Rito
Romano
– I
Domenica
di
Quaresima
– Anno
A
– 9
marzo
2014
Gn
2, 7-9; 3, 1-7; Sal 50; Rm 5, 12-19; Mt 4, 1-11
Rito
Ambrosiano
– I
Domenica
di
Quaresima
Is
58, 4b-12b; Sal 102; 2Cor 5, 18-6,2; Mt 4, 1-11
1)Quaresima:
40
giorni
di
esodo1
per
andare
verso
la
Terra
promessa.
Il
modo
più
sicuro
di
partecipare
alla
Quaresima
è,
come
suggerisce
la
liturgia
di
oggi,
prima
Domenica
di
Quaresima,
di
ricordare
e
rivivere
quello
che
furono
per
Lui
i
40
giorni
di
digiuno
e
preghiera
passati
nel
deserto
e
che
si
conclusero
con
il
superamento
di
tre
prove.
Nel
racconto
che
Gesù
stesso
fece
ai
suoi
discepoli,
le
tre
tentazioni,
che
ricapitolano
questo
tempo
di
prova,
lasciano
abbastanza
chiaramente
capire
che,
in
un
combattimento
che
prefigurava
la
sua
agonia,
Lui
scelse
l’amore
del
Padre
e
la
carità
per
noi
e
iniziò
a
bere
il
calice
della
Nuova
Alleanza,
che
sarebbe
stata
sigillata
con
la
sua
offerta
sulla
Croce.
Questo
amore
offerto
è
rifiutato
ci
è
presentato
già
nella
prima
lettura,
presa
dal
libro
della
Genesi,
ci
mostra
che
l'uomo
è
polvere
plasmata
dalle
“mani
creative”
di
Dio
e
animata
dal
Suo
soffio
di
vita
e
di
carità.
Poche
righe
dopo,
sempre
il
libro
della
Genesi
illumina
il
dramma
delle
scelte
sbagliate
di
fronte
al
bene
e
al
male,
un
male
che
nasce
nel
cuore
dell'uomo,
dalle
sue
scelte,
dai
suoi
rifiuti,
dal
suo
ostinarsi
a
seguire
i
propri
criteri,
anziché
i
criteri
di
Dio.
Ci
viene
chiesto
di
riflettere
sulla
gravità
del
rifiuto
di
inserirsi
nel
disegno
di
Dio,
pretendendo
un'autonomia
assoluta
nel
decidere
ciò
che
è
bene
e
ciò
che
male.
E'
la
pretesa
di
essere
alla
pari
di
Dio,
di
essere
Dio
a
noi
stessi
e
agli
altri.
Poi,
nella
seconda
lettura,
ricavata
dalla
Lettera
ai
Romani,
vediamo
che
San
Paolo
si
riferisce
al
racconto
della
Genesi
e
mette
a
confronto
il
comportamento
di
Adamo
e
quello
di
Cristo
e
i
risultati
del
loro
agire.
La
ribellione
e
la
disobbedienza
del
primo
hanno
causato
la
separazione
da
Dio
e
la
morte
di
tutti
gli
uomini,
l'obbedienza
perfetta
di
Cristo,
invece,
ha
ottenuto
a
tutti
la
pienezza
della
grazia
e
della
vita.
Adamo
ed
Eva
sperimentano
che
la
propria
presunzione
li
ha
allontanati
tra
loro,
dal
creato
e
da
Dio.
Gesù,
invece,
ricuce
questo
strappo
e
annulla
questa
distanza.
Infine,
la
pagina
del
Vangelo
di
Matteo
che
ci
è
offerta
oggi
come
terza
lettura,
ripropone
la
stessa
tentazione
di
Adamo
ed
Eva,
ma
mostra
come
Gesù
ne
esce
vittorioso
e
ci
indica
le
vie
per
realizzare
un'esistenza
fedele
a
Dio,
una
vita
libera
dal
male
profondo
che
ci
minaccia.
