venerdì 29 maggio 2015

Trinità: Comunione di luce e di amore

SS. Trinità - Anno B – 31 maggio 2015
 
Rito Romano
Dt 4,32-34.39-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20

Rito Ambrosiano
Es 33,18-23;34,5-7a; Sal 62; Rm 8,1-9b; Gv 15,24-27


1) Dialogo di comunione.
La festa della Trinità non si aggiunge alle precedenti celebrazioni del Natale, della Pasqua, dell’Ascensione e della Pentecoste come il ricordo di un mistero, che sappiamo fondamentale ma che ci appare astratto e, paradossalmente, estraneo, al quale una volta all’anno dobbiamo pensare. Quella di oggi è una festa che ci fa celebrare in modo unitario ciò che -da Natale a Pentecoste- abbiamo contemplato come la sfaccettature di un diamante. Oggi contempliamo il diamante nel suo insieme.
Questa celebrazione in onore della Trinità, in un certo senso, ricapitola la rivelazione di Dio avvenuta nei misteri pasquali: la morte e risurrezione di Cristo, la sua ascensione alla destra del Padre e l’effusione dello Spirito Santo. In effetti, il senso di tutte le feste che celebrano l’azione di salvezza di Dio è sempre e nuovamente questo: “Dio è con noi”. Ma come può Dio essere con noi a Natale, Pasqua e Pentecoste se non fosse in se stesso comunione? Dio è Trinità, è comunione di amore. Dio non è solitudine, ma perfetta comunione. Per questo la persona umana, immagine di Dio, si realizza nell’amore, che è dono sincero di sé.
Il brano del Vangelo di San Mattero proposto dalla liturgia romana: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 19-20)ci aiuta a prendere coscienza della concezione cristiana di Dio-Trinità. E’ un Dio che è amore e dialogo, non solo perché ci ama e dialoga, ma perché in se stesso è un dialogo d’amore, è comunione, che entra in noi con il battesimo. Per questo Benedetto XVI ci insegna: “La Trinità divina, infatti, prende dimora in noi nel giorno del Battesimo:‘Io ti battezzo – dice il ministro – nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo’. Il nome di Dio, nel quale siamo stati battezzati, noi lo ricordiamo ogni volta che tracciamo su noi stessi il segno della croce. A proposito del segno della croce Romano Guardini scriveva: ‘lo facciamo prima della preghiera, affinché … ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera, affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato … Esso abbraccia tutto l’essere, corpo e anima, … e tutto diviene consacrato nel nome del Dio uno e trino’ (Lo spirito della liturgia. I santi segni, Brescia 2000, 125-126)”
La Rivelazione biblica e il Magistero della Chiesa ci permettono di avere non soltanto un vera concezione di Dio, ma anche di conoscere la verità di noi stessi. Se la Bibbia ripete che dobbiamo vivere nell’amore, nel dialogo e nella comunione, è perché sa che siamo tutti “immagine di Dio”. Incontrare Dio, fare esperienza di Dio, parlare di Dio, dar gloria a Dio, tutto questo significa - per un cristiano che sa che Dio è Padre, Figlio e Spirito - vivere in una costante dimensione di amore, di dialogo e di dono.
La Trinità, di cui i nostri cuori sono dimora, è comunione d’amore, e la famiglia ne è la prima e più immediata espressione. L’uomo e la donna, creati ad immagine di Dio, diventano nel matrimonio ‘un’unica carne’ (Gen 2,24), cioè una comunione di amore che genera nuova vita. La famiglia umana è dunque immagine della Trinità sia per l’amore interpersonale, sia per la missione di procreare la vita.

