venerdì 28 marzo 2014

Quaresima: Rallegrati, la meta è vicina

Rito Romano – IV Domenica di Quaresima – Anno A – 30 marzo 2014
1 Sam 16, 1b.4a. 6-7. 10-13a; Sal 22; Ef 5, 8-14; Gv 9, 1-41
Cristo Luce apre gli occhi al cieco.

Rito Ambrosiano – IV Domenica di Quaresima
Es 34,27-35,1; Sal 35; 2Cor 3,7-18; Gv 9,1-38b
Domenica del cieco.


1) La gioia
Il titolo e l'introduzione dell’Esortazione di Papa Francesco “Evangelii gaudium”: “La gioia del vangelo costituiscono il migliore commento alla Liturgia di questa Domenica “Laetare”1.
Il Santo Padre in questo documento programmatico scrive: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”.
Nel tempo dell’amarezza, della stanchezza, dell’approccio intellettuale, astratto alla vita di fede, nella “Evangelii gaudium” il Papa pone con forza la gioia del Vangelo come completamento del messaggio di Cristo che ha affermato: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e che la vostra gioia sia perfetta”,
Oggi siamo invitati a “questa cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Par. 24, 90-91) perché la Pasqua si avvicina e la liturgia crea un’aurora che annuncia il sole di Pasqua, ci invita ad un momento di contentezza serena nel mezzo della austerità della quaresima.
La colletta della Messa di questa domenica recita: “Concedi al popolo cristiano di correre incontro alle feste che si avvicinano pieno di sollecito fervore e di fede alacre”. La fatica del cammino è il prezzo per la gioia della meta. Questo ci ricorda, ancora una volta, la finalità della Quaresima che è quella di prepararsi alla Pasqua, al mondo pasquale che fiorirà dalla Croce, sulla quale l’Amore eterno si immola per fare da contrappeso a tutti i nostri rifiuti di amore.
La gioia inizia dalle piccole e grandi gioie umane che ciascuno sperimenta fin da bambino gustando l’amore dei genitori, degli amici e dei fratelli e sorelle in umanità e nella fede. Questa gioia però si fa piena con Cristo. Essa viene da Gesù Redentore che porta la lieta buona notizia che Dio è sempre con noi.
Ecco alcuni esempi per capire ciò: la prima “epifania” di gioia è l’annunciazione, che fa dire alla Madonna: “L’anima mia magnifica il signore e il mio spirito gioisce in Dio mio Salvatore” (Lc 2,10) . La seconda la si ha quando il saluto di Maria, che porta il Salvatore nel suo seno, raggiunge Elisabetta: Giovanni Battista esulta di gioia nel seno di lei (Lc 1,44). 
Alla natività di Cristo l’angelo annunzia ai pastori "una grande gioia" (Lc 2,10). Quando i Magi vedono nuovamente la stella che li conduce a Cristo "provano una grandissima gioia" (Mt 2,10). Zaccheo riceve Gesù nella sua casa "pieno di gioia" (Lc 19,6). Nel giorno dell’ingresso messianico in Gerusalemme "tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto" (Lc 19,37). E questi sono solamente alcuni degli episodi di gioia suscitata dalla presenza di Cristo ed anche quella della sua attesa.
Gli annunzi profetici del Salvatore sono carichi di parole gioiose e di soprassalti di felicità. “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda... Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine” (Is 9,1-6; cfr. Mt 4,14-15 e liturgia del Natale). 
Ma questa gioia è stata preceduta già dalla gioia dei patriarchi. E lo dirà Gesù stesso: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” (Gv 8,56).
Come ho già accennato, c’è la gioia dell’Incarnazione e del Natale. Gioia annunziata dall’angelo (Lc 2,10), scoperta dai pastori (Lc 2, 20) e dai magi (Mt 2,10), manifestata dal vecchio Simeone e dalla profetessa Anna (Lc 2,25-38). La gioia del Natale scaturisce dalla contemplazione dell’inizio del nostro stupendo destino di redenti e del nostro ritorno al paradiso. "In questo giorno è stata piantata sulla terra la condizione dei cittadini celesti, gli angeli entrano in comunione con gli uomini, i quali si intrattengono senza timore con gli angeli. Ciò perché Dio è sceso sulla terra e l’uomo è salito al cielo. Ormai non c’è più separazione fra cielo e terra, tra angeli ed esseri umani" (S. Giovanni Crisostomo). La liturgia bizantina esclama: "O mondo, alla notizia (del parto verginale di Maria) canta e danza: con gli angeli e i pastori glorifica Colui che ha voluto mostrarsi bambino, il Dio di prima dei secoli".
