CORPUS
DOMINI -
Anno A
– 22
giugno 2014
Rito
Romano
Dt
8,2-3.14b-16a; Sal 147; 1 Cor 10,16-17; Gv 6,51-58
Rito
Ambrosiano
Dt
8,2-3. 14b-16a; Sal 147; 1Cor 10,16-17; Gv 6, 51-58
1)
Pane di Vita
e di Amore.
Per
entrare nel
mistero
dell’Eucaristia,
prima di
tutto
–secondo
me- è
necessario
ricordarsi
delle
parole di
Gesù: “Dio
ha
amato
talmente
il
mondo
da
donare
il
Suo
figlio
Unico
perché
il
mondo
si
salvi
per
mezzo
di
Lui”
(cfr Gv
3, 16).
L'Eucaristia
è il
sacramento,
che
perpetua
questo dono
che viene
dall’amore
fedele di
Dio.
Per
questo, nella festa del Corpo e del Sangue del Signore la Liturgia
propone come Prima Lettura della Messa di oggi un brano del
Deuteronomio, che è un invito a non dimenticare che durante l’esodo
Dio è sempre stato accanto al popolo di Israele. Nel Suo amore
fedele, Dio non ha esitato a mettere alla prova gli Ebrei nel
deserto, ma è stato sempre accanto a loro ed ha dato loro la manna
perché continuassero il cammino verso la terra promessa.
Nella
Seconda Lettura, san Paolo ci parla del fine dell’Eucaristia che è
di “formare un solo corpo”
(cfr 1 Cor 17), di essere tutti in comunione con
Cristo e di essere tra noi fratelli, cioè Chiesa nutrita dal pane
eucaristico condiviso. Comunione significa scambio, condivisione. Ora
la regola fondamentale della condivisione è questa: quello che è
mio è tuo e quello che è tuo è mio. Ma che cosa ho io di
propriamente “mio”? La miseria, il peccato: solamente ciò è
esclusivamente mio. E che cosa ha di “suo” Gesù? La santità, la
perfezione di tutte le virtù. Allora la comunione consiste nel fatto
che io dò a Gesù il mio peccato e la mia povertà, e lui mi dà la
Sua santità. Si realizza il “meraviglioso scambio”, come lo
definisce la Liturgia.
Nelle Terza Lettura, che riporta un
breve brano preso dal capitolo 6 del Vangelo di San Giovanni, ci
viene presentata la volontà di Gesù di nutrire tutti con la sua
carne e di dissetarli con il suo sangue per avere la vita e averla in
abbondanza.
Quando
si va a ricevere la Comunione, il sacerdote dice “Il
Corpo di
Cristo”,
e il
fedele
risponde
“Amen”.
Dobbiamo
dunque
essere
membra del
Corpo
del Cristo,
perché sia
vero il
nostro
Amen. E’
un mistero
di unità,
pietà,
carità. Un
solo pane,
un
solo corpo,
fatto di
molti.
Il pane
non è
fatto con
un solo
chicco di
grano,
ma con
un gran
numero. “Al
battesimo
siete
stati
imbevuti
d’acqua.
Lo
Spirito
Santo
è
venuto
allora
in
voi
come
il
fuoco
che
cuoce
la
pasta:
Siate
dunque
ciò
che
vedete
e
ricevete
ciò
che
siete”
(Sant’Agostino).
E’
pure
importante
sottolineare
alcuni
particolari
che
non
sono
però
dei
dettagli
irrilevanti.
Nel
Vangelo
di
Giovanni
constatiamo
che
l’Apostolo
preferisce
la
parola
“carne1”
alla
parola
“corpo”.
Probabilmente
vuole
mettere
in
rilievo
il
realismo
dell'incarnazione
(“il
Verbo
si
è
fatto
carne”
davvero)
contro
le
tendenze
che
cercavano,
al
contrario,
di
negare
al
Figlio
di
Dio
la
possibilità
di
assumere
una
vera
e
piena
umanità.