2) Un mistero luminoso e pratico.
La Trinità è un mistero davvero luminoso: rivelandoci Dio, ha rivelato chi siamo noi. Direi di più. La vita cristiana si svolge, dall’inizio alla fine, nel segno e in presenza della Trinità. All’alba della vita, fummo battezzati “nel nome del Padre e del Figlio dello Spirito Santo”, e alla fine, se avremo la grazia di morire cristianamente, accanto al nostro capezzale verranno recitate le parole: “Parti, anima cristiana, da questo mondo: nel nome del Padre che ti ha creata, del Figlio che ti ha redenta e dello Spirito Santo che ti ha santificata”.
Tra questi due momenti che aprono alla vita per entrare nella Vita, ci sono altri momenti che punteggiano il cammino del cristiano e che sono caratterizzati dall’invocazione della Trinità. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo gli Sposi sono uniti in matrimonio e si scambiano l’anello della fedeltà, e i Sacerdoti e i Vescovi sono consacrati. Nel nome della Trinità iniziano le nostre preghiere e le nostre azioni. La Trinità è il grembo in cui siamo stati concepiti (cf. Ef 1,4) ed è anche il porto verso cui noi tutti navighiamo. È “l’oceano di pace” da cui tutto sgorga e in cui tutto rifluisce nell’incessante flusso dell’amore (cfr Inno dei Primi Vespri della Domenica)
Santa Caterina da Siena ci aiuta a “capire” questo mistero con un’immagine semplice e illuminante. E’ l'immagine del pesce che vive e si muove nell'acqua del mare sconfinato; il pesce vive nell’acqua e dell’acqua, e questa entra in lui; ma questa piccola creatura non sa quanto grande, potente e benefico sia l’elemento in cui lui vive; tuttavia, nel mare il pesce vive, gioca, cresce e si moltiplica.
La stessa cosa, analogamente, accade all’uomo di fronte al Mistero di Dio Trinità. La persona umana è troppo piccola per comprenderlo, tuttavia, per grazia, la vita di Dio scorre in lei, per grazia Dio si piega fino a lei e le parla, con la tenerezza del Padre, con la confidenza del Fratello, con la forza dell'Amore. Pur restando misteriosa, la realtà d’amore del Dio Uni-Trino avvolge l’uomo, che in essa vive e di essa vive.
Dio è amore: per questo Lui è Trinità, questa la conclusione da ricavare dall’affermazione di Sant’Agostino: “L'amore suppone uno che ama, ciò che è amato e l'amore stesso” (De Trinitate, 8, 10, 14). Il Padre è, nella Trinità, colui che ama, che è la fonte e il principio di tutto; il Figlio è colui che è amato; lo Spirito Santo è l’amore con cui si amano.
Purtroppo per molti cristiani il mistero della Trinità è un che di astratto. E non solamente non fanno nulla per capire questa notizia che Dio è amore proprio perché è trino. Questi cristiani, in un certo senso, fanno loro queste amare parole di Goethe: “Mi sentivo costretto a credere che Tre è Uno e che Uno è Tre, senza vedere come ciò potesse anche solo minimamente giovarmi”?!”. Eppure non occorre fare particolari studi teologici per accogliere questa verità d’amore. Non si tratta di un concetto astratto e lo può intuire chiunque viva la vita cristiana seriamente, anche se non ha fatto studi teologici particolari.
Un giorno un prete chiese a un contadino: “La Trinità è un concetto astruso?”. Il contadino ripose: “Se Dio non fosse Trinità sarebbe egoismo assoluto perché, immerso nella solitudine infinita, non potrebbe amare che se stesso. Capito?” E Santa Teresa d’Avila descrive la comprensione e il valore esistenziale di questo Mistero parlando del suo cammino spirituale che si è sviluppato nella direzione della “tenerezza amorosa”: Cristo l’ha condotta al Padre e l’ha affidata allo Spirito Santo, e Teresa ha “sperimentato” dal vivo il mistero delle tre Persone divine: una persona paterna che l’attrae, l’abbraccia, la conforta, la sollecita; una persona spirituale che la riscalda e l’avvince interiormente; mentre la persona filiale di Cristo continua ad invitare e a preparare Teresa alle nozze mistiche che furono celebrate nel carmelo di Avila, durante la Messa del 18 novembre 1572.
La vita delle Vergini consacrate nel mondo prosegue nel modo suo proprio l’esperienza di questa grande Santa spagnola, che è simile a quelle di altri santi e sante. Ricordo in particolare S. Elisabetta della Trinità.
Con la consacrazione queste donne, prima ancora di essere segno di fraternità e servizio di carità, sono professione di fede nella Santa Trinità.
“La vita consacrata è chiamata ad approfondire continuamente il dono dei consigli evangelici con un amore sempre più sincero e forte in dimensione trinitaria: amore al Cristo, che chiama alla sua intimità; allo Spirito Santo, che dispone l’animo ad accogliere le sue ispirazioni; al Padre, prima origine e scopo supremo della vita consacrata” (Vita Consecrata, 21). Per questo l’esortazione apostolica Vita consecrata insegna:  “La castità dei celibi e delle vergini costituisce un riflesso dell’amore infinito che lega le tre Persone divine nella profondità misteriosa della vita trinitaria. (…) La povertà diventa espressione del dono totale di sé che le tre Persone reciprocamente si fanno. (…) L’obbedienza è riflesso nella storia dell’amorosa corrispondenza delle tre Persone divine” (n. 21).



Lettura patristica
San Giovanni Damasceno,
De fide orthodoxa, 1, 8

1. La fede trinitaria

       Crediamo in un solo Dio, unico principio, privo di principio; increato, ingenito, indistruttibile e immortale, eterno, immenso, non circoscritto, illimitato, d’infinita potenza, semplice, non composito, incorporeo, immutabile, impassibile, immobile ed inalterabile; invisibile, fonte d’ogni bontà e giustizia, luce intellettuale e inaccessibile, potenza incommensurabile, misurata dalla sua volontà (può, infatti, "tutto ciò che vuole" [ Ps 134,6 ]), fondatrice di tutte le cose sia di quelle visibili che delle invisibili conservatrice di tutto, provvidente per tutto, contenente e reggente tutto, avente su tutto un regno perpetuo ed immortale.

       (Crediamo in un solo Dio) al quale nulla si oppone, che riempie tutte le cose senza essere da nessuna circoscritto; anzi, egli stesso tutto circoscrive, tutto contiene e a tutto provvede, che penetra tutte le sostanze lasciandole intatte al di là di tutte le cose, trascendente ogni sostanza, soprasostanziale e superiore a ogni cosa; superiore per divinità, bontà, pienezza; un Dio che stabilisce tutti i poteri e tutti gli ordinamenti, mentr’egli si pone al di sopra d’ogni ordinamento e d’ogni potere; più alto per essenza, vita, parola, intelligenza; un Dio che è la luce stessa, la bontà stessa, la vita stessa, l’essere stesso: egli non riceve, infatti, da nessun altro né l’essere proprio né quello di alcuna delle cose che esistono, ma, anzi, è lui stesso la fonte dell’essere, per tutto ciò che è; della vita, per tutto ciò che vive; della ragione, per tutte le creature che ne fanno uso.

       (Crediamo in un solo Dio) che è causa d’ogni bene per tutte quante le cose, che prevede tutto prima che avvenga; unica sostanza, unica divinità, unica potenza, unica volontà, unica attività, unico principio, unica potestà unica signoria, unico regno.

       (Crediamo in quest’unico Dio conosciuto nelle tre perfette persone e venerato con un unico atto di culto, oggetto di fede e di adorazione da parte di ogni creatura razionale; e queste persone sono unite senza mescolanza o confusione e separate (ciò che trascende ogni intelletto) senza alcuna distanza: nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, nel nome dei quali siamo anche stati battezzati. Infatti, così il Signore comandò agli apostoli di battezzare, quando disse: "Battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19).

       Crediamo nell’unico Padre, principio e causa di tutto, non generato da nessuno, unico salvatore non causato e ingenito; creatore di tutte le cose, Padre, per natura, del suo unico Figlio unigenito, e Dio, il nostro Gesù Cristo, e produttore del Santissimo Spirito.

       Crediamo, altresì, nel Figlio di Dio unigenito, Signor nostro, generato dal Padre prima di tutti i secoli; luce da luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; consustanziale con il Padre; per il quale tutte le cose sono state fatte...