Il
diavolo
mette
in
dubbio
la
figliolanza
divina
di
Gesù
(“Se
sei
Figlio
di
Dio
…”)
che
era
stata
affermata
al
momento
del
battesimo
sulle
rive
del
fiume
Giordano.
In
effetti,
la
tentazione
non
riguarda
né
il
pane,
né
le
cose,
perché
quelle
son
quel
che
sono,
ma
come
vivere
la
nostra
relazione
con
le
cose,
con
le
persone,
con
Dio.
La
possiamo
vivere
da
figli
di
Dio,
come
Gesù,
oppure
rifiutare
la
paternità
amorosa
di
Dio
che
offre
un
rapporto
stabile,
vivo
e
vivificante
con
Lui.
Dio
offre
un’alleanza
tra
due
libertà:
la
sua,
che
è
iniziativa
d’amore
infinito,
e
la
nostra,
che
è
chiamata
a
fiorire
e
vivere
della
e
per
la
libertà
amorosa
di
Dio.
Se
con
la
grazia
superiamo
la
tentazione,
Dio
dilata
il
nostro
cuore,
che
può
così
avere
in
dono
Lui,
che
è
l'Amore,
e
ci
dona
di
bene
operare
per
rendere
tutta
la
vita
una
lode
a
Lui.
2)
Fame
e
deserto.
Un
dato
non
secondario
è
che
il
Vangelo
di
oggi
ci
dice
che
Gesù
è
tentato
da
Satana
dopo
quaranta
giorni
e
notti di
digiuno
e,
quindi,
Gesù
ha
fame.
Ma
non
si
tratta
solo
di
una
fame
corporale,
come
ogni
essere
umano
Gesù
ha
tre
tipi di fame:
- di vita, che tenta l’uomo al possesso e l’accumulo spropositato di beni materiali (le pietre da trasformare in pane),
- di relazioni umane che possono essere d’amicizia o di potere, simboleggiata dall’offerta di potere,
- di onnipotenza, che spinge a soffocare il desiderio di Dio cioè l’anelito di infinito e di libertà senza limiti, inducendo alla tentazione di progettare la propria esistenza secondo i criteri umani della facilità, del successo, del potere, dell'apparenza, dell'immagine, vale a dire la tentazione di adorare il Menzognero (il diavolo) invece di adorare il Vero Amore provvidente.
Gesù
però
sceglie
un
altro
criterio,
quello
della
fedeltà
al
progetto
di
Dio,
a
cui
aderisce
pienamente
e
di
cui
è
Parola
fatta
carne
per
redimerci
assumendo
la
nostra
condizione,
segnata
dalla
povertà
e
dalla
sofferenza,
scegliendo
con
coraggio
di
farsi
servo
di
tutti.
Per
vincere
queste
prove,
questa
fame
di
vita,
di
relazioni
e
di
Dio
l’uomo
dispone
di
uno
strumento
infallibile:
la
Parola
di
Dio.
Riscriviamo
allora
una
frase
di
Sant’Agostino:
Quando
sei
colto
dai
morsi
della
fame
-
e
possiamo
aggiungere
anche
della
tentazione
-
lascia
che
la
Parola
di
Dio
divenga
il
tuo
pane
di
vita,
lascia
che
Cristo
sia
il
tuo
Pane
di
Vita.
A
questo
punto,
penso
sia
giusto
chiedersi
perché
per
digiunare
Gesù
andò
nel
deserto.
Nella
tradizione
biblica
il
deserto
rappresentava
il
luogo
della
preparazione
a
una
missione
divina.
Così
era
stato
per
Mosè,
che
conobbe
la
rivelazione
di
Jahvè
(Esodo
3,1
e
ss),
per
il
popolo
uscito
dalla
schiavitù
che
sperimentò
la
fatica
della
libertà.
