venerdì 24 febbraio 2017

La provvidenza dell’Amore

VIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 26 febbraio 2017
Rito Romano

Rito Ambrosiano
Os 1,9a;2,7a.b-10; Sal 102; Rm 8,1-4; Lc 15,11-32
Ultima Domenica dopo l’Epifania
detta “del perdono”


1) Provvidenza non destino.
Nella prima Lettura della Messa di questa domenica risuona una frase che è – secondo me – è una delle più toccanti della Bibbia: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro se ne dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,15). A questa rassicurazione che ci dice che Dio è buono, che il suo amore misericordioso è eterno e che la sua fedeltà non ha fine, la Liturgia di oggi accosta una pagina, anche lei incantevole, del Vangelo, in cui Gesù esorta i suoi discepoli a confidare nella provvidenza del Padre. Il Figlio di Dio ci assicura che il Padre suo e nostro nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, e conosce ogni nostra necessità (cfr Mt 6,24-34). Quindi fraternamente ci dice: “Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno” (Id. 6, 31-32).
Se utilizziamo un modo di guardare semplicemente umano, vediamo la miseria di tanti, provocata da disastri naturali o da conflitti umani, da malattie o da ingiustizie, e queste parole di Cristo ci sembrano se non assurde almeno poco realistiche. Invece, il Vangelo ci offre le parole del Messia, che invita non al fatalismo ma a credere nella Provvidenza. Certo va capito che la fede nella Provvidenza non evita il faticoso lavoro per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani.
Il Redentore svela che la nostra vita, le nostre persone non sono sottoposte alla fortuna bendata, al destino o fato cieco e capriccioso, che – come gli antichi greci e romani pensavano - avanza come un imponente carro con sopra di esso gli dei, mentre trascina dietro di sé gli uomini a lui legati con catene. All’umanità non resta che camminare alla velocità imposta dal destino, se rallenta o si ribella il carro la trascina ineluttabilmente. Questo è il destino come l’uomo senza la fede cristiana lo immagina: un forza arbitraria alla quale non si può fare altro che adattarsi. Incarnandosi e svolgendo la sua missione redentiva, Cristo si manifesta come il volto buono del destino.
Già l’Antico Testamento rivelava che il Signore ha creato tutte le cose e che tutto ciò che succede accade nell’ordine della sapienza amorosa di Dio. All’uomo Dio hai dato la libertà, affinché agisca di sua propria volontà. Dio ha tessuto così l’esistenza nel disegno liberante del suo amore, perché in tutto splenda la sua giustizia e la sua bontà. tuttavia l’uomo si è sviato da te e ha mutato l’ordine del tuo amore nell’oscura immagine del destino.
Il Nuovo Testamento ci insegna che in Cristo, Figlio di Dio, il Padre svela il suo volto e comincia un’opera nuova. Egli ha vinto il destino e ci ha mostrato negli avvenimenti la sua provvidenza. Ora, per noi tutto deve essere una disposizione del suo amore. Questo ci è dato come consolazione, ma anche come compito. Il messaggio non è un permesso di lasciar scorrere le cose con indolenza o di chiudere gli occhi davanti alla loro gravità, ma è ammonimento a un santo agire. Il Regno di Dio deve essere per noi l’unica cosa necessaria, per questo il Vangelo di oggi ci chiede di non avere due padroni e di cercare il Regno dei Cieli prima e sopra ogni cosa.
I nostri pensieri e le nostre azioni devono tendere a che il Regno di Dio venga e la sua giustizia si compia. Allora noi possiamo essere certi che tutto, anche le cose più oscure, ci è stato dato perché ci salviamo. Qualsiasi esperienza ci rechi il destino, dobbiamo con fede elevarla nel quadro della provvidenza divina, con fiducia superare la nostra ignoranza e con amore collaborare all' opera del Padre. Per questo preghiamo: “Aiutami, o Signore, a illuminare la confusione delle cose con la chiarezza della fede e a trasformare nella forza della fiducia la difficoltà di tutto ciò che pesa su di me. E il tuo Santo Spirito possa testimoniare nel mio cuore che io sono veramente tuo figlio, e ho ragione quando accetto tutti gli avvenimenti della tua mano. Fa’ che nella certezza del tuo amore trovino risposta quelle domande a cui nessuna sapienza umana può rispondere. Che tu mi ami è risposta a ogni domanda — fa’ che io lo senta quando giunge l’ora della prova. Amen” (Romano Guardini).

