sabato 25 giugno 2022

Esodo, cammino di libertà verso la Terra definitiva: il Cielo.

 

XIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 26 giugno 2022

Rito Romano

1Re 19,16.19-21; Sal 15; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62

Rito Ambrosiano

Es 24,3-18; Sal 49; Eb 8,6-13a; Gv 19,30-35

VI Domenica dopo Pentecoste


1) Il cammino definitivo verso Gerusalemme.

Nel capito 9 di San Luca, di cui la liturgia della Messa di oggi ci propone l’ultima parte, sono riferiti alcuni momenti importanti della vita di Cristo, che è utile ricordare.

Li richiamo brevemente.

Prima di tutto Gesù invia in missione i Dodici Apostoli. Questi hanno ascoltato e accolto il suo annuncio quindi, a loro volta, possono diffonderlo (cfr Lc 9,1-6). Al loro ritorno li coinvolge nella moltiplicazione dei pani, che non è solamente una anticipazione simbolica dell’Eucarestia., ma una vera e profonda rivelazione di Gesù e della sua esistenza e, quindi, di una vera rivelazione del gesto eucaristico. Per l’evangelista San Luca la distribuzione dei pani, l’ultima Cena, la cena di Emmaus sono i pilastri che manifestano la logica dell’esistenza di Gesù: una vita in dono.(cfr Ibid. 9,10-17).

Poi, Pietro riconosce Gesù come il Cristo, il Messia atteso dal popolo di Israele (cfr Ibid. 9,18-21). E questo è un momento molto importante perché Gesù è riconosciuto come il Cristo di Dio. Tuttavia per scoprirlo completamente sono necessarie la morte e la risurrezione, quindi Gesù comincia ad annunciare ai suoi il proprio destino di passione (cfr. Ibid. 9,22-23). E’ una vocazione che richiede certe rinunce. Chi vuole seguire Gesù deve come Lui rinunciare alla propria vita, per poi ritrovarla (cfr Ibid. 9,23-26).

Inoltre, per sostenere i suoi Apostoli in questo cammino, Gesù dà un “assaggio” della sua gloria futura ai tre Apostoli da lui preferiti: è la Trasfigurazione (cfr. Ibid. 9,28-36). Disceso dal monte, rivela ancora una volta la sua forza nei confronti del maligno (guarigione del ragazzo epilettico: Ibid. 9,37-43) e annuncia di nuovo la sua passione e morte (cfr. Ibid. 9,43-45), ma i discepoli non comprendono e si mettono a discutere su chi sia il più grande tra di loro (cfr Ibid. 9, 46-50).

Ed eccoci alla fine del capitolo 9. In questo brano (vv. 51-62), letto durante la liturgia per questa domenica, sono descritte la ferma decisione di Cristo di compiere il suo esodo andando a Gerusalemme e tre risposte di come il discepolo debba seguire il Maestro.

Vale la pena di notare che in questa parte definitiva dell’esodo di Cristo verso il Padre, i gesti di misericordia, i miracoli e gli insegnamenti continuano.

2) Le esigenze della sequela.

Gesù intraprende la strada verso Gerusalemme dove -con consapevolezza, coraggio e decisione - va per dare la vita per chi lo ammazza (cfr. Ibid. 9,51). Il Figlio di Dio cammina risolutamente verso Gerusalemme, volge il suo volto, fermo e deciso (in effetti il testo greco usa questa espressione: “Rese di pietra il suo volto”, così il testo greco che è stato tradotto con: “Gesù prese la ferma decisione”) verso la sua Pasqua di liberazione per noi. È un cammino, fatto non senza gran fatica e con decisione ferma., ma è un cammino libero e di libertà.

Cristo ci ha liberati per la libertà di figli di Dio. Per essere liberi, dietro Gesù, bisogna camminare secondo lo Spirito e nell’osservanza dei comandamenti donati da Dio per amore. I Dieci Comandamenti non sono un inno al “no”, sono sul “sì”. Un “sì” a Dio, il “sì” all’amore, e poiché io dico di “sì” all’amore, dico “no” al non amore, ma il “no” è una conseguenza di quel “sì” che viene da Dio e ci fa amare.

Riscopriamo e viviamo le Dieci Parole di Dio (in greco c’è “logoi” che quasi sempre è tradotto con comandamenti ma letteralmente significa “parole”). Diciamo “sì” a queste “dieci vie d’amore” perfezionate da Cristo, per difendere l’uomo e guidarlo alla vera libertà.

Se poi vogliamo vivere con pienezza queste vie non ci resta che seguire Cristo nel suo esodo a Gerusalemme, che non è solo quella in Terra santa ma è quella nel Cielo.

Questa sequela ha almeno tre caratteristiche.

La prima caratteristica è quella del distacco o del vero rapporto con i beni materiali.

In effetti nel vangelo di oggi vediamo che un uomo, lungo la strada verso la libertà, chiede a Gesù di volerlo seguire. Quest’uomo è già consapevole che la sequela comporti una vita itinerante: “Ti seguirò dovunque tu vada” (Ibid. 9, 57). Ma c’è qualcosa in più che deve sapere: non semplicemente la povertà materiale ci è richiesta, né semplicemente la fatica di una vita pellegrinante. Il primo dono che Gesù ci fa se lo seguiamo poveramente è quello della libertà dalle cose: se vogliamo possederle ci possiedono, se ne facciamo il fine della nostra vita siamo usati come mezzi di produzione di cose. Se invece non sono fini, ma mezzi li possiamo usare e servono. Servono, per fare una vita umana che è una vita da figli e da fratelli. E’ la vita di comunione, mentre troppo spesso si lotta anche fino alla morte. La prima condizione per seguire Cristo ed essere persone libere, il primo dono che Dio vuole farci è la povertà spirituale. Se qualcuno è chiamato, anche la povertà materiale,è un gran dono di Dio. Questa povertà significa che non siamo ciò che abbiamo, altrimenti ci identifichiamo con le cose, che diventano il nostro dio o, per essere più precisi, il nostro idolo, il nostro fine, a causa del quale distruggiamo gli altri e, infine, noi stessi.