Si
noti,
poi,
la
dimensione
universale:
questo
Santo
Cibo
è
per
la
vita
del
mondo
intero.
Infine
c’è
un’insistenza
che
non
è
casuale:
mangiare
la
carne
e
bere
il
sangue
è
indispensabile
per
avere
la
vita.
Cristo
è
vero
cibo
per
la
vera
vita
degli
uomini.
La
B. Madre Teresa di Calcutta diceva alle sue suore che “dovevano
trattare i malati come
il sacerdote tratta
l'ostia consacrata” e aggiungeva questa
esperienza frutto della Comunione e dell’Adorazione: “Quando
adoro Gesù nell’Eucaristia
vedo i poveri e
quando sto con i
poveri vedo Gesù”.
2)
Convocazione, cammino
e adorazione.
La
celebrazione della festa del Corpus Domini non consiste solamente
nella Messa celebrata in modo particolarmente solenne. Essa prevede
anche una processione per le strade della città o del paese.
La
Chiesa, il
popolo di
Dio
radunato
attorno
all’Eucaristia,
in tutte
le
parrocchie
della Terra
avanza oggi
davanti a
tutto il
mondo con
la più
grande
pretesa che
si possa
avanzare:
quella di
possedere e
offrire in
un pezzo
di pane
e in
un sorso
di vino
la carne
e il
sangue di
Gesù, di
Colui che
si è
detto il
Cristo, il
Figlio di
Dio fatto
Uomo, di
colui che
è il
Redentore
dell’uomo
e del
mondo
intero.
Durante
le
processione
un po’
di questo
pane
“consacrato”
è posto
in un
prezioso
ostensorio
ed
è portato
dalle mani
del prete
per le
nostre
strade,
perché sia
adorato
come il
sacramento
nel quale
è presente
realmente
il Signore
del mondo.
Non
è imposto
a nessuno
credere in
questo. Ma
la certezza
di un
popolo che
cresce nel
mondo e
che qui
è presente
sfida
chiunque a
“verificare”
che
possibilità
di verità
ci sia
in quello
che viene
proposto a
credere.
Per
tutti,
credenti o
no, oggi
è una
grande
occasione
per
ripensare a
questa fede
della
Chiesa. Il
credente
deve
ritrovare
le ragioni
per
rinsaldarla
in sé.
Il non
ancora
credente
deve
paragonarsi
con le
ragioni che
gli vengono
date. La
più grande
di tutte
queste
ragioni è
la
“resistenza”
di questa
fede che
fino ad
oggi “fa”
i martiri
(ne sono
stati
calcolati
ben
quarantacinque
milioni nel
secolo XX)
e i
santi,
che danno
tutta la
loro vita
per l’amore
a questo
Cristo
presente
nella
Chiesa,
nell’Eucaristia,
nei
fratelli.
La
processione
di oggi
non è
come quella
del Giovedì
santo,
quando,
dopo la
prima Cena
Eucaristica,
gli
Apostoli
accompagnarono
Cristo al
Monte degli
Ulivi, è
un cammino
con Cristo
risorto
quindi è
pieno di
letizia, di
stupore
sereno, di
adorazione,
che è
la
preghiera
che diventa
sguardo.
“L’adorazione
è
la preghiera che
prolunga la celebrazione e
la comunione eucaristica e
in cui l’anima
continua a nutrirsi: si
nutre di amore, di
verità, di pace; si
nutre di speranza, perché
Colui al quale ci
prostriamo non ci giudica,
non ci schiaccia, ma
ci libera e ci
trasforma” (Benedetto XVI, 2 maggio 2008).
In
questo
“esodo”
eucaristico
ci sono
di esempio
le Vergini
Consacrate
nel mondo.
Nell’Eucaristia
Cristo è
sempre in
cammino
verso il
mondo e
queste
donne a
Lui devote,
con Lui
vanno verso
il mondo.
