sabato 8 marzo 2014

Quaresima: esodo di libertà dalla fame di possedere la vita, le persone e Dio.

Rito RomanoI Domenica di QuaresimaAnno A9 marzo 2014
Gn 2, 7-9; 3, 1-7; Sal 50; Rm 5, 12-19; Mt 4, 1-11

Rito AmbrosianoI Domenica di Quaresima
Is 58, 4b-12b; Sal 102; 2Cor 5, 18-6,2; Mt 4, 1-11


1)Quaresima: 40 giorni di esodo1 per andare verso la Terra promessa.
Il modo più sicuro di partecipare alla Quaresima è, come suggerisce la liturgia di oggi, prima Domenica di Quaresima, di ricordare e rivivere quello che furono per Lui i 40 giorni di digiuno e preghiera passati nel deserto e che si conclusero con il superamento di tre prove.
Nel racconto che Gesù stesso fece ai suoi discepoli, le tre tentazioni, che ricapitolano questo tempo di prova, lasciano abbastanza chiaramente capire che, in un combattimento che prefigurava la sua agonia, Lui scelse lamore del Padre e la carità per noi e iniziò a bere il calice della Nuova Alleanza, che sarebbe stata sigillata con la sua offerta sulla Croce.
Questo amore offerto è rifiutato ci è presentato già nella prima lettura, presa dal libro della Genesi, ci mostra che l'uomo è polvere plasmata dallemani creativedi Dio e animata dal Suo soffio di vita e di carità. Poche righe dopo, sempre il libro della Genesi illumina il dramma delle scelte sbagliate di fronte al bene e al male, un male che nasce nel cuore dell'uomo, dalle sue scelte, dai suoi rifiuti, dal suo ostinarsi a seguire i propri criteri, anziché i criteri di Dio. Ci viene chiesto di riflettere sulla gravità del rifiuto di inserirsi nel disegno di Dio, pretendendo un'autonomia assoluta nel decidere ciò che è bene e ciò che male. E' la pretesa di essere alla pari di Dio, di essere Dio a noi stessi e agli altri.
Poi, nella seconda lettura, ricavata dalla Lettera ai Romani, vediamo che San Paolo si riferisce al racconto della Genesi e mette a confronto il comportamento di Adamo e quello di Cristo e i risultati del loro agire. La ribellione e la disobbedienza del primo hanno causato la separazione da Dio e la morte di tutti gli uomini, l'obbedienza perfetta di Cristo, invece, ha ottenuto a tutti la pienezza della grazia e della vita. Adamo ed Eva sperimentano che la propria presunzione li ha allontanati tra loro, dal creato e da Dio. Gesù, invece, ricuce questo strappo e annulla questa distanza.
Infine, la pagina del Vangelo di Matteo che ci è offerta oggi come terza lettura, ripropone la stessa tentazione di Adamo ed Eva, ma mostra come Gesù ne esce vittorioso e ci indica le vie per realizzare un'esistenza fedele a Dio, una vita libera dal male profondo che ci minaccia.
Il diavolo mette in dubbio la figliolanza divina di Gesù (Se sei Figlio di Dio …”) che era stata affermata al momento del battesimo sulle rive del fiume Giordano. In effetti, la tentazione non riguarda il pane, le cose, perché quelle son quel che sono, ma come vivere la nostra relazione con le cose, con le persone, con Dio. La possiamo vivere da figli di Dio, come Gesù, oppure rifiutare la paternità amorosa di Dio che offre un rapporto stabile, vivo e vivificante con Lui.
Dio offre unalleanza tra due libertà: la sua, che è iniziativa damore infinito, e la nostra, che è chiamata a fiorire e vivere della e per la libertà amorosa di Dio.
Se con la grazia superiamo la tentazione, Dio dilata il nostro cuore, che può così avere in dono Lui, che è l'Amore, e ci dona di bene operare per rendere tutta la vita una lode a Lui.