La seconda caratteristica è quella del rapporto con le persone e che nulla sia anteposto a Dio.

Di fronte alla richiesta di Gesù: “Seguimi” per vivere nella luce e nell’amore, il secondo uomo del Vangelo di oggi chiede un rinvio. La risposta di Gesù è categorica: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Ibid. 9, 59 -60). Certamente si tratta di un linguaggio paradossale. Non è questione di seppellire o no i propri cari. È questione di accorgersi che è arrivata una novità che tutto fa impallidire.

Spero di non sbagliarmi se affermo che è un invito alla castità, a cui tutti siamo chiamati: nessuna persona, nessun dovere, nessun affetto è assoluto. Solo Dio, che non abbiamo mai visto, è assoluto. Tutto il resto è relativo e soprattutto non è mai da possedere. Quella relazione di amore reciproco, cioè quello stesso amore che Dio ha per noi gratuito, di dono, è lo stesso amore che abbiamo con l’altro, di dono reciproco e di perdono.

Se la prima caratteristica della sequela è il distacco dalle cose e la seconda è il distacco dalle persone, la terza è il distacco da se stessi, che non si è riducibili alla storia passata. L’essere umano è struttura di domanda, desiderio di infinito, apertura alla promessa di Dio.

In effetti, nel terzo dialogo leggiamo di un altro sconosciuto è disposto a seguire Gesù ma chiede il tempo di salutare quelli di casa. Il verbo greco significa salutare e lasciare. Gesù risponde con una specie di proverbio: “Chi ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, non è adatto per il regno di Dio”. Se il contadino vuole arare va diritto, non può però permettersi di guardare indietro. In altre parole, la sequela non sopporta rinvii, né distrazioni, né nostalgie,

Detto sinteticamente: il seguire Cristo è una scelta di libertà che deriva non solo dal distacco dalle cose e dalle persone, ma anche e soprattutto dalla fiducia in Dio.

3) La sequela della vergini consacrate nel mondo.

Capiamo con la mente ed anche con il cuore che seguire Gesù vuol dire quindi radicarsi nella sua parola e accogliere la sua Persona di Messia e Figlio di Dio senza riserve, senza anteporre a lui i nostri pensieri e i nostri affetti famigliari

A questo riguardo le Vergini consacrate nel mondo testimoniano che nessun affetto viene prima di Dio. È la castità dell'anima e del corpo, il loro essere "spose" di un Dio da amare in modo assoluto. Al primo posto è Dio. Volgersi indietro è rimpianto, esitazione. La scelta per Cristo è la conversione continua che la verginità rende costante e trasforma in offerta, in sacrificio gradito a Dio.

Seguire Gesù verginalmente vuol dire seguirlo incondizionatamente. Il seguire Cristo esige una fedeltà ed un amore, che mettano sempre al primo posto Dio e il Suo regno. L’esito è una vita feconda e gioiosa. Infatti, il Redentore ha detto: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la propria croce ogni giorno, e mi segua; perché, chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9,23-24). Dunque,la sequela di Cristo è una via Crucis non perché il dolore e la morte debbano essere l'approdo ultimo della vita, ma perché, come fu per Cristo, mistico chicco di grano caduto nella terra, da quella morte redentrice nascesse nuova vita.

Così ogni rinuncia fatta per seguire il Figlio di Dio, non segna semplicemente un cammino di sterile mortificazione, ma apre la via ad un’esistenza che, incessantemente, si rinnova nella grazia e rende la persona capace di percorrere il cammino della libertà più vera, quella che ci è donata in Cristo. Le persone vergini ce lo testimoniano in modo significativo, perché tutti i cristiani rispondano a questa vocazione: “Voi, fratelli siete stati chiamati a libertà, purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri...Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito ...”

Dunque la vocazione di ciascuno di noi alla sequela di Cristo è vocazione alla libertà autentica, che è dono del Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito, il quale illumina e conduce alla pienezza della vita.


Lettura Patristica

Sant’Ambrogio di Milano

In Luc., 7, 27 s.


Come seguire Gesù

       E se egli rimprovera i discepoli che volevano far discendere il fuoco su coloro che non avevano voluto accogliere Cristo (Lc 9,55), questo ci indica che non sempre si devono colpire coloro che hanno peccato: spesso giova di più la clemenza, sia a te, perché fortifica la tua pazienza, sia al colpevole, perché lo spinge a correggersi.

       Ma il Signore agisce mirabilmente in tutte le sue opere. Egli non accoglie colui che si offre con presunzione, mentre non si adira contro coloro che, senza nessun riguardo, respingono il Signore. Egli vuole così dimostrare che la virtù perfetta non ha alcun desiderio di vendetta, che non c’è alcun posto per la collera laddove c’è la pienezza della carità, e che, infine, non bisogna respingere la debolezza ma aiutarla.

       L’indignazione stia lungi dalle anime pie, il desiderio della vendetta sia lontano dalle anime grandi; e altrettanto lontano stia dai sapienti l’amicizia sconsiderata e l’incauta semplicità. Perciò egli dice a quello: «Le volpi hanno tane»; il suo ossequio non è accettato perché non è trovato effettivo. Con circospezione si usi dell’ospitalità della fede, nel timore che aprendo agli infedeli l’intimità della nostra dimora si finisca col cadere, per la nostra imprevidente credulità, nella rete della cattiva fede altrui.

Nerses Snorhali

Jesus, 502-505

La sequela di Gesù

Non ho ascoltato la voce che vivifica

che non permette di seppellire il padre;

ma ancora sono morto con la morte

per le opere di morte del Maligno.

All’aratro della parola posi mano,

però non come il lavoratore;

egli, infatti, non si gira indietro

ma verso il solco che gli sta davanti.