       ...Allo stesso modo, crediamo anche nello Spirito Santo, Signore, vivificante, che procede dal Padre e risiede nel Figlio; che, insieme con il Padre ed il Figlio, è adorato e conglorificato, essendo consustanziale ed eterno come loro; Spirito di Dio, giusto, sovrano; fonte di sapienza, di vita e di santità; che è ed è chiamato Dio con il Padre ed il Figlio; increato, perfetto, creatore, che governa tutte le cose, creatore di tutto, onnipotente, potenza infinita che comanda a tutto il creato, senza essere sottoposto all’autorità di nessuno; che divinizza, senza essere divinizzato; che riempie, senza essere riempito; che è partecipato, ma non partecipa; che santifica, ma non è santificato; Paraclito, poiché accoglie le invocazioni di tutti; simile in tutto al Padre ed al Figlio; procedente dal Padre, viene concesso attraverso il Figlio ed è ricevuto da ogni creatura.

venerdì 22 maggio 2015

Lo Spirito dà la vita.


Pentecoste - Anno B – 24 maggio 2015
Rito – Romano
At 2,1-11; Sal 103; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27; 16,12-15 -


Rito Ambrosiano
At 2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20



1) Accogliere lo Spirito, Consolatore perfetto.
Nel brano evangelico di questa Domenica di Pentecoste Gesù dice:
“Quando verrà il Paràclito (cioè il consolatore), che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio” (Gv 15, 26 - 27).
Durante la sua vita terrena Gesù stesso era il Consolatore: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi ristorerò” (Mt 11,28). Quando Gesù promette il Consolatore, è quasi come se dicesse: “Andate a lui, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed egli vi ristorerà”.
Come fa a consolarci questo “Consolatore”? Lui consola testimoniando al nostro spirito che siamo figli di Dio (cfr Rm 8,16) e la prova che noi siamo figli, sta nel fatto che Dio mandò lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuore, il quale grida: Abbà, cioè Padre (Cfr Gal 4, 8).
Essere consolati è un'esperienza bellissima, che tutti noi desideriamo avere e abbiamo bisogno di fare.
Quante volte ci si mette alla ricerca di qualcuno che lo consoli, si prenda cura di noi, ci mostri affetto e attenzione. La Pentecoste ci ricorda che la vera consolazione viene dal Signore, ricco di misericordia.
Questo Dio “consola il suo popolo e ha pietà dei suoi miseri” (Is 49, 13) e proclama: “Consolate, consolate il mio popolo” (Is 40, 1); Io, io sono il tuo consolatore” (Is 51, 12). Il Dio di ogni consolazione (cfr Rm 15, 5 e 2 Cor 1, 3) non si stanca di ripetere: “Come una “madre” consola un figlio così io vi consolerò; in Gerusalemme sarete consolati” (Is 66, 13). Lui ci consola in ogni nostra tribolazione, perché anche noi consoliamo, a nostra volta, quelli che si trovano in ogni genere di afflizione, restituendo con amore fraterno quel dono che il Padre aveva dato a noi (2 Cor 1, 3ss).
Questa verità ci colpisce molto, ma, purtroppo, facciamo fatica ad accettarla. Paradossalmente ci è difficile accogliere con apertura piena, con disponibilità e umiltà questa consolazione “spirituale” e il vero Consolatore, che viene dall’alto.
Per evitare di rifiutare questo dono non dobbiamo voltarci indietro come fece il giovane ricco, che preferì lasciare Cristo, per non lasciare i suoi beni, cose materiali ricche di consolazioni false e ingannatrici. Dobbiamo domandare con insistenza ed accogliere con disponibilità il dono dello Spirito, allora persevereremo nel vero cammino di conversione verso la casa del Padre e di testimonianza verso il mondo intero.

2) Testimoni santi della misericordia.
Il dono del Consolatore non è solo di lenire le sofferenze fisiche o spirituali dei credenti, ma anche di trasformare il discepolo in testimone: “Lo Spirito di verità... testimonierà in mio favore. Anche voi mi testimonierete, perché siete con me da principio” (Gv 15,27). Nel grande processo tra Cristo e il mondo che si svolge entro e lungo tutta la storia, lo Spirito depone come testimone in favore di Gesù. Lo Spirito testimonia nel cuore del discepolo. La testimonianza dei discepoli e dello Spirito non sono indipendenti, i primi danno voce allo Spirito: “Lo Spirito parla al cuore, voi in parole; egli attraverso l’ispirazione, voi mediante dei suoni” (S. Agostino).
I discepoli hanno bisogno di certezza per testimoniare: lo Spirito gliela offrirà, realizzando un incontro personale, intimo, pieno, con il Signore e la sua verità: “Lo Spirito Santo... vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà quanto io vi ho detto... Egli vi guiderà alla pienezza della verità”. Lo Spirito Santo. Non aggiunge nulla alla rivelazione di Gesù, però la interiorizza e la rende presente in tutta la sua pienezza. Il Vangelo dice: “Vi guiderà verso e dentro la pienezza della verità”. Dunque Lo Spirito Santo ci guida ad una conoscenza interiore, viva e attuale e progressiva, che non è solamente un progressivo accumulo di conoscenze, ma piuttosto un progressivo viaggio verso nella mente e nel cuore di Dio. Un cammino che dall’esterno va all’interno, da una conoscenza per sentito dire ci fa arrivare a una comprensione personale, attuale e trasformante. Direi di più ci fare arrivare ad una concezione di Cristo come l’ha avuto la Madonna, che ha dato la sua carne a Cristo.
Anche noi spiritualmente, cioè con Spirito Santo che effonde nei nostri cuori il vero amore, possiamo “dare carne” a Cristo, essere il Suo Corpo e produrre opere di carità.
Continuiamo questo cammino di figli e fratelli “spirituali”, meditando e pregando per far aderire il nostro cuore alla verità che la Parola ci rivela. Mendichiamo lo Spirito Consolatore, che ci ricordi sempre la parola di Gesù: “Ed anche se mi dirà: uomo di poca fede, perché hai dubitato? (Mt 14, 31), mi porgerà la sua destra, e renderà saldo ed incrollabile il mio animo turbato dalle vicende di questo mondo” (S. Ambrogio, Commento del salmo 118, Disc. 21,9).
Lo Spirito Santo ci ispiri e ci renda capaci di testimoni di carità che fanno sentire il calore e la consolazione dell’amore a chi è povero materialmente o spiritualmente.
Siamo chiamati a testimoniare la verità dell’amore, che la Croce rivela. Ma è lo Spirito che ci fa capire che la Croce non è una sconfitta, è il trionfo dell’amore su tutto, dell’Amore che dà la vita, sia nel senso che la offre per noi sia nel senso che ci fa vivere.
Tutti noi siamo chiamati a dare testimonianza che Cristo è risorto, è vivo. Ma chi è il testimone? Il testimone, soprattutto se parliamo dal punto di vista giuridico, è la persona che ha visto, ricorda e racconta un fatto avvenuto. In questo senso, anche Erode e Giuda, Pilato e Caifa sono testimoni. Cristianamente parlando, è la persona che ha incontrato Cristo, ha e fa memoria di Lui, e annuncia la Sua presenza con le parole e con la vita santa. “Il contenuto della testimonianza cristiana non è una teoria, non è un’ideologia o un complesso sistema di precetti e divieti oppure un moralismo, ma è un messaggio di salvezza, un evento concreto, anzi una Persona: è Cristo risorto, vivente e unico Salvatore di tutti. Egli può essere testimoniato da quanti hanno fatto esperienza personale di Lui, nella preghiera e nella Chiesa, attraverso un cammino che ha il suo fondamento nel Battesimo, il suo nutrimento nell’Eucaristia, il suo sigillo nella Confermazione, la sua continua conversione nella Penitenza. Grazie a questo cammino, sempre guidato dalla Parola di Dio, ogni cristiano può diventare testimone di Gesù risorto. E la sua testimonianza è tanto più credibile quanto più traspare da un modo di vivere evangelico, gioioso, coraggioso, mite, pacifico, misericordioso” (Papa Francesco, 19 aprile 2015).
Saremo testimoni credibili, se, prima di tutto, chiederemo il dono dello Spirito Santo, che è “spirito di sapienza e di intelletto, di consiglio e di fortezza, di scienza e di pietà, e del timore santo di Dio”(cfr Is 11, 2). Allora riceveremo e condivideremo i frutti dello Spirito Santo che sono: “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5, 22).

