I
Domenica di Quaresima – Anno A – 5 marzo 2017
Rito
Romano
Gen
2,7-9; 3,1-7; Sal 50; Rm 5,12-19; Mt 4,1-11
Rito
Ambrosiano
Is
58, 4b-12b; Sal 102; 2Cor 5, 18-6,2; Mt 4, 1-11
Premessa:
All’inizio
della Quaresima il Sacerdote impone le Ceneri a quanti si recano alla
Messa. Questo rito delle Ceneri messe sul capo o sulla fronte dei
fedeli ha un triplice significato. Il primo ricorda la fragilità e
debolezza dell’uomo, plasmato dalla polvere del suolo. Il secondo
indica che la cenere sulla fronte o sul capo del cristiano è anche
il segno esterno di chi si pente del proprio agire cattivo e decide
di compiere un rinnovato cammino verso il Signore. Il terzo indica
che la nostra povera persona è il frutto di un Incontro
cocente. Il cristiano è colui che, passato nel fuoco ardente
dell’Amore del Salvatore, è sì cenere, ma è una cenere che
purifica e feconda il mondo, una cenere che sprigiona il calore del
Creatore.
La
Quaresima, dunque, non è soltanto dolore per i propri peccati, non è
solo sforzo ascetico per affinare le facoltà dell’anima, ma è la
rinnovata scoperta che “gratuitamente abbiamo ricevuto e
gratuitamente doniamo”.
“La
Quaresima ci aiuta in modo singolare a capire che la vita è redenta
in Cristo. Per mezzo dello Spirito Santo, Gesù rinnova la nostra
vita e ci rende partecipi di quella stessa vita divina che ci
introduce nell’intimità di Dio e ci fa sperimentare il suo amore
per noi” (San Giovanni Paolo II).
La
Quaresima è una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua
di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte.
La
Quaresima è anche “tempo di misericordia che ci rivolge un forte
invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio
‘con tutto il cuore’ (Gl 2,12), per non accontentarsi di una vita
mediocre, ma crescere nell’amicizia con il Signore. Gesù è
l’amico fedele che non ci abbandona mai, perché, anche quando
pecchiamo, attende con pazienza il nostro ritorno a Lui e, con questa
attesa, manifesta la sua volontà di perdono” (Papa Francesco,
Messaggio per la Quaresima 2017).
1)
Dalla misericordia alla misericordia.
E’
importante ricordare che la perfezione del nostro essere cristiani
non si compie se diciamo “abbiamo abbandonato tutto”, ma se
diciamo a Cristo: “Abbiamo abbandonato tutto e abbiamo seguito Te”.
La Chiesa ci educa a questa sequela facendoci passare ogni anno
attraverso il Mercoledì delle Ceneri, la Quaresima e la Settimana
Santa. In questo cammino i nostro cuori sono purificati e così la
gioia di Pasqua appare non a persone accecate dalle incrostazioni del
peccato ma a persone aperte a Lui, nostra vita, che possiamo vedere
perché “i puri di cuore vedono Dio” (Mt 5,8).
Gli
antichi ebrei uscirono dalla schiavitù dell’Egitto e impiegarono
quarant’anni per arrivare alla Terra Promessa, noi –ogni anno-
progrediamo nel cammino quaresimale, perché il vincere noi stessi
consista nel lasciare l’Egitto del nostro peccato per vivere
unicamente nell’amore di Cristo e per Cristo. Aiutati dal digiuno,
dalla preghiera e dall’elemosina durante la Quaresima facciamo
particolare esperienza della misericordia divina che “cancella,
lava e monda” (Sal 50, 3-4) noi peccatori e ci trasforma in
nuova creatura che ha spirito, lingua, labbra e cuore trasfigurati
(cfr. Id vv 14-19). E’ con cuore puro come quello dei
bambini che nel tempo di Pasqua potremo capire e vivere l’antifona
all’introito della Domenica della Misericordia: “Come bambini
neonati, siate ragionevoli, bramate il latte spirituale che fa cresce
verso la salvezza”. In questa domenica, che era prima chiamata
domenica in Albis1,
è ora chiamata domenica della Misericordia2.
Questo decise San Giovanni Paolo II ispirandosi a Santa Faustina
Kowalska, che scrisse: “Anche se i nostri peccati fossero neri come
la notte, la misericordia divina è più forte della nostra miseria.
Occorre una cosa sola: che il peccato socchiuda almeno un poco la
porta del proprio cuore… il resto lo farà Dio … Ogni cosa ha
inizio nella misericordia di Dio e nella Sua misericordia finisce”.
1)
La Quaresima: tempo di misericordia e cammino di conversione.
La
Quaresima è lo speciale Tempo di misericordia che dura quaranta
giorni e la Chiesa ci chiede di vivere come cammino spirituale di
conversione per prepararci bene alla Pasqua. Si tratta in sostanza di
seguire Gesù che si dirige decisamente verso la Croce, culmine della
sua missione di salvezza e chiave che apre alla Risurrezione.
La
Quaresima è strada di misericordia ricevuta e condivisa, non solo
perché si fanno le opere consigliate per questo periodo: preghiera,
digiuno e elemosina, ma perché con queste opere ci radichiamo in Dio
convertendoci a Lui con un cuore contrito e un corpo mortificato. In
effetti, se è vero che è il cuore di pietra dell’uomo a volere il
male, è altrettanto vero che spesso il corpo l’aiuta a
commetterlo. D’altra parte, noi esseri umani siamo composti
dell’uno e dell'altro, e dobbiamo unire entrambi nell’omaggio che
rendiamo a Dio. Il corpo avrà parte o alle gioie dell'eternità o ai
tormenti dell'inferno. Non c'è, dunque, vita cristiana completa, e
neppure valida espiazione, se nell'una e nell'altra il corpo non si
associa all’anima.
Naturalmente
va ricordato che il principio della vera penitenza sta nel cuore. Il
Vangelo ci insegna ciò parlandoci del figliuol prodigo, della
peccatrice, di Zaccheo il pubblicano e di san Pietro. Perciò bisogna
che il cuore abbandoni per sempre il peccato, che se ne abbia un
profondo dolore, che lo detesti e ne fugga le occasioni.
Per
indicare questa disposizione del cuore la Bibbia usa una parola che è
entrata nel linguaggio cristiano e che descrive molto bene lo stato
della persona umana a sinceramente pentita per i suoi peccati: è la
Conversione. Durante la Quaresima, siamo invitati ad
esercitarci nella penitenza del cuore e considerarla come il
fondamento essenziale di tutti gli atti caratteristici di questo
santo tempo. Ma sarebbe sempre una conversione illusoria, se non
aggiungesse l’omaggio del corpo ai sentimenti interni ch'essa
ispira. Il Salvatore, sulla montagna non si accontenta di piangere
sui nostri peccati: li espia con la sofferenza del proprio corpo; e
la Chiesa, ch’è la sua infallibile interprete, ci ammonisce che
non sarà accolta la penitenza del nostro cuore, se non l’uniremo
all’esatta osservanza dell’astinenza e del digiuno.
2)
Quaresima: pellegrinaggio verso e con Cristo, fonte di misericordia.
La
Quaresima è il tempo privilegiato, con il quale la Chiesa ci conduce
verso Colui che è la fonte della misericordia. E’ un
pellegrinaggio in cui Lui stesso ci accompagna attraverso il deserto
della nostra povertà, sostenendoci nel cammino verso la gioia viva
della Pasqua. Ma questo cammino non è esente da prove, ed è per
questo che la Liturgia della Prima Domenica di
Quaresima ci fa meditare sulle tentazioni affrontate da Cristo
nel deserto.
Come
Mosè, come il popolo di Israele, anche Gesù trascorre un periodo
nel deserto, per provare la sua fedeltà, per dare solide basi alla
propria azione.
Ma
mentre il popolo di Israele nel deserto non ha saputo resistere alla
fatica e alla tentazione e più volte ha mancato di fedeltà a Dio,
Gesù supera le tre tentazioni: quella del pane (Come
parlare di Dio a chi ha abbondanza di tutto? Come parlare di Dio a
chi sente la fame?), quella del prestigio (prestigio della
scienza, del denaro, della condotta morale irreprensibile, della
bella figura, del nome, dell’onore), quella del potere (là
dove due persone si incontrano, sorge una relazione di potere).
Sono
prove mascherate da una promessa che vuole staccare il Figlio dal
Padre. Tre volte il diavolo dice a Gesù “Se sei figlio di Dio,
fai…” e per tre volte Lui risponde: “Mio Padre”. Fedele
all’amore del Padre Cristo resiste alle tre forme di un’unica
tentazione quella di una vita costruita autonomamente come quella del
primo Adamo (“Diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male
...”) per una vita di confidenza e obbedienza a Dio, quella del
secondo Adamo. Gesù qui dice: “Adora il Signore e a lui solo rendi
culto”, e al Getsemani dirà: “Non la mia ma la tua volontà sia
fatta” (Lc 22,42).
Imitiamo
Gesù in questo amore al Padre e allora questo cammino diventerà un
percorso di sequela a Lui, il Redentore. In questa sequela ci è di
aiuto l’esempio di alcuni personaggi del Vangelo che San Gregorio
di Nazianzo descrive così:
“Se
sei Simone di Cirene, prendi la croce e segui Cristo.
Se
sei il ladro e se sarai appeso alla croce, se cioè sarai punito,
fai
come il buon ladrone e riconosci onestamente Dio, che ti
aspettava alla prova.
Egli fu annoverato tra i malfattori per te e
per il tuo peccato,
e tu diventa giusto per lui.
Se
sei Giuseppe d’Arimatea, richiedi il corpo a colui che lo ha
crocifisso,
assumi cioè quel corpo e rendi tua propria, così,
l’espiazione del mondo.
Se
sei Nicodemo, il notturno adoratore di Dio,
seppellisci il suo
corpo e ungilo con gli unguenti di rito,
cioè circondalo del tuo
culto e della tua adorazione.
E
se tu sei una delle Marie, spargi al mattino le tue lacrime.
Fa’
di vedere per prima la pietra rovesciata,
vai incontro agli
angeli, anzi allo stesso Gesù.
Ecco che cosa significa
rendersi partecipi della Pasqua di Cristo, vivendo bene la
Quaresima”.
Volendo
continuare questo elenco con persone non presenti nel Vangelo, ma che
vivono evangelicamente, mi permetto di aggiungere: “Se sei vergine
consacrata, sii come una delle vergini prudenti che attendevano lo
Sposo con abbondanza di olio (che indica fedeltà e perseveranza),
perché la lampada dell’amore non si spegnesse”. La vergine che
si consacra al Redentore si mette con definitività sul cammino di
conversione, cioè la costante unione con Cristo Sposo. Con la
consacrazione l’appartenenza a Cristo, che era iniziata con il
Battesimo, assume una fisionomia di assolutezza, di amore indiviso,
perché il cuore della consacrata è ormai incapace di essere
soddisfatto da qualsiasi altro amore. Cristo è il vero tesoro,
nascosto, la perla preziosa per avere la quale chi l’ha trovata
vende tutti i suoi averi e la compera (cfr. Mt 13, 44- 46). A Dio che
le dice: “Non temere, perché ti ho riscattata, ti ho chiamata per
nome: tu mi appartieni” (cfr Is 43, 1), la vergine consacrata dice:
“Eccomi” e la sua vita diventa feconda come quella della Vergine
Maria, Madre di Cristo e di tutta l’umanità.
1 Il nome di Domenica in Albis (sottinteso deponendis, nel Rito Ambrosiano è chiamata Domenica in Albis Depositis , letteralmente: “domenica in cui le vesti bianche vengono deposte”) è legato al rito del Battesimo: in esso i nuovi battezzati ricevono e indossano una veste bianca, segno della vita divina appena ricevuta; gli adulti battezzati nella solenne Veglia Pasquale la indossano poi per tutta la settimana dell'Ottava di Pasqua, fino alla domenica successiva, detta perciò domenica in cui si depongono le bianche vesti.
2 Questa domenica è stata proclamata Festa della Divina Misericordia da papa San Giovanni Paolo II nel 2000. Il culto della Divina Misericordia è legato alla figura di Santa Faustina Kowalska, la mistica polacca canonizzata nel nell'Anno Santo del 2000, e di cui Giovanni Paolo II è stato molto devoto, come testimonia la sua Enciclica Dives in Misericordia, scritta nel 1980 e dedicata appunto alla Divina misericordia.
Prima
della Lettura Patristica propongo questa preghiera per la Quaresima
Rendimi,
o Signore Dio mio,
obbediente senza ribellione,
povero senza
avvilimenti,
casto senza decadimento,
paziente senza
mormorazione,
umile senza finzione,
allegro senza ilarità,
maturo senza pesantezza,
agile senza leggerezza,
timoroso di
Te senza disperazione,
veritiero senza doppiezza,
operatore di
bene senza presunzione,
capace di correggere il prossimo senza
asprezza
e di edificarlo con la parola e con l’esempio,
senza
ipocrisia.
(San
Tommaso d’Aquino)
Lettura
patristica
San
Gregorio Magno (540 - 604)
Hom.
16, 1-6
Le
tentazioni del Redentore
Non
era indegno del nostro Redentore il voler essere tentato, lui che
;era venuto per essere ucciso. Era anzi giusto che vincesse le nostre
tentazioni con le sue tentazioni, dato che era venuto a vincere la
nostra morte con la sua morte. Ma dobbiamo sapere che la tentazione
passa per tre stadi: la suggestione, la dilettazione e il consenso.
Noi, quando siamo tentati, cadiamo per lo più nella dilettazione o
addirittura nel consenso, perché siamo nati da una carne di peccato
e portiamo in noi stessi ciò che ci muove tante battaglie. Ma Dio,
che s’incarnò nel grembo della Vergine, venne nel mondo senza
peccato e non provò in sè alcuna contraddizione. Egli poté dunque
essere tentato per suggestione, ma l’anima sua non provò la
compiacenza del peccato. Pertanto tutta quella tentazione diabolica
fu all’esterno, non all’interno.
Ma
se guardiamo l’ordine secondo cui fu tentato, capiremo quanto bene
noi siamo stati liberati dalla tentazione. L’antico avversario si
rivolse contro il primo Adamo, nostro padre, con tre tentazioni,
poiché lo tentò di gola, di vanagloria e di avarizia; ma tentandolo
lo vinse, perché lo sottomise a sé mediante il consenso. Lo tentò
di gola quando gli mostrò il frutto dell’albero proibito, perché
ne mangiasse. Lo tentò poi di vanagloria quando disse: "Sarete
simili a Dio"
(Gn
3,5).
Lo tentò di avarizia quando disse: "Conoscerete
il bene e il male".
L’avarizia infatti non riguarda soltanto il denaro, ma anche gli
onori. Giustamente si dice avarizia il desiderio smodato di stare in
alto. Se il carpire onori non appartenesse all’avarizia, Paolo non
direbbe, riguardo al Figlio unigenito di Dio: "Non
stimò una rapina la sua uguaglianza con Dio"
(Ph
2,6).
In ciò poi il diavolo attrasse il nostro padre alla superbia, poiché
lo spinse a quel tipo di avarizia che è il desiderio di eccellere.
Ma
con quegli stessi mezzi coi quali abbattè il primo Adamo, fu vinto
dal secondo Adamo da lui tentato. [Il diavolo] lo tenta infatti nella
gola quando dice: "Comanda che queste pietre diventino pane".
Lo tenta di vanagloria quando dice: Se tu sei figlio di Dio,
gettati di sotto. Lo tenta con l’avarizia degli onori quando
mostra tutti i regni del mondo, dicendo: "Tutto io ti darò,
se ti prostri e mi adori". Ma è vinto dal secondo Adamo
proprio con quei mezzi coi quali si vantava di aver vinto il primo,
così da uscire dai nostri cuori, scornato, passando per quella
stessa strada per la quale si era introdotto, per dominarci. Ma c’è
un’altra cosa, fratelli carissimi, che dobbiamo considerare in
questa tentazione del Signore; tentato dal diavolo, il Signore
risponde con i precetti della Sacra Scrittura, e colui che, essendo
quella Parola, poteva cacciare il tentatore nell’abisso, non mostrò
la virtù della sua potenza ma soltanto ripeté i divini comandi
della Scrittura, per darci così l’esