, cioè Chiesa nutrita dal pane eucaristico condiviso. Comunione significa scambio, condivisione. Ora la regola fondamentale della condivisione è questa: quello che è mio è tuo e quello che è tuo è mio. Ma che cosa ho io di propriamente “mio”? La miseria, il peccato: solamente ciò è esclusivamente mio. E che cosa ha di “suo” Gesù? La santità, la perfezione di tutte le virtù. Allora la comunione consiste nel fatto che io dò a Gesù il mio peccato e la mia povertà, e lui mi dà la Sua santità. Si realizza il “meraviglioso scambio”, come lo definisce la Liturgia.
Nelle Terza Lettura, che riporta un breve brano preso dal capitolo 6 del Vangelo di San Giovanni, ci viene presentata la volontà di Gesù di nutrire tutti con la sua carne e di dissetarli con il suo sangue per avere la vita e averla in abbondanza.
Quando si va a ricevere la Comunione, il sacerdote dice Il Corpo di Cristo, e il fedele rispondeAmen. Dobbiamo dunque essere membra del Corpo del Cristo, perché sia vero il nostro Amen. Eun mistero di unità, pietà, carità. Un solo pane, un solo corpo, fatto di molti. Il pane non è fatto con un solo chicco di grano, ma con un gran numero.Al battesimo siete stati imbevuti dacqua. Lo Spirito Santo è venuto allora in voi come il fuoco che cuoce la pasta: Siate dunque ciò che vedete e ricevete ciò che siete(SantAgostino).
Epure importante sottolineare alcuni particolari che non sono però dei dettagli irrilevanti. Nel Vangelo di Giovanni constatiamo che lApostolo preferisce la parolacarne1alla parolacorpo. Probabilmente vuole mettere in rilievo il realismo dell'incarnazione (il Verbo si è fatto carnedavvero) contro le tendenze che cercavano, al contrario, di negare al Figlio di Dio la possibilità di assumere una vera e piena umanità. Si noti, poi, la dimensione universale: questo Santo Cibo è per la vita del mondo intero. Infine cè uninsistenza che non è casuale: mangiare la carne e bere il sangue è indispensabile per avere la vita. Cristo è vero cibo per la vera vita degli uomini.
La B. Madre Teresa di Calcutta diceva alle sue suore che “dovevano trattare i malati come il sacerdote tratta l'ostia consacrata” e aggiungeva questa esperienza frutto della Comunione e dell’Adorazione: “Quando adoro Gesù nellEucaristia vedo i poveri e quando sto con i poveri vedo Gesù”.


2) Convocazione, cammino e adorazione.
La celebrazione della festa del Corpus Domini non consiste solamente nella Messa celebrata in modo particolarmente solenne. Essa prevede anche una processione per le strade della città o del paese.
La Chiesa, il popolo di Dio radunato attorno allEucaristia, in tutte le parrocchie della Terra avanza oggi davanti a tutto il mondo con la più grande pretesa che si possa avanzare: quella di possedere e offrire in un pezzo di pane e in un sorso di vino la carne e il sangue di Gesù, di Colui che si è detto il Cristo, il Figlio di Dio fatto Uomo, di colui che è il Redentore delluomo e del mondo intero.
Durante le processione un podi questo paneconsacratoè posto in un prezioso ostensorio ed è portato dalle mani del prete per le nostre strade, perché sia adorato come il sacramento nel quale è presente realmente il Signore del mondo.
Non è imposto a nessuno credere in questo. Ma la certezza di un popolo che cresce nel mondo e che qui è presente sfida chiunque averificareche possibilità di verità ci sia in quello che viene proposto a credere.
Per tutti, credenti o no, oggi è una grande occasione per ripensare a questa fede della Chiesa. Il credente deve ritrovare le ragioni per rinsaldarla in sé. Il non ancora credente deve paragonarsi con le ragioni che gli vengono date. La più grande di tutte queste ragioni è laresistenzadi questa fede che fino ad oggifai martiri (ne sono stati calcolati ben quarantacinque milioni nel secolo XX) e i santi, che danno tutta la loro vita per lamore a questo Cristo presente nella Chiesa, nellEucaristia, nei fratelli.