3) La testimonianza delle Vergini consacrate nel mondo.
Come possiamo essere testimoni della verità, non di una verità estranea, ma di quello che siamo: figli di Dio e fratelli fra di noi?
Noi siamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. La testimonianza non è solo un buon esempio ma è atto umile e potente di conoscenza e di comunicazione della verità dell’amore di Dio.
Per le vergini consacrate essere testimoni di Cristo è essenziale. Queste donne testimoniano che la verginità è il vertice dell’amore. La loro risposta a Cristo mediante una vita offerta in modo appassionato e totale, testimonia esistenzialmente che nella piena e indivisa adesione alla predilezione di Gesù si impara ad amare tutto il resto, si diventa come finestre aperte sull’eterno. La vergine consacrata testimonia che è possibile vivere Cristo come unica ragione e unica possibilità di pienezza nell'esistenza. La verginità trasforma la vita di chi la sceglie e quella degli altri, così che il mondo sia più umano, cioè cristiano.
La Vergine “realizza quell’unione nuziale che, secondo i più grandi maestri, è precisamente la perfezione stessa della vita spirituale ... Il matrimonio è stato elevato da Cristo a dignità di sacramento, perché nell'amore dell'uomo e della donna già in figura si faceva presente il mistero dell'unione del Cristo e della Chiesa. La castità perfetta non è più soltanto figura di quell’unione, ma suo compimento ... Nulla e nessuno la lega e la divide dagli altri. Essendo una sola cosa con il Cristo, lei vive in santa comunione una con tutti” (Divo Barsotti)

Lettura Patristica
Guglielmo di Saint-Thierry,
Speculum fidei

L’anima umile è illuminata dallo Spirito
Tu, dunque, anima fedele, quando nella tua fede t’imbatti in un più occulto mistero, osa e di’, non per il desiderio di incontrare, ma di seguire: Come avvengono queste cose? Ma la tua domanda, sia la tua preghiera, il tuo amore e il tuo umile desiderio. Non cercare di scoprire in alto la maestà di Dio, ma cerca la salvezza di Dio, e ti risponderà l’angelo della sapienza. "Quando verrà lo Spirito che io manderò a voi dal Padre, egli vi suggerirà tutto e vi insegnerà tutta la verità" (Jn 14,26). "Nessuno infatti sa le cose dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in esso; e nessuno sa le cose di Dio, se non lo Spirito di Dio" (1Co 2,11). Sbrigati, dunque, a farti partecipe dello Spirito Santo. È presente, quando viene invocato; se non ci fosse, non sarebbe invocato. E quando viene, viene con l’abbondanza della benedizione di Dio. È fiume impetuoso, che letifica la città di Dio. E quando arriva, se ti trova umile, sereno e rispettoso della Parola di Dio, si poserà su di te, e ti rivelerà ciò che il Padre nasconde ai sapienti e avveduti di questo mondo; e cominceranno a brillare ai tuoi occhi quelle cose che i discepoli non riuscirono ad assorbire, finché non fosse venuto lo Spirito di verità, che avrebbe detto loro tutta la verità. Verità che non può essere rivelata da nessun uomo.

E come è necessario che quelli che lo adorano, lo adorino in spirito e verità, così coloro che desiderano di conoscerlo devono cercare l’intelligenza della fede e il senso della verità nello Spirito Santo. Infatti nelle tenebre e ignoranza di questa vita ai poveri di spirito esso è luce che illumina, è carità che attira, dolce soavità; è lui che avvicina l’uomo a Dio; è l’amore di chi ama, devozione e pietà. Lui di fede in fede rivela ai fedeli la giustizia di Dio; quando dà la grazia e per la fede accolta dalla Parola di Dio dà la fede illuminata.



venerdì 15 maggio 2015

Ascensione e Missione

Ascensione - VII Domenica di Pasqua - Anno B – 17 maggio 2015
 
Rito - Romano
At 1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20

Rito Ambrosiano
At 1, 15-26; Sal 138; 1Tm 3, 14-16; Gv 17, 11-19
Domenica dopo l’Ascensione - VII di Pasqua