Gioia dell’amore, gioia dell’unione, altissime tenerezze della felicità sovrabbondante e luminosissima.
Infine c’è la gioia pasquale alla quale ci stiamo preparando. Essa tocca i vertici più alti e scoppia definitivamente nella risurrezione, completamento indispensabile alla morte del Signore e alla nostra salvezza. I vangeli zampillano il fuoco beatificante della gioia che passa dagli angeli a Maria Maddalena, agli apostoli, ai discepoli di Emmaus. Sulla fede sconcertata di tutti i suoi, Gesù getta la luce della sua vita gloriosa, li illumina e li rallegra. "Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli" (Mt 28,8). "I discepoli gioirono al vedere il Signore" (Gv 20,20).
Tutto ciò è sintetizzato in modo splendido da San Tommaso d’Aquino che afferma: “La gioia è il godimento di un bene certo”, bene che la fede permette di gustare e vedere.
2) Il Pane di Verità è Pane di Gioia.
Si dice che la fede è cieca, ed è un modo di dire sbagliato. La fede fa vedere quello che gli occhi del corpo e della semplice intelligenza umana non vedono. La fede fa vedere quello che vede Dio. “Infatti l’uomo vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore” (Ia Lettura).
Guarigione oppure no è solo la fede che mi permette di “vedere” come Dio vede dall'alto della sua infinita sapienza. Come sta scritto: “Alla tua luce vediamo la luce” (Sal 35,10).
“Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente”. (IIa Lettura).
In questa Quaresima, tempo di conversione alla luce che viene da Dio, meditiamo sul fatto che la nostra vita è un soffio, che in un attimo finisce, e chiediamo al Signore che accresca in noi la luce della fede per non discutere di chi sia la colpa dei mali del mondo, ma per fare del Vangelo e di Gesù Cristo la regola della nostra vita. Siamo morti ancora prima di morire se non crediamo nella risurrezione dai morti e in Colui che ci guida verso la Pasqua.
Immedesimiamoci nel cieco nato che uscito dalla cecità e dall'interrogatorio entra deluso e confuso nel mondo di quelli che credono di vedere. Con lui andiamo di nuovo ad incontrare Gesù che gli chiede se crede in Lui, se vede in Lui il vero uomo e il vero Dio, il Salvatore del mondo.
Cerchiamo di percepire il fremito del cieco quando sentì la voce di Gesù e poté fissare il suo sguardo in quegli occhi pieni di luce. Inginocchiamoci insieme e con lui dinanzi a Gesù nell'Eucaristia. Crediamo che la nostra vita è un miracolo, anche quando è avvolta dal buio.
Crediamo che Dio ci ama e si fa vicino a ciascuno di noi. Ascoltiamo la sua voce nella Bibbia, facciamo quello che Lui ci dice per il tramite della Chiesa, andiamo dove Egli ci invia.
Confessiamoci per essere lavati dal suo sangue innocente e guarire dal nostro male colpevole e dalle nostre incapacità di vedere come Egli vede tutto ciò che siamo, ciò che potremmo essere, ciò che ci accade, e saremo nella gioia.
Questa gioia è un connotato delle Vergini consacrate che sono chiamate a dare nella gioia
"una particolare testimonianza di carità e segno visibile del Regno futuro" (Rito di Consacrazione delle Vergini, n. 30). Questa donne sono chiamate a dedicare la loro vita a Cristo e a vivere la loro esistenza rendendo testimonianza di amore a Cristo. Esse ci mostrano una modalità alta e bella di camminare alla sequela del Redentore come viene proposta nel Vangelo e, con intima gioia, assumono lo stesso stile di vita che Egli scelse per Sé.

1 La IV domenica di Quaresima è detta “la domenica della gioia” = Laetare (=Rallegrati), che è la prima parola dell’introito (antifona di ingresso) della Messa di oggi, il cui testo è preso da Isaia 66, 10 e 11: “Rallegrati Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione”.

