Rito
Romano – II Domenica di Quaresima – Anno A – 16 marzo 2014
Gen
12,1-4; Sal 32; 2 Tm 1,8-10; Mt 17,1-9
In
Cristo tutta la realtà è trasfigurata.
Rito
Ambrosiano – II Domenica di Quaresima – Domenica della Samaritana
Es
20,2-24; Sal 18; Ef 1,15-23; Gv 4,5-42
L’incontro
con Cristo trasfigura chi è sfigurato.
1)
Quaresima: Esodo di penitenza e di luce.
La
Quaresima non è solo un cammino di penitenza di persone addolorate
per il loro peccato, è cammino di luce o, meglio, di conversione
alla luce. La vittoria sulla tentazione è già fonte di
trasfigurazione.
Il
Vangelo di questa domenica ci presenta il fatto della Trasfigurazione
di Cristo. E’ un evento che ha segnato la vita non solo di Gesù,
ma anche di Pietro, Giacomo e Giovanni, e deve segnare la nostra
esistenza.
Il
contesto è di preghiera, sul monte Tabor. Si tratta di un momento
molto particolare e privilegiato. E’ rivelazione della divinità di
Gesù. E’ un momento di luce che Gesù ha voluto per preparare i
suoi discepoli alla passione e, quindi anche noi perché arriviamo
preparati al Venerdì santo. Anche noi dobbiamo entrare nel mistero
della Trasfigurazione e farlo nostro. Non dobbiamo solo contemplare
Cristo radioso, ma diventare ciò che contempliamo.
Il
primo modo di partecipare al dono soprannaturale della
Trasfigurazione è dare spazio alla preghiera e all’ascolto della
Parola di Dio, è fissare il nostro sguardo sull’Ostia consacrata.
Inoltre, soprattutto in questo tempo di Quaresima, è rispondere
all’invito divino della penitenza con qualche atto volontario di
mortificazione, al di fuori delle rinunce imposte dal peso della vita
quotidiana.
Un
altro modo di vivere il mistero della Trasfigurazione è quello di
immaginarci la scena, come il Vangelo ce la descrive, e immedesimarci
in uno dei tre apostoli che hanno accompagnato Gesù sul monte
Tabor:“E fu trasfigurato
davanti a loro (i tre
apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni):
il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide
come la luce” (Mt 17,1-2).
Gesù si trasfigura: le vesti
candide1
e il volto splendente ci pongono in direzione del Figlio dell'uomo,
glorioso e vincitore. In questo modo ci è rivelato che Gesù, che è
in cammino verso la Croce, è il Signore e che, in realtà, è in
cammino verso la luce della Risurrezione. L’ultimo e penoso
pellegrinaggio che Gesù sta percorrendo nasconde un significato
pasquale. Ma si tratta di un anticipo fugace e provvisorio: la strada
da percorrere è quella della Croce. E difatti i tre discepoli
prediletti, chiamati a vedere in anticipo la gloria di Gesù, sono i
medesimi che nel Getsemani, saranno chiamati a vedere la sua
debolezza. Pietro, Giacomo e
Giovanni (e noi con loro), contemplando la divinità del Signore,
sono preparati ad affrontare lo scandalo della croce, come è cantato
in un antico inno: “Sul
monte ti sei trasfigurato e i tuoi discepoli, per quanto ne erano
capaci, hanno contemplato la tua gloria, affinché, vedendoti
crocifisso, comprendessero che la tua passione era volontaria e
annunciassero al mondo che tu sei veramente lo splendore del Padre”.
2)
Le tende e la Tenda.
Il Vangelo prosegue narrando che,
accanto a Gesù trasfigurato, “apparvero Mosè ed Elia2
che conversavano con lui”
(Mt 17,3);
Mosè ed Elia, figura della Legge e dei Profeti, e che ebbero il
privilegio di “vedere ed ascoltare Dio”. Questi due grandi
personaggi biblici, che ebbero
il privilegio di «vedere e ascoltare» Dio sul monte Sinai e
sull'Oreb, sono a fianco di Gesù sul monte della Trasfigurazione e
testimoniano la sua identità. Fu
allora che Pietro, estasiato, esclamò:
“Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre
capanne3,
una per te, una per Mosè e una per Elia” (Mt
17,4).
