venerdì 29 agosto 2014

Seguire Cristo, con la croce.

Rito Romano – XXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 31 agosto2014
Ger 20, 7-9; Sal 62; Rm 12,1-2; Mt 16,21-27

Rito Ambrosiano – Domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore
Is 65,13-19; Sal 32; Ef 5,6-14; Lc 9,7-11

1) Parole scandalose1.
Può sembrare strano che Pietro diventi pietra d’inciampo a Cristo pochi istanti dopo averLo riconosciuto come Figlio del Dio vivente. Eppure, anche se è la diretta e immediata continuazione del racconto evangelico di domenica scorsa, il brano di oggi presenta l’incapacità di Pietro a capire Cristo quando parla del suo destino di Crocefisso. Sono due momenti di uno stesso episodio, che presenta due aspetti apparentemente contraddittori. Da una parte la fede di Pietro e l’autorità di servizio a lui affidata per aver “capito” chi è Cristo. Dall’altra l’incomprensione del mistero della Croce da parte del Primo degli Apostoli e il rimprovero rivoltogli da Gesù. La debolezza di Pietro non contraddice il suo essere roccia per la Chiesa. Essa vuol dire che Pietro è tale per grazia, in virtù di un’elezione divina, e non per le sue qualità naturali.
Tuttavia nel Vangelo di questa domenica c’è anche dell’altro: Gesù vuol fare percorrere ai suoi discepoli, noi compresi, un cammino dalla fede in Lui, Figlio di Dio, alla fede in Lui, Figlio sofferente dell’uomo, passione di Dio per l’uomo. Si può, infatti, accettare che Gesù sia Signore, ma rifiutare che Egli debba soffrire. Si può confessare che Gesù è Figlio di Dio, e tuttavia non accettare che Egli è un Dio crocefisso.
Pietro, e noi con lui, è ancora prigioniero della logica degli uomini e tenta di impedire che Gesù si conformi alla logica di Dio. Allora Gesù risponde al discepolo : “Va dietro di me, satana”, cioè mettiti dietro2 di me per seguirmi e imparare come ragionare come Dio e non come gli uomini, e seguire la Via di Dio e non le vie degli uomini. E perché sia chiaro che cosa significhi veramente seguire Lui, ancora una volta Gesù ricorda ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Rinnegare se stessi significa rinunciare alla propria idea di Dio, per accettare quella di Gesù: non più un Dio glorioso e potente, ma un Dio che si svela nell'amore e nel dono di sé.
Cristo rinnova oggi il suo invito insistente a ciascuno di noi, affinché prendiamo ogni giorno la nostra croce per seguirlo sulla via dell’amore totale a Dio Padre e all’umanità: “Chi non prende la propria croce e non mi segue – ci dice, – non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,38-39). Come le sue anche le nostre braccia devono aprirsi per offrire e non per prendere, per dare la vita e non per possedere quella degli altri
E’ la logica del chicco di grano che muore per germogliare e “dare la vita”, (=far nascere) (cfr. Gv 12,24) deve “dare la vita” (=morire). Gesù stesso “ è il chicco di grano venuto da Dio, il chicco di grano divino, che si lascia cadere sulla terra, che si lascia spezzare, rompere dalla morte e, proprio attraverso questa, si apre e può così portare frutto nella vastità del mondo” (Benedetto XVI).

2) La logica sapiente della Croce.
Dio non è la proiezione dei nostri desideri ma Amore che si dona: questa è fondamentalmente la logica della Croce, sia per Gesù sia per i suoi discepoli. L’esistenza cristiana implica il gesto quotidiano di prendere la croce di ogni giorno su di sé. Con Cristo la Croce svela che il Figlio di Dio potente e glorioso si manifesta non con la forza che uccide, ma con l’amoroso dono di sé a Dio e al prossimo. Nella Croce si manifesta l’amore gratuito e misericordioso di Dio.
In effetti la Croce se non fosse sofferenza carica dell’amore di Dio sarebbe assurda e inutile.
Potremmo anche dire che rinnegare se stessi significa cambiare la logica della propria esistenza: non più una vita vissuta a vantaggio proprio, ma una vita vissuta come dono per condividere la salvezza ricevuta come grazia.
Rinnegare se stessi vuol dire incamminarsi dietro Cristo con la propria croce per salire con Lui sulla Sua Croce. E’, questo, un aspetto da tener bene in conto, perché camminare, progredire, crescere vuol dire diventare capaci del dono di sé che la croce in ultimo esige, ma anche diventare capaci di accogliere il dono che in essa è ricevuto, quello di un amore costoso. Costerà infatti a Dio stesso, molto più che all’uomo, sconfiggere il peccato.
Certo va tenuto presente che, per tutto quello che rappresenta e quindi anche per il messaggio che contiene, la Croce è scandalo e stoltezza. L’Apostolo Paolo lo scrisse con una forza impressionante: “La parola della Croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio... è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1 Cor 1,18-23).
Perché la parola della Croce è così fondamentale della vita e della predicazione di Cristo? La risposta non è difficile: la Croce rivela “la potenza di Dio” (cfr 1 Cor 1,24), che è diversa dal potere umano; rivela infatti il suo amore: “Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio, è più forte degli uomini” (ibid. v. 25). Distanti secoli da Paolo, noi vediamo che nella storia ha vinto la Croce e non la saggezza che si oppone alla Croce.
La Croce di Cristo è sapienza, perché manifesta davvero chi è Dio, cioè potenza di amore che arriva fino alla Croce per salvare l’uomo. Dio si serve di modi e strumenti che a noi sembrano a prima vista solo debolezza. Il Crocifisso svela, da una parte, la debolezza dell’uomo e, dall’altra, la vera potenza di Dio, cioè la gratuità dell’amore: proprio questa totale gratuità dell'amore è la vera sapienza. 
Noi tutti dobbiamo formare la nostra vita su questa vera sapienza: non vivere per noi stessi, ma vivere nella fede in quel Dio del quale tutti possiamo dire: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me”. A ben riflettere, ogni amore è donare un “po’” della propria vita a chi si ama. Gesù la dona tutta e ci mostra che il cuore della sua, ed anche nostra, missione è proprio la Pasqua: solo la sua morte e risurrezione fanno comprendere il significato ultimo di ogni sua opera e parola. Non solo! Quello che Gesù annuncia di se stesso è il significato di ogni esistenza umana e il segreto della stessa creazione. Al centro c'è sempre la domanda sul senso della vita e della morte, il mistero del male e la vittoria ultima dell'amore. La morte è principio della vita e la vita è offerta d'amore di se stessa. Questo spiega la severità del rimprovero a Pietro, paragonato - paradossalmente - al principe del male e della morte. Gesù non può accogliere il rimprovero, perché ora, in Lui, la Morte stessa viene redenta e strappata dal suo vecchio volto. Ora la vita donata totalmente è la suprema obbedienza al Padre, vertice del sacrificio d’amore di Gesù.
La Croce che il Signore ci chiede di prendere, non sono “le croci” inevitabili della limitatezza della condizione umana, quelle che gli altri ci addossano o che ci ritroviamo sulle spalle per una malattia, una costrizione, una difficoltà.
La Croce che Cristo ci chiede di abbracciare è quella che nasce dal seguire lui, dalla libertà di amare, sempre e comunque, senza distinzione fino ad amare il nemico, colui che ti sta facendo del male.
La croce è simbolo e icona dell’amore verginale, perché la croce di Cristo è la pienezza massima dell’amore, umano e divino, per Dio e per ogni uomo, che abbraccia tutti e non esclude nessuno; è la sintesi al massimo grado di amore ricevuto e donato, di amore crocifisso e già risorto o illuminato dai chiarori dell’alba della risurrezione. La croce è il cuore del mondo, così è stato nella storia della salvezza, e questo è il cuore che deve avere la vergine consacrata nel mondo, scegliendo l’amore verginale.
Questo amore verginale è fondamentalmente “amore pasquale”, crocifisso-risorto, dunque deve percorrere quel cammino preciso, perché la persona consacrata abbia gli stessi sentimenti del suo Sposo crocifisso, il Figlio di Dio che dà la vita mentre la riceve dal Padre, e vive una vita nella verginità come un modo di ricevere e offrire la sua stessa vita. La verginità come il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio. Idea, questa, proposta nell’Ordo del 1970, al cap. I, viene pure aggiunto che “le vergini nella Chiesa sono quelle donne che, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, fanno voto di castità al fine di amare più ardentemente il Cristo e servire con più libera dedizione i fratelli ... loro compito è quello di attendere alle opere di penitenza e di misericordia, all’attività apostolica e alla preghiera” (Rituale di Consacrazione delle Vergine, Cap 1,2). Un certo chiarimento al riguardo ci viene dall’omelia inserita nel Rito di Consacrazione delle Vergini: “... Siate di nome e di fatto ancelle del Signore a imitazione della Madre di Dio. Integre nella fede, salde nella speranza ferventi nella carità. Siate prudenti e vigilanti, custodite il grande tesoro della verginità nell’umiltà del cuore. Nutrite la vostra vita religiosa con il Corpo di Cristo, fortificatela con il digiuno e la penitenza, alimentatela con la meditazione della Parola, con l’assidua preghiera e con le opere di misericordia. Occupatevi delle cose del Signore; la vostra vita sia nascosta con Cristo in Dio; vi stia a cuore di intercedere incessantemente per la propagazione della fede e per l’unità dei cristiani. Abbiate una particolare sollecitudine nella preghiera per gli sposi; ricordatevi anche di coloro che, dimenticando l’amore del Padre, si sono allontanati da lui, perché egli li salvi nella sua misericordia. Ricordatevi che siete legate al servizio della Chiesa e dei fratelli; perciò esercitando il vostro apostolato nella Chiesa e nel mondo, nell’ordine spirituale e materiale, la vostra luce risplenda davanti agli uomini, perché sia glorificato il Padre che è nei cieli e si compia il suo disegno di riunire in Cristo tutte le cose. Amate tutti e prediligete i poveri, soccorreteli secondo le vostre forze, curate gli infermi, insegnate agli ignoranti, proteggete i fanciulli, aiutate i vecchi, consolate le vedove e gli afflitti. Voi che siete vergini per Cristo, diventerete madri nello Spirito, facendo la volontà del Padre, cooperando con amore, perché tanti figli siano generati o ricuperati alla vita di grazia”.