Questa domenica ha una “sorella gemella” nella terza domenica di Avvento  che inizia con la parola “Gaudete” (=Gioite).

Lettura Patristica
Efrem
Diatessaron, 16, 28-32

1. Il cieco nato

       E perché essi avevano bestemmiato a proposito delle sue parole: "Prima che Abramo fosse, io ero" (Jn 8,58), Gesù andò verso l’incontro con un uomo, cieco fin dalla nascita: "E i suoi discepoli lo interrogarono: Chi ha peccato, lui o i suoi genitori? Egli disse loro: Né lui, né i suoi genitori, ma è perché Dio sia glorificato. È necessario che io compia le opere di colui che mi ha mandato, finché è giorno" (Jn 9,2-4), fintanto che sono con voi. "Sopraggiunge la notte" (Jn 9,4), e il Figlio sarà esaltato, e voi che siete la luce del mondo, scomparirete e non vi saranno più miracoli a causa dell’incredulità. "Ciò dicendo, sputò per terra, formò del fango con la saliva, e fece degli occhi con il suo fango" (Jn 9,6), e la luce scaturì dalla terra, come al principio, quando l’ombra del cielo, "la tenebra, era estesa su tutto" ed egli comandò alla luce e quella nacque dalle tenebre (Gn 1,2-3). Così «egli formò del fango con la saliva», e guarì il difetto che esisteva dalla nascita, per mostrare che lui, la cui mano completava ciò che mancava alla natura, era proprio colui la cui mano aveva modellato la creazione al principio. E siccome rifiutavano di crederlo anteriore ad Abramo, egli provò loro con quest’opera che era il Figlio di colui che, con la sua mano, "formò" il primo "Adamo con la terra" (Gn 2,7): in effetti, egli guarì la tara del cieco con i gesti del proprio corpo.

       Fece ciò inoltre per confondere coloro che dicono che l’uomo è fatto di quattro elementi, poiché rifece le membra carenti con terra e saliva, fece ciò a utilità di coloro che cercavano i miracoli per credere: "I Giudei cercano i miracoli" (1Co 1,22). Non fu la piscina di Siloe che aprì gli occhi del cieco (Jn 9,7 Jn 11), come non furono le acque del Giordano che purificarono Naaman; è il comando del Signore che compie tutto. Ben più, non è l’acqua del nostro Battesimo, ma i nomi che si pronunciano su di essa, che ci purificano. "Unse i suoi occhi con il fango" (Jn 9,6), perché i Giudei ripulissero l’accecamento del loro cuore. Quando il cieco se ne andò tra la folla e chiese: «Dov’è Siloe?», si vide il fango cosparso sui suoi occhi. Le persone lo interrogarono, egli le informò, ed esse lo seguirono, per vedere se i suoi occhi si fossero aperti.

       Coloro che vedevano la luce materiale erano guidati da un cieco che vedeva la luce dello spirito, e, nella sua notte, il cieco era guidato da coloro che vedevano esteriormente, ma che erano spiritualmente ciechi. Il cieco lavò il fango dai suoi occhi, e vide se stesso; gli altri lavarono la cecità del loro cuore ed esaminarono sé stessi. Nostro Signore apriva segretamente gli occhi di molti altri ciechi. Quel cieco fu una bella e inattesa fortuna per Nostro Signore; per suo tramite, acquistò numerosi ciechi, che egli guarì dalla cecità del cuore.

       In quelle poche parole del Signore si celavano mirabili tesori, e, in quella guarigione era delineato un simbolo: Gesù figlio del Creatore. "Va’, lavati il viso" (Jn 9,7), per evitare che qualcuno consideri quella guarigione più come un stratagemma che come un miracolo, egli lo mandò a lavarsi. Disse ciò per mostrare che il cieco non dubitava del potere di guarigione del Signore, e perché, camminando e parlando, pubblicizzasse l’evento e mostrasse la sua fede.