Da parte mia, il consiglio dall’alto ho trascurato

la retta via che conduce al cielo;

di nuovo alla terra vile mi son volto,

dalla qual m’avevi tratto con la tua venuta.

Ora, nuovamente elevami,

verso di Te nel ciel dei cieli io ascenda;

non permettermi di rivolgermi al Nemico,

per tema che non mi getti nelle tenebre.



sabato 18 giugno 2022

Adorare, aderire, condividere

 Solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo


Rito Romano - Anno C – 19 giugno 2022

Gen 14,18-20; Sal 109; 1Cor 11,23-26; Lc 9,11-17 - Ss. Corpo e Sangue di Cristo


Rito Ambrosiano

Sir 18,1-12; Sal 135; Rm 8,18-25; Mt 6,25-33 

II Domenica dopo Pentecoste



1) Moltiplicare il pane e spezzare il Pane di vita.

Per farci vivere la festa del Corpo e del Sangue di Cristo, quest’anno la Liturgia ci propone il brano del Vangelo di San Luca che narra della moltiplicazione dei pani avvenuta in un luogo vicino a Betsaida, che in ebraico vuol dire Casa del Pescato e che era la città di Pietro, Andrea e Filippo (cfr Gv 1,44).

Con i discepoli di ritorno dal “lavoro” di evangelizzazione, Gesù si era ritirato in privato in quel luogo desertico, solitario per stare con i suoi e, forse, per farli riposare dalle “fatiche” missionarie. In questa zona desertica solitaria, Gesù è raggiunto da una grande folla che ha fame di parole di vita vera e porta con sé dei malati. Lui accoglie tutti e parla loro di Dio e del suo Regno, guarendo i bisognosi di cure. In effetti, la missione del Messia è di insegnare, guarire e nutrire l’anima e il corpo.

Oggi per la solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Gesù, é a questa predicazione e questa cura spirituale e materiale, che si aggancia il brano scelto, in cui è narrata la moltiplicazione dei pani (Lc 9,11-17), figura del pane eucaristico, perché “né a a noi né a Dio è bastato darci la sua parola. Troppa fame ha l’uomo e Dio ha dovuto dare la sua Carne e il suo Sangue” (Divo Barsotti).

Il centro del brano evangelico di oggi sono le parole che si ripetono sempre ogni volta che si celebra l’Eucarestia: prese il pane, levò gli occhi al cielo, benedisse, spezzò e diede (cfr Lc 11, 16: “Egli (Gesù) prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla”).

Credo sia corretto affermare che tutto il Vangelo è un commento a queste parole, che sono da leggere nel contesto dei versetti precedenti in particolare il 12 e il 13: “Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: ‘Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta’. Gesù disse loro: ‘Voi stessi date loro da mangiare’”.

Gesù aveva già dato ai Dodici il mandato di predicare il vangelo e di guarire i malati. Ora affida loro anche il compito di dare da mangiare alla gente. Inoltre, il fatto che l’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci sia oggi scelta per la liturgia del Corpo e del Sangue di Cristo, indica che Gesù non vuole semplicemente sfamare la gente, ma compiere un segno rivelatore di come Dio vuole che gli uomini si comportino.

Secondo i discepoli tocca alla gente comprarsi da mangiare. Per Gesù, invece, il comperare va sostituito con il condividere. Questo significa che devono cambiare le relazioni fra noi e gli altri, fra noi e la Terra. E’ il grande significato dell'Eucaristia, che non solo dice una presenza di Dio, ma una presenza che si fa pane spezzato e vita condivisa. Le cose che abbiamo – poche o tante che siano - sono sempre doni di Dio, da condividere con gli altri, non da usare nonostante gli altri. Se anche i discepoli avessero loro stessi comperato il pane per la gente (“a meno che non andiamo noi a comprare i viveri per tutta questa gente” - Ibid. 9, 13), avrebbero compiuto un gesto di filantropia, non un gesto che introduceva nei rapporti una logica differente, quella del dono, e in grado di rivelare un volto nuovo di Dio, comunione d’amore e di dono.

E così comincia il giorno nuovo. In effetti, non è casuale che San Luca scriva: “Il giorno cominciava a declinare” (Ibid. 9, 12) : come non ricordare la sera dei Discepoli di Emmaus (Ibid. 24, 13-15) e, soprattutto, la sera dell’Ultima Cena (Ibid. 22, 19-20) quando istituì l’Eucarestia: finiva il giorno vecchio e ebbe inizio il “nuovo giorno”. Quando noi pensiamo che siamo al tramonto, il tramonto del nostro giorno è l’inizio del Suo giorno senza tramonto.



2) La logica del dono.

E’ vero che in questo brano del Vangelo i gesti di Gesù: benedire, spezzare il pane, distribuirlo con l’aiuto dei discepoli fanno pensare alla cena eucaristica. Tuttavia non si tratta soltanto di una prefigurazione simbolica dell’Eucaristia, ma di una vera e profonda rivelazione di Gesù e della sua esistenza e, quindi, di una vera rivelazione del gesto eucaristico. Per l’evangelista San Luca la distribuzione dei pani, l’ultima Cena, la cena di Emmaus sono i pilastri che manifestano la logica dell’esistenza di Gesù: una vita in dono.

Questo dono è l’Eucarestia: il Corpo e la vita del Figlio. Nell’Eucaristia, in cui riceviamo in dono “il corpo di Cristo dato per noi e per tutti”, ogni promessa di Dio si compie. Nell’Eucaristia viviamo tutte le feste che durante l’anno celebriamo, dal Natale alla Pasqua, dalla Pentecoste alla Trinità. Abbiamo in dono la vita nuova di figli nel Figlio. L’importante è non tenere per sé questo dono ma condividerlo.