Credo, però che in questo
brano evangelico il dato della tenda/capanna si possa interpretare in
riferimento all’esodo.
I
quarant’anni nel deserto furono un tempo di transizione e di prova
, ma furono anche un tempo privilegiato.
Nel deserto, le tende devono
essere montate ogni sera e tolte via ogni mattina, è il luogo
dell’orrore e della morte, è il luogo degli scorpioni, dei
serpenti, è il luogo della sete e della fame, è il luogo dei
razziatori nascosti che piombano all’improvviso sulla carovana. Ma
è il tempo, coestensivamente, della forza e della vita; mai come nel
deserto il popolo è forte perché è spoglio, è leggero, porta con
sé poco bagaglio ma molta vita, molta speranza, molta energia, da
farne tesoro in seguito, quando giungerà nella patria4.
Il
deserto e le tende furono e sono un luogo privilegiato, il luogo dove
si sta a tu per tu con Dio. Sono anche il luogo e il tempo della
dipendenza totale. Già nel deserto dell’esodo le realtà che poi
il Nuovo Testamento assumerà come ultime, messianiche ed
escatologiche, cioè l’acqua, la manna e la Parola, sono intese
precisamente in questo senso della totale dipendenza da Dio.
Il
popolo che vive sotto la tenda non può fare a meno degli elementi
vitali come l’acqua e il cibo, la manna, le quaglie del deserto
(Es. 16, 1-36 e 17, 1-7). Il Signore manda i beni, ma il Signore
vuole che il popolo abbia totale disponibilità e dipendenza e le
dimostri, perché il Signore non fa mancare nulla a nessuno.
Ma
occorre parlare anche della Tenda con la T maiuscola. In effetti, già
Sant’Agostino commenta la frase
di San Pietro sul monte della Trasfigurazione, dicendo che noi
abbiamo una sola dimora: Cristo; Egli “è
la Parola di Dio, Parola di Dio nella Legge, Parola di Dio nei
Profeti”5.
Il Signore ha stabilito la sua Tenda in mezzo alle tende; queste
tende diventano il luogo dove si vive una vita vera per il fatto che
il Signore è presente, è l’Emmanuele, il Dio-con-noi, Dio tra
noi, sempre.
Questa
Tenda fra le tende implica un farsi
come gli uomini da parte di
Dio, un Dio che si abbassa, quasi si distrugge, per abitare in mezzo
alle tende degli uomini.
Un
esempio di tende accanto alla Tenda sono le Vergini consacrate.
Queste donne sono chiamate a vivere la loro esistenza con
disponibilità e dipendenza piena. Nella
Chiesa queste donne sono chiamate a donarsi totalmente al Signore col
proposito di Verginità
continuando a vivere nel
mondo. La loro consacrazione manifesta l’importanza di una
“totalità” gioiosa nel dono di sé e, di conseguenza, la ricerca
costante del primato della contemplazione pur nella totale
disponibilità per il servizio nella Chiesa, con e per i fratelli. In
tale modo queste donne testimoniano che la luce di Dio trasfigura
l’umanità e che Cristo è sempre luce della vita e bellezza
dell’umanità.
1
San Massimo
il Confessore afferma che “le
vesti divenute bianche portavano il simbolo delle parole della Sacra
Scrittura, che diventavano chiare e trasparenti e luminose”
Ambiguum 10: PG 91, 1128 B.
2
Mosè ed
Elia sono personaggi particolarmente qualificati a discorrere con
Gesù nel suo cammino. Mosè guidò il popolo di Dio nel passaggio
dall'Egitto alla Terra Promessa e, chiamato da Dio a guidare la
marcia di Israele verso la libertà, provò ripetutamente l’amarezza
della contestazione e dell'abbandono. Infine morì alle soglie della
Terra Promessa, senza avere la soddisfazione di entrarvi, ma non
venne mai meno nella sua fede. Elia - profeta fra i più tenaci,
insofferente a ogni forma di idolatria e della corruzione del
governo - conobbe la via della fuga, del deserto e della solitudine,
ma anche la gioia della presenza del Signore e il conforto della sua
parola.
Gesù è incamminato verso la Croce, ma è il profeta
definitivo, l'ultima parola di Dio: «ascoltatelo». L'atteggiamento
fondamentale del suo discepolo è l'ascolto.