2) Fame e deserto.
Un dato non secondario è che il Vangelo di oggi ci dice che Gesù è tentato da Satana dopo quaranta giorni e notti di digiuno e, quindi, Gesù ha fame.
Ma non si tratta solo di una fame corporale, come ogni essere umano Gesù ha tre tipi di fame:
  1. di vita, che tenta luomo al possesso e l’accumulo spropositato di beni materiali (le pietre da trasformare in pane),
  2. di relazioni umane che possono essere damicizia o di potere, simboleggiata dallofferta di potere,
  3. di onnipotenza, che spinge a soffocare il desiderio di Dio cioè lanelito di infinito e di libertà senza limiti, inducendo alla tentazione di progettare la propria esistenza secondo i criteri umani della facilità, del successo, del potere, dell'apparenza, dell'immagine, vale a dire la tentazione di adorare il Menzognero (il diavolo) invece di adorare il Vero Amore provvidente.

Gesù però sceglie un altro criterio, quello della fedeltà al progetto di Dio, a cui aderisce pienamente e di cui è Parola fatta carne per redimerci assumendo la nostra condizione, segnata dalla povertà e dalla sofferenza, scegliendo con coraggio di farsi servo di tutti.
Per vincere queste prove, questa fame di vita, di relazioni e di Dio l’uomo dispone di uno strumento infallibile: la Parola di Dio. Riscriviamo allora una frase di Sant’Agostino: Quando sei colto dai morsi della fame - e possiamo aggiungere anche della tentazione - lascia che la Parola di Dio divenga il tuo pane di vita, lascia che Cristo sia il tuo Pane di Vita.
A questo punto, penso sia giusto chiedersi perché per digiunare Gesù andò nel deserto.
Nella tradizione biblica il deserto rappresentava il luogo della preparazione a una missione divina. Così era stato per Mosè, che conobbe la rivelazione di Jahvè (Esodo 3,1 e ss), per il popolo uscito dalla schiavitù che sperimentò la fatica della libertà. Così fu per Elia, che vi ascoltò la parola divina (1a Re 19,18). Dunque anche Gesù rimase nella solitudine del deserto per quaranta giorni2, prima di iniziare il suo ministero pubblico.
Gesù l’ha fatto per insegnarci a vivere la vita come esodo nel deserto come è stato per il popolo ebraico e come deve essere la Chiesa, pellegrina verso il Cielo. Questo significa non poter programmare la propria vita, non poterne disporre, doversi abbandonare a una Parola di promessa. Dio dice anche a noi: “Nulla ti mancherà, ma tutto dovrai attendere da me”. È questo il significato della fede: non solamente l'assenso a un corpo di dottrine ma il fidarsi di un amore, il credere all’amore: a quell'amore che ha iniziato senza di tè (l'uscita dall'Egitto come per noi l’uscita dal grembo di nostra madre), ma che potrà continuare soltanto se troverà la nostra adesione.
Ci è chiesto di tradurre il nostro comportamento quotidiano la "cura" di noi stessi in quell'Altro che ci ha liberata.
La quasi totalità di noi è chiamata a esistere domani non nella situazione di emergenza del deserto, ma nella situazione di normalità di una terra da coltivare e da abitare. Tuttavia tutti noi siamo chiamati a portarvi lo stesso atteggiamento di fondo: vivere su quella terra ma con un cuore di deserto.
Questo cuore è chiesto particolarmente alle Vergini Consacrate, che nella solitudine fisica sono chiamate ad un tu per tu con Dio: parlare al cuore.
Il deserto, la solitudine verginale è il luogo privilegiato, il luogo dove si sta a tu per tu con Dio. Lo Sposo non può costringere la sposa ad amarLo. Il Signore però ha un mezzo infallibile, come lo descrisse, ad esempio il profeta Osea.  All’inizio, al cap 2, Osea parla di questo adulterio terrificante, il tornare ad adorare gli idoli che i vecchi padri hanno adorato; il Signore addolorato, angosciato, interviene e dice che ha un mezzo e lo metterà in azione, riporterà di nuovo il popolo nel deserto, gli indicherà di nuovo le strade antiche, parlerà di nuovo al suo cuore, nel deserto, appunto quando le categorie malefiche, i diaframmi opachi sono caduti; allora il cuore dell’uomo, cioè la sua intelligenza, ed il cuore di Dio, cioè la divina Sapienza stanno a tu per tu e l’incontro è immediato, possibile e fecondo.
Le Vergini consacrate vivono il “deserto” della loro vocazione come della disponibilità totale. La loro è una spiritualità della disponibilità generosa verso gli altri, della disponibilità totale verso il Signore da cui attendono tutto.
Con la preghiera, l’elemosina ed il digiuno, impariamo tutti questa disponibilità per camminare uniti nel “deserto” quaresimale, e della vita, così la fame diventerà desiderio santo di Dio e saremo la Tenda dove l’Emmanuele, il Dio sempre con noi, avrà stabile dimora.