Ma questa condivisione è possibile se si spezza il pane (non è un caso se uno dei nomi della Messa è “fractio Panis” dal latino “frangere” che vuol dire “spezzare, frantumare, tritare, sminuzzare”). Il verbo “spezzare” ricorre in tutti i racconti dell'istituzione dell'Eucaristia, come anche nei racconti della moltiplicazione dei pani e in quello dei discepoli di Emmaus. I verbi sono sempre questi quattro: prese, benedisse, spezzò, diede. E sono sempre nella stessa identica sequenza. Li abbiamo sentiti pronunciare tante volte: forse ci abbiamo fatto perfino l'abitudine.

Se Gesù accetta di essere sminuzzato senza esitazione e senza resistenze, lo fa per amore nostro. Lui condivide la sua vita “spezzandola”, lasciandosi frammentare in tanti piccoli bocconi per raggiungere ben più delle cinquemila persone di cui parla il Vangelo oggi.

Come possiamo imparare da Lui per essere come Lui? Facendo la comunione e accettando di “distribuire” noi stessi in fiducioso abbandono. Accogliamo la vocazione a donarci, vivendo in modo eucaristico, cioè unendo il nostro lavoro quotidiano e la nostra fatica di vivere alla carità di Dio.

Mentre preghiamo il Signore che ci aiuti ad imitare nella vita quotidiana ciò oggi celebriamo, guardiamo l’esempio della vergini consacrate nel mondo, perché “il Mistero eucaristico manifesta un intrinseco rapporto con la verginità consacrata, in quanto questa è espressione della dedizione esclusiva della Chiesa a Cristo, che essa accoglie come suo Sposo con fedeltà radicale e feconda. Nell’Eucaristia la verginità consacrata trova ispirazione ed alimento per la sua dedizione totale a Cristo” (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 81)

La vergine consacrata è appassionata nel suo amore per l’Eucaristia, ricevendo Cristo come sua ispirazione e suo cibo. Sempre pronta a ricevere l’amore intimo del Signore e a ricambiarlo con la preghiera e il servizio, si nutre quotidianamente del cibo eucaristico, che le dà la forza di presentarsi pubblicamente come vergine nel mezzo di una società che fa molta fatica quando non vi si oppone alla presenza di persone che non solo sono donne consacrate ma vergini consacrate.

Queste vergini testimoniano che non solo è meglio vivere come se Dio esistesse ma che Dio è la ragione della vita, della vita vera e lieta. In questo modo, esse sono “testimoni della gioia del Vangelo” (Papa Francesco).

La loro vita mostra che si realizza quanto il Vescovo promette nell’omelia: “Cristo, Figlio della Vergine e sposo delle vergini, sarà la vostra gioia e corona sulla terra, finché vi condurrà alle nozze eterne nel suo regno, dove cantando il canto nuovo seguirete l’Agnello dovunque vada” (Rituale per la Consacrazione delle Vergini, Progetto d’omelia, n. 29) e nella preghiera di consacrazione: “Signore, sii tu per loro la gioia, l’onore e l’unico volere; sii tu il sollievo nell’afflizione; sii tu il consigliere nell’incertezza; sii tu la difesa nel pericolo, a pazienza nella prova, l’abbondanza nella povertà, il cibo nel digiuno, la medicina nell’infermità. In te, Signore, possiedano tutto, poiché hanno scelto te solo al di sopra di tutto” (Ibid., n. 38). La vergine consacrata è un dono d’amore fedele a Dio e spiritualmente fecondo per la Chiesa, è una storia di umiltà e di nascondimento, una vita già eterna, gioia anticipata di un’attesa che è già presenza.


Lettura Patristica


San Tommaso d'Aquino (1225 – 1274)

Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4




    L'Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi da uomini dèi.

    Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull'altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati.

    Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.

    O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento?

    Nessun sacramento in realtà è più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l'Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti.

    Nessuno infine può esprimere la soavità di questo sacramento. Per mezzo di esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione.

    Egli istituì l'Eucaristia nell'ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre.

    L'Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell'Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini.


domenica 12 giugno 2022

La Trinità e la sua dimora.

 

Rito Romano - Anno C – 12 giugno 2022

Pr 8,22-31; Sal 8; Rm 5,1-5; Gv 16,12-15 - Ss. Trinità



Rito Ambrosiano

Gen 18,1-10a; Sal 104; 1Cor 12,2-6; Gv 14,21-26


1) Il Segno di Croce e la Trinità.

Oggi siamo chiamati a festeggiare il mistero della Ss.ma Trinità. Per aiutare a vivere e a celebrare questa festa dell’amore, prima di commentare il Vangelo, ricordo che la professione di fede nel Dio Trinità - Padre, Figlio e Spirito Santo è legata al segno della Croce. Questa pratica di pietà “è e resta il gesto fondamentale della preghiera del cristiano. Il segno della Croce è soprattutto un evento di Dio: lo Spirito Santo ci conduce a Cristo, e Cristo ci apre la porta verso il Padre. Dio non è più il Dio sconosciuto; ha un nome. Possiamo chiamarlo, e Lui chiama noi” (Benedetto XVI).

Con il segno di Croce ci immergiamo in Dio Trinità, come indica il testo greco del Vangelo secondo San Matteo (Mt 28,19). Infatti, mandando i suoi discepoli in missione nel mondo intero, Cristo dice di battezzare “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. In greco c’è la preposizione “eis” e non “en”, cioè non “in nome” della Trinità – come si usa dire, per esempio, quando un ambasciatore parla “in nome»” del governo, cioè per autorità, in rappresentanza di chi lo manda. Il testo greco ha: “eis to onoma” cioè “verso o dentro (moto a luogo) il nome”1. “Quindi fare il segno della Croce è una immersione nel nome della Trinità, un inserimento nel nome della Trinità, una interpenetrazione dell’essere di Dio e del nostro essere, un essere immerso nel Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, così come nel matrimonio, per esempio, due persone diventano una carne, diventano una nuova, unica realtà, con un nuovo, unico nome” (Benedetto XVI).

Il “fare” il segno della Croce è anche un “dire” di sì a Gesù Cristo, che ha sofferto per noi e che nel suo corpo offerto per noi ha reso visibile l’amore di Dio fino al totale dono di se stesso a noi.