E’ parte
della loro
specifica
vocazione
portare
Lui,
presente
nelle
specie del
pane e
presente
nel loro
cuore, per
le strade
del mondo,
affidando
a Lui,
alla sua
bontà
queste
strade. Che
sull’esempio
della
Vergini
consacrate
la nostra
persona sia
casa per
Lui e
con lui
e la
nostra
vita di
ogni giorno
si
penetrata
ogni giorno
dalla sua
presenza.
Esse
vivono dell’Eucaristia e testimoniano che l’Eucaristia assunta
con fede spinge a una vera comunione con Dio e, di conseguenza con il
prossimo. Il Pane consacrato e condiviso è segno visibile di questa
comunione, è sacramento di carità e il gesto di spezzarlo e di
distribuirlo deve essere segno d'amore e di accoglienza. L’Eucaristia
è il Pane quotidiano per il cammino di ogni giorno di persone
radunate, convocate per lodare Dio e vivere di Lui.
Con
l’Eucaristia il Signore non ci lascia soli in questo cammino. Egli
è con noi, sempre. Anzi, Egli desidera condividere la nostra sorte
fino ad immedesimarsi con noi. Ma non dimentichiamo che non basta il
progredire. Se non
ci sono
dei criteri
di
riferimento,
il
“progresso”
rischia di
farci
correre
fuori
strada.
Rischiammo
di finire
in un
precipizio,
o comunque
di
allontanarsi
più
rapidamente
dalla meta,
se Lui
non ci
indica il
cammino.
Dio ci
ha creati
liberi, ma
non ci
ha lasciati
soli: si
è fatto
Lui stesso
“via”
ed è
venuto a
camminare
insieme con
noi, perché
la nostra
libertà
abbia anche
il criterio
per
discernere
la strada
giusta e
percorrerla.
Non
solo il
camminare
con Cristo
è libertà,
anche
l’inginocchiarsi
davanti
all’Eucaristia,
perché è
professione
di libertà.
Chi si
inchina a
Gesù non
può e
non deve
prostrarsi
davanti a
nessun
potere
terreno,
per quanto
forte. Noi
cristiani
ci
inginocchiamo
in
adorazione
solamente
davanti al
Santissimo
Sacramento,
perché in
esso
sappiamo e
crediamo
essere
presente
l’unico
vero Dio,
che ha
creato il
mondo e
lo ha
tanto amato
da dare
il suo
Figlio
unigenito
(cfr Gv
3,16).
1
Il
termine
greco
usato
da
San
Giovanni
per
“carne”
è
“sarx”,
che
corrisponde
all'ebraico
“basar”:
è
un
vocabolo
semitico
che
indica
non
tanto
la
carne,
in
senso
materiale,
come
la
intendiamo
noi,
ma
l’umanità,
la
persona;
nel
linguaggio
biblico
l'espressione
“carne
e
sangue”
designa
la
persona
umana
nella
sua
realtà
storica,
l'uomo
totale
nella
sua
manifestazione
concreta.
Quindi
l'espressione
“mangiare
la
carne”
non
deve
far
pensare
all’antropofagia,
ad
una
forma
di
cannibalismo,
essa
indica
piuttosto
l’entrare
in
comunione
totale
con
il
Salvatore.