       La saliva del Signore servì da chiave agli occhi chiusi, e guarì l’occhio e la pupilla con le acque, con le acque formò il fango e riparò il difetto. Agì così, affinché, allorché gli avrebbero sputato in faccia, gli occhi dei ciechi, aperti dalla sua saliva, avessero reso testimonianza contro di essi. Ma essi non compresero il rimprovero che egli volle fare a proposito degli occhi guariti dei ciechi: "Perché coloro che vedono diventino ciechi" (Mt 26,27); diceva questo dei ciechi perché lo vedano corporalmente, e di quelli che vedono perché i loro cuori non lo conoscano. Egli ha formato il fango durante il sabato (Jn 9,14). Omisero il fatto della guarigione e gli rimproverarono di aver formato del fango. Lo stesso dissero a colui "che era malato da trentotto anni: Chi ti ha detto di portare il tuo lettuccio?" (Jn 5,5 Jn 12), e non: Chi ti ha guarito? Qui, analogamente: «Ha fatto del fango durante il sabato». E così, anzi per molto meno, non si ingelosirono di lui e non lo rinnegarono, quando guarì un idropico, con una sola parola, in giorno di sabato? (Lc 14,1-6). Cosa gli fece dunque guarendolo? Egli fu purificato e guarito con la sola parola. Quindi, secondo le loro teorie, chiunque parla viola il sabato; ma allora - si dirà - chi ha maggiormente violato il sabato, il nostro Salvatore che guarisce, o coloro che ne parlano con gelosia?


venerdì 21 marzo 2014

Quaresima: l’incontro di due seti.

Rito RomanoIII Domenica di QuaresimaAnno A23 marzo 2014
Es 17,3-7; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42
La sete di Gesù e quella della Samaritana.

Rito AmbrosianoIII Domenica di Quaresima
Es 34,1-10; Sal 105; Gal 3,6-14; Gv 8,31-59
Domenica di Abramo.
1) Un Povero che chiede per poter donare.
Nel suo esodo Gesù passa per la Samaria e si ferma al pozzo di Giacobbe nei pressi della città di Sicar. Si siede su muretto che cinge il pozzo perché è stanco di camminare, ha sete, ma è povero e non ha mezzi per attingere l’acqua. Aspetta che venga qualcuno che possa attingere l’acqua per lui e dissetarlo, ma la sua umile richiesta è un “pretesto” per poter donare se stesso.
Cristo è così assetato di noi che non esita a chiedere dell’acqua per il suo corpo e così poter offrire se stesso come sorgente di acqua che disseta per sempre, perché sa che quanti vanno al pozzo a prender l'acqua hanno sete di un'altra acqua, anche se credono di non averne bisogno.
Cristo ha sete, ma la sua non è solo una sete fisica, è spirituale: ha sete di noi, che oggi siamo rappresentati dalla Samaritana. Gesù si fa buon Samaritano alla samaritana e, proponendo un’acqua che disseta anche il cuore, la invita alla conversione,.
In fondo che cosa significa “conversione”? 
Non è solo un atto della volontà, ma è una risposta all'Amore di Dio che si è fatto strada nel nostro spesso complicato, confuso o disordinato modo di vivere, che ci rende assetati di tutto. Chiediamo a Cristo di versare anche nei nostri cuori il vero amore così da avere un costante desiderio di Lui e il deserto della vita fiorirà, e saremo nelle sue mani amorose e salde, sempre.
Il cammino di conversione, che il cuore della donna di Samaria percorre, non è senza resistenze. La ricerca di Dio da parte dell'essere umano corre sempre il pericolo di rinchiudersi in se stessa, è sempre minacciata, quindi l’evangelista Giovanni mette a nudo le radici di questa chiusura su se stessi, mettendo in evidenza che, all’inizio, la Samaritana non capisce. In effetti quando si lascia andare al suo istinto e ad alla sua reattività, l’uomo non è più capace né di capire la parola di Dio, né di interpretare correttamente le proprie attese. Il cuore ha sete e come una cerva anela all’acqua, ma la cerca in modo sbagliato, con delle pretese e dei pregiudizi. La donna intuisce qualcosa del dono di cui Cristo parla (l'acqua), ma lo interpreta sul metro delle proprie preoccupazioni: “Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua1. La tentazione di chi cerca Dio è sempre di rinchiudere il dono di Dio dentro la propria attesa. Ma Dio non si lascia rinchiudere nelle attese dell'uomo: le dilata. La donna cerca di situare Gesù nelle categorie religiose tradizionali, ma Gesù non esita a mostrare la loro inadeguatezza. Per due volte – a proposito del dono dell'acqua e del luogo del culto – la donna evoca la grandezza dei patriarchi 2), evoca il passato: la sua ricerca è chiusa nel passato. Gesù la costringe a guardare al futuro e a prendere coscienza che nel mondo è arrivata la novità e che questa rinnova il problema dalle fondamenta. La novità non sta in qualcosa che disseta il corpo arido, ma in Qualcuno che disseta il cuore ricolmandolo,
Già san Paolo aveva compreso che Gesù è “l'acqua che disseta”, quando affermò: “E la Roccia era Cristo”3, in riferimento al testo della prima lettura di oggi. Alle volte possiamo forse sentirci messi alla prova dall'arsura della sete, ma Gesù ci sarà sempre vicino con l'acqua viva del suo amore. L'acqua che è Cristo stesso non soltanto disseta, ma purifica e dà vita. Infatti, dal costato aperto di Cristo sono sgorgati acqua e sangue, simbolo dei sacramenti del battesimo e dell'eucaristia. Ma non è sufficiente essere dissetati, purificati, vivificati dall'Acqua di Cristo. Quest'acqua non è soltanto per noi, è per tutti.
La Samaritana lo ha capito. Ha lasciato per qualche istante Gesù ed è andata in città, facendosi “missionaria” verso i suoi concittadini. L’umanità intera ha bisogno di essere dissetata e lavata da quest'acqua di Cristo. E la donna, giunta al punto in cui Gesù intendeva condurla, lascia le sue precedenti preoccupazioni e corre in città (cf. Gv 4,28). Il suo incontro con Cristo si fa comunitario, il suo cammino diventa missionario.
Questa ricerca e questo incontro della donna di Samaria e dei suoi concittadini è, ovviamente, un'immagine del cammino di ogni uomo verso Dio.