1 Linterpretazione cristiana dell'Esodo è guidata da quella lettura che si è soliti chiamaretipologica: tutto ciò che riguarda Israele (vicende e personaggi, riti e istituzioni) è la figura - il typos, appunto - di quanto accade in Cristo e nella Chiesa. Riprendiamo brevemente le fasi principali dellEsodo per vedere in che modo esse vengono riprese e reinterpretate in funzione dell'evento cristiano.
Prima tappa: l'Egitto (e il Faraone) è inteso come figura del peccato. Soprattutto di quella condizione universale di peccato che teneva schiava l'umanità prima di Cristo. Ma Egitto può essere anche colui, che provoca il peccato: Satana; oppure la sua trascrizione storica, l'idolatria pagana. Di conseguenza, la liberazione dall'Egitto attraverso il passaggio del Mar Rosso sarà la figura del battesimo, e lagnello pasquale immolato assurgerà a simbolo di Cristo nella sua passione.
La tappa del deserto è ripresa come figura della vita del credente in cammino. In essa compaiono, come per Israele, la prova e la tentazione; ma anche la protezione divina vi si dispiega con particolare intensità: i miracoli dell'Esodo diventano il miracolo dell'esistenza sacramentale: la roccia-Cristo da cui zampilla l'acqua battesimale, e la manna diventata eucaristia. Il deserto può essere interiorizzato come cammino individuale dell'anima verso la contemplazione e la perfezione spirituale; o può essere vissuto come itinerario Quaresimale in preparazione delle celebrazioni pasquali.
Il senso cristiano della Legge è riscontrato, sulla linea paolina, nella condensazione di tutte le leggi etico-sociali nella carità; mentre le leggi rituali trovano la loro verità nel culto cristiano.
Finalmente, la terra promessa ripropone il motivo sacramentale: il passaggio del Giordano, come già quello del Mar Rosso, rimanda al battesimo, mentre nelpaese dove scorre latte e mielei Padri della Chiesa leggono una suggestiva figura del banchetto eucaristico. Accanto a questa, e ancor più frequente, è l'interpretazione della terra promessa come immagine della vita definitiva con Dio.
Si può riassumere il tutto dicendo che il senso tipologico dellEsodo è litinerario del popolo cristiano dalla schiavitù del peccato attraverso il battesimo e l'esistenza in fede e carità fino alla patria celeste.
2 Quaranta è un numero simbolico, in questo caso, oltre a collegarsi ai quarantanni passati dal Popolo di Israele nel deserto, sta a significare tutta una generazione, cioè Gesù, facendosi uomo, è stato tentato per tutta la sua vita.