1) Certezza e gioia.
Nel Credo recitiamo: “Lui è salito al cielo e siede alla destra del Padre”. Che vuol dire che noi crediamo al fatto che l’umanità di Cristo è entrata nel cuore della divinità e dove c’è Dio là c’è il cielo, e l’amore è il cielo sulla terra. Dunque “l’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi.” (Papa Francesco, Udienza generale, 17 aprile 2013).
E’ dunque corretto dire che uno degli insegnamenti che ci vengono dal fatto dell'Ascensione è che anche noi possiamo salire in alto, ma solo se rimaniamo legati a Gesù. Se affidiamo a Lui la nostra vita, se ci lasciamo guidare da Lui, siamo certi di essere in mani sicure, in mano del nostro salvatore, del nostro avvocato difensore. “Nella nostra vita non siamo mai soli: abbiamo questo avvocato che ci attende, che ci difende” (Ibid.).
Un altro insegnamento è che dobbiamo avere chiaro che l’entrare nella gloria di Dio esige la fedeltà quotidiana alla sua volontà, anche quando questa richiede sacrificio e accettare la nostra croce quotidiana, perché: “l’elevazione sulla croce significa e annuncia l’elevazione dell’ascensione al cielo” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 661). In questa ascesa “il Signore crocifisso e risorto ci guida; con noi ci sono tanti fratelli e sorelle che nel silenzio e nel nascondimento, nella loro vita di famiglia e di lavoro, nei loro problemi e difficoltà, nelle loro gioie e speranze, vivono quotidianamente la fede e portano, insieme a noi, al mondo la signoria dell’amore di Dio, in Cristo Gesù risorto, asceso al Cielo” (Papa Francesco, Udienza Generale, 17 aprile 2013)
Un terzo insegnamento ci viene dalla prima lettura della Messa di oggi, che propone il fatto dell’Ascensione come è raccontato da San Luca negli Atti degli Apostoli. Esso riguarda come avere in noi la gioia degli Apostoli, causata dalla certezza della presenza costante di Gesù risorto nella vita personale e della comunità.
Questa certezza e questa gioia possono essere nostre se con mente e cuore sincero domandiamo la benedizione che Gesù diede agli Apostoli mentre ascendeva al Cielo.
In questo modo anche noi come gli Apostoli vivremo il fatto dell’ascensione del Risorto non come un distacco, un’assenza permanente del Signore.
In questo modo anche noi avremo confermata e accresciuta la certezza che il Crocifisso Risorto è vivo e che in Lui sono state per sempre aperte all’umanità le porte di Dio, le porte della vita eterna.
In questo modo, nel giorno dell’Ascensione, anche noi possiamo avere nel nostro cuore il dolore per la partenza, ma anche certezza e gioia della costante vicinanza di Cristo, anche se in modo diverso rispetto al sua vita terrena. “Lui, che duemila anni fa fu nella storia un singolo uomo, continua ancora oggi a vivere nella storia come anima della Chiesa” (H.U. von Balthasar).

2) Ascensione e Missione.
Nel breve racconto (terza lettura di questa domenica) che San Marco fa dell’Ascensione, vediamo che, più che sul fatto dell’Ascensione, Gesù risorto ci invita a tirare le conseguenze del suo salire al Padre: gli Apostoli e con loro tutti i cristiani di tutti i tempi siamo i suoi mandati, i suoi missionari inviati a portare il Vangelo in tutto il mondo: “Allora essi partirono e predicarono1 dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la Parola con i prodigi che li accompagnavano” (Mc 16, 20). Gesù sale in cielo e i discepoli vanno nel mondo. Ma la partenza di Gesù non è una vera assenza, bensì un’altra modalità di presenza: «Il Signore operava insieme con loro e dava fondamento alla Parola» (cfr ibid.). “Ascensione non è un percorso cosmico geografico ma è la navigazione del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all'amore che abbraccia l’universo” (Benedetto XVI, 10 marzo 2010).
Questo invito di Cristo ad abbracciare l’universo, annunciando a tutti gli uomini il Vangelo: “Andate in tutto il mondo” (Mc 16, 15), non fu percepito come una follia, ma come un mandato di carità per portare la salvezza a tutti.
Con l’ascensione c’è una svolta nel percorso della redenzione. Da Gerusalemme dove si è compiuta la missione di Cristo, che in Croce ha detto: “Tutto è compiuto”, la missione redentiva affidata agli apostoli si dilata in dimensione universale. Il gruppo fino allora compatto si scioglie fisicamente parlando, ma non affettivamente. Mentre il Redentore “parte” verso il cielo, gli apostoli partono ciascuno in una direzione diversa dal punto di vista geografico, ma profondamente in comunione tra loro e con Cristo. La tradizione precisa quale sarebbe stata la meta di ciascuno: per Pietro Antiochia e Roma, per Matteo l’Etiopia, per Tommaso l’India e così via. Ma il pensiero va in particolare all’apostolo su cui siamo informati con ricchezza di particolari, Paolo di Tarso, l’infaticabile viaggiatore che portò il vangelo nell’attuale Turchia, in Grecia e a Roma. E dopo di lui ringraziamo l’innumerevole schiera di missionari che da venti secoli, con quanto eroismo molte volte espresso dal martirio, continuarono e continuano l’opera degli apostoli, per rendere partecipe il maggior numero possibile di persone della vita buona, santa, vera e lieta che il Vangelo di Gesù annuncia e realizza da due millenni. Come loro diventiamo missionari della gioia, annunciando al mondo che Dio è comunione di amore eterno, è gioia infinita che non rimane chiusa in se stessa, ma si espande in quelli che Egli ama e che lo amano.
E’ davvero miracoloso il fatto che da undici uomini si sia potuto sviluppare un “organismo”, il Corpo Mistico, in cui si sono ritrovati e si ritrovano milioni e milioni di credenti. Umanamente impossibile; la spiegazione sta nelle parole riportate: “Il Signore agiva insieme con loro”. E con uno scopo ben preciso. Il gruppo compatto, costituito da Gesù con i primi apostoli, non si è sciolto, si è diffuso nel mondo intero. Non si sono dispersi: sono uniti nella fede, nell’amore e nella speranza. La speranza, in particolare, di ricomporsi in unità, al cospetto di Colui che tutti ci ha preceduto presso il Padre suo e Padre nostro.
I verbi utilizzati da Cristo per l’invio in missione mantengono la loro attualità:
- ‘andare’ indica il dinamismo e il coraggio per immergersi nelle sempre nuove situazioni del mondo;
- ‘proclamare il Vangelo’, perché i popoli diventino seguaci non tanto di una dottrina, ma di una Persona;
- ‘credere’ all’annuncio di una fede, che comprende certo una conoscenza delle sue verità e degli eventi della salvezza, ma che soprattutto nasce da un vero incontro con Dio in Gesù Cristo, dall’amarlo, dal dare fiducia a Lui, così che tutta la vita ne è coinvolta.
- ‘battezzare’ segnala il sacramento che trasforma e inserisce le persone nella vita trinitaria ed ecclesiale. Battesimo, il sacramento che ci dona lo Spirito Santo, facendoci diventare figli di Dio in Cristo, e segna l’ingresso nella comunità della fede, nella Chiesa: non si crede da sé, senza il prevenire della grazia dello Spirito; e non si crede da soli, ma insieme ai fratelli. “Con il Battesimo, veniamo immersi in quella sorgente inesauribile di vita che è la morte di Gesù, il più grande atto d’amore di tutta la storia; e grazie a questo amore possiamo vivere una vita nuova, non più in balìa del male, del peccato e della morte, ma nella comunione con Dio e con i fratelli” (Papa Francesco, Udienza Generale, 8 gennaio 2014).