1 Etimologicamente parlando la parola “scandalo” non vuol dire cattivo esempio che indica una cattiva strada, ma “inciampo”, un ostacolo che impedisce il cammino, facendo cadere.

2 La parola del vangelo nel testo greco è “opiso” che non vuol dire vai “lontano” da me, ma mettiti “dietro” di me. Gesù non allontana chi ama, gli chiede di seguirlo prendendo la sua croce.


Lettura Patristica

Imitazione di Cristo, II, 12, 1-15

La via regale della croce

       1) A molti sembrano assai dure queste parole: «Sacrifica te stesso, prendi la tua croce e segui Gesù» (Mt 16,24). Ma saranno assai più aspre queste estreme parole: "Andate lontano da me, voi maledetti, nel fuoco eterno!" (Mt 25,41).
Quelli che adesso ascoltano e praticano le parole circa la croce, allora (al giudizio finale) non temeranno di sentirsi gridare quelle altre parole di eterna dannazione.
Quando il Signore verrà all’ultimo giudizio, "allora comparirà nel cielo il segno del figlio dell’uomo (la croce)" (Mt 24,30).
Allora tutti i servi della Croce, che in questa vita imitarono il Crocifisso, si avvicineranno a Cristo giudice con grande fiducia.

       2) Perché dunque hai tanta paura di accostarti alla croce, per mezzo della quale si va al regno?
Nella croce vi è la salvezza, nella croce la vita, nella croce la protezione dai nemici. Attraverso la croce viene infusa nell’anima la celeste soavità, vien data la robustezza alla mente, gaudio allo spirito. Nella croce vi è il compendio delle virtù, nella croce la perfezione della santità. Non vi è salvezza per l’anima, né speranza di vita eterna se non nella croce.
Prendi su dunque la tua croce e segui Gesù; e andrai alla vita eterna.
Ti ha preceduto Lui portando la sua croce, ed è morto Lui prima in croce, affinché anche tu porti la tua croce e muoia volentieri sulla croce; ché se lo imiterai morendo come Lui, lo imiterai anche vivendo parimenti con Lui. E se gli sarai stato compagno nella pena, lo sarai anche nella gloria.

       3) Tutto dunque si riduce alla croce e al morire sulla croce e per giungere alla vita e alla vera pace interna non vi è altra via che quella della santa croce e della quotidiana mortificazione.
Va’ pure dove vuoi, cerca pure quello che ti pare, ma non troverai lassù una via più alta e quaggiù una via più sicura che la via della croce.
Disponi pure e comanda che tutto sia fatto secondo la tua volontà e il tuo parere, ma non potrai che fare questa constatazione: bisogna sempre soffrire qualche cosa o per amore o per forza: vedi dunque che sempre troverai la croce. Difatti: ora dovrai patire qualche dolore nelle membra, ora dovrai subire qualche tribolazione di spirito nell’anima.

       4) Talvolta ti sentirai oppresso per l’abbandono di Dio; talvolta sarai tormentato dal prossimo, e, quel che è più, spesso tu stesso sarai di fastidio a te.
E non potrai sollevarti un po’ o liberarti dal male con qualche rimedio o con qualche conforto, ma ti toccherà sopportare finché a Dio piacerà; poiché Dio vuole che tu impari a soffrire il dolore senza consolazione e che tu ti sottometta a lui senza riserva e che soffrendo tu diventi più umile.
Nessuno partecipa con tanto cordoglio alla passione di Gesù, se non colui a cui sarà toccato di patire qualche cosa di simile a lui.
La croce dunque è sempre pronta e ti aspetta dappertutto. Per quanto tu scappi via non potrai mai sfuggirle; anche perché, dovunque tu vada, per lo meno porterai appresso te e sempre troverai te stesso. Guarda pure in alto, guarda pure in basso, guarda pure fuori, guarda pure dentro... in ogni punto troverai sempre la croce. Ed è necessario che dappertutto tu porti pazienza se vuoi mantenere in te la pace e meritare l’immortale corona.

       5) Ma se tu la porti volentieri, la croce porterà te; e ti condurrà alla desiderata meta, ove, cioè, non c’è più da soffrire, anche se questo non sarà certo quaggiù.
Se invece tu la porti con ripugnanza, la troverai più pesante e aggraverai di più la tua pena, mentre poi non risolvi niente, perché già, tanto, non puoi fare a meno di portarla. Se poi getti via una croce, ne troverai senza dubbio un’altra, e forse più gravosa.

       6) Come puoi tu pensare di poter sfuggire a ciò che nessun uomo ha mai potuto evitare? Chi mai ci fu tra i Santi nel mondo che abbia vissuto senza croce?
Nemmeno Nostro Signore Gesù Cristo, in tutto il tempo in cui visse sulla terra, fu mai un’ora sola senza croce e dolore. "Era necessario" - dice - "che il Cristo patisse tutto questo e risorgesse dai morti per entrare così nella sua gloria" (Lc 24,26 Lc 24,46).
E allora come puoi tu pensare di cercare una via diversa da quella che è la via maestra, cioè la via della santa croce?

       7) L’intera vita di Cristo non fu che croce e martirio... e tu cerchi per te ozio e piacere?
T’inganni, t’inganni, se cerchi qualcos’altro all’infuori del patire dolori: perché l’intera nostra vita mortale è piena di sofferenze e limitata tutt’intorno da una fila di croci. E quanto più in alto uno avrà progredito nella vita dello spirito, tanto più pesanti croci troverà, perché quanto più cresce in lui l’amore verso Dio, tanto più penoso gli riuscirà l’esilio quaggiù.

       8) Costui peraltro, anche se afflitto da tanti lati, non è del tutto privo di sollievo di qualche consolazione: perché, dal sopportare la sua croce, sente che gli viene un accrescimento di merito grandissimo; infatti siccome egli si sottopone alla croce con amore, tutta l’acerbità della pena gli si converte in fiducia di consolazione divina. E quanto più la carne viene straziata dai dolori, tanto più lo spirito si corrobora per l’interna grazia.
Anzi talvolta si è talmente confortati nello stato di tribolazione e contrarietà causate dal desiderio della conformità con la croce di Cristo, che non si vorrebbe più vivere senza dolori e avversità, perché si è convinti di essere tanto più graditi a Dio quanto più numerose e dolorose pene si saranno tollerate per suo amore. Certamente però una cosa simile non è virtù umana, ma è la grazia di Cristo che tali meraviglie opera nella debole carne, conducendola al punto di farle accettare ed amare col fervore dello spirito, ciò che, naturalmente, sempre aborre e fugge.

       9) Non è certo secondo natura portare la croce, amare la croce, castigare e ridurre in schiavitù il proprio corpo, fuggire gli onori, ricevere contumelie serenamente, disprezzare se stesso e desiderare di essere disprezzato, sopportare tranquillamente le cose più avverse e dannose e non desiderare nessuna prosperità in questo mondo.
Se tu riguardi solo a te stesso, vedi subito che con le sole tue forze, non saresti capace di nessuna di queste cose; ma se confidi in Dio, ti sarà data dal cielo la forza; e il mondo e la carne ti diverranno soggetti. Non solo, ma non temerai nemmeno il demonio, il tuo nemico, se sarai armato di fede e segnato col segno della croce di Cristo.

       10) Mettiti dunque come uno scudiero fedele e coraggioso a portare virilmente la croce del tuo Signore, crocifisso per tuo amore. Sii pronto ad affrontare molte avversità e molte angustie in questa misera vita: perché dappertutto così sarà per te; e così troveresti in realtà, dovunque tu volessi fuggire.
È necessario che sia così; e non c’è altro rimedio per liberarsi dalla tribolazione, dai mali, dai dolori, che sopportarli. Bevi dunque con amore il calice del Signore se vuoi essere suo amico e se desideri aver parte con lui. Quanto alle consolazioni, affidale a Dio; ne disponga lui come più gli piacerà.
Tu, dal canto tuo, disponiti a sopportare le sofferenze e figurati che siano grandissime gioie; perché "le sofferenze del tempo presente non possono essere paragonate alla gloria futura" (Rm 8,18) che dobbiamo meritarci, anche se un solo uomo li dovesse patire tutti!

       11) Quando sarai giunto a questo punto, che cioè il soffrire ti sembrerà dolce e gustoso per amore di Cristo, allora puoi star sicuro che hai raggiunto la perfezione, perché hai già trovato il paradiso in terra.
Ma finché il patire ti riuscirà odioso e cercherai di fuggirlo, sarai sempre oppresso dal male; e il patimento ti seguirà dovunque tu fugga.

       12) Se al contrario ti decidi a vivere come devi, cioè a patire e a morire, tosto tutto andrà meglio per te e troverai la pace.
Ricordati che, anche se tu fossi stato rapito fino al terzo cielo come Paolo, non saresti certo per questo assicurato dal patire! Gesù infatti disse a riguardo di lui: "Io gli mostrerò quante pene dovrà soffrire per il mio nome" (Ac 9,16).
Se dunque vuoi amare Gesù e servirlo in perpetuo sappi che devi soffrire.