Lettura
Patristica
Sant’Agostina
d’Ippona
SUL
SALMO 137
…Adorerò
presso il tuo tempio
santo. Qual è questo tuo santo tempio? Quello in
cui abiteremo, in cui adoreremo. Alla sua adorazione tende infatti la
nostra corsa. Il nostro cuore è gravido, sul punto di partorire, e
cerca un posto per partorire. Orbene, quale sarà il luogo dove Dio
deve essere adorato? Qual è quel mondo o quell'edificio o quel trono
in cielo e fra le stelle? Lo cercheremo ricorrendo alle Sacre
Scritture, e la risposta sarà nelle parole della Sapienza, là dove
dice: Io ero con lui; io
ero colei di cui
egli si compiaceva
quotidianamente. Ci elenca poi le sue opere e ci
indica quale sia il trono di Dio. Qual è? Continua: Quando
formava grosse nubi in
alto, quando separava la
sua sede sopra i
venti. Ora sua sede è lo stesso che suo tempio. Dove
andremo dunque? Dovremo proprio adorarlo al di sopra dei venti? Se
Dio è da adorarsi al di sopra dei venti, in questo ci vincono gli
uccelli. Per " venti " si possono però intendere le anime,
cioè col nome " venti " si indicano le anime, come dice in
un passo la Scrittura: Ha volato sopra
le penne dei venti,
dov'è da intendersi che ha volato al di sopra delle risorse
dell'anima. In forza di questa ampiezza di significato diciamo che
l'anima è un soffio divino, una specie di vento: certo non dello
stesso genere del vento che sentiamo quando sbatacchia qua e là gli
oggetti ma indicando con tale nome una realtà invisibile, che cioè
non si riesce a vedere con gli occhi, né a udire con gli orecchi né
a sentire col naso, né a gustare con la gola, né a toccare con le
mani. Quel che infatti chiamiamo anima è una energia vitale che ci
fa vivere. Se prendiamo " i venti " in questo senso, non
occorre che supponiamo delle penne materiali, per volare a
somiglianza degli uccelli al tempio di Dio e là adorarlo. Ci
accorgeremo, viceversa, che, supposta naturalmente la nostra
intenzione di essere suoi fedeli, è su di noi stessi che Dio ha la
sua sede. Vedete se non sia proprio questo il senso delle parole
dell'Apostolo: È santo il
tempio di Dio, che
siete voi. Sicuramente (è cosa
evidente) Dio abita negli angeli. Da cui segue che, quando il nostro
godimento proviene non da beni materiali ma da realtà spirituali e
da esse trae motivo per innalzare il cantico a Dio salmodiando in
compagnia degli angeli, allora tempio di Dio è la stessa assemblea
degli angeli, e in quel tempio noi lo adoriamo. C'è una Chiesa di
quaggiù e una Chiesa di lassù. La Chiesa di quaggiù è l'insieme
dei fedeli, la Chiesa di lassù è l'insieme degli angeli. Alla
Chiesa di quaggiù scese il Signore degli angeli: colui che, mentre
si faceva nostro servo, veniva servito dagli angeli. Diceva: Non
son venuto per essere
servito ma per servire.
In che cosa si è reso nostro servo, se non donandoci quello che
anche oggi mangiamo e beviamo? Che se il Signore degli angeli s'è
fatto nostro servo, non disperiamo di diventare un giorno simili agli
angeli. Chi era più grande degli angeli discese a fianco dell'uomo;
il Creatore degli angeli assunse la natura dell'uomo e il Signore
degli angeli per l'uomo morì. Per tutto questo io adorerò
presso il tuo santo
tempio, e per tuo tempio
intenderò non un tempio eretto da mani di uomo ma quello stesso
tempio che tu stesso ti sei eretto.
E
confesserò al tuo nome,
nella tua misericordia e
nella tua verità. Per
queste due cose noi confessiamo. Così si legge anche nell'altro
salmo: Tutte le vie del
Signore sono misericordia e
verità. Per queste due cose noi confessiamo: Nella
tua misericordia e nella
tua verità. Per la misericordia
verso i peccatori volgesti a noi lo sguardo, per la verità ti
mantenesti fedele alle promesse. Ebbene, io confesserò a te per
la tua misericordia e
la tua verità. E
secondo questi due atteggiamenti io secondo le mie forze vorrò
comportarmi: userò misericordia e verità, misericordia nel
soccorrere, verità nel giudicare. Se con tali risorse Dio ci viene
in aiuto, con le stesse noi ci meritiamo Dio [in premio]. A buon
diritto quindi misericordia e verità
son tutte le vie
del Signore. Non ci sono altre vie per le
quali egli possa venire a noi; non ci sono altre vie per le quali noi
possiamo andare a lui.
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