3
La nuova traduzione del Vangelo traduce la parola greca “skene”
con “capanne” invece che “tende” in riferimento alla
festa delle Capanne. La traduzione latina usa la parola
“tabernaculum”.
La
festa di Sukkoth inizia il 15 del mese di Tishrì
(settembre-ottobre, perché
il calendario ebraico, a differenza del calendario cristiano, è
lunare, segue cioè il ciclo della luna: per essere più precisi, si
basa sull'intervallo di tempo che passa da un novilunio all'altro).
Sukkoth in ebraico significa “capanne” e sono appunto le capanne
a caratterizzare questa festa gioiosa che ricorda la permanenza
degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù
dall'Egitto: quaranta anni in cui abitarono in dimore precarie,
accompagnati da “nubi di gloria”. Penso, però, che scrivere
queste riflessioni usando la parola “tenda” ci aiuti a capire
meglio il fatto di essere pellegrini e di non avere stabile dimora
su questa terra.
4
E’ utile ricordare che
i primi monaci, verso la fine del III sec. e l’inizio del IV,
“tornarono” nel deserto. Di solito si dice che sono
scappati per paura della civiltà e per disprezzo delle realtà del
mondo, ma non è che un luogo comune. In realtà i primi monaci
“fuggirono” nel deserto per contestare la vita comoda dei
cristiani del loro tempo, che stavano diventando degli uomini del
comodo, della sazietà, gli uomini della vita definitiva, non
pellegrinante. I cristiani avevano perduto quello che per i primi
tre secoli era il vero istinto del deserto, quello di procedere, di
far procedere anche gli altri, di contribuire a che anche gli altri,
che non fanno parte del popolo di Dio, “vadano” comunque “in
avanti”. Quindi i primi monaci hanno fatto un immenso atto
di coraggio, un atto di “tornare indietro”, che in realtà è un
“andare ancora in avanti”: ritornare ai tempi privilegiati del
deserto, della tenda.
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
di Ippona
Sermone
78, 3-6
Dio non riserva un proprio dono, ma
se stesso
Mentre la nube li avvolgeva tutti e in
certo qual modo facendo per essi una sola tenda, si fece sentire
anche una voce che diceva: Questo
è il Figlio mio prediletto.
Erano lì Mosè ed Elia, eppure discepoli non fu detto: "Questi
sono i figli miei diletti". Una cosa è il Figlio unigenito,
un'altra cosa sono i figli adottivi. Veniva esaltato Colui del quale
si gloriavano la Legge e i Profeti. Questo
è il Figlio mio prediletto -
è detto - nel quale mi sono
compiaciuto. Ascoltatelo! (Mt
17, 5; Lc
9, 35) Poiché lo avete udito attraverso i Profeti e attraverso la
Legge. E quando non lo avete udito? A quelle parole i discepoli
caddero bocconi a terra. Ci viene già mostrato nella Chiesa il regno
di Dio. Qui c'è il Signore, qui c'è la Legge e i Profeti; ma il
Signore in quanto è il Signore, la Legge invece in quanto
rappresentata da Mosè e la Profezia rappresentata da Elia; ma essi
in quanto servi, in quanto esecutori degli ordini. Essi come
recipienti, egli come sorgente. Mosè ed i Profeti parlavano e
scrivevano, ma da lui proveniva ciò ch'essi proferivano.
Il fatto che i discepoli caddero bocconi
a terra significa simbolicamente che moriremo, poiché è stato detto
alla carne: Terra sei e nella
terra tornerai (Gn
3, 19). Il fatto invece che il Signore li fece rialzare,
simboleggiava la risurrezione. Dopo la risurrezione a che ti serve la
Legge? a che ti serve la profezia? Ecco perché scompaiono Elia e
Mosè. Ti rimane: ln principio
era il Verbo e il Verbo era con Dio e il Verbo era Dio
(Gv
1, 1). Ti resta che Dio sia
tutto in tutti (cf. 1
Cor 15, 28). Vi sarà Mosè
ma non vi sarà più la Legge. Vedremo lì anche Elia, ma non più
gli scritti del Profeta. Poiché la Legge e i Profeti resero
testimonianza a Cristo che doveva patire e il terzo giorno risorgere
dai morti ed entrare nella sua gloria (cf. Lc
24, 44-47). Lì si avvererà ciò che ha promesso a coloro che lo
amano:Chi mi ama, sarà amato
dal Padre mio e anch'io lo amerò (Gv
14, 21). E come se gli fosse stato chiesto: "Poiché tu lo
amerai, che cosa gli darai?", risponde: Mi
farò conoscere a lui (Gv
14, 21). Gran dono, grande promessa! Dio non ti riserva un proprio
dono, ma se stesso. Perché mai, avaro, non ti basta ciò che ti
promette Cristo? A te sembra d'esser ricco, ma se non hai Dio, che
cosa hai? Un altro invece è povero ma se possiede Dio, che cosa non
possiede?