2) Dio Creatore, Padre Provvidente.
Lungo tutta la storia umana, nel pensiero dei filosofi, nelle dottrine delle grandi religioni ed anche nella semplice riflessione dell’uomo della strada, l’umanità è sempre stata alla ricerca delle ragioni per comprendere, anzi per giustificare l’agire di Dio nel mondo.
Come risposta a questa ricerca la Chiesa offre la dottrina della divina Provvidenza. E’, quello della Chiesa, un insegnamento che non nasce da una sua invenzione, anche se ispirata da pensieri di umanità, ma dal fatto che Dio si è rivelato così: nella storia del suo popolo Dio ha manifestato che la sua azione creativa e il suo intervento di salvezza erano indissolubilmente uniti, facevano parte di un unico disegno progettato da sempre. Dunque, il primo – non solo in ordine cronologico – il più alto e profondo documento della Provvidenza di Dio è la Bibbia, nella sua globalità. Nella Sacra Scrittura ci è rivelato l’intervento di Dio sulla natura con la creazione e il suo ancor più stupendo intervento con la redenzione, che ci fa creature nuove in un mondo rinnovato dall’amore di Dio in Cristo.
Già l’Antico Testamento parla di Provvidenza divina nei capitoli sulla creazione e in quelli più specificamente attenti all’opera della salvezza: nella Genesi e nei Profeti, specialmente in Isaia, nei Salmi cosiddetti del creato, nei Libri Sapienzali, così attenti a ritrovare il segno di Dio nel mondo.
Poi il Nuovo Testamento ci rivela che il nostro Padre che è nei cieli è onnipotente ma, al tempo stesso, è infinitamente provvidente e misericordioso: il suo cuore è vicino alla nostra miseria. Quando Gesù ci parla della Divina provvidenza nel Vangelo, ci parla di un Padre amorevole, che con dedizione vede ogni dettaglio della nostra vita, anche il più piccolo: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!” (Mt 10,29-31).
A questo riguardo, pur dentro un annuncio di tenerezza e di sollecitudine, si potrebbe pensare che c’è un’antitesi tra Provvidenza divina e libertà dell’uomo. Al contrario, c’è un rapporto di comunione nell’amore ed anche la tradizione della Chiesa e la vita dei santi ce ne sono testimoni.
A conferma di ciò ritrascrivo la risposta che Santa Teresa di Calcutta diede a un giornalista che le chiedeva: “Madre, Lei pone sempre l’accento sulla Provvidenza divina. Viviamo in un mondo dove tutto è organizzato. Che cosa fare perché la fede nella Provvidenza trovi in noi maggiore spazio?”

 Madre Teresa rispose: “Se si guarda la natura, vi si vedono milioni di uccelli, milioni di fiori meravigliosi, milioni di splendidi alberi, e Dio si cura di loro con il sole, con la pioggia, con la primavera, con l'inverno ... Se promettiamo a Dio di dare tutto il nostro cuore ai più poveri tra i poveri, le cose cambieranno. Io e le mie suore non riceviamo stipendio dallo Stato, né aiuto dalla Chiesa, non riceviamo nulla dalla gente per il nostro lavoro. Eppure abbiamo migliaia e migliaia di ammalati, molti bambini adottati. Ancora, mai abbiamo dovuto dire ‘Non abbiamo o non possiamo di più’. L’amore di Dio ha messo in movimento una moltitudine che fa parte a noi di quello che ha. Ogni giorno diamo da mangiare a circa 300.000 persone in tutto il mondo. Mai abbiamo dovuto respingere qualcuno dicendo: ‘Non abbiamo!’ Questa è la Provvidenza di Dio, questo è il delicato amore di Dio”.

3) Provvidenza e le Vergini consacrate nel mondo
E’ chiaro che l’insegnamento cristiano sulla Provvidenza, pur rimanendo sempre vero e valido per tutti, è praticato in modi diversi a seconda delle diverse vocazioni. Le Missionarie della Carità (le Suore di Madre Teresa di Calcutta), per esempio –ma non è l’unico esempio perché molte altre persone religiose lo fanno – potranno seguirlo in maniera più radicale, mentre una madre di famiglia dovrà tener conto dei propri doveri verso il marito ed i figli. In ogni caso, però, il cristiano si distingue per l’assoluta fiducia nel Padre celeste, come è stato per Gesù. E’ proprio la relazione con Dio Padre che dà senso a tutta la vita di Cristo, alle sue parole, ai suoi gesti di salvezza, fino alla sua passione, morte e risurrezione. Gesù ci ha dimostrato che cosa significa vivere con i piedi ben piantati per terra, attenti alle concrete situazioni del prossimo, e al tempo stesso tenendo sempre il cuore in Cielo, immerso nella misericordia di Dio.
Vale anche per queste consacrate quello che già nel 1600 San Vincenzo de Paoli scriveva nelle regole per le “sue” Figlie della Carità: Il fine principale per il quale Dio ha chiamato e riunito le Figlie della Carità è per onorare Nostro Signore Gesù Cristo come la sorgente e il modello di ogni Carità ... Considereranno che non sono monache, non avendo per monastero se non le case dei malati e quella dove risiede la superiora, per cella una camera d’affitto, per cappella la chiesa parrocchiale, per chiostro le vie della città, per clausura l’obbedienza, non dovendo andare se non dai malati e nei luoghi necessari per il loro servizio, per grata il timor di Dio, per velo la santa modestia, e non facendo altra professione per assicurare la loro vocazione all’infuori di quella continua fiducia che hanno nella divina Provvidenza e dell’offerta di tutto quello che sono e di tutto quello che fanno per il servizio dei poveri...” . (Da Regole Comuni delle Compagnia delle Figlie della Carità I,1-2). Le vergini consacrate nel mondo con la loro vita personale e non in comunità sono chiamate a fa risplendere in loro stesse il volto di Cristo, rendendo visibile nel mondo la Sua presenza. Con il cuore donato a Cristo e libero da legami umani, le vergini consacrate prendono su di sé le ansie dei fratelli e servono il Cristo, loro Sposo soprattutto e nelle sue membra sofferenti. Che il Signore aiuti loro e noi a sapere vedere –nelle vicende umane di ogni giorno - la divina Provvidenza che è la ragione dell’ordine (Cfr. Summa Theologica, I, 22, 3 ss.; 103, 1 ss.; Sap. 14, 3; Prov. 8; etc.). La Provvidenza è il riflesso del pensiero di Dio nelle cose e nella storia; “è la razionalità, sapiente e buona, palese o recondita, di cui tutto è impregnato” (Paolo VI).



Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona
De civitate Dei, 10, 14

La fede nella Provvidenza

       Come la retta educazione dell’individuo così anche quella del genere umano, per quanto riguarda il popolo di Dio, progredì attraverso traguardi di tempi, in analogia allo sviluppo delle età, affinché si formasse dalle cose divenienti all’apprendimento delle cose eterne e dalle visibili a quello delle invisibili. Quindi anche in quel tempo in cui da Dio si promettevano ricompense visibili, si inculcava che si deve adorare un solo Dio. Così l’intelligenza umana, anche per quanto riguarda gli stessi beni terreni della vita che fugge, si doveva sottomettere soltanto al vero Creatore e Signore dell’anima. È irragionevole infatti chi nega che tutte le cose, che gli angeli e gli uomini possano concedere agli uomini, sono in potere di un solo Onnipotente. Il platonico Plotino ammette senza esitazione la provvidenza e dimostra dalla bellezza dei fiori e delle piante che essa dal sommo Dio, che ha bellezza ineffabilmente intelligibile, giunge fino alle cose più basse della terra. Dichiara che tutte queste cose spregevoli ed estremamente precarie possono avere i gradi convenienti delle proprie forme soltanto se le ricevono dall’essere in cui permane la forma intelligibile e non diveniente che ha in atto la totalità dell’essere. Gesù lo dichiara con le parole: "Osservate i gigli del campo, non lavorano e non tessono. Ma io vi dico che neanche Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così un’erba del campo che oggi è e domani si getta nel braciere, quanto più voi, uomini di poca fede?" (Mt 6,28-29). Giustamente quindi l’anima ancora legata ai terreni desideri si abitua ad attendere soltanto dall’unico Dio i beni infiniti della terra che desidera nel tempo, perché‚ indispensabili alla vita che fugge, ma spregevoli al confronto con i beni della vita eterna. Così, pur nel desiderio dei beni terreni, non si allontana dal culto a lui che deve raggiungere disprezzandoli e volgendosi in senso contrario ad essi.


Sant’Ambrogio di Milano
Hexamer. 3, 36


3. Considerate i gigli dei campi...

       Ma quale spettacolo è quello di un campo in pieno rigoglio, quale profumo, quale attrattiva, quale soddisfazione per i contadini! Come potremmo spiegarlo degnamente con le nostre parole? Ma abbiamo la testimonianza della Scrittura dalla quale vediamo paragonata la bellezza della campagna alla benedizione e alla grazia dei santi, quando Isacco dice: "L’odore di mio figlio è l’odore d’un campo rigoglioso" (Gn 27,27). Perché descrivere le viole dal cupo colore purpureo, i candidi gigli, le rose vermiglie, le campagne tinte ora di fiori color d’oro ora variopinti ora color giallo zafferano, nelle quali non sapresti se rechi maggior diletto il colore dei fiori o il loro profumo penetrante? Gli occhi si pascono di questa gradevole visione e intorno ampiamente si sparge il profumo che ci riempie del suo piacevole effluvio. Perciò giustamente il Signore dice: "E la bellezza del campo è con me (Ps 49,11). È con lui, perché ne è l’autore: quale altro artefice infatti avrebbe potuto esprimere una così grande bellezza nelle singole creature? "Considerate i gigli del campo" (Mt 6,28), quale sia il candore dei loro petali, come questi, l’uno stretto all’altro, si rizzino dal basso verso l’alto in modo da riprodurre la forma d’un calice, come nell’interno di questo risplenda quasi un bagliore d’oro che, difeso tutt’intorno dalla protezione dei petali, non è esposto ad alcuna offesa. Se si cogliesse questo fiore e si sfogliassero i suoi petali, quale mano di artista sarebbe così abile da ridargli la forma del giglio? Nessuno saprebbe imitare la natura con tanta perfezione da presumere di ricostituire questo fiore, cui il Signore diede un riconoscimento così eccezionale da dire: "Nemmeno Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di questi" (Mt 6,29). Un sovrano ricchissimo e sapientissimo è giudicato da meno della bellezza di questo fiore.


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