       13) Ma del resto, magari tu fossi degno di patire qualche cosa per il nome di Gesù! Quale grande gloria sarebbe per te, quanta letizia per tutti i santi di Dio, e, anche, quale mirabile esempio per il prossimo!
Infatti tutti ammirano la forza nel sostenere i dolori, anche se poi sono pochi quelli che vogliono farlo. A ragione poi dovresti soffrire qualche piccola cosa per amore di Cristo, dal momento che tanta gente soffre cose più penose per il mondo.

       14) Sii persuaso che tu devi vivere come chi sta per morire; e che quanto più uno muore a se stesso, tanto più comincia a vivere per Dio. Nessuno è atto a comprendere le cose di Dio, se non si sarà sottoposto a tollerare per Cristo le avversità. Nulla vi è di più gradito a Dio, nulla vi è di più salutare per te in questo mondo, che patire volentieri per Cristo.
E se ti fosse lasciata libertà di scelta, ti converrebbe piuttosto desiderare di soffrire contrarietà per amore di Cristo, che esser deliziato da tante consolazioni; perché, così, saresti più simile a Cristo e più conforme ai santi; infatti il nostro merito e la perfezione del nostro stato non consiste nell’avere molte soavi consolazioni, ma piuttosto nel saper sostenere i grandi dolori e le avversità.

       15) E, a onor del vero, se per la salvezza dell’umanità ci fosse stato qualche metodo migliore e più utile che il soffrire, certamente Cristo ce lo avrebbe insegnato con la parola e con l’esempio! Ma invece Egli ai discepoli che lo seguivano e a tutti quelli che desiderano seguirlo, non dà altra esortazione, ben chiara, che quella di portare la croce: "Se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (Lc 9,23)
Dopo aver dunque letto attentamente e meditato tutte queste cose, ecco qual è la conclusione: "Si entra nel regno di Dio solo attraverso molte tribolazioni" (Ac 14,21).


venerdì 22 agosto 2014

Domanda su Cristo e sulla Chiesa.

Rito Romano – XXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 24 agosto2014
Is 22,19-23; Sal 137; Rm 11,33-36; Mt 16,13-20

Rito Ambrosiano – Domenica che precede il martirio di San Giovanni il Precursore
1Mac 1, 10.41-42; 2,29-38; Sal 118; Ef 6, 10-18; Mc 12, 13-17.


1) E’ la vita che deve rispondere.
Chi è Cristo? Questa domanda, sempre attuale e ineliminabile, è rivolta al mondo, ai discepoli e, oggi, a noi.
Il mondo, la gente risponde, nel migliore dei casi, che il Messia è un profeta, voce di Dio e suo respiro. E’ una bella risposta ma è sbagliata, soprattutto perché Gesù non è riducibile ad una delle personalità religiose che hanno detto e fatto cose grandiose. Gesù non ha portato nel mondo solo un messaggio profondo e vero, ma Dio stesso.
Pietro, a nome dei discepoli, risponde: “Tu sei il Cristo, Figlio di Dio vivente”, mette in risalto ciò che per molti è una strana“pretesa”: Cristo non è solamente un importante personaggio storico, non solo è vero, ma vivo. Quindi il problema non è tanto quello di conoscerlo come si conosce una teoria del passato anche se ancora attuale, ma incontrare Lui, la Vita vera che dà vita allora come oggi: sempre.
Noi, oggi, nel solco della risposta di Pietro, siamo chiamati a rispondere che Cristo non solamente è esistito ed è vero, ma è conoscibile ed incontrabile. Lui è vivo e presente, è il Dio del fiore vivo e non dei morti pensieri.
Nel Vangelo di questa domenica sono descritti due modi di conoscere Cristo.
Il primo è quello di una conoscenza esterna, caratterizzata dall’opinione corrente e dalla riduzione del Messia ad un persona grande quanto grandi sono stati i profeti. Infatti alla domanda di Gesù: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’Uomo?”, i discepoli rispondono: “Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”. Vale a dire che Cristo è considerato come un personaggio religioso in più, magari il più grande ma simile a quelli già conosciuti.
Il secondo è quello della conoscenza che viene dall'esperienza di comunione. In effetti rivolgendosi personalmente ai discepoli che da tanto tempo sono con Lui, Gesù chiede: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Dalla vita con Cristo, dall’esperienza di comunione con Gesù, Pietro ricava la risposta dando quella che è la prima confessione di fede: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, professione di fede fatta anche a nome degli altri discepoli.
La fede va al di là dei semplici dati empirici o storici, ed è capace di cogliere il mistero della persona di Cristo nella sua profondità. La fede nasce dall’incontro e cresce nel rinnovarsi quotidiano di questo incontro tra Cristo, Pietro e gli altri discepoli, vale a dire anche noi, figli di Dio e della Chiesa.

2) La Chiesa ed il Papa, Garante di verità e di carità.
Il brano del Vangelo di oggi non parla solo di Cristo e di Pietro, ma anche della Chiesa. Ci dice anzitutto che la Chiesa appartiene a Cristo: “La mia Chiesa” e ne sottolinea la perenne stabilità: la Chiesa è come una casa costruita sulla roccia, anche se poggia apparentemente sulla fragilità degli uomini: “Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. Una stabilità sofferta, ma sicura. Sofferta perché la chiave di cui parla Cristo e che Lui dona a Pietro è la Croce. Sicura perché fondata sulla roccia di una fede solida e di un amore granitico. Pietro è roccia nella misura in cui ancora trasmette Cristo, tesoro per l’intera umanità. E’ roccia nella misura in cui mostra che Dio è vivo fra noi e ci chiama a partecipare al Suo amore crocifisso, disarmato1, costante2: eterno.
Voi chi dite che io sia?” chiese Cristo ai discepoli e Pietro disse solo “Dio”: Cristo non era solo ciò che Pietro diceva di lui, ma ciò di cui viveva: “Maestro solamente Tu hai parole di vita eterna”.
Il cristianesimo prima di essere una dottrina e una morale, è una Persona che ci ama ed è da amare. L’amore di Dio ha scritto il suo racconto sul corpo di Cristo con l’alfabeto delle ferite, indelebili come l’amore.
Le due immagini della roccia e delle chiavi, a cui Gesù ricorre sono in se stesse molto chiare: Pietro sarà il fondamento roccioso su cui poggerà l’edificio della Chiesa. Lui avrà le chiavi del Regno dei cieli per aprire o chiudere a chi gli sembrerà giusto, secondo verità e carità. Infine, Lui potrà legare o sciogliere nel senso che potrà stabilire o proibire ciò che riterrà necessario per la vita della Chiesa, che è e resta di Cristo. E’ sempre Chiesa di Cristo e non di Pietro.
Queste due immagini parlano di fede e di fiducia, della fede di Simone e della fiducia di Gesù. La pietra o roccia mette in evidenza la stabilità del credere come il verbo ebraico amen che significa appunto “sto saldo”.
È la roccia che tiene salda la casa. Ed è a questa Roccia che è data una piena autorità: “A lui sono affidate le chiavi”, per proibire e permettere, separare e perdonare. Non si dimentichi tuttavia che l'autorità di Pietro è vicaria. Pietro è l'immagine di un Altro, di Cristo, che è il vero Signore della Chiesa.
La fede, che emerge da queste parole: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, non è il frutto di una speculazione, non c'entrano “carne e sangue”. Fosse stato per “la carne e il sangue, Pietro non avrebbe potuto vedere in Gesù solamente “qualcuno dei profeti”. Davanti a Gesù non basta il "pensiero secondo gli uomini", per quanto sottile e intelligente: a Dio, infatti, “è piaciuto nascondere queste cose ai sapienti e agli intelligenti per rivelarle ai piccoli”. Nel momento che, a nome della Chiesa intera, Pietro professa il fondamento della fede, è il più piccolo tra i piccoli suoi fratelli, ma ama Cristo più di tutti gli altri, per questo, e solo per questo, ne è divenuto il primo, vertice insostituibile di comunione. Non si tratta di un pio esercizio di umiltà, ma della verità fatta persona e amata più di se stesso.
E su Pietro che L’amava più di tutti gli altri, su salda pietra d’amore, Gesù ha edificato la Sua Chiesa, e le porte dell'Inferno non hanno prevalso e non prevarranno su di essa.
Il peso e la gloria del Primo tra gli Apostoli, come quelle dei suoi successori, nascono dal segno divino impresso nel suo cuore e nella sua mente. Pietro dovrà lottare ogni giorno, per tenere a bada “carne e sangue”.
Pietro dovrà prendere proteggere la Verità e la Comunione accettando ogni giorno la consegna delle chiavi: la Croce che ha aperto le porte del Paradiso La Croce è la “chiave” con la quale il Signore ha aperto il Cielo e chiuso l’inferno per tutti quelli che accolgono Lui, il Crocifisso. La Croce è il pastorale di Pietro e dei suoi successori, che possono pascere i fedeli perché sono i primi nell’amore, in un amore umile e mite che “scioglie” gli uomini dalla schiavitù al mondo, alla carne e al demonio, e li “lega” a Cristo in una fraternità eterna che li fa per sempre figli del Padre celeste.