Così
fu
per
Elia,
che
vi
ascoltò
la
parola
divina
(1a
Re
19,18).
Dunque
anche
Gesù
rimase
nella
solitudine
del
deserto
per
quaranta
giorni2,
prima
di
iniziare
il
suo
ministero
pubblico.
Gesù
l’ha
fatto per
insegnarci
a vivere
la
vita
come
esodo
nel
deserto
come
è
stato
per
il
popolo
ebraico
e
come
deve
essere
la
Chiesa,
pellegrina
verso
il
Cielo.
Questo
significa
non
poter
programmare
la
propria
vita,
non
poterne
disporre,
doversi
abbandonare
a
una
Parola
di
promessa.
Dio
dice
anche
a
noi:
“Nulla
ti
mancherà,
ma
tutto
dovrai
attendere
da
me”.
È
questo
il
significato
della
fede:
non
solamente
l'assenso
a
un
corpo
di
dottrine
ma
il
fidarsi
di
un
amore,
il
credere
all’amore:
a
quell'amore
che
ha
iniziato
senza
di
tè
(l'uscita
dall'Egitto
come
per
noi
l’uscita
dal
grembo
di
nostra
madre),
ma
che
potrà
continuare
soltanto
se
troverà
la
nostra
adesione.
Ci
è
chiesto
di
tradurre
il
nostro
comportamento
quotidiano
la
"cura"
di
noi
stessi
in
quell'Altro
che
ci
ha
liberata.
La
quasi
totalità
di
noi
è
chiamata
a
esistere
domani
non
nella
situazione
di
emergenza
del
deserto,
ma
nella
situazione
di
normalità
di
una
terra
da
coltivare
e
da
abitare.
Tuttavia
tutti
noi
siamo
chiamati
a
portarvi
lo
stesso
atteggiamento
di
fondo:
vivere
su
quella
terra
ma
con
un
cuore
di
deserto.
Questo
cuore
è
chiesto
particolarmente
alle
Vergini
Consacrate,
che
nella
solitudine
fisica
sono
chiamate
ad
un
tu
per
tu
con
Dio:
parlare
al
cuore.
Il
deserto,
la
solitudine
verginale
è
il
luogo
privilegiato,
il
luogo
dove
si
sta
a
tu
per
tu
con
Dio.
Lo
Sposo
non
può
costringere
la
sposa
ad
amarLo.
Il
Signore
però
ha
un
mezzo
infallibile,
come
lo
descrisse,
ad
esempio
il
profeta
Osea.
All’inizio,
al
cap
2,
Osea
parla
di
questo
adulterio
terrificante,
il
tornare
ad
adorare
gli
idoli
che
i
vecchi
padri
hanno
adorato;
il
Signore
addolorato,
angosciato,
interviene
e
dice
che
ha
un
mezzo
e
lo
metterà
in
azione,
riporterà
di
nuovo
il
popolo
nel
deserto,
gli
indicherà
di
nuovo
le
strade
antiche,
parlerà
di
nuovo
al
suo
cuore,
nel
deserto,
appunto
quando
le
categorie
malefiche,
i
diaframmi
opachi
sono
caduti;
allora
il
cuore
dell’uomo,
cioè
la
sua
intelligenza,
ed
il
cuore
di
Dio,
cioè
la
divina
Sapienza
stanno
a
tu
per
tu
e
l’incontro
è
immediato,
possibile
e
fecondo.
Le
Vergini
consacrate
vivono
il
“deserto”
della
loro
vocazione
come
della
disponibilità
totale.
La
loro
è
una
spiritualità
della
disponibilità
generosa
verso
gli
altri,
della
disponibilità
totale
verso
il
Signore
da
cui
attendono
tutto.
Con
la
preghiera,
l’elemosina
ed
il
digiuno,
impariamo
tutti
questa
disponibilità
per
camminare uniti
nel
“deserto”
quaresimale,
e
della
vita,
così
la
fame
diventerà
desiderio
santo
di
Dio
e
saremo
la
Tenda
dove
l’Emmanuele,
il
Dio
sempre
con
noi,
avrà
stabile
dimora.