Inoltre, “fare” il segno della Croce è mettersi sotto la protezione della Croce che come scudo ci difende nelle piccole e grandi avversità della vita in generale e della giornata in particolare. La Croce è un segno della passione, ma è allo stesso tempo anche segno della resurrezione: essa è per così dire il bastone della salvezza che Dio ci porge, il ponte su cui superiamo l'abisso della morte e tutte le minacce del male e possiamo giungere fino a Lui.

Infine (ma queste ragioni per fare il segno della Croce non sono le sole), facendo, almeno al mattino, il segno della Croce ringraziamo Dio Padre per la nuova giornata che ci concede, preghiamo il Cristo e gli affidiamo la nostra vita e chiediamo allo Spirito di illuminare tutte le azioni quotidiane. Insomma iniziamo la giornata nel segno dell’amore trinitario,entrando nella comunione d’amore di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.


2) La Trinità secondo il Vangelo di oggi.

Ora, commento il brevissimo testo evangelico (Gv 16,12-15) della Messa di questa domenica della Trinità. In questi pochi versetti emerge lo stretto rapporto d’amore, di conoscenza, di comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Le parole di Gesù ci fanno immergere nel mistero della Trinità con quella esigenza di fondo che la conoscenza della verità, che non è altro che amore. In questo modo, capiamo sempre di più che Dio è Padre cioè fonte feconda, è Figlio cioè Parola fatta carne, amore vicino e fraterno, è Spirito cioè amore fatto abbraccio.

Dunque la Trinità non è un mistero a cui aderire anche se irrilevante per la vita di ogni giorno. In questo caso avrebbe ragione Kant che scriveva: “La dottrina della Trinità è, dal punto di vista pratico, del tutto inutile”. Al contrario, queste tre Persone divine ci sono più “intime” nella vita: non sono infatti fuori di noi, come la stessa moglie o il marito, ma sono dentro di noi. Esse “dimorano in noi” (Gv 14, 23), noi siamo il loro “tempio” e noi dimoriamo in loro.

La nostra vita si dipana tutta nel segno e nella presenza della Trinità. All’inizio della vita, fummo battezzati “nel nome del Padre e del Figlio dello Spirito Santo”. Sempre nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, siamo stati confermati, gli sposi si congiunti in matrimonio e i sacerdoti vengono consacrati dal vescovo. Alla fine della vita, accanto al nostro letto, facciamo in modo che siano pregate queste parole: “Parti, anima cristiana, da questo mondo: nel nome del Padre che ti ha creata, del Figlio che ti ha redenta e dello Spirito Santo che ti ha santificata”.

Credere alla Trinità è credere che Dio è amore, perché dall’eternità ha “nel suo seno” un Figlio, il Verbo, che ama con un amore infinito, cioè con lo Spirito Santo. Come ricorda Sant’Agostino, in ogni amore ci sono sempre tre realtà o soggetti: uno che ama, uno che è amato e l’amore che li unisce. Questo grande santo Vescovo scriveva: “Dio Padre è l’Amante, il Figlio è l’Amato, lo Spirito Santo è l’Amore”.

Il Dio cristiano è uno e trino perché è comunione d’amore ed è pure la risposta a certi atei che dicono che Dio sarebbe una proiezione che l’uomo fa di se stesso, come uno che scambia per una persona diversa la propria immagine riflessa in una pozza d’acqua o in un lago. Questo potrebbe valere per ogni altra idea di Dio, ma non del Dio cristiano. Che bisogno avrebbe, infatti, l’uomo di scindere se stesso in tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo, se veramente Dio non è che la proiezione che l’uomo fa della propria immagine?

All’obiezione che dice che questo mistero della Trinità è troppo difficile rispondo con l’invito a celebrare umilmente Dio conosciuto quale è in se stesso, anche rendendo l’omaggio di una costante riconoscenza alla gloriosa Trinità. Dio Uno e Trino non solamente ci ha creati a sua immagine e somiglianza, ma ha preso amorevole possesso del nostra persona e l’ha elevato ad una grandezza fuori di misura: il Padre ci ha adottati nel suo Figlio incarnato; il Verbo illumina il nostro intelletto con la sua luce; lo Spirito Santo ci ha eletti per sua abitazione.


3) La Trinità in noi.

A questo punto ci si può chiedere come custodire questo Tempio di carne dello Spirito. Non solo evitando il peccato che profana questa dimora e offende Dio, ma vivendo in grazia di Dio e coltivando un cuore puro e docile allo Spirito.

E se è vero che grazie al Battesimo tutti siamo diventati Tempio, cioè dimora sacra dello Spirito Santo, è altrettanto vero che la “donna” ha in sé delle connotazioni peculiari, che già nell’antico testamento, l’hanno fatta simbolo del rapporto sponsale tra Dio e il suo popolo: caratteristiche fisiche, per cui nel linguaggio corrente “vergine” è applicato quasi esclusivamente alla donna: caratteristiche psichiche e spirituali, legata alla sua connaturale capacità di aprirsi all’accoglienza e di donarsi con con fedeltà (cfr Mulieris dignitatis, 20). Dunque, più per la donna che per l’uomo la verginità consacrata ha valore di segno e di realtà.