3) Il principio mariano.
Non solo Pietro, ma in lui e con lui tutta la Chiesa dice: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Da quel giorno Pietro e la Chiesa annunciano la fede che vince il mondo in ogni suo centimetro quadrato, pronti a sporcarsi come Gesù alla ricerca di ogni pecora perduta, come Papa Francesco ce lo ricorda spesso.
Tutti noi, chiamati a riconoscere l’amore di Dio nelle situazioni più difficili, laddove il peccato “lega” gli uomini al dolore e alla morte per “scioglierli” nella libertà dei figli di Dio. Ma dobbiamo tenere presente che nella Chiesa, oltre al principio petrino3, vi è il principio mariano.
Nella lettera enciclica Mulieris dignitatem, San Giovanni Paolo II ricorda che Maria è “Regina degli Apostoli” pur senza rivendicare poteri apostolici per sé. Ella possiede qualcos’altro e qualcosa di più. Cos’è il “qualcosa di più” del principio mariano nella chiesa? Balthasar ci dice che Maria scompare nel cuore della Chiesa per rimanervi come una reale presenza che però cede sempre il posto al proprio Figlio.
Questo principio mariano è ben custodito e “promosso” dalle Vergini consacrate nel mondo. E’ l’amore da loro maternamente4 vissuto e accolto. In effetti, rispondendo alla loro vocazione queste donne consacrate vivono il principio mariano come accoglienza. Esse vivono la dimensione dell’accoglienza, dell’attualizzazione del dono vivificante della salvezza nell’oggi dell’umanità, dimensione essenziale della vita cristiana ed ecclesiale, che ha il suo modello in Maria, Vergine e Madre. Al momento dell’annunciazione, col suo “sì” la giovane donna di Nazareth accolse in sé il Verbo di Dio e Gli diede carne umana. Ai piedi della Croce, Maria fu investita da una nuova maternità che abbracciò e continua ad abbracciare l’intera umanità. Con un nuovo “sì”, accettò la volontà di Dio indicatale da Gesù morente, e restituì a Dio Padre il Figlio che aveva concepito in sé, accogliendo in sua vece Giovanni, e in lui l’umanità.
Le Vergini consacrate sono invitate a praticare questa fecondità dalla preghiera del Vescovo: “Che Gesù, nostro Signore, sposo fedele di quelle a Lui consacrate, vi doni, mediante la sua Parola, una vita felice e feconda… Che lo Spirito Santo, che fu dato alla Vergine Maria e che oggi ha consacrato i vostri cuori, vi animi con la sua forza per il servizio di Dio e della Chiesa” (Rituale della consacrazione delle Vergini, n. 36).
Queste donne, sull’esempio di Maria, praticano la “carità dell’unità” (Sant’Agostino), vivendo la consacrazione allo Sposo Gesù con un’esistenza incentrata sull’amore: amore ricevuto, corrisposto e donato.

1 Gesù non ha mai radunato eserciti e in questo mondo di prepotenti hai detto: Beati i miti, gli inermi, i tessitori di pace.
2 Niente mai, né angeli né demoni, né cielo né abisso, niente mai ci separerà dall’amore di Dio (cf. Rm 8, 39). Niente, mai: due parole assolute, perfette, totali: siamo inseparabili dall'amore di Cristo.
3 Per quanto riguarda il principio petrino, Hans Urs von Balthasar tratteggia cinque punti:
a. La dimensione istituzionale è la struttura che rappresenta Cristo, come Capo del Corpo, che continua ad esservi presente e genera vita attraverso i sacramenti, il ministero, e così via.
b. L’istituzione è dunque la condizione della possibilità della presenza personale, non-distorta, di Cristo nella Chiesa.
c. L’istituzione mette a disposizione una “regola” oggettiva sotto la quale si può vivere senza sbandamenti.
d. Il principio petrino è educativo in quanto ci forma alla mente di Cristo.
e. Esso garantisce l’autenticità del senso profetico della fede vivente dei credenti.
4 Adottando il linguaggio della famiglia, Hans Urs von Balthasar parla del ministero petrino nella Chiesa come del ruolo del capofamiglia. Maria invece è la Madre. Maria costituisce l’unità interna della chiesa mentre Pietro è, nell’ambito del collegio degli apostoli, il principio di unità esterno.


Lettura Patristica
Innocenzo III,
Sermo 21
La fede di Pietro nel Cristo

       "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17)... che inabita le celesti menti e le illumina con la luce di verità. "Ha nascosto", infatti, "queste cose ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli" (Mt 11,25), quale è Pietro, non superbo, bensì umile. Perciò Simone viene benedetto, come dire dichiarato obbediente; figlio di Giona, ovvero di Giovanni, che si interpreta grazia di Dio; infatti la virtù dell’obbedienza procede dalla grazia divina.

       Tale beatitudine si sostanzia soprattutto di conoscenza e di amore, come dire di fede e di carità. Delle quali virtù, l’una è prima, l’altra è precipua... Entrambe, il Signore le richiese da Pietro: la fede, quando gli dette le chiavi; la carità, quando gli affidò il gregge (Jn 21). Nella concessione delle chiavi, interrogando sulla fede, chiese: "Ma voi chi dite che io sia? E Pietro rispose: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo" (Mt 16,15-16). Nell’affidamento del gregge, esigendo la carità, chiese: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Ed egli rispose: Signore, tu sai che io ti amo" (Jn 21,15)...

       Quale e quanta fosse la fede di Pietro, lo indicò senza dubbio la sua risposta: "Tu sei" - egli disse - "il Cristo, il Figlio del Dio vivo. Infatti, con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione della fede per avere la salvezza" (Rm 10,10). Egli confessa difatti in Cristo due nature e una persona. La natura umana, quando dice: "Tu sei il Cristo", che significa "unto", secondo l’umanità, come afferma di lui il Profeta: "Il tuo Dio ti ha unto con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali" (Ps 44,8). La natura divina, quando aggiunge: "Figlio del Dio vivo"...

       Quindi non "sei" soltanto Figlio dell’uomo, ma anche "Figlio di Dio": non morto, in ogni caso come gli dèi dei gentili... bensì "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo", che vive in sé e vivifica l’universo, "nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo" (Ac 17,28). Una cotal fede il Signore non permise che subisse l’erosione di alcuna tentazione. Per cui, quando disse al beato Pietro, all’approssimarsi della Passione: "Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano", aggiunse subito: "Ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,31-32). Si può infatti ritenere che talvolta abbia dubitato, ragion per cui il Signore lo rimproverò: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" (Mt 14,31); tuttavia, poiché convalidò la solidità della sua fede, lo liberò all’istante dal pericolo pelagiano.

       Questa fede vera e santa, non procedette da formulazione umana, ma da rivelazione divina. Motivo per cui Cristo concluse: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre che sta nei cieli". Su questa fede quasi su pietra, è fondata la Chiesa; ecco perché il Signore aggiunse: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,17-18). Questa dignità si esplicita in due modi, in quanto il beatissimo Pietro è nientemeno fondamento e insieme capo della Chiesa. In effetti, va detto che primo ed essenziale fondamento è Cristo, così come afferma l’Apostolo: "Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo" (1Co 3,11), esistono tuttavia fondamenta di second’ordine e secondari, ovvero gli apostoli e i profeti e, in merito a ciò, dice l’Apostolo: "Edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti" (Ep 2,20), dei quali altrove è detto per bocca del Profeta: "Le sue fondamenta sono sui monti santi" (Ps 86,1). Tra questi, il beatissimo Pietro è primo e precipuo.

sabato 16 agosto 2014

La tenacia di una donna.

Rito Romano – XX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 17 agosto2014
Is 56,1.6-7; Sal 66; Rm 11,13-15.29-32; Mt 15,21-28

Rito Ambrosiano – X Domenica dopo Pentecoste
1Re 8,15-30; Sal 47; 1Cor 3,10-17; Mc 12,41-44