La processione di oggi non è come quella del Giovedì santo, quando, dopo la prima Cena Eucaristica, gli Apostoli accompagnarono Cristo al Monte degli Ulivi, è un cammino con Cristo risorto quindi è pieno di letizia, di stupore sereno, di adorazione, che è la preghiera che diventa sguardo.Ladorazione è la preghiera che prolunga la celebrazione e la comunione eucaristica e in cui lanima continua a nutrirsi: si nutre di amore, di verità, di pace; si nutre di speranza, perché Colui al quale ci prostriamo non ci giudica, non ci schiaccia, ma ci libera e ci trasforma” (Benedetto XVI, 2 maggio 2008).
In questoesodoeucaristico ci sono di esempio le Vergini Consacrate nel mondo. NellEucaristia Cristo è sempre in cammino verso il mondo e queste donne a Lui devote, con Lui vanno verso il mondo. Eparte della loro specifica vocazione portare Lui, presente nelle specie del pane e presente nel loro cuore, per le strade del mondo, affidando a Lui, alla sua bontà queste strade. Che sullesempio della Vergini consacrate la nostra persona sia casa per Lui e con lui e la nostra vita di ogni giorno si penetrata ogni giorno dalla sua presenza.
Esse vivono dell’Eucaristia e testimoniano che l’Eucaristia assunta con fede spinge a una vera comunione con Dio e, di conseguenza con il prossimo. Il Pane consacrato e condiviso è segno visibile di questa comunione, è sacramento di carità e il gesto di spezzarlo e di distribuirlo deve essere segno d'amore e di accoglienza. L’Eucaristia è il Pane quotidiano per il cammino di ogni giorno di persone radunate, convocate per lodare Dio e vivere di Lui.
Con l’Eucaristia il Signore non ci lascia soli in questo cammino. Egli è con noi, sempre. Anzi, Egli desidera condividere la nostra sorte fino ad immedesimarsi con noi. Ma non dimentichiamo che non basta il progredire. Se non ci sono dei criteri di riferimento, ilprogressorischia di farci correre fuori strada. Rischiammo di finire in un precipizio, o comunque di allontanarsi più rapidamente dalla meta, se Lui non ci indica il cammino. Dio ci ha creati liberi, ma non ci ha lasciati soli: si è fatto Lui stessoviaed è venuto a camminare insieme con noi, perché la nostra libertà abbia anche il criterio per discernere la strada giusta e percorrerla.
Non solo il camminare con Cristo è libertà, anche linginocchiarsi davanti allEucaristia, perché è professione di libertà. Chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo in adorazione solamente davanti al Santissimo Sacramento, perché in esso sappiamo e crediamo essere presente lunico vero Dio, che ha creato il mondo e lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito (cfr Gv 3,16).



1 Il termine greco usato da San Giovanni percarneè sarx, che corrisponde all'ebraico basar: è un vocabolo semitico che indica non tanto la carne, in senso materiale, come la intendiamo noi, ma lumanità, la persona; nel linguaggio biblico l'espressione carne e sangue designa la persona umana nella sua realtà storica, l'uomo totale nella sua manifestazione concreta. Quindi l'espressionemangiare la carnenon deve far pensare allantropofagia, ad una forma di cannibalismo, essa indica piuttosto lentrare in comunione totale con il Salvatore.