Lettura Patristica
San Bernardo di Chiaravalle
IV Sermone per la Quaresima
La preghiera e il digiuno
1.Poiché siamo arrivati al periodo del digiuno quaresimale,  e perciò  vi esorto a sostenere la carità  con tutta la vostra devozione, mi sembra giusto esporre brevemente a quale scopo e in che modo è opportuno digiunare. In primo luogo, fratelli, astenendoci  anche dalle cose permesse, ci vengono perdonate quelle illecite e già commesse. Dunque, otteniamo il perdono per il male, solo che, per un breve digiuno, siamo liberati da quello eterno? In realtà  meritiamo l’inferno, dove non c’è mai cibo, né consolazione, né fine. Il ricco chiede una goccia d’acqua, e non può riceverla (Luca, XVI, 94). E’ buono e salutare il digiuno, con il quale siamo liberati dal digiuno e dai supplizi eterni, mentre otteniamo la redenzione dai peccati. Infatti non soltanto è una rapida abolizione dei peccati  ma anche lo sradicamento dei vizi; non solo ci ottiene il perdono ma ci fa anche meritare la grazia; non solo cancella i peccati commessi nel passato ma allontana anche i peccati potremmo commettere in futuro.
2.Vi dirò inoltre, perché possiate capire più facilmente, una cosa che, se non sbaglio, vi capita spesso:  il digiuno dona devozione e fiducia . Inoltre notate come il digiuno e la preghiera vanno insieme,  come dice la Scrittura, “I  fratelli che si aiutano, si consolano entrambi” (Prov. XVIII 19 ) 1. “La preghiera ci ottiene la forza di digiunare, e il digiuno ci fa meritare la grazia della preghiera. Il digiuno rafforza la preghiera, la preghiera santifica il digiuno e lo offre a Dio. Come potrebbe giovarci, infatti, il digiuno, se rimanesse sulla terra? Dio non voglia! Si sollevi quindi il digiuno dalla terra sulle ali della preghiera. Ma un’ala non è sufficiente,  ne occorre una seconda. La Scrittura dice: “La preghiera del giusto entra in cielo” (Eccl. XXXV, 20)2. Servono dunque due ali, la preghiera e la giustizia, perché  il nostro digiuno salga facilmente al cielo. Ma che cos’ è la giustizia, se non dare a ciascuno il suo? Quindi smettete, per così dire, di prestare attenzione solo a Dio. Avete doveri da compiere verso i superiori e i fratelli, e Dio non vuole che badiate poco ai quelli che Egli considera molto. Non è senza ragione  che l’Apostolo dice: “Stai attento a fare bene, non solo davanti a Dio, ma davanti agli uomini “(Romani XII, I, 7)3. Ma potreste dirmi: “Per me è sufficiente che sia soltanto Dio ad approvare quello che faccio; che cosa mi importa del giudizio umano? Ebbene, state certi che non gli piacerà nessuna cosa  fatta con scandalo dei suoi figli e contro la volontà di colui al quale tuttavia, essere certi che non ha nulla piacevole voi sarà lo scandalo dei suoi figli e contro la volontà del suo vicario, cui è necessario obbedire. Il Profeta disse: “Santificate il digiuno, convocate l’assemblea” (Gioele, II, 15)4. Che cosa significa convocare l’assemblea? Mantenere l’unità, apprezzare, amare i fratelli. L’orgoglioso fariseo digiunava, santificava il digiuno, sicuramente digiunava due volte la settimana  e rendeva grazie a Dio; ma dicendo “Non sono come gli altri uomini” (Lc XVIII, 11) non ha chiamato nessuno; per questo, orgoglioso dell’unica ala, il suo digiuno non poté arrivare al cielo. Quindi, carissimi, lavatevi le mani nel sangue del peccatore e fate assolutamente in modo che il vostro digiuno abbia due ali:  voglio dire  la purezza e la pace, senza le quali nessuno può vedere Dio. “Santificate il digiuno” affinché sia offerto alla divina maestà con intenzione pura e preghiera devota:  “Convocare l’assemblea” perché concordi nell’unità:  ”Lodate il Signore col tamburo e danze “(Psal. CL, 4)5, affinché ci sia armonia nella mortificazione della carne.