3) La missionarietà della Verginità.
È bello riflettere sulle ultime parole di Gesù, mentre manda i Suoi a predicare in mezzo a questo mondo che, anche se non appare, ha bisogno di infinito, di verità, di amore, di speranza, di gioia che il Cielo è ed ha.
E’ un compito che fa tremare anche noi, oggi, tanto è grande.
E’ un compito che sembra non da poveri essere umani quali noi siamo, ma da Angeli, ecco perché Gesù assicura la Sua Presenza “operando con noi e confermando la Sua Parola con i miracoli che l’accompagnano” (cfr Mc 16,20).
E’ un compito per tutti i battezzati, perché grazie al Battesimo tutti i cristiani diventano discepoli missionari e sono chiamati a portare il Vangelo nel mondo.
Ma qual è la modalità missionaria delle Vergini consacrate nel mondo?
E’ quella di essere icone, immagini viventi di Cristo vergine, povero e obbediente (cfr Conc. Vat. II, Decreto sul rinnovamento della vita religiosa, Perfectae Caritatis, 1) davanti alla comunità ecclesiale e umana.
E come possono “dipingere al vivo” Cristo?
Mediante una comunione con Dio e con i fratelli e sorelle in umanità, che non è diminuita ma accresciuta dalla solitudine in cui sono chiamate a vivere. Le vergini sono tali e sono missionarie, se “usano” la loro affettività e il loro corpo come lo ha usato Cristo: non per possedere o per essere posseduti, ma per donare comunione a tutti coloro che incontrano.
Insomma, la singolare vocazione di vergini consacrate nel mondo indica una chiara missione: esaltare la dignità della donna testimoniando, nella vita del mondo in cui restano immerse, il senso pieno dell’amore che hanno ricevuto da Cristo Gesù per donarlo ai loro fratelli e sorelle in umanità.

1 Il compito è quello di «predicare», un termine questo che merita una spiegazione. Non significa semplicemente tenere una istruzione o una esortazione o un sermone edificante. Il verbo «predicare» indica l'annuncio di un evento, di una notizia, non di una dottrina. Si tratta di una notizia decisiva: non è solo un'informazione, ma un appello. Il Vangelo predicato diventa credibile e visibile dai segni che il discepolo compie. Ma deve trattarsi di segni che lasciano trasparire la potenza di Dio, non quella dell'uomo.

Lettura Patristica
Sant’Agostino, vescovo di Ippona
Discorso sull’Ascensione del Signore,
ed. A. Mai, 98, 1-2; PLS 2, 494-495

Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo.
Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore.
Ascoltiamo l'apostolo Paolo che proclama: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3, 1-2). Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso.
Cristo è ormai esaltato al di sopra dei cieli, ma soffre qui in terra tutte le tribolazioni che noi sopportiamo come sue membra. Di questo diede assicurazione facendo sentire quel grido: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9, 4). E così pure: «Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare»(Mt 25, 35).
Perché allora anche noi non fatichiamo su questa terra, in maniera da riposare già con Cristo in cielo, noi che siamo uniti al nostro Salvatore attraverso la fede, la speranza e la carità? Cristo, infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui. E Cristo può assumere questo comportamento in forza della sua divinità e onnipotenza. A noi, invece, è possibile, non perché siamo esseri divini, ma per l'amore che nutriamo per lui. Egli non abbandonò il cielo, discendendo fino a noi; e nemmeno si è allontanato da noi, quando di nuovo è salito al cielo. Infatti egli stesso dà testimonianza di trovarsi lassù mentre era qui in terra: Nessuno è mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo, che è in cielo (cfr. Gv 3, 13).
Questa affermazione fu pronunciata per sottolineare l'unità tra lui nostro capo e noi suo corpo. Quindi nessuno può compiere un simile atto se non Cristo, perché anche noi siamo lui, per il fatto che egli è il Figlio dell'uomo per noi, e noi siamo figli di Dio per lui.
Così si esprime l'Apostolo parlando di questa realtà: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (1 Cor 12,12). L'Apostolo non dice: «Così Cristo», ma sottolinea: «Così anche Cristo». Cristo dunque ha molte membra, ma un solo corpo.
Perciò egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è salito se non lui, mentre noi unicamente per grazia siamo saliti in lui. E così non discese se non Cristo e non è salito se non Cristo. Questo non perché la dignità del capo sia confusa nel corpo, ma perché l'unità del corpo non sia separata dal capo.


venerdì 8 maggio 2015

Amore reciproco, ma asimmetrico

VI Domenica di Pasqua - Anno B – 10 maggio 2015
 
Rito Romano
At 10,25-27.34-35.44-48; Sal 97; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17