2) La sete di Gesù Maestro.
Il Vangelo ci parla di un ambiente “scolastico” inconsueto, un pozzo, e un maestro inatteso: Dio. Un Maestro che oggi sceglie come cattedra un muretto, per insegnare non dall’alto ma all’altezza del cuore, e come ascoltatore una donna. Di questo fatto se ne stupirono per primi i discepoli, sia perché era samaritana4 e sia perché era donna e non sapevano ancora che la Chiesa di Cristo avrebbe posto una Donna quale mediatrice tra i figli e il Figlio: la Madonna, che riunì in sé, unica fra tutte, le due supreme perfezioni della donna: la Vergine e la Madre e che soffrì per noi dalla notte della nascita a quella della morte di Gesù, fratello nostro.
Un Maestro che per fare attingere la verità dal suo cuore, chiede da bere. Nel Vangelo solo due volte è detto che Gesù ha sete: in questo incontro con la samaritana e sulla Croce. E dalla Croce continua a dire “ho sete”, rivolgendosi a ciascuno di noi, perché di ognuno di noi ha sete e ci dice: “Conosco il tuo cuore, la tua solitudine e il tuo dolore, le reazioni, i giudizi e le umiliazioni. Io ho sopportato tutto questo prima di te. Ho portato su di Me tutto questo per te affinché tu possa dividere anche la Mia potenza e vittoria. Conosco specialmente il tuo bisogno di amore e di bere alla fonte dell'amore e della consolazione. Quante volte la tua sete è stata vana; dissetandoti in modo egoistico, riempiendo la tua sete di piaceri illusori, cioè la vacuità ancora più grande del peccato! Hai sete di amore?Venite a Me o voi assetati...(Gv. 7,37). Io vi darò da bere fino a pienezza. Hai sete di essere amato? Ti amo più di quanto puoi immaginare, al punto di morire in croce per te. Ho sete del tuo amore. Sì, questo è il solo modo di dirti il Mio amore: HO SETE DI TE. Ho sete di amarti e di essere amato. Per dimostrarti quanto sei prezioso per Me! HO SETE DI TE. Non dubitare mai della Mia Grazia, del mio desiderio di perdonarti, di benedirti e di vivere la mia vita in te. HO SETE DI TE. Aprimi, vieni a me, sii assetato di me, offrimi la tua vita. E io ti dimostrerò quanto conti per il Mio cuore”.5 Gesù Cristo, Figlio di Dio, ha sete della nostra sete (cfr San Gregorio di Nazianzo), ha desiderio del nostro desiderio. Ha bisogno di noi, ha sete di fratelli.
La nostra domanda è risposta alla sete di Cristo. Non è poi così paradossale affermare che la nostra preghiera di domanda è una risposta. E’ un dato di fatto. Con la forza dell’amore siamo chiamati a rispondere al lamento del Dio vivente: “Essi hanno abbandonato me, sorgente d'acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate6, risposta di fede alla promessa gratuita di salvezza7, risposta d'amore alla sete del Figlio unigenito8.
A tutti si rinnova l’invito di Dio: “O voi tutti assetati venite all'acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e senza spesa, vino e latte9,Chi ha sete venga, chi vuole prenda in dono dell'acqua della vita10. Eun chiaro invito di Gesù Cristo a tutti gli uomini. Eun incoraggiamento aberedalla fonte eterna: l'unica che toglie la sete del cuore e della mente, che guarisce lanima e il corpo, lunica che dona salvezza, la sola che la felicità che dura per sempre.
Ma teniamo ben presente che questa acqua scaturisce anche da coloro che hanno creduto in Lui come Salvatore, i quali, simili a vasi di terra, sono chiamati ad essere ripieni dell'Acqua della Vita11 e si dispongono umilmente a condividerla. 
Le Vergini Consacrate sono chiamate a vivere questa condivisione mediante la consacrazione, la donazione totale a Dio, da loro portato come vasi sacri, fragili come la creta ma forti della grazia, da cui attingere lamore che dio ha riversato in loro.
Le Vergini consacrate, poi, con la loro dedizione assidua alla preghiera testimoniano che la preghiera e la vita spirituale autentica sono simili alla pulsione primaria, istintiva della sete che è bisogno primario ed elementare. È una necessità quasianimalesca, analoga a quella che il profeta Geremia raffigurava nella brama degli asini selvatici, che durante la siccitàsi fermano sulle alture e aspirano laria come sciacallia causa delle fauci riarse,mentre i loro occhi languiscono, perché non si trova più erba12. Ma il vivere la preghiera e la vita come risposta alla sete di Dio permette a loro, ed anche a noi di pregare così:Il tuo amore è più dolce della vita, le mie labbra ti celebrano13. Queste donne testimoniano di aver capito la lezione di Gesù alla Samaritana. Non cercano Dio sulla montagna di Samaria di Sion, Lo cercano e trovano dentro il loro cuore come pozzo da cui sgorga acqua di vita eterna. Sono assetate di Dio e per questo il loro Rituale per la Consacrazione cita il Salmo 41:Come un cervo assetato cerca lacqua viva, così la mia anima cerca te, Dio mio(v. 2). Poi dissetate da Dio,sono consacrate al culto divino della lode e del servizio a tutti gli uomini(cfr aggiunta alla Preghiera eucaristica IV durante la Messa per la loro Consacrazione).
Con la loro vita queste donne dicono, come Abramo14:Mi fido di Te; mi affido a Te, Signore. Esse ci richiamano che credere in Dio significa fondare su di Lui la nostra vita, lasciare che la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza paura di perdere qualcosa di se stessi, senza esitare a consacrarsi a Dio, completamente.