1) La fede abolisce le distanze.
A pochi giorni dalla Festa dell’Assunzione, in cui la protagonista è la Madonna, la liturgia di questa domenica offre alla nostra meditazione la figura di un’altra donna come protagonista con Cristo di un miracolo. E’ originaria di Canaan, quindi per gli Ebrei, Gesù compreso. è una straniera.
La distanza da Cristo da parte della Cananea era esteriore. Doveva fare un lungo cammino per superare secoli di paganesimo che la separavano oggettivamente dalla salvezza. Fra noi battezzati e il Signore invece c’è spesso una distanza interiore dovuta alla barriera della nostra pigrizia spirituale e mediocrità a impedire il contatto. Se solo riuscissimo a non chiuderci in noi stessi nei momenti di difficoltà nella vita ma continuassimo invece a chiedere, cercare e supplicare da Dio, avremmo la possibilità di vedere esaudite le nostre domande e ottenere quello che serve al vero bene nostro e di chi amiamo.
Così infatti è accaduto alla Cananea. I segni che accompagnavano Gesù l’hanno spinta da Lui. Lei ha saputo di Gesù, ha ascoltato l'annuncio che dona la fede, perché la fede viene dalla predicazione (Rm 10,17), si è sentita trafiggere il cuore, ed è corsa alla fonte della Vita. Una pagana intraprende un cammino di salvezza mossa dall’ascolto di un annuncio e spinta dal desiderio di ridare la salute alla figlia. E’ il principio del passaggio dalla schiavitù alla libertà. L’occasione l’ha resa audace. L’amore per la figlia, sino allora impotente, incontrò l’Amore che è Vita, salute e Salvezza. Molto cammino ha percorso questa madre, umiliandosi tra il disprezzo dei “figli” d'Israele e la vergognosa infermità della figlia. Lei ha visto che il suo amore di madre è incapace di aiutare, di dare senso all'esistenza. Non c'è sofferenza più grande di un amore di madre strozzato nell’impotenza di farsi salvezza per i propri figli.
Questa donna, che chiese il miracolo della guarigione per sua figlia, ebbe un coraggio enorme, perché sapeva che il fatto di essere donna e straniera era un grosso ostacolo all’accoglimento della sua domanda di grazia.
Era donna e questo per gli antichi, ma non per la Bibbia, era “un male necessario”, e non solo non era ebrea, era Cananea, della discendenza di Cam, il figlio che ebbe un atteggiamento di disprezzo verso suo padre Noè e da questi maledetto1.
Per Gesù il fatto che la Cananea fosse una donna non era un’obiezione, ma una benedizione. Come fu dall’inizio, e continua ad essere ancora, la donna è una benedizione divina, per cui Lui “è nato da Donna (Gal 4,4,). La seconda obiezione è sciolta da Cristo come neve al sole in un unico modo: Lui chiede, allora come oggi, la fede.
Non è per caso che nel Nuovo Testamento la fede venga innanzitutto dalle donne: la Vergine Maria- che è “il tipo”2 per eccellenza della fede, sua cugina Elisabetta, la profetessa Anna, le discepole - in particolare Maria Maddalena - che seguono Gesù ovunque vada, le donne incontrate da San Paolo (cfr Rm 16), Lidia a Filippi, alla quale il Signore aprì il cuore al Vangelo portato degli Apostoli (cfr At 16,14) e le “molte donne e i non pochi uomini” (At 17, 12) di Tessalonica, come pure Damaride, la donna ateniese che credette dopo il discorso di Paolo all’Areopago (At 17, 34), e Priscilla con il marito Aquila a Corinto (At 18, 2).
Questa “benedetta donna” cananea va incontro a Gesù e Gli grida “Pietà di me” (Mt 15, 22). Traducendo letteralmente, questa preghiera suona così: “Impietosisciti di me, Signore, figlio di Davide”. Tuttavia sembra quasi che il Messia non si lasci commuovere da questo grido e dà una risposta dura, almeno all’apparenza, paragonando questa donna e sua figlia indemoniata ai “cagnolini”. La Cananea riconosce la sua situazione di miseria e di estraneità, ma l’amore materno la spinge ed osa una risposta intelligente e piena di fede, che si può tradurre così: “Ma sì, Signore. Infatti anche i cagnolini mangiano dalle briciole che cadono dalla tavole dei loro padroni”, perciò anche quelli che sono considerati come cani hanno “diritto” al “pane dei padroni”.
La Cananea ha superato l’esame, offrendo a Cristo la confessione che nasce dal suo cuore di madre. Il cuore di Gesù non attendeva che questo e si rivolge alla Cananea con il titolo nobiliare di: “Donna (= Signora)”.
Con la sua fede questa donna ha recuperato la sua dignità di figlia di Dio nel Figlio di Dio e, in forza della sua fede, questa dignità è stata comunicata al frutto del suo grembo: sua figlia è stata liberata dal demonio che ne deturpava l’immagine e somiglianza.
Domandiamo al Signore questa stessa fede e ricordiamo che le donne sono poste come benedizione dal Signore. A commento di questa frase cito quanto San Giovanni Paolo II ha scritto nella sua Lettera alle donne:
“La Chiesa - affermavo nella Lettera apostolica Mulieris dignitatem - desidera ringraziare la santissima Trinità per il “mistero della donna”, e, per ogni donna, per ciò che costituisce l'eterna misura della sua dignità femminile, per le “grandi opere di Dio” che nella storia delle generazioni umane si sono compiute in lei e per mezzo di lei » (n. 31).

Il grazie al Signore per il suo disegno sulla vocazione e la missione della donna nel mondo, diventa anche un concreto e diretto grazie alle donne, a ciascuna donna, per ciò che essa rappresenta nella vita dell'umanità.


Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell'essere umano nella gioia e nel travaglio di un'esperienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita.


Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente il tuo destino a quello di un uomo, in un rapporto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita.


Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita sociale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità e della tua costanza.


Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l'indispensabile contributo che dai all'elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del « mistero », alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità.


Grazie a te, donna-consacrata, che sull'esempio della più grande delle donne, la Madre di Cristo, Verbo incarnato, ti apri con docilità e fedeltà all'amore di Dio, aiutando la Chiesa e l'intera umanità a vivere nei confronti di Dio una risposta « sponsale », che esprime meravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire con la sua creatura.
(A questo riguardo è utile per le Vergine consacrate nel mondo meditare costantemente le risposte che hanno dato al Vescovo durante il rito della consacrazione: ‘Volete perseverare tutta la vostra vita nella decisione della verginità consacrata al servizio del Signore e della Sua Chiesa?’ - ‘Sì, lo vogliamo’. ‘Volete seguire Cristo secondo il Vangelo in modo tale che la vostra vita appaia come una testimonianza d’amore e segno del Regno che verrà?’ – ‘Sì, lo vogliamo’. ‘Volete essere consacrate al Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio Altissimo, e riconoscerlo come vostro sposo?’ – ‘Sì, lo vogliamo’. Allora il Vescovo e l’Assemblea dicono: ‘Rendiamo grazie a Dio’ – Rituale della Consacrazione delle vergini, n. 17).
Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani. […]

Vegli Maria, Regina dell'amore, sulle donne e sulla loro missione al servizio dell'umanità, della pace, della diffusione del Regno di Dio!” (Lettera alle donne, 1995).
1 Come emerge, per esempio, da questa citazione: “Maledetto Canaan! Servo dei servi dei fratelli suoi sussista. Benedetto il Signore Dio di Sem, e sia Cam servi di essi. Jafet, Dio lo estenda, ed abiti nelle tende di Sem e sia Canaan servo di essi” (Gn 9, 25-27). Questa maledizione fu confermata lungo i tempi, come si legge, per es., in Deuteronomio 7, 2, dove c’è scritto di non fare grazia ai Cananei.

2 La Madonna è l’esempio più alto della fede e dell’umiltà, virtù che devono caratterizzare il nostro accostarci al Mistero dell'Incarnazione.


Letture Patristiche
San Giovanni Crisostomo (circa 345-407),
Vescovo d'Antiochia poi di Costantinopoli, Dottore della Chiesa
Omelia « Cristo sia annunziato », 12-13; PG 51, 319-320


La preghiera umile e insistente


Una donna Cananèa, si avvicinò a Gesù e si mise a supplicarlo a gran voce per sua figlia posseduta da uno spirito immondo... Che altro era questa donna, straniera, barbara, senza alcun legame con la comunità ebraica, se non una cagna indegna di ottenere ciò che domandava ? « Non è bene, dice Gesù, prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini ». Eppure la sua perseveranza le ha meritato di essere esaudita. Colei che era considerata non più di una cagna, è stata innalzata da Gesù alla dignità dei figli ; anzi egli l'ha colmata di elogi. Le disse, mentre la congedava : « Donna, davvero grande è la tua fede ! Ti sia fatto come desideri » (Mt 15, 28). Quando udiamo Cristo dire : « La tua fede è grande », non dobbiamo cercare altrove altre prove della grandezza di animo di questa donna. Vedi come lei ha cancellato la sua indegnità con la sua perseveranza. Inoltre, nota che otteniamo di più dal Signore con la nostra preghiera che con la preghiera degli altri.




San Beda il Venerabile (circa 673-735),
Monaco, Dottore della Chiesa
Omelie sui Vangeli I, 22
CCL 122, 156-160 ; PL 94, 102-105


La fede della donna sirofenicia


«Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri» (Mt 15,28). Sì, la donna sirofenicia possiede una grandissima fede. Pur non conoscendo né gli antichi profeti, né i recenti miracoli del Signore, né i suoi comandamenti né le sue promesse, anzi, respinta da lui, persevera nella sua domanda e non si stanca di bussare alla porta di colui che per fama gli era stato indicato come salvatore. Perciò la sua preghiera viene esaudita in modo visibile e immediato...


Quando uno di noi ha la coscienza macchiata dall'egoismo, dalla superbia, dalla vana gloria, dal disprezzo, dall'ira, dalla gelosia o da qualche altra passione, ha proprio, come quella donna di Canaan, «una figlia crudelmente tormentata da un demonio». Che corra dunque a supplicare il Signore affinché egli la guarisca... Che faccia questo con umile sottomissione; che non ritenga se stesso degno di condividere la sorte delle pecore di Israele, cioè delle anime pure, invece che giudichi se stesso indegno delle ricompense del cielo. La disperazione, tuttavia, non lo spinga ad allentare l'insistenza della sua preghiera, ma che il suo cuore abbia una fiducia incrollabile nell'immensa bontà del Signore. Infatti, colui che ha potuto fare dal ladrone un confessore della fede (Lc 23,39), dal persecutore un apostolo (Ac 9), e da pietre dei figli di Abramo (Mt 3,1), è anche capace di trasformare un cagnolino in una pecora di Israele.


mercoledì 13 agosto 2014

Maria Assunta: l’umanità accolta da Dio.