1
L’interpretazione
cristiana
dell'Esodo
è
guidata
da
quella
lettura
che
si
è
soliti
chiamare
“tipologica”:
tutto
ciò
che
riguarda
Israele
(vicende
e
personaggi,
riti
e
istituzioni)
è
la
figura
-
il
typos,
appunto
-
di
quanto
accade
in
Cristo
e
nella
Chiesa.
Riprendiamo
brevemente
le
fasi
principali
dell’Esodo
per
vedere
in
che
modo
esse
vengono
riprese
e
reinterpretate
in
funzione
dell'evento
cristiano.
Prima
tappa:
l'Egitto
(e
il
Faraone)
è
inteso
come
figura
del
peccato.
Soprattutto
di
quella
condizione
universale
di
peccato
che
teneva
schiava
l'umanità
prima
di
Cristo.
Ma
Egitto
può
essere
anche
colui,
che
provoca
il
peccato:
Satana;
oppure
la
sua
trascrizione
storica,
l'idolatria
pagana.
Di
conseguenza,
la
liberazione
dall'Egitto
attraverso
il
passaggio
del
Mar
Rosso
sarà
la
figura
del
battesimo,
e
l’agnello
pasquale
immolato
assurgerà
a
simbolo
di
Cristo
nella
sua
passione.
La
tappa
del
deserto
è
ripresa
come
figura
della
vita
del
credente
in
cammino.
In
essa
compaiono,
come
per
Israele,
la
prova
e
la
tentazione;
ma
anche
la
protezione
divina
vi
si
dispiega
con
particolare
intensità:
i
miracoli
dell'Esodo
diventano
il
miracolo
dell'esistenza
sacramentale:
la
roccia-Cristo
da
cui
zampilla
l'acqua
battesimale,
e
la
manna
diventata
eucaristia.
Il
deserto
può
essere
interiorizzato
come
cammino
individuale
dell'anima
verso
la
contemplazione
e
la
perfezione
spirituale;
o
può
essere
vissuto
come
itinerario
Quaresimale in
preparazione
delle
celebrazioni
pasquali.
Il
senso
cristiano
della
Legge
è
riscontrato,
sulla
linea
paolina,
nella
condensazione
di
tutte
le
leggi
etico-sociali
nella
carità;
mentre
le
leggi
rituali
trovano
la
loro
verità
nel
culto
cristiano.
Finalmente,
la
terra
promessa
ripropone
il
motivo
sacramentale:
il
passaggio
del
Giordano,
come
già
quello
del
Mar
Rosso,
rimanda
al
battesimo,
mentre
nel
“paese
dove
scorre
latte
e
miele”
i
Padri
della
Chiesa
leggono
una
suggestiva
figura
del
banchetto
eucaristico.
Accanto
a
questa,
e
ancor
più
frequente,
è
l'interpretazione
della
terra
promessa
come
immagine
della
vita
definitiva
con
Dio.
Si
può
riassumere
il
tutto
dicendo
che
il
senso
tipologico
dell’Esodo
è
l’itinerario
del
popolo
cristiano
dalla
schiavitù
del
peccato
attraverso
il
battesimo
e
l'esistenza
in
fede
e
carità
fino
alla
patria
celeste.
2
Quaranta
è
un
numero
simbolico,
in
questo
caso,
oltre
a
collegarsi
ai
quarant’anni
passati
dal
Popolo
di
Israele
nel
deserto,
sta
a
significare
tutta
una
generazione,
cioè
Gesù,
facendosi
uomo,
è
stato
tentato
per
tutta
la
sua
vita.