A questo riguardo ci aiuta la solenne preghiera di consacrazione delle Vergini che dice: “O Dio, che ti compiaci di abitare come in un tempio nel corpo delle persone caste e prediligi le anime pure e incontaminate… volgi ora lo sguardo su queste figlie, che nelle tue mani depongono il proposito di verginità di cui sei l’ispiratore, per farne a te un’offerta devota e pura… concedi,  per il dono del tuo Spirito, che siano prudenti nella modestia, sagge nella bontà, austere nella dolcezza, caste nella libertà. Ferventi nella carità nulla antepongano al tuo amore; vivano nella lode senza ambire la lode; a Te solo diano gloria nella santità del corpo e nella purezza dello spirito: con amore ti temano, per amore ti servano…. In te, Signore, possiedano tutto, perché hanno scelto te solo al di sopra di tutto”

Per grazia, tutti noi cristiani siamo Tempio, dove Dio prende la sua dimora, ma le vergini consacrate testimoniano in modo speciale di essere dimora sacra di Dio. A questo riguardo, già nel Medio Evo Giovanni di Ford sintetizza l’insegnamento della Chiesa: “Il tempio di Dio è santo, e mi riferisco a tutta quanta la chiesa dei santi che vivono sia nello stato coniugale, sia nello stato di vedovanza o in quello di castità verginale. Ma di questo tempio la parte più interiore o, per così dire, il ‘sancta sanctorum’ è occupato da coloro che, liberi per la loro purezza da legami coniugali, anelano alle più alte vette della verginità” (Sermo 52).


1 Come si sa, nel linguaggio biblico, “nome” vuol dire la persona stessa di Dio, la sua presenza viva e operante nella storia umana.




Lettura Patristica

Guglielmo di Saint-Thierry (1075 – 1140)

Speculum fidei


       Tu, dunque, anima fedele, quando nella tua fede t’imbatti in un più occulto mistero, osa e di’, non per il desiderio di incontrare, ma di seguire: Come avvengono queste cose? Ma la tua domanda, sia la tua preghiera, il tuo amore e il tuo umile desiderio. Non cercare di scoprire in alto la maestà di Dio, ma cerca la salvezza di Dio, e ti risponderà l’angelo della sapienza. "Quando verrà lo Spirito che io manderò a voi dal Padre, egli vi suggerirà tutto e vi insegnerà tutta la verità" (Jn 14,26). "Nessuno infatti sa le cose dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in esso; e nessuno sa le cose di Dio, se non lo Spirito di Dio" (1Co 2,11). Sbrigati, dunque, a farti partecipe dello Spirito Santo. È presente, quando viene invocato; se non ci fosse, non sarebbe invocato. E quando viene, viene con l’abbondanza della benedizione di Dio. È fiume impetuoso, che letifica la città di Dio. E quando arriva, se ti trova umile, sereno e rispettoso della Parola di Dio, si poserà su di te, e ti rivelerà ciò che il Padre nasconde ai sapienti e avveduti di questo mondo; e cominceranno a brillare ai tuoi occhi quelle cose che i discepoli non riuscirono ad assorbire, finché non fosse venuto lo Spirito di verità, che avrebbe detto loro tutta la verità. Verità che non può essere rivelata da nessun uomo.

       E come è necessario che quelli che lo adorano, lo adorino in spirito e verità, così coloro che desiderano di conoscerlo devono cercare l’intelligenza della fede e il senso della verità nello Spirito Santo. Infatti nelle tenebre e ignoranza di questa vita ai poveri di spirito esso è luce che illumina, è carità che attira, dolce soavità; è lui che avvicina l’uomo a Dio; è l’amore di chi ama, devozione e pietà. Lui di fede in fede rivela ai fedeli la giustizia di Dio; quando dà la grazia e per la fede accolta dalla Parola di Dio dà la fede illuminata.

Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio?

Quindi non appartenete a voi stessi.


sabato 4 giugno 2022

Pentecoste: Dono del Consolatore

 Rito Romano - Anno C – 5 giugno 2022

At 2,1-11; Sal 103; Rm 8,8-17; Gv 14,15-16.23-26

Rito Ambrosiano

At 2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20


1) Apertura e dono di sé per ricevere il Dono.

Come lettura del Vangelo di oggi, Solennità di Pentecoste, la Liturgia propone versetti 15-16.23-26 del cap. 14 di San Giovanni, presi dai discorsi di addio da parte di Gesù nel Vangelo di San Giovanni, che vanno da 13, 31 a tutto il capitolo 17.

Il tema dominante di questi grandiosi discorsi è l’esodo di Cristo, cioè l’“andare” di Gesù: “Ancora per poco sono con voi, dove vado io, non potete venire” (Gv 13, 33); “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre” (Id. 16, 28); “Ma ora io vengo a te, o Padre” (Id. 17, 13). L’esodo, l’andare di Gesù verso il Padre porta con sé anche il significato del nostro andare, del nostro esodo, che è il nostro percorso esistenziale e di fede in questo mondo. Seguendo e ascoltando Cristo in questo cammino, noi impariamo a vivere con Lui, per Lui, in Lui e come Lui.

In questo contesto sono inseriti i quattro versetti, che sono oggi riproposti nella lettura del Vangelo. In essi Gesù parla dello Spirito consolatore. Per confortare i discepoli di allora e di oggi che sono in questo cammino di luce attraverso la Croce, Cristo promette lo Spirito Santo che è il “Consolatore” o, se si usa il termine greco, il “Paraclito”, che vuol dire “l’avvocato difensore”, perché difende da satana che è l’accusatore. Se traduciamo alla lettera “Paraclito” dovremmo scrivere “chiamato presso”, cioè chiamato per stare accanto a ciascun discepolo, perché custodisca fedelmente la memoria del Maestro e perché abbia una compresione profonda della Sua parola e il coraggio tenace di esserne il testimone.

Sempre nei quattro versetti del Vangelo di oggi, Gesù ci dice quali sono le condizioni per accogliere lo Spirito: l’amore a Lui, l’ascolto della sua parola e l’osservanza dei comandamenti. Se mancano queste tre condizioni non c’è alcuna apertura allo Spirito ed alla sua azione in noi.

Queste tre condizioni possono essere riassunte in una sola: il completo dono di sé. M. Teresa di Calcutta direbbe: abbandono totale. Sull’esempio di questa Santa e, soprattutto, di Maria Vergine che divenne Madre abbandonandosi all’azione delle Spirito quando disse: “Ecco la serva del Signore”, diciamo: “Accada di me secondo la tua parola”. Come la Madonna doniamoci completamente a Dio. Donarsi a Lui è donarsi all’Amore che rende feconda e lieta la nostra vita.