Lettura Patristica
Sant’Agostina d’Ippona
SUL SALMO 137
Adorerò presso il tuo tempio santo. Qual è questo tuo santo tempio? Quello in cui abiteremo, in cui adoreremo. Alla sua adorazione tende infatti la nostra corsa. Il nostro cuore è gravido, sul punto di partorire, e cerca un posto per partorire. Orbene, quale sarà il luogo dove Dio deve essere adorato? Qual è quel mondo o quell'edificio o quel trono in cielo e fra le stelle? Lo cercheremo ricorrendo alle Sacre Scritture, e la risposta sarà nelle parole della Sapienza, là dove dice: Io ero con lui; io ero colei di cui egli si compiaceva quotidianamente. Ci elenca poi le sue opere e ci indica quale sia il trono di Dio. Qual è? Continua: Quando formava grosse nubi in alto, quando separava la sua sede sopra i venti. Ora sua sede è lo stesso che suo tempio. Dove andremo dunque? Dovremo proprio adorarlo al di sopra dei venti? Se Dio è da adorarsi al di sopra dei venti, in questo ci vincono gli uccelli. Per " venti " si possono però intendere le anime, cioè col nome " venti " si indicano le anime, come dice in un passo la Scrittura: Ha volato sopra le penne dei venti, dov'è da intendersi che ha volato al di sopra delle risorse dell'anima. In forza di questa ampiezza di significato diciamo che l'anima è un soffio divino, una specie di vento: certo non dello stesso genere del vento che sentiamo quando sbatacchia qua e là gli oggetti ma indicando con tale nome una realtà invisibile, che cioè non si riesce a vedere con gli occhi, né a udire con gli orecchi né a sentire col naso, né a gustare con la gola, né a toccare con le mani. Quel che infatti chiamiamo anima è una energia vitale che ci fa vivere. Se prendiamo " i venti " in questo senso, non occorre che supponiamo delle penne materiali, per volare a somiglianza degli uccelli al tempio di Dio e là adorarlo. Ci accorgeremo, viceversa, che, supposta naturalmente la nostra intenzione di essere suoi fedeli, è su di noi stessi che Dio ha la sua sede. Vedete se non sia proprio questo il senso delle parole dell'Apostolo: È santo il tempio di Dio, che siete voi. Sicuramente (è cosa evidente) Dio abita negli angeli. Da cui segue che, quando il nostro godimento proviene non da beni materiali ma da realtà spirituali e da esse trae motivo per innalzare il cantico a Dio salmodiando in compagnia degli angeli, allora tempio di Dio è la stessa assemblea degli angeli, e in quel tempio noi lo adoriamo. C'è una Chiesa di quaggiù e una Chiesa di lassù. La Chiesa di quaggiù è l'insieme dei fedeli, la Chiesa di lassù è l'insieme degli angeli. Alla Chiesa di quaggiù scese il Signore degli angeli: colui che, mentre si faceva nostro servo, veniva servito dagli angeli. Diceva: Non son venuto per essere servito ma per servire. In che cosa si è reso nostro servo, se non donandoci quello che anche oggi mangiamo e beviamo? Che se il Signore degli angeli s'è fatto nostro servo, non disperiamo di diventare un giorno simili agli angeli. Chi era più grande degli angeli discese a fianco dell'uomo; il Creatore degli angeli assunse la natura dell'uomo e il Signore degli angeli per l'uomo morì. Per tutto questo io adorerò presso il tuo santo tempio, e per tuo tempio intenderò non un tempio eretto da mani di uomo ma quello stesso tempio che tu stesso ti sei eretto.
E confesserò al tuo nome, nella tua misericordia e nella tua verità. Per queste due cose noi confessiamo. Così si legge anche nell'altro salmo: Tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. Per queste due cose noi confessiamo: Nella tua misericordia e nella tua verità. Per la misericordia verso i peccatori volgesti a noi lo sguardo, per la verità ti mantenesti fedele alle promesse. Ebbene, io confesserò a te per la tua misericordia e la tua verità. E secondo questi due atteggiamenti io secondo le mie forze vorrò comportarmi: userò misericordia e verità, misericordia nel soccorrere, verità nel giudicare. Se con tali risorse Dio ci viene in aiuto, con le stesse noi ci meritiamo Dio [in premio]. A buon diritto quindi misericordia e verità son tutte le vie del Signore. Non ci sono altre vie per le quali egli possa venire a noi; non ci sono altre vie per le quali noi possiamo andare a lui.