Rito Ambrosiano
At 26, 1-23; Sal 21; 1Cor 15, 3-11; Gv 15, 26-16, 4


1) L’amore dono di sé stessi senza misura.
“Dio è amore” e questo Amore è il centro della fede cristiana. E’ questa la grande rivelazione che sta al centro dei due testi di Giovanni (1 Gv 4,7-10; Gv 15,9-17) che ci sono proposti dalla Liturgia in questa sesta domenica di Pasqua: “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4,16) e porta frutto: cioè porta Cristo e la sua gioia.
La Liturgia di oggi ci invita a percorrere l’esodo interiore (uscire da sé stessi attraverso l’interiore di se stessi, dicevano alcuni Padri della Chiesa), facendoci pellegrini dell’Amore mediante la preghiera di un cuore in ascolto e lasciando le tante cose superflue che rischiano di farci perdere l’essenziale: Dio e il suo amore.
Il comando dell’amore – che apre (v. 12) e chiude (v. 17) il passo evangelico di questa domenica– trova in Gesù la sua ragione. La ragione di questo amore è data dal fatto che, se possiamo amarci fra noi, è perché Lui per primo ci ha amati: “Come1 io ho amato voi… amatevi gli uni gli altri”.
Con il comando dell’amore, oltre a rivelarsi come ragione (logos) dell’Amore, il Figlio di Dio si propone come modello, norma, fonte e misura: “Come io ho amato voi”.
Come modello, perché ci dà l’esempio di vita donata per amore per assomigliargli, vivendo l’amore reciproco, accogliendo l’altro e praticando la misericordia.
Come norma, perché il Cristo si propone come Via. Intraprendere questa Via come norma non ha il senso del fare un viaggio verso qualcosa, ma del procedere con Qualcuno, della sequela personale segnata dalla logica della croce.
Come fonte, perché coscienti che senza di Lui non possiamo fare niente, attingiamo da Lui la grazia per amare e sapere quindi donarsi per donare la vita non solo come Lui, ma con Lui.
Come misura smisurata, perché ci insegna che nell’amore vero non c’è nessuna misura al dono di sé. “La carità di Cristo, accolta con cuore aperto, ci cambia, ci trasforma, ci rende capaci di amare non secondo la misura umana, sempre limitata, ma secondo la misura di Dio. E qual è la misura di Dio? Senza misura! La misura di Dio è senza misura” (Papa Francesco).

2) Il nuovo nome di discepoli: AMICI.
Come conseguenza logica all’affermazione “Come io ho amato voi” ci saremmo aspettati una frase di questo tipo: “Così voi amate me”. Invece Gesù dice ai suoi discepoli ad amarsi vicendevolmente: “Amatevi gli uni gli altri”. Cristo “comanda” ai suoi discepoli un amore che tende alla reciprocità. Naturalmente se questo amore vuole somigliare a quello di Cristo, deve nascere da una gratuità. Nell’amore di Gesù la dimensione della gratuità è fondamentale ed anche il nostro amore deve averla. L'amore di Gesù non vuole possedere il discepolo. Il Redentore invita ad un amore vicendevole: “Amatevi reciprocamente”, perché il vero amore è missionario e fecondo. Cristo spinge ad un esodo d’amore, che spinge verso gli altri. E’ offrendo amore ai fratelli che si ricambia quello di Gesù.
L’altro è una grazia inevitabile, che se l’accogliamo fa maturare il nostro cuore, dilatandolo. L’altro, accolto da me, proclama in me la vittoria dell’amore.
L’amore di Gesù, ragione, modello, norma, fonte e misura dell’amore verso l’altro, è un amore di amicizia, dunque un rapporto fiducioso fra persone, un dialogo fraterno.
Almeno tre sono le caratteristiche di questo rapporto d’amicizia: la totale dedizione (“Nessun amore è più grande di chi dà la vita per i suoi amici”); la confidente familiarità (“Vi ho confidato tutto ciò che ho ascoltato dal Padre mio”); la scelta vocazionale, che è predilezione gratuita (“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi).
In quanto destinatari di questa predilezione, i discepoli sono “elevati” al rango di amici, che hanno fatto e fanno esperienza dell’amore di Cristo, che ha detto e messo in pratica questa affermazione: “Non c’è amore più grande che dare la vita per gli amici”. Che cosa vuole dire ciò? Molto semplicemente vuol dire che noi siamo inclusi nella carità del Cuore di Cristo. Significa che noi siamo amati da Cristo e che, se l’amore è un esodo da sé, per comprenderne le esigenze dobbiamo uscire da noi e metterci nel Cuore del Signore e, poi, domandarci come ci ama e cosa attende da noi. Il comando dell’amore implica la “necessità” di volere per noi il bene che Lui ci vuole, il dovere di amare noi stessi e di amare gli altri come li ama Lui.
3) Amore reciproco: l’amicizia.
Parlando di amicizia, Gesù insiste sulla reciprocità dell'amore. Infatti, in che senso l’amicizia è distinguibile dall'amore? Nel senso che l'amicizia è un amore reciproco. Secondo Sant’Agostino non c’è amicizia senza reciprocità, che però non è un calcolo, perché nella vera amicizia non c’è pretesa. Infatti, a modello e fondamento dell’amore reciproco, cioè dell’amicizia, Cristo pone il “come io ho amato voi”, cioè la Croce, dunque la gratuità.
La reciprocità cristiana nasce dalla gratuità, che non vuol dire “prestazione non pagata, fatta senza un motivo”, ma fatta con il più grande dei motivi: l’amore.
L’amore cristiano è reciproco, ma asimmetrico: il dare e il ricevere non sono sullo stesso piano. La reciprocità evangelica non è il semplice scambio. La nota che la caratterizza è la gratuità che è la verità dell'amore di Dio, ed al tempo stesso la verità del nostro amore. Certo l’amore – quello di Dio come quello dell'uomo – tende alla reciprocità: la costruisce. Ma la reciprocità non è la sua radice né la sua misura. Se ami solo nella misura in cui sei ricambiato, il tuo non è vero amore. E se sei amato solo nella misura in cui dai, non ti senti veramente amato. Soltanto chi comprende questa gratuità nativa, originaria, dell'amore, è in condizione di comprendere Dio e se stesso. L’uomo, immagine e somiglianza di Dio, è fatto per donarsi gratuitamente, totalmente: quindi, nel farsi gratuità, trova la verità di se stesso e manifesta il suo essere “immagine di Dio”.
Un esempio di come vivere questo amore -reciproco e asimmetrico- ci viene dalle Vergini consacrate nel mondo.
Questa esemplarità nasce, come si sa, dalla carità, dall'osservanza regolare, dalla disponibilità al servizio della Chiesa, che è il Corpo di Cristo. Dalla carità, poi, nasce l'imitazione. “Se amiamo veramente, imitiamo: non possiamo rendere un frutto migliore dell'amore che mostrando l'esempio dell'imitazione” (S. Agostino, Sermone, 304, 2,2). Per questo S. Agostino esorta particolarmente le vergini consacrate a salire su su per i gradi delle beatitudini, imitando in ciascuno di essi le corrispondenti virtù di Cristo. “Beati i poveri di spirito! Imitate colui che, essendo ricco, si è fatto povero per voi (Cfr 2 Cor 8,9). Beati i miti! Imitate colui che disse: “Imparate da me, perché sono mite ed umile di cuore” (Mt 11, 29) … Imitate colui che disse: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 4, 34)… Beati i puri di cuore! Imitate colui che non commise peccato e sulla cui bocca non si è trovato inganno (1 Pt 2,22). Beati i pacifici! Imitate colui che pregò per i suoi carnefici: Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Beati i perseguitati per amore della giustizia! Imitate colui che patì per voi, lasciandovi un esempio affinché ne seguiate le orme (1 Pt 2, 21). Coloro che imitano l’Agnello in queste virtù, in queste stesse ne seguono le orme” (S. Agostino, De S. Virg. 28, 28)
Le vergini consacrate, inoltre, seguono, cioè imitano l'Agnello nello splendore della verginità. “Voi dunque - dice loro S. Agostino - seguite l'Agnello conservando con perseveranza ciò che avete consacrato a Lui con ardore” (ibid, 29,29).
Le vergini consacrate testimoniano che il fondamento dell'amicizia è l'amore di Dio al quale loro si sono consacrate totalmente. S. Agostino dice: “Ama veramente l'amico chi ama Dio nell'amico o perché Dio è in lui o perché sia in lui” (Serm. 3, 6, 2). Ne segue che l'amicizia vera è è quella che Dio annoda con la sua grazia. “Non c’è vera amicizia - scrive questo grande Santo nelle Confessioni - se non quando l'annodi tu fra persone a te strette col vincolo dell'amore diffuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che ci fu dato(Conf. 4,4,7).