2) La logica del dono.

Al dono di noi stessi a Lui, il Padre risponde donandoci il Consolatore.

Questo dono è preceduto dall’atto di amore del Padre, che sa che noi abbiamo bisogno di consolazione: Lui “il Signore, ci scruti e mi conosce, sa quando ci sediamo e quando mi alziamo. Penetri da lontano i miei pensieri, ci scruti quando camminiamo e quando riposiamo. Gli sono note tutte le nostre vie” (cfr. Sal 139, 1-4). Lui ha visto la nostra miseria in terra straniere e ha udito il mio grido, Lui conosce infatti le mie sofferenze e vede le oppressioni che mi tormentano (cfr. Es 3, 7-9); nulla sfugge al suo amore infinito per me. Per tutto questo, Egli ci dona il Consolatore. Il Padre è il Donatore: tutto ci viene da Lui e da nessun altro.

Se, poi, prendiamo spunto dalla seconda lettura della Messa, che ci offre un brano della lettera di Paolo ai Romani (8, 8-17), impariamo che il dono di Dio è lo Spirito di libertà, perché ci libera dalla schiavitù della carne, cioè dall’egoismo. Lo Spirito trasforma i desideri dell'uomo: non più i desideri dell'egoismo, ma della carità, di dono commosso di sé stessi. Quando restiamo chiusi nel nostro egoismo (la carne) percepiamo la legge dell’amore (la legge di Dio) come un peso e una schiavitù. Lo Spirito rende santo il “desiderio” dell'essere umano, allora la legge della carità diventa ciò che desidera, a cui tende: la vita, la verità e l’amore. Lo Spirito ci libera trasformandoci dal di dentro, al punto tale che rinnova anche il rapporto con Dio: non più schiavi, ma figli. E anche questo è grande libertà. Il fatto che San Paolo parli di figli “adottivi”, non è per sminuire la nostra figliolanza, riducendola a qualcosa di di esterno e giuridico, ma per ricordarne la gratuità. Dio è “un abisso di paternità” (Origene), che si esprime in un intenso, infinito amore pieno di sollecitudine e delicatezza, di tenerezza e misericordia. E quando il figlio si ribella a questa paternità, cercando di negarla, di sopprimerla allontanandosi dalla casa paterna e sprecando le ricchezze ricevute come anticipo di eredità, la reazione del Padre celeste non solamente non sono di rabbia, ma testimoniano un cuore che si commuove. Dio è un Padre buono che accoglie e abbraccia il figlio perduto e pentito (cfr Lc 15,11ss), dona gratuitamente a quelli che chiedono (cfr Mt 18,19; Mc 11,24; Gv 16,23) e offre il pane del cielo e l’acqua viva che fa vivere in eterno (cfr Gv 6,32.51.58). La paternità di Dio è amore infinito.

3) Il Dono dello Spirito Consolatore.

Con l’Ascensione Cristo ci ha lasciato né soli né orfani. Con la Pentecoste, oggi celebriamo il fatto che Lui mantiene la promessa di mandarci il suo Spirito, che ci permette di amare come Lui. Se prima era con noi e presso di noi, d’ora in poi sarà in noi. Chi è amato è dimora di Chi lo ama: Lo porta nel cuore, come sua vita. Noi da sempre siamo in Dio, che ci ama di amore eterno e paterno. Se lo amiamo, Lui abita in noi come noi siamo in Lui. Infatti Gesù dice: “Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo da lui e faremo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole. E la parola che ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha inviato. Di queste cose vi ho parlato dimorando presso di voi, ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre invierà nel mio nome, Egli vi insegnerà tutte le cose e vi farà ricordare tutte le cose che vi ho detto” (Gv 14, 23 – 26).

E’ bella e giusta la traduzione della parola di origine greca “Paraclito” con “Consolatore” (dal latino cum-solo =con il solo), perché indica lo Spirito come Colui che “sarà con noi per sempre” (cfr. Gv 14, 16). Cioè lo Spirito Santo è consolatore perché non ci lascia mai soli. Chi ama ed è amato non è mai solo, è con l’altro che lo ama.

Dopo aver detto che questo Consolatore è con noi sempre e per sempre, ce ne dice il nome: Spirito della Verità. Spirito della Verità vuol dire lo Spirito vero, la Vita vera. Che cos’è la vita vera? E’ la vita di Dio. Che cos’è la Vita di Dio? E’ l’Amore tra Padre e Figlio.

Questo Consolatore che è dato a noi è la vita vera di Dio. E la vita di Dio è l’Amore tra Padre e Figlio che è sempre con noi.

A questo riguardo, Papa Francesco sintetizza in modo profondo ed esistenziale così: “Lo Spirito Santo è la sorgente inesauribile della vita di Dio in noi. L’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi desidera una vita piena e bella, giusta e buona, una vita che non sia minacciata dalla morte, ma che possa maturare e crescere fino alla sua pienezza. L’uomo è come un viandante che, attraversando i deserti della vita, ha sete di un’acqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare in profondità il suo desiderio profondo di luce, di amore, di bellezza e di pace. Tutti sentiamo questo desiderio! E Gesù ci dona quest’acqua viva: essa è lo Spirito Santo, che procede dal Padre e che Gesù riversa nei nostri cuori. «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10)”.

In consonanza con questo insegnamento propongo la preghiera di M. Teresa di Calcutta: “Signore, tu sei la vita che voglio vivere, la luce che voglio riflettere, il cammino che conduce al Padre, l’amore che voglio amare, la gioia che voglio condividere, la gioia che voglio seminare attorno a me. Gesù, tu sei tutto per me, senza Te non posso nulla. Tu sei il Pane di vita che la Chiesa mi dà. E’ per te, in te, con te che posso vivere”.


4) Dono dello Spirito e le vergini consacrate nel mondo.