Lettura
Patristica
San
Bernardo di Chiaravalle
IV
Sermone per la Quaresima
La
preghiera e il digiuno
1.Poiché siamo arrivati al periodo del
digiuno quaresimale, e perciò vi esorto a sostenere la
carità con tutta la vostra devozione, mi sembra giusto esporre
brevemente a quale scopo e in che modo è opportuno digiunare. In
primo luogo, fratelli, astenendoci anche dalle cose permesse,
ci vengono perdonate quelle illecite e già commesse. Dunque,
otteniamo il perdono per il male, solo che, per un breve digiuno,
siamo liberati da quello eterno? In realtà meritiamo
l’inferno, dove non c’è mai cibo, né consolazione, né fine. Il
ricco chiede una goccia d’acqua, e non può riceverla (Luca, XVI,
94). E’ buono e salutare il digiuno, con il quale siamo liberati
dal digiuno e dai supplizi eterni, mentre otteniamo la redenzione dai
peccati. Infatti non soltanto è una rapida abolizione dei peccati
ma anche lo sradicamento dei vizi; non solo ci ottiene il
perdono ma ci fa anche meritare la grazia; non solo cancella i
peccati commessi nel passato ma allontana anche i peccati potremmo
commettere in futuro.
2.Vi
dirò
inoltre,
perché
possiate
capire
più
facilmente,
una
cosa
che,
se
non
sbaglio,
vi
capita
spesso:
il
digiuno
dona
devozione
e
fiducia
.
Inoltre
notate
come
il
digiuno
e
la
preghiera
vanno
insieme,
come
dice
la
Scrittura,
“I
fratelli
che
si
aiutano,
si
consolano
entrambi”
(Prov.
XVIII
19
)
1.
“La
preghiera
ci
ottiene
la
forza
di
digiunare,
e
il
digiuno
ci
fa
meritare
la
grazia
della
preghiera.
Il
digiuno
rafforza
la
preghiera,
la
preghiera
santifica
il
digiuno
e
lo
offre
a
Dio.
Come
potrebbe
giovarci,
infatti,
il
digiuno,
se
rimanesse
sulla
terra?
Dio
non
voglia!
Si
sollevi
quindi
il
digiuno
dalla
terra
sulle
ali
della
preghiera.
Ma
un’ala
non
è
sufficiente,
ne
occorre
una
seconda.
La
Scrittura
dice:
“La
preghiera
del
giusto
entra
in
cielo”
(Eccl.
XXXV,
20)2.
Servono
dunque
due
ali,
la
preghiera
e
la
giustizia,
perché
il
nostro
digiuno
salga
facilmente
al
cielo.
Ma
che
cos’
è
la
giustizia,
se
non
dare
a
ciascuno
il
suo?
Quindi
smettete,
per
così
dire,
di
prestare
attenzione
solo
a
Dio.
Avete
doveri
da
compiere
verso
i
superiori
e i fratelli,
e
Dio
non
vuole
che
badiate
poco
ai
quelli
che
Egli
considera
molto.
Non
è
senza
ragione
che
l’Apostolo
dice:
“Stai
attento
a
fare
bene,
non
solo
davanti
a
Dio,
ma
davanti
agli
uomini
“(Romani
XII,
I,
7)3.
Ma
potreste
dirmi:
“Per
me
è
sufficiente
che
sia
soltanto
Dio
ad
approvare
quello
che
faccio;
che
cosa
mi
importa
del
giudizio
umano?
Ebbene,
state
certi
che
non
gli
piacerà
nessuna
cosa
fatta
con
scandalo
dei
suoi
figli
e
contro
la
volontà
di
colui
al
quale
tuttavia,
essere
certi
che
non
ha
nulla
piacevole
voi
sarà
lo
scandalo
dei
suoi
figli
e
contro
la
volontà
del
suo
vicario,
cui
è
necessario
obbedire.
Il
Profeta
disse:
“Santificate
il
digiuno,
convocate
l’assemblea”
(Gioele,
II,
15)4.