1 L'avverbio come, nel testo originario del Vangelo: kathós, in greco non esprime solo un paragone, ma anche il fondamento e l’origine: l’amore di Cristo è norma e fondamento di ogni amore. Il brano evangelico potrebbe essere tradotto anche con questa parafrasi: “Per il fatto che io vi ho amato così, che siete stati chiamati dentro il mio amore concreto, amatevi anche voi con questo amore dal quale siete stati chiamati e costituiti, e nel quale esistete. Lasciate che l’amore che ho effuso in voi, con il quale vi faccio vivere e guardare alla realtà, arrivi all’altro, chiunque esso sia”.

Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona (354 -430)
De Trinititate, 14, 17, 23

L’immagine si rinnova avvicinandosi progressivamente a Dio

       Certo, il rinnovamento di cui ora si parla, non si compie istantaneamente con la conversione stessa, come il rinnovamento del Battesimo si compie istantaneamente con la remissione di tutti i peccati, senza che rimanga da rimettere la più piccola colpa. Ma come una cosa è non avere più la febbre, altra cosa ristabilirsi dalla debolezza causata dalla febbre, ancora come una cosa è estrarre il dardo conficcato nel corpo, altra cosa poi guarire con un’altra cura la ferita procurata dal dardo; così la prima cura consiste nel rimuovere la causa della malattia, ciò che avviene con il perdono di tutti i peccati, la seconda nel curare la malattia stessa, ciò che avviene a poco a poco progredendo nel rinnovamento di questa immagine. Questi due momenti sono indicati nel Salmo in cui si legge: "Egli perdona tutte le tue iniquità", ciò che si attua nel Battesimo; poi il Salmo continua: "Egli guarisce tutte le tue malattie" (Ps 102,3), ciò che si attua con i progressi quotidiani, quando si rinnova questa immagine. Di questo rinnovamento parla assai chiaramente l’Apostolo quando dice: "Quantunque il nostro uomo esteriore vada deperendo, quello interiore però si rinnova di giorno in giorno" (2Co 4,16). Ora "si rinnova nella conoscenza di Dio" (Col 3,10), cioè "nella vera giustizia e santità" (Ep 4,24), secondo i termini usati dall’Apostolo nelle testimonianze che ho riportato un po’ più sopra. Dunque colui che di giorno in giorno si rinnova progredendo nella conoscenza di Dio e nella vera giustizia e santità, trasporta il suo amore dalle cose temporali alle cose eterne, dalle cose sensibili alle intelligibili, dalle carnali alle spirituali e si dedica con cura a separarsi dalle cose temporali, frenando ed indebolendo la passione, e ad unirsi con la carità a quelle eterne. Non gli è possibile però questo che nella misura in cui riceve l’aiuto di Dio. E Dio che l’ha detto: "Senza di me non potete far nulla" (Jn 15,5). Chiunque l’ultimo giorno di questa vita sorprenda in tale progresso e accrescimento, e nella fede nel Mediatore, questi sarà accolto dai santi Angeli per essere condotto a Dio che ha onorato e per ricevere da lui la sua perfezione, alla fine dei tempi gli sarà dato un corpo incorruttibile per non essere destinato alla sofferenza, ma alla gloria. In questa immagine sarà perfetta la somiglianza di Dio (Gn 5,1 Jc 3,9), quando sarà perfetta la visione di Dio. Di questa visione l’apostolo Paolo dice: "Ora vediamo per mezzo di uno specchio in enigma, ma allora a faccia a faccia" (1Co 13,12). Egli dice pure: "Noi che, a faccia velata, rispecchiamo la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine, salendo di gloria in gloria, in conformità all’operazione del Signore che è spirito" (2Co 3,18). E questo che si realizza in coloro che progrediscono di giorno in giorno nel bene.