3. Visto che abbiamo detto qualcosa sul digiuno e sulla giustizia, è giusto parlare un po’ anche della preghiera. Infatti  quanto più essa efficace se fatta bene, tanto più astutamente il nemico è solito ostacolarla.  A volte, infatti, l’efficacia della preghiera è gravemente ostacolata dalla pusillanimità di spirito, e dall’eccessiva preoccupazione. Ciò si verifica di solito quando uno è così preoccupato per la propria indegnità da non osare di volgere lo sguardo alla bontà di Dio. “Infatti, l’abisso chiama l’abisso” (Sal. XLI, 8)6. L’ abisso luminoso chiama  l’abisso di tenebre, l’abisso di misericordia chiama l’abisso di miseria. Il cuore dell’uomo è di per sé un abisso, e un abisso senza fondo. Ma se la mia iniquità è così grande, la tua benevolenza, Signore, è molto più grande. Per questa ragione, quando la mia anima è turbata da me stesso, mi ricordo la  grandezza della tua misericordia  e in quella trovo sollievo, e quando arrivo al fondo della mia debolezza non voglio ricordate niente se non la tua giustizia.
4. Nondimeno  è un pericolo per la preghiera anche essere troppo timidi, e non è un pericolo da meno, se non addirittura maggiore, essere troppo fiduciosi. Ascoltate ciò che il Signore ha detto al Suo Profeta a proposito di coloro che pregano con questa eccessiva sicurezza: “Grida senza fermarti , esalta la tua voce come una tromba” (Isaia LVIII, 1)7, ecc.” Come una tromba “, ha detto, perché chi prega con un eccesso di fiducia deve essere ripreso con grande veemenza. Infatti, ci sono quelli che non hanno ancora trovato se stessi, che cercano me. Non dico questo per  privare i peccatori della fiducia nella preghiera, ma voglio che preghino come persone che hanno operato peccati, non giustizia; che preghino per il perdono dei loro peccati con un cuore contrito e umile come il pubblicano, che gridò: “Signore abbi pietà di me peccatore” (Lc XVIII, 13). L’avventatezza, infatti,  quando colui nella cui coscienza regna ancora il peccato o qualche vizio cammina nella grandezza e nell’ammirazione di se’, è meno sollecito a proposito del pericolo per la sua anima.  Il terzo pericolo si verifica con la preghiera tiepida, quella che non nasce da un affetto forte. Senza dubbio la preghiera timida non arriva al cielo, perché una eccessiva paura paralizza l’anima, tanto che non dico solo che la preghiera non può salire al cielo, ma non può nemmeno lasciare le labbra. La preghiera tiepida, in verità, si infiacchisce nella salita e viene meno, perché non ha vigore. Quanto alla preghiera troppo fiduciosa, sale ricade; in cielo trova resistenza, non soltanto non  ottiene grazia, ma offende anche Dio. Invece quella preghiera che sarà stata  piena fedele, umile e fervente, entrerà senza dubbio in cielo:  da dove certamente non potrà tornare a mani vuote.
Note
1 Così il testo originale: “Frater adjuvans fratrem, ambo consolabuntur”; ma nella Volgata, in Prov. XVIII, 19 troviamo  “Frater, qui adiuvatur a fratre, quasi civica ferma” e nella c. d. Neo Volgata “Frater, qui offenditur, durior est civitate firma”. La traduzione CEI 2008 rende il periodo con “ Un fratello offeso è più inespugnabile di una roccaforte”
2 Così il testo originale: “Oratio justi penetrat coelo”; nella Volgata: “…deprecatio illius [Qui adorat Deum…]usque ad  nubes propinquabit”; simile nella Neo Volgata; nella traduzione CEI 2008: “La sua preghiera [di chi soccorre la vedova] arriva fino alle nubi”
3 Nella versione CEI 2008: “Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini”
4 Qui il testo originale corrisponde alla Volgata: “Sanctificate jejunium, vocate coetum”; nella Neo Volgata troviamo “ululate in monte sancto meo; conturbentur omnes habitatores terrae” e nella traduzione CEI 2008 “proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra”
5 Il testo originale, “Laudate Dominum in tympano et choro” corrisponde sostanzialmente alla Volgata ed è stato tradotto letteralmente e anche nella versione CEI 2008 troviamo “Lodatelo con tamburelli e danze”
6 Nella Volgata “Abyssus abyssum invocat”; così anche nella versione CEI 2008: “un abisso chiama l’abisso”
7 Nell’originale abbiamo “Clama ne cesses: quasi tuba exalta vocem tuam”, del tutto corrispondente alla Volgata. La versione CEI 2008 riporta: “Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno”

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