E’ dono dello Spirito Santo la donazione verginale delle vergini consacrate che nella potenza dell’amore hanno saputo custodire il loro cuore indiviso per Cristo. E’ vero che dalla Pentecoste in poi, la forma di vita di Cristo continuò a essere presente nel forma di vita degli Apostoli come il libro degli Atti ci mostra. Questa forma di vita non scomparve nemmeno con la morte dell’ultimo degli apostoli: “Lungo i secoli non sono mai mancate persone che, docili alla chiamata del Padre e alla mozione dello Spirito, hanno scelto questa via di speciale sequela di Cristo, per dedicarsi a lui con cuore indiviso”(cf. 1 Cor 7,34). Anche loro hanno lasciato ogni cosa, come gli apostoli, per stare con lui e mettersi, come lui, al servizio di Dio e dei fratelli» (Vita Consecrata (VC) 1; cf. 14; 22).

Le donne consacrate, infatti, sono chiamate a vivere come vergini che, sull’esempio di Maria, Vergine e Madre, portano Cristo per le strade del mondo: diventano cristiformi (VC 19), cioè diventano l’icona santa e pura. E ciò è possibile solo in forza di un peculiare dono dello Spirito (Ibid. 14). Per questo la persona chiamata alla vita consacrata “deve aprire lo spazio della propria vita all’azione dello Spirito Santo” (VC 65). Grazie alla potenza dello Spirito della Pentecoste, la persona consacrata diventa profondamente missionaria, annunciando il vangelo con una vita che –grazie alla potenza dello Spirito Santo - è progressivamente configurata a Cristo (cfr. VC 19). Sono missionarie dell’amore perché la consacrazione le rende capaci di amare col cuore di Cristo (cfr. VC 75) e a mettersi, come lui, a servizio degli uomini. Come è affermato nelle Premesse al Rito di Consacrazione delle Vergine: “Le vergini nella Chiesa sono quelle donne che, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, fanno voto di castità al fine di amare più ardentemente il Cristo e servire con più libera dedizione i fratelli” (n. 2). Con la loro verginità consacrata sono testimoni della “concretezza” del mondo invisibile, spirituale, e ci richiamano tutti alla realtà del Regno dei cieli.



Lettura Patristica

Cirillo di Alessandria (370 – 444)

Catechesis XVI,

De Spir. Sancto, I, 22-24


L’opera mirabile dello Spirito Santo


       Qualcosa di grande, e onnipotente nei doni, e ammirabile, lo Spirito Santo. Pensa, quanti ora sedete qui, quante anime siamo. Di ciascuno egli si occupa convenientemente; e stando in mezzo (Ag 2,6) (a noi) vede di che cosa ciascuno è fatto; vede anche il pensiero e la coscienza, ciò che diciamo e abbiamo nella mente. È certamente cosa grande ciò che adesso ho detto, ma ancora poco. Vorrei che tu considerassi, illuminato da lui nella mente, quanti sono i cristiani di tutta questa diocesi, e quanti di tutta la provincia della Palestina. Di nuovo spazia col pensiero da questa provincia a tutto l’impero romano; e da questo rivolgi lo sguardo a tutto il mondo; le stirpi dei Persiani, e le nazioni degli Indi, Goti e Sarmati, Galli, e Ispani, Mauri ed Afri ed Etiopi, e tutti gli altri, dei quali non conosciamo neanche i nomi; ci sono molti popoli, infatti, dei cui nomi non ci venne neppure notizia. Considera di ciascun popolo i vescovi, i presbiteri, i diaconi, i monaci, le vergini, e tutti gli altri laici; e guarda il grande reggitore e capo, e largitore dei doni; come in tutto il mondo a uno dà la pudicizia, a un altro la perpetua verginità, a un altro ancora la misericordia (o la passione dell’elemosina), a uno la passione della povertà, ad un altro la forza di fugare gli spiriti avversi; e come la luce con un solo raggio illumina tutto, così anche lo Spirito Santo illumina coloro che hanno occhi. Poiché se uno che vede poco con l’aiuto della grazia non si dona affatto, non accusi lo Spirito ma la sua propria incredulità.


       Avete visto la sua potestà che egli esercita in tutto il mondo. Ora, perché la tua mente non sia rivolta alla terra, tu sali in alto: sali col pensiero fino al primo cielo, e contempla le innumerevoli miriadi di angeli che ivi esistono. Sempre col pensiero, sforzati di salire a cose ancora più alte, se puoi; mira gli arcangeli, mira gli spiriti; guarda le virtù, guarda i principati; guarda le potestà, i troni, le dominazioni. Di tutti questi è stato dato da Dio chi stia loro a capo, il Paraclito. Di lui hanno bisogno Elia ed Eliseo e Is tra gli uomini; di lui, tra gli angeli, Michele e Gabriele. Nessuna delle cose generate (o meglio create) è pari a lui nell’onore; infatti tutti i generi degli angeli, e gli eserciti tutti insieme riuniti, non possono avere alcuna parità ed uguaglianza con lo Spirito Santo. Tutte queste cose ricopre e oscura totalmente la buona potestà del Paraclito. Quelli infatti sono inviati per il ministero e questi scruta anche le profondità di Dio; come dice l’Apostolo: "Lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio" (1Co 2,10ss).


       Fu lui a predicare del Cristo nei profeti: lui ad operare negli apostoli: ed è lui che fino ad oggi segna le anime nel Battesimo. E il Padre dà al Figlio e il Figlio comunica allo Spirito Santo. È lo stesso Gesù, infatti, non io, che dice: "Tutto mi è stato dato dal Padre mio" (Mt 11,27); e dello Spirito Santo dice: "Quando però verrà lo Spirito di verità, ecc., egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà" (Jn 16,13-14). Il Padre dona tutto attraverso il Figlio con lo Spirito Santo. Non è che una cosa sono i doni del Padre, e altri quelli del Figlio, e altri quelli dello Spirito Santo; una infatti è la salvezza, una la potenza, una la fede. Un solo Dio, il Padre un solo Signore, il suo Figlio unigenito; un solo Spirito Santo, il Paraclito.