1 Gv 4,15.
2 Gv 4,12.20.
3 1 Cor 10,4,
4 Non dobbiamo dimenticare che tra Ebrei e samaritani non correva buon sangue da quando questi ultimi si erano formati un regno ed un culto autonomo. Erano degli scismatici, e per di più mescolati con coloni stranieri (assiri) praticanti culti pagani. I rapporti erano improntati ad ostilità: condannati quelli personali, evitato persino l'attraversamento della regione, situata tra Giudea e Galilea, seguendo un percorso ben più lungo, pur di evitarli.I Samaritani al Tempio di Gerusalemme contrapponevano il loro sul monte Garizim. E' chiaro che per i Giudei questo rappresentava un fatto gravissimo, perché essi consideravano essenziale l'unicità del Tempio, luogo della presenza di Jahvé in mezzo al popolo.
5 Preghiera della B. Teresa di Calcutta, che ha voluto che accanto al Crocifisso posto dietro laltare di ogni cappella delle Case delle sue Suore ci sia scrittoI THIRST= Ho sete. Può essere utile consultare http://www.motherteresa.org.
6 Ger 2,13.
7 Cfr Gv 7,37-39; Is 12,3; 51,1.
8 Cfr Gv 19,28; Zc 12,10; 13,1.
9 Is 55,1.
10Ap 22,17.
11Gv 7,38-39.
12 Ger 14,6.
13 Sal 63,4.
14 A questo Patriarca èdedicatala II domenica di quaresima del Rito Ambrosiano. Abramo, il credente, ci insegna la fede; e, da straniero sulla terra, ci indica la vera patria. La fede ci rende pellegrini sulla terra, inseriti nel mondo e nella storia, ma in cammino verso la patria celeste. Credere in Dio ci rende dunque portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e lopinione del momento. In tante nostre società Dio è diventato ilgrande assentee al suo posto vi sono molti idoli, diversissimi idoli e soprattutto il possesso e l’‘ioautonomo. E anche i notevoli e positivi progressi della scienza e della tecnica hanno indotto nelluomo unillusione di onnipotenza e di autosufficienza, e un crescente egocentrismo ha creato non pochi squilibri allinterno dei rapporti interpersonali e dei comportamenti sociali. Eppure la sete di Dio non si è estinta e il messaggio evangelico continua a risuonare attraverso le parole e le opere di tanti uomini e donne di fede.