Che
cosa
significa
convocare
l’assemblea?
Mantenere
l’unità,
apprezzare,
amare
i
fratelli.
L’orgoglioso
fariseo
digiunava,
santificava
il
digiuno,
sicuramente
digiunava
due
volte
la
settimana
e
rendeva
grazie
a
Dio;
ma
dicendo
“Non
sono
come
gli
altri
uomini”
(Lc
XVIII,
11)
non
ha
chiamato
nessuno;
per
questo,
orgoglioso
dell’unica
ala,
il
suo
digiuno
non
poté
arrivare
al
cielo.
Quindi,
carissimi,
lavatevi
le
mani
nel
sangue
del
peccatore
e
fate
assolutamente
in
modo
che
il
vostro
digiuno
abbia
due
ali:
voglio
dire
la
purezza
e
la
pace,
senza
le
quali
nessuno
può
vedere
Dio.
“Santificate
il
digiuno”
affinché
sia
offerto
alla
divina
maestà
con
intenzione
pura
e
preghiera
devota:
“Convocare
l’assemblea”
perché
concordi
nell’unità:
”Lodate
il
Signore
col
tamburo
e
danze
“(Psal.
CL,
4)5,
affinché
ci
sia
armonia
nella
mortificazione
della
carne.
3.
Visto
che
abbiamo
detto
qualcosa
sul
digiuno
e
sulla
giustizia,
è
giusto
parlare
un
po’
anche
della
preghiera.
Infatti
quanto
più
essa
efficace
se
fatta
bene,
tanto
più
astutamente
il
nemico
è
solito
ostacolarla.
A
volte,
infatti,
l’efficacia
della
preghiera
è
gravemente
ostacolata
dalla
pusillanimità
di
spirito,
e
dall’eccessiva
preoccupazione.
Ciò
si
verifica
di
solito
quando
uno
è
così
preoccupato
per
la
propria
indegnità
da
non
osare
di
volgere
lo
sguardo
alla
bontà
di
Dio.
“Infatti,
l’abisso
chiama
l’abisso”
(Sal.
XLI,
8)6.
L’
abisso
luminoso
chiama
l’abisso
di
tenebre,
l’abisso
di
misericordia
chiama
l’abisso
di
miseria.
Il
cuore
dell’uomo
è
di
per
sé
un
abisso,
e
un
abisso
senza
fondo.
Ma
se
la
mia
iniquità
è
così
grande,
la
tua
benevolenza,
Signore,
è
molto
più
grande.
Per
questa
ragione,
quando
la
mia
anima
è
turbata
da
me
stesso,
mi
ricordo
la
grandezza
della
tua
misericordia
e
in
quella
trovo
sollievo,
e
quando
arrivo
al
fondo
della
mia
debolezza
non
voglio
ricordate
niente
se
non
la
tua
giustizia.
4.
Nondimeno
è
un
pericolo
per
la
preghiera
anche
essere
troppo
timidi,
e
non
è
un
pericolo
da
meno,
se
non
addirittura
maggiore,
essere
troppo
fiduciosi.
Ascoltate
ciò
che
il
Signore
ha
detto
al
Suo
Profeta
a
proposito
di
coloro
che
pregano
con
questa
eccessiva
sicurezza:
“Grida
senza
fermarti
,
esalta
la
tua
voce
come
una
tromba”
(Isaia
LVIII,
1)7,
ecc.”
Come
una
tromba
“,
ha
detto,
perché
chi
prega
con
un
eccesso
di
fiducia
deve
essere
ripreso
con
grande
veemenza.
Infatti,
ci
sono
quelli
che
non
hanno
ancora
trovato
se
stessi,
che
cercano
me.
Non
dico
questo
per
privare
i
peccatori
della
fiducia
nella
preghiera,
ma
voglio
che
preghino
come
persone
che
hanno
operato
peccati,
non
giustizia;
che
preghino
per
il
perdono
dei
loro
peccati
con
un
cuore
contrito
e
umile
come
il
pubblicano,
che
gridò:
“Signore
abbi
pietà
di
me
peccatore”
(Lc
XVIII,
13).