Solennità dell’Assunzione – 15 agosto 2014

Ap 11,19a; 12,1-6a.10ab; Sal 44; 1 Cor 15,20-27a; Lc 1, 39-56


1) La meta della pellegrina del Cielo
Il dono con cui Dio ci ha donato suo Figlio non poteva corrompersi. Il Tempio vivo che per primo ha ospitato il Corpo di Cristo non poteva andare in polvere. L’Assunzione1 della Vergine chiarisce in modo limpido la frase che spesso si ripete a partire da Sant’Ireneo di Lione (II secolo): “Dio si è fatto uomo perché l’uomo potesse diventare Dio”. Che significa: “diventare Dio”? Vuol dire: diventare un vivente la cui vita non ha limiti, perché è liberata per sempre dal peccato e dalla morte.
Prima di riflettere sull’immagine del Vangelo della Messa di oggi, che ci rappresenta la Visitazione di Maria alla cugina Elisabetta, il cui figlio esulta di gioia percependo nel grembo materno la presenza del Figlio di Dio, mi soffermo sull’immagine (in greco: icona) della Vergine Madre con in braccio il Bambino divino, che Lei regge e protegge. Maria, a nome di tutta l’umanità, accoglie Dio in modo così tenero e familiare da appoggiare il suo viso sulla faccina di Gesù. Questo Gesù, alla fine della vita terrena di sua Madre, fa una cosa analoga. Se contempliamo l’icona della dormizione (è con questo nome che le Chiesa Orientali celebrano l’assunzione) di Maria, vediamo che in questo caso è Lui che accoglie la Madre: Dio accoglie l’umanità. Guardiamo il dipinto:

La Vergine Madre è morta. Al suo corpo rivestito di un abito nero, nera crisalide, si avvicina Cristo, il suo Figlio risorto, che prende tra le braccia l’anima di Sua Madre, rappresentata come una bambina che porta a compimento la sua nascita nel Regno. In alcune icone Gesù stringe al proprio volto il volto di questa donna-bambina. Contempliamo questa assunzione, in cui il divino accoglie l’umano. Ed è una festa grande. A questo riguardo Sant’Anselmo d’Aosta afferma che il Redentore volle salire al cielo prima di sua madre non solo per prepararle un trono degno di lei nella sua reggia, ma anche per rendere più trionfale e glorioso il suo ingresso in cielo, andando Lui stesso a riceverla con tutti gli Angeli e i Beati del Paradiso.
La festa dell'Assunzione ci ricorda il nostro destino di pienezza di vita nella comunione con Dio. Maria assunta in cielo nell'anima e nel corpo è il mistero della nostra fede che ci mostra che anche noi, come Maria, siamo “destinati” a risorgere un giorno nell'anima e nel corpo, ossia tutto il nostro essere, tutta la nostra storia, le nostre relazioni di amore vissute attraverso il cuore e i gesti del nostro corpo, troveranno la loro pienezza e il loro compimento nell’Amore di Dio! Nulla della nostra storia andrà perduto, nulla vissuto senza un senso, nulla di tutti quei gesti di fedeltà, di amore, di umiltà, di giustizia fatti con l'anima e con il nostro corpo saranno stati vani.
2) La Strada.
La festa dell’Assunzione di Maria non ci parla soltanto della meta, ma anche della strada da compiere per noi pellegrini, sull’esempio della nostra Madre celeste, che fu pellegrina del Cielo in tutti i giorni della sua vita sulla terra.
Oggi celebriamo la festa dell’Assunzione di Maria, l’entrata in cielo di colei che ha creduto, accanto al Figlio, anticipando la meta che attende ogni uomo. Maria ci precede nell’accoglienza di quella Parola che genera il Figlio in noi, ma ci precede anche nella speranza della resurrezione, nell’assunzione di tutta l’umanità nella vita di Dio.
Per farci comprendere questo mistero, la Liturgia di oggi ci porta all’inizio di quella storia, in cui il cielo è sceso sulla terra e si è fatto piccolo germe di vita nel grembo di una semplice donna di paese, e ci propone il brano del Vangelo che racconta la visita della Madre del Messia alla cugina Elisabetta. La Madre di Dio dopo aver ricevuto l’annuncio della sua maternità da parte dell'angelo si reca in fretta e con amore da Elisabetta sua parente anziana, per condividere la propria gioia con qualcuna che stava vivendo una situazione molto simile. Il motivo della festa, dunque, è la gioia per essere amati da un Amore fecondo.
Cerchiamo di immaginare la scena dell’incontro nella casa di Zaccaria. Si potrebbe dire che le protagoniste sono due donne che s’incontrano, due donne incinte, una vecchia, vecchia di decine di secoli di attesa - il Battista rappresenta anche più di 2000 anni di attesa - rappresenta tutta l’umanità che attende il Salvatore promesso dall’inizio dei tempi. Quindi una donna che porta in sé l’attesa antica dell’umanità. L’altra, una ragazzina che porta in sé l’Atteso dall’umanità, che porta in sé la novità, la vita nuova. L’anziana porta il desiderio, la giovane il Desiderato; una porta la fame, l’altra il cibo. E c’è l’incontro che diventa avvenimento.
Ma credo sia giusto affermare che questo incontro non avviene tanto tra Maria ed Elisabetta, quanto tra i due bimbi che sono nel grembo delle loro mamme che sono nella gioia. Quindi Maria prorompe nel Magnificat il suo cantico di gioia: tutti nei secoli la chiameranno beata, in corpo e anima sarà per sempre accanto al Signore perché ha collaborato con Lui all’opera della redenzione.
Maria è Madre di Dio perché ha creduto alla Sua parola e accettato la Sua proposta. La sua beatitudine vale per ciascuno di noi che fa come lei, che oggi celebriamo recuperando il senso profondo di riconoscenza al Signore per la Sua presenza, per la Sua visita tra noi.

3) Visitazione della Madre della Vita.
La visita di Maria ad Elisabetta permise la visita di Gesù a Giovanni il Battista.
Non fu dunque una visita di cortesia e neppure una visita per dare un aiuto umanitario ad una donna anziana. Fu un gesto di carità umile. Mostrò che Dio era davvero sceso a visitare e redimere l’umanità intera.
All’inizio del racconto della Visitazione di Maria ad Elisabetta c’è una parola a cui non si dà sufficiente importanza: “in fretta”. “In quei giorni (dopo l’annunciazione) Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda” (Lc 1, 39). Perché invece di restare in meditazione delle parole dell’Angelo Gabriele e di attendere il compimento dell’annuncio in casa sua, la Madonna “in fretta” andò dalla cugina anziana, che era rimasta finalmente incinta? Perché era spinta dalla carità di Cristo. La sua “fretta” non vuol dire che Lei si mise a correre sulla strada che conduce ad Ain Karim, villaggio vicino a Gerusalemme dove abitava Elisabetta. Vuol dire che non c’è e non ci deve essere alcun ritardo tra il concepimento di Gesù in Lei e la presenza di Gesù in mezzo agli uomini.
Noi dobbiamo fare la stessa cosa. Se dobbiamo fare nascere Gesù in noi e da noi, come in modo eminente l'ha fatto Maria, dobbiamo lasciare fiorire lo Spirito in noi, partendo … senza ritardo: ogni grazia è una missione. Ogni vocazione è una missione di portare “in fretta” la presenza di Cristo nel mondo.
Questa vocazione è vissuta dalle Vergini consacrate nel mondo a partire dalla loro totale adesione a Cristo e alla loro comunione sponsale con Lui (“Volete essere consacrate al Signore Gesù Cristo, figlio del Dio Altissimo, e riconoscerlo come vostro sposo? Si lo vogliamo” - Rito di consacrazione delle Vergini, n. 17), che implica che la pienezza della verginità sia donata dal senso della maternità. Loro sono davvero vergini e spose quando cominciano a sentirsi madri, quando il loro zelo per salvare le anime e portarle a Dio, le spinge “in fretta” a mettere a disposizione della Chiesa e dell’umanità tutte le loro risorse e consumandovi la loro esistenza. Allora davvero danno la vita, servendo la Vita come la preghiera al n. 18 del Rito di Consacrazione delle Vergini: “Preghiamo Dio Nostro Padre, per suo Figlio Nostro Signore, affinché lo Spirito effonda la sua grazia in abbondanza su quelle che Lui ha scelto di consacrare al suo servizio”.




Lettura Patristica
San Bernardo di Chiaravalle
Sermone Secondo sull’Assunzione

Come pulire, adornare, riempire la casa35.

Gesù entrò in un villaggio36 .A questo punto faccio opportunamente mia l’esclamazione del profeta: Israele, quanto è grande la casa di Dio, quanto è vasto il luogo del suo dominio!37 Non è forse grande, dal momento che al suo confronto l‘amplissimo spazio di questa terra viene chiamato ―villaggio‖? Non è forse una grande patria, e una regione dal prezzo inestimabile, dal momento che al suo confronto l‘amplissimo spazio di questa terra viene detto ―villaggio‖? non è forse una grande patria, e una regione dal prezzo inestimabile, dal momento che quando il Salvatore provenendo di là38, entra nello spazio della terra si dice che entra in un villaggio?
Oppure si può interpretare questo villaggio come la casa del forte armato39 , del principe di questo mondo40 i cui possedimenti il più forte è sopraggiunto a rapire41.
Fratelli, sforziamoci di entrare42 nell‘ampio spazio di quella beatitudine, dove nessuno opprime l‘altro riducendolo in strettezze, perché possiamo comprendere con tutti i santi quale ne sia la lunghezza, l‘ampiezza, l‘altezza e la profondità43. E non disperiamo di arrivarvi, dal momento che l‘abitante stesso della patria celeste, che ne è anche il creatore, non ha fuggito le strettezze di questo nostro villaggio.