Lettura Patristica
Dalle "Catechesi" di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Catech. 16, sullo Spirito Santo 1,11-12.16; PG 33,931-935.939-942)
L'acqua viva dello Spirito Santo


"L'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna" (Gv 4,14). Nuova specie di acqua che vive e zampilla, ma zampilla solo per chi ne è degno. Per quale motivo la grazia dello Spirito è chiamata acqua? Certamente perché tutto ha bisogno dell'acqua. L'acqua è generatrice delle erbe e degli animali. L'acqua della pioggia discende dal cielo. Scende sempre allo stesso modo e forma, ma produce effetti multiformi. Altro è l'effetto prodotto nella palma, altro nella vite e così in tutte le cose, pur essendo sempre di un'unica natura e non potendo essere diversa da se stessa. La pioggia infatti non discende diversa, non cambia se stessa, ma si adatta alle esigenze degli esseri che la ricevono e diventa per ognuno di essi quel dono provvidenziale di cui abbisognano.
Allo stesso modo anche lo Spirito Santo, può essendo unico e di una sola forma e indivisibile, distribuisce ad ognuno la grazia come vuole. E come un albero inaridito, ricevendo l'acqua, torna a germogliare, così l'anima peccatrice, resa degna del dono dello Spirito Santo attraverso la penitenza, porta grappoli di giustizia. Lo Spirito appartiene ad un'unica sostanza, però, per disposizione divina e per i meriti di Cristo, opera effetti molteplici.
Infatti si serve della lingua di uno per la sapienza. Illumina la mente di un altro con la profezia. A uno conferisce il potere di scacciare i demoni, a un altro largisce il dono di interpretare le divine Scritture. Rafforza la temperanza di questo, mentre a quello insegna la misericordia. Ispira a un fedele la pratica del digiuno, ad altri forme ascetiche differenti. C'è chi da lui apprende la saggezza nelle cose temporali e chi perfino riceve da lui la forza di accettare il martirio. Nell'uno lo Spirito produce un effetto, nell'altro ne produce uno diverso, pur rimanendo sempre uguale a se stesso. Si verifica così quanto sta scritto: "A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune" (1Cor 12,7).
Mite e lieve il suo avvento, fragrante e soave la sua presenza, leggerissimo il suo giogo. Il suo arrivo è preceduto dai raggi splendenti della luce e della scienza. Giunge come fratello e protettore. Viene infatti a salvare, a sanare, a insegnare, a esortare, a rafforzare e a consolare. Anzitutto illumina la mente di colui che lo riceve e poi, per mezzo di questi, anche degli altri.
E come colui che prima si trovava nelle tenebre, all'apparire improvviso del sole riceve la luce nell'occhio del corpo e ciò che prima non vedeva, vede ora chiaramente, così anche colui che è stato ritenuto degno del dono dello Spirito Santo, viene illuminato nell'anima e, elevato al di sopra dell'uomo, vede cose che prima non conosceva.