Scendi, Pietro; desideravi riposare sul
monte: scendi; predica la parola di Dio, insisti in ogni occasione
opportuna e importuna, rimprovera, esorta, incoraggia usando tutta la
tua pazienza e la tua capacità d'insegnare (cf. 2
Tim 4, 2). Lavora, affaticati
molto, accetta anche sofferenze e supplizi affinché, mediante il
candore e la bellezza delle buone opere, tu possegga nella carità
ciò ch'è simboleggiato nel candore delle vesti del Signore. Poiché
nell'elogio della carità, letto nella lettera dell'Apostolo, abbiamo
sentito: Non cerca i propri
interessi (1
Cor 13, 5).
Non cerca i propri interessi perché
dona quel che possiede. ln un altro passo egli usa un'espressione
piuttosto pericolosa qualora non sia ben intesa. L'Apostolo infatti
facendo ai fedeli membri di Cristo una raccomandazione conforme alla
stessa carità, dice: Nessuno
cerchi ciò ch'è proprio, ma quello degli altri (1
Cor 10, 24). L'avaro infatti,
al sentire tale precetto, prepara tranelli per frodare negli affari,
ingannare qualcuno e cercare non quel ch'è proprio ma la roba
d'altri. L'avarizia invece reprima questi desideri e venga avanti la
giustizia; ascoltiamo e cerchiamo di capire quel precetto. Alla
carità è detto: Nessuno
cerchi ciò ch'è proprio, ma quello degli altri. Se
però tu, o avaro, ti opponi a questo precetto e piuttosto pretendi
ridurre questo precetto al permesso di bramare l'altrui, prìvati del
tuo. Ma siccome io ti conosco, tu vuoi avere non solo il tuo ma anche
l'altrui. Tu compi frodi per appropriarti dell'altrui; allora
lasciati derubare, perché in tal modo tu possa disfarti del tuo. Tu
però non vuoi cercare quel ch'è tuo ma ti porti via la roba
d'altri. Se fai così, non fai bene. Ascolta, o avaro, ascolta bene.
Il precetto: Nessuno cerchi quel ch'è suo, ma quello ch'è di
altri,l'Apostolo te lo spiega più chiaramente in un altro passo. Di
se stesso dice: Non cerco quel
ch'è utile a me personalmente, ma quel ch'è utile a tutti, affinché
tutti si salvino (1
Cor 10, 33). Ciò Pietro non
lo capiva ancora quando sul monte desiderava vivere con Cristo.
Questa felicità Cristo te la riservava dopo la morte, o Pietro. Ora
invece egli stesso ti dice: "Discendi ad affaticarti sulla
terra, a servire sulla terra, ad essere disprezzato, ad essere
crocifisso sulla terra". È discesa la vita per essere uccisa, è
disceso il pane per sentire la fame, è discesa la via, perché
sentisse la stanchezza nel cammino, è discesa la sorgente per aver
sete, e tu rifiuti di soffrire? Non cercare i tuoi propri interessi.
Devi avere la carità, predicare la verità; allora giungerai
all'eternità, ove troverai la tranquillità.
IN BREVE...
Non
essere vuota, o anima mia; non assordare l’orecchio del cuore con
il tumultuare delle tue vanità. Ascolta anche tu: la Parola stessa
ti grida di ritornare... Poni dunque la tua abitazione in Lui, anima
mia, a Lui affida tutto ciò che da Lui ricevi. (Confess.
4, 11)
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