L’avventatezza,
infatti,
quando
colui
nella
cui
coscienza
regna
ancora
il
peccato
o
qualche
vizio
cammina
nella
grandezza
e
nell’ammirazione
di
se’,
è
meno
sollecito
a
proposito
del
pericolo
per
la
sua
anima.
Il
terzo
pericolo
si
verifica
con
la
preghiera
tiepida,
quella
che
non
nasce
da
un
affetto
forte.
Senza
dubbio
la
preghiera
timida
non
arriva
al
cielo,
perché
una
eccessiva
paura
paralizza
l’anima,
tanto
che
non
dico
solo
che
la
preghiera
non
può
salire
al
cielo,
ma
non
può
nemmeno
lasciare
le
labbra.
La
preghiera
tiepida,
in
verità,
si
infiacchisce
nella
salita
e
viene
meno,
perché
non
ha
vigore.
Quanto
alla
preghiera
troppo
fiduciosa,
sale
ricade;
in
cielo
trova
resistenza,
non
soltanto
non
ottiene
grazia,
ma
offende
anche
Dio.
Invece
quella
preghiera
che
sarà
stata
piena
fedele,
umile
e
fervente,
entrerà
senza
dubbio
in
cielo:
da
dove
certamente
non
potrà
tornare
a
mani
vuote.
Note
1
Così
il
testo
originale:
“Frater
adjuvans
fratrem,
ambo
consolabuntur”;
ma
nella
Volgata,
in
Prov.
XVIII,
19
troviamo
“Frater,
qui
adiuvatur
a
fratre,
quasi
civica
ferma”
e
nella
c.
d.
Neo
Volgata
“Frater,
qui
offenditur,
durior
est
civitate
firma”.
La
traduzione
CEI
2008
rende
il
periodo
con
“ Un
fratello
offeso
è
più
inespugnabile
di
una
roccaforte”
2
Così
il
testo
originale:
“Oratio
justi
penetrat
coelo”;
nella
Volgata:
“…deprecatio
illius
[Qui
adorat
Deum…]usque
ad
nubes
propinquabit”;
simile
nella
Neo
Volgata;
nella
traduzione
CEI
2008:
“La
sua
preghiera
[di
chi
soccorre
la
vedova]
arriva
fino
alle
nubi”
3
Nella
versione
CEI
2008:
“Non
rendete
a
nessuno
male
per
male.
Cercate
di
compiere
il
bene
davanti
a
tutti
gli
uomini”
4
Qui
il
testo
originale
corrisponde
alla
Volgata:
“Sanctificate
jejunium,
vocate
coetum”;
nella
Neo
Volgata
troviamo
“ululate
in
monte
sancto
meo;
conturbentur
omnes
habitatores
terrae”
e
nella
traduzione
CEI
2008
“proclamate
un
solenne
digiuno,
convocate
una
riunione
sacra”
5
Il
testo
originale,
“Laudate
Dominum
in
tympano
et
choro”
corrisponde
sostanzialmente
alla
Volgata
ed
è
stato
tradotto
letteralmente
e
anche
nella
versione
CEI
2008
troviamo
“Lodatelo
con
tamburelli
e
danze”
6
Nella
Volgata
“Abyssus
abyssum
invocat”;
così
anche
nella
versione
CEI
2008:
“un
abisso
chiama
l’abisso”
7
Nell’originale
abbiamo
“Clama
ne
cesses:
quasi
tuba
exalta
vocem
tuam”,
del
tutto
corrispondente
alla
Volgata.
La
versione
CEI
2008
riporta:
“Grida
a
squarciagola,
non
avere
riguardo;
alza
la
voce
come
il
corno”
Nessun commento:
Posta un commento