Ma perché diciamo che è entrato nel villaggio? E‘ entrato anche nel ristrettissimo abitacolo del grembo della vergine, e si una donna lo accolse nella sua casa44 donna beata che meritò di accogliere non gli esploratori in Gerico45, ma piuttosto il fortissimo depredatore stesso46di quello stolto che è davvero mutevole come la luna47, non gli ambasciatori di Giosué figlio di Nave, ma meritò piuttosto di accogliere il vero Gesù, Figlio di Dio. Felice donna, ripeto, la cui casa, accogliendo il Salvatore, si trovò ad essere purificata, ma realmente non vuotata48. Come si potrebbe affermare che è vuota Colei che
l‘Angelo saluta come piena di grazia49?
E non basta che sia piena di grazia, aggiunse anche che in essa sarebbe sopraggiunto lo Spirito Santo50, e perché, se non per ricolmarla in modo sovrabbondante?
E perché se non perché lo Spirito, trovandola già piena per sé, al suo sopraggiungere adombrandola l‘avrebbe fatta diventare anche stracolma e sovrabbondante per noi?
Oh, arrivino e fluiscano anche in noi gli aromi delle grazie51 e tutti possiamo ricevere da una così grande pienezza! E‘ lei la nostra mediatrice, per mezzo suo riceviamo, Dio, la tua misericordia52, per mezzo suo anche noi accogliamo nelle nostre case il Signore Gesù.
Ciascuno di noi infatti ha un proprio villaggio, e una casa propria; e la Sapienza bussa a ciascuna porta: se qualcuno apre entrerà e cenerà con lui53. E‘ un proverbio popolare che si trova sulla bocca, e ancor più nel cuore di molti: Chi custodisce il suo corpo difende una buona cittadella54 fortificata. Il sapiente però non dice così, ma afferma piuttosto: ―Con ogni cura vigila sul cuore perché da esso sgorga la vita55.

Sia pure, ma noi accettiamo la sapienza popolare: custodisce una buona roccaforte chi custodisce il suo corpo. Dobbiamo perciò cercare di quale cura abbia bisogno questa roccaforte. Ti pare che custodisce rettamente la roccaforte del suo corpo quell'anima le cui membra, come per una congiura si sono consegnate in potere del nemico? Vi sono alcuni che hanno fatto un patto con la morte, hanno stretto alleanza con l‘inferno56. Il prediletto ha mangiato e si è saziato ed ha recalcitrato, si è ingrassato - impinguato - rimpinzato57 Questa è la custodia che piace ai peccatori che seguono i desideri della loro carne58. Che ve ne apre, fratelli? Dobbiamo forse in questo cedere al modo di pensare di tutti? No davvero. Interrogheremo piuttosto Paolo come strenua guida del combattimento spirituale. Dicci, Apostolo, qual è il tuo modo di custodire la roccaforte?]Io dunque corro, ma non come chi è senza meta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l‘aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato59.
E in un altro brano : Non regno il peccato nel vostro corpo mortale60 Questa è veramente una custodia utile e beata quell‘anima che avrà custodito il suo corpo così bene che il nemico non potrà mai rivendicarlo per sé. Vi fu un tempo quando quell‘empio aveva sottomesso questa mia roccaforte alla sua tirannia e comandava a tutte le membra con impero dispotico. Quanto quel tempo sia stato dannoso lo rivela la desolazione e la miseria di adesso. Ahimè in esso non aveva lasciato né il muro della35 continenza, né l‘antemurale61 della pazienza. Sterminò le vigne62, mieté i campi seminati63, sradicò gli alberi Perfino i miei occhi depredavano al mia anima. Infine se il Signore non mi avesse aiutato la mia anima sarebbe rimasta negli inferi64. Parlo proprio dell‘inferno piùprofondo65, dove non si sente voce di lode66, da dove a nessuno è permesso uscire.
Tuttora un carcere infernale. Sorpresa fin dall‘inizio da una congiura e da un fatale tradimento l‘anima si trovò andata alla custodia di carcerieri nella sua stessa casa, e fu consegnata ai torturatori, questi non erano altro che i suoi stessi familiari. Era un carcere per lei la sua coscienza, e torturatori erano per lei la ragione e la memoria. Questi erano crudeli, austeri e senza misericordia, ma ancora molto meno di quei leoni ruggenti pronti a divorarla67, ai quali stava per essere consegnata. Ma, benedetto sia Dio, che non i ha lasciato in preda ai loro denti68. Benedetto, ripeto, il Signore, che ha visitato e redento il suo popolo.69 Quando infatti il maligno si affrettava a consegnare al carcere più profondo, incendiando la stessa roccaforte con fiamme perenni70 per dare una degna retribuzione
alle membra ribelli sopraggiunse uno che era più forte71. Entrò nella roccaforte Gesù 72, che legando il forte gli strappò la preda73, così che quanto era motivo di ignominia lo tramutò in motivo di onore e vanto74. Infranse le porte di bronzo e spezzò le sbarre diferro75, conducendo fuori il prigioniero dal carcere e dall‘ombra di morte76.
Poi uscì, con canti di lode77.
Questa è la scopa con la quale è stato spazzato e ripulito quel carcere78; poi con i bei giunchi verdeggianti delle osservanze regolai si trasforma nuovamente il carcere in casa. Ormai la donna ha la sua casa; ha dove accogliere Colui79 al quale è vincolata dai tanti benefici ricevuto. Guai a lei altrimenti, se si sarà rifiutata di accoglierlo, se non lo tratterrà, se non lo costringerà a rimanere con sé, poiché si fa sera80. Ritornando infatti colui che ne era stato scacciato troverà certamente una casa pulita e adornata, ma vuota.81A colei che avrà rifiutato di offrire al Salvatore una degna ospitalità la sua casa sarà lasciata deserta82 . Ma come, tu dici, potrà forse una casa purificata dalla confessione dei precedenti delitti, e adornata dalla fedeltà alle osservanze regolari, essere ancora giudicata un indegno ricettacolo della grazia, indegna che vi entri il Salvatore? Lo potrà, senza dubbio, se sarà stata solo purificata in superficie, e, com‘è stato detto, ricoperta di giunchi verdeggianti, mentre all‘interno rimane piena di fango83. Chi può pensare di accogliere il signore in sepolcri imbiancati, che dal di fuori son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di sporcizia e di ogni putridume84 Può capitare che qualcuno, attratto dalla bellezza della facciata cominci a porre un primo passo per entrare e visitare. Una persona simile85 accondiscendendo alla prima grazia di una visita non se ne ritrarrà di scatto, con sdegno? Non fuggirà forse, gridando: ―Sono caduto nel fango profondo, e non ho sostegno86. Ciò che ha solo l‘apparenza della virtù, e non ha la consistenza della verità, è come una qualità, e non una sostanza. Chi desidera entrare non si accontenta di un aspetto esteriore e leggero di vita convertita; Egli infatti penetra tutto, e la sua dimora è nella profondità del cuore. E se lo spirito di disciplina non regna ancora nel corpo schiavo del peccato 87 non soltanto egli prende le distanze da questo uomo ipocrita, ma lo fugge, e si allontana da lui88. Non è forse una riprovevole finzione se recidi il peccato soltanto alla superficie e non l sradichi dalle radici? Sta certo che germoglierà nuovamente con abbondanza, e il nemico maligno che ne era stato scacciato entrerà nella casa purificata, ma vuota, con altri spiriti peggiori di lui89. Come il cane ritornato al suo vomito sarà molto più di prima degno di odio, e diverrà in diversi modi figlio90 della Geenna colui che, dopo aver ricevuto il perdono dei peccati cadrà nuovamente nella medesima colpa, come la
scrofa lavata che si avvoltola nuovamente nel fango91.
Vuoi vedere la casa pulita, adornata e vuota? Guarda un uomo che ha confessato la sua colpa, e che abbandona al giudizio divino i peccati evidenti della vita passata92 ed ora muove solo le mani nel compimento dei comandamenti, ma con il cuore profondamente arido. Si muove per abitudine, come la vitella di Efraim, addomesticata,che ama trebbiare93. Compie con molta attenzione le pratiche esteriori, senza tralasciare né uno iota, né un apice94, ma queste valgono poco95, e mentre filtra il moscerino inghiotte il cammello96. Nel suo cuore è infatti schiavo della volontà propria, cultore dell‘avarizia, bramoso di gloria, amante dell‘ambizione, e tutti questi vizi, ad uno ad uno li coltiva dentro
di sé; l’iniquità mente a se stessa97. Ma non ci si può prendere gioco di Dio98.
Tu puoi vedere che un uomo così paludato, tanto da ingannare se stesso, no si accorge più per niente del verme99 che gli consuma l‘interno. L‘aspetto esteriore rimane intatto e lui pensa che tutto sia salvo. Gli stranieri hanno divorato la sua forza, dice il profeta- ed egli non se n’è accorto100. Dice :Sono ricco, non ho bisogno di nulla, mentre è povero, misero e miserabile101. Quando se ne trova l‘occasione il marcio che era nascosto nella ferita ribolle, e vedrai l‘albero reciso, no estirpato dalle radici, germogliare nuovamente generando una foresta ancora più fitta. Se vogliamo evitare questo pericolo dobbiamo porre la scure alla radice degli alberi102, on ai rami. Non ci sia soltanto in noi
l‘esercizio fisico, che è utile a poco103, ma ci sia la pietà, che è utile a tutto, e l‘esercizio
spirituale.

«Una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. [39]Essa aveva una sorella, di nome Maria»104. Sono sorelle e devono condividere la casa. Questa si occupa in un assiduo servizio, quella è attenta ad ascoltare la Parola del Signore105,. A Marta spetta tenere al casa provvista del necessario, ma riempirla è compito di Maria. Vive vuota di sé in ascolto del signore perché la casa non rimanga vuota.
Ma il compito della pulizia a chi possiamo attribuirla? Se troveremo anche questo la casa in cui è accolto i l Signore sarà sia u pura, sia ammobiliata, e non vuota106. Affidiamo a Lazzaro l‘incarico della pulizia, se anche voi siete d‘accordo, anche a lui, in comune con le sorelle, questa casa appartiene per diritto di fraternità. Parlo proprio di quel Lazzaro che la voce della potenza di Cristo ha risvegliato dai
morti107, quando era già di quattro gironi e già mandava cattivo odore; così sembra proprio che assuma opportunamente la forma di una vita penitente. Entri dunque il Salvatore in casa, e la visiti di frequente, la casa che Lazzaro penitente purifica, che Marta adorna, e che Maria, dedita all‘interiore contemplazione, riempie.

Ma forse qualcuno più curioso si chiederà perché nel brano del vangelo di oggi non si faccia alcuna menzione di Lazzaro. Penso però che neppure questo sia in discordia con la similitudine proposta. Lo Spirito voleva che si comprendesse che si trattava di una casa verginale; tace intenzionalmente della penitenza che si accompagna sempre all'esperienza del male. Non sia mai detto, infatti, che questa casa abbia avuto una sua propria sporcizia, così che in essa ci fosse bisogno della scopa di Lazzaro. E se prese dai progenitori il peccato originale la pietà cristiana impedisce di credere che sia , meno di Geremia, santificata dal grembo materno108, o che non sia piena di Spirito Santo più di Giovanni109; altrimenti non celebreremmo la sua nascita con le lodi di un giorno di festa. E per ultimo si sa con certezza che Maria è purificata dalla macchia del peccato originale per sola grazia, come anche ora nel battesimo la sola grazia lava questa macchia. Come un tempo la radeva via solo i coltello di pietra della circoncisione. Se, come è davvero giusto e buono credere, Maria non conobbe peccato personale, allora la penitenza fu molto lontana dal suo cuore innocentissimo. Lazzaro sia dunque con coloro la cui coscienza deve essere ulteriormente purificata dalle opere morte 110. Viva lontano, tra i feriti che dormono nei sepolcri111, così che nel talamo verginale (della Vergine)si trovino soltanto Marta e Maria. Lei assistette con il suo umile servizio Elisabetta, quando era gravida e carica di anni, quasi per tre mesi112, lei tutte le parole che si dicevano del Figlio, le conservava, meditandole nel suo cuore113.

Nessuno si stupisca poi che la donna che accoglie i signore non si chiama Maria, ma Marta, dal momento che in questa unica e grandissima Maria troviamo il compito (negotium) di Maria e quello di Marta, e l‘ozio per niente ozioso di Maria. La figlia del re è tutta splendore all‘interno , gemme e tessuto d'oro è il suo vestito. 114 Non è del numero delle vergini stolte. E‘ una vergine sapiente. Ha la lampada, ma porta l‘olio in un vaso. O forse non ricordate quella parola del Vangelo che narra come alle vergini stolte è stato proibito l’ingresso alle nozze?115 La loro casa era veramente pulita, infatti erano vergini;
era fornita di tutto il necessario perché tutte, sia le stolte che le sagge erano munite di lampade; ma era vuota, perché non avevano riempito d‘olio i loro vasi. Per questo lo Sposo celeste non poté essere accolto da loro, nella loro casa, né si degnò di ammetterle alle nozze116. Non fu così per quella donna forte117 che schiacciò il capo del serpente118. Fra le molte lodi si dice di lei che neppure di notte si spegne la sua lampada119. Si dice questo come un rimprovero per le vergini stolte che giungendo lo Sposo a mezzanotte si lamentano e dicono: Le nostre lampade si spengono120 Avanzò invece la vergine gloriosa, la cui fiaccola ardentissima fu un miracolo per gli stessi angeli di luce121, tanto che dicevano: chi è costei che avanza come l’aurora al suo sorgere, bella come la luna, e fulgida come il sole?122 Risplendeva più luminosa delle altre perché era piena dell‘olio della grazia molto più delle sue compagne, Cristo Gesù, Figlio suo, Signore nostro. Amen

Note
(le note iniziano dal n. 35 perchè i numeri precedenti si riferiscono al Primo sermone di San Bernardo)

35 Il sermone di San Bernardo svolge il tema della assunzione di Cristo nella casa che è Maria, come figura della persona umana. Nel modo di tenere la casa c‘è una parabola sia della conversione della persona umana (pulire, ornare, riempire) sia anche dei diversi ministeri che nella chiesa amministrano la grazia di Dio.(Marta, il governo, Maria la contemplazione libera della Parola, e Lazzaro…le pulizie…) Non depone a favore dell’antifemminismo medioevale che le pulizie, il compito più umile e il grado più basso della conversione, la penitenza sia affidata a un uomo, i gradi più elevati a due donne, perché nellla casa della Vergine non c‘è posto per il male, e dunque neanche per la penitenza.
36 Lc 10, 38.
37 Bar 3, 24.
38 Eb 1,6
39 Lc 11, 21
40 Gv 12, 31
41 Mt 12,29
42 Eb 1,6.
43 Ef 3,18.
44 Lc 10,38.
45 Gs 2,1
46 Lc 11,22
47 Sir 27,12
48 Mt 12,44
49 Lc 1,28
50 Lc 1, 35.
51 Cant 4, 18
52 Sl 47,10.
53 Apc 3,20.
54 Il latino castellum, tradotto nel Vangelo con ―villaggio‖ ha qui piuttosto il significato di roccaforte,
cittadella fortificata.
55 Prv 4,23.
56 Is 28, 15
57 Dt 32, 15
58 SL 10, 3
59 1 Cor 9, 26 -27
60 Rm 6, 12.
61 Is 26,1.
62 Sl 79, 14
63 Lv 19,1
64 SL 93,17.
65 SL 85, 13
66 Sl 6, 6: un‘altra traduzione possibile secondo i l doppio senso della parola confessio è: ―dove non
è più possibile il pentimento‖.
67 Sir 51,4.
68 Sl 123,6.
69 Lc 1, 68.
70 Ebr 13,11.
71 Lc 11, 22.
72 Lc 10, 38
73 Mt 12, 29
74 Rm 9, 21
75 Sl 106, 18
76 Is 42, 7; Sl 106, 148 (―O clavis ant 20 dic.)
77 Sl 99,4. La traduzione spagnola mantiene l‘ambivalenza del latino :confiteor, non con canti di lode,
ma confessando i peccati. Preferisco la traduzione del salmo che sottolinea il confiteor della lode.
78 Mt 22, 44
79 Lc 10, 38.
80 Lc 24, 49. Ritornando infatti colui che ne era stato scacciato troverà certamente una casa pulita e adornata, ma vuota
81 Mt 12, 44
82 Lc 13, 35.
83 Mt 23, 25 e 27.
84 Mt 23, 27.
85 2 Cor 2,6
86 Sl 68,3
87 Spa 1,5.
88 Sl 108,18
89 Mt 12,44-45.
90 Mt 23, 15
91 2 Pt 2, 27.
92 1 Tim 5, 24.
93 Os 10,11.
94 Mt 5, 18
95 1 Tim 4,8.
96 Mt 23,24.
97 SL 26,12.
98 Gal 6,7.
99 Mt 9, 48.
100 Os 7, 9
101 Apc 3,17.
102 Lc 3, 9
103 1 Tim 4,8.
104 Lc 10, 38
105 Lc 10, 40.
106 Mt 12,44.
107 Gv 11, 39-43.
108 Ger 1,5.
109 Lc 1, 15.
110 Eb 9, 14.
111 Sl 87, 6.
112 Lc 1, 56.
113 Lc 2, 19.
114 Sl 44,14-15
115 Mt 25,1-13.
116 Mt 25, 1-12.
117 Prv 31,10.
118 Gn 3,15.
119 Prv 31, 18.
120 Mt 25,8.
121 2 Cor 11,14.
122 Cant 6, 10.


1 Il dogma dell’Assunzione fu proclamato da Papa Pio XII il 1° novembre 1950, Anno Santo, attraverso la Costituzione Apostolica Munificentissimus Deus. Ma ciò che esso ha definito era già presente nella fede della chiesa (“sensus fidelium”), e in particolare in quella popolare, fin dal 4° secolo d.C, quando un Padre della Chiesa, Epifanio di Salamina, cercò di rispondere al quesito circa il destino finale di Maria. Ci si domandava infatti se Maria, essendo totalmente immune dal peccato - e uno degli effetti del peccato originale è la morte - avesse ugualmente dovuto soggiacere a quest’ultima come tutti gli esseri umani. Così nel 6° secolo il Vescovo di Livias (presso Gerico) disse in un’omelia: “Era conveniente che quel corpo che aveva portato in sé e custodito il Figlio di Dio, dopo essere stato sulla terra, venisse accolto gloriosamente in cielo insieme con l'anima”.
Intanto nella Chiesa si cominciavano a celebrare le feste mariane. E la prima fu proprio quella che è all'origine dell'attuale festa dell'Assunta: il 15 agosto del 453 a Gerusalemme veniva dedicata alla morte di Maria una chiesa chiamata col suggestivo termine di “Dormizione”, perché Maria al termine del suo cammino terreno non era veramente morta, ma si era come addormentata. Nella tradizione orientale infatti la morte di Maria è chiamata “dormitio” (=addormentamento) o anche “transitus” (=passaggio).
Più tardi, nel 7° sec., il vescovo Modesto di Gerusalemme annunciava nelle sue omelie che "Maria è stata presa dal Signore dei Signori della Gloria", ed esaltava il trapasso glorioso della Madre di Dio, "tratta dal sepolcro e chiamata a Sé dal Figlio in un modo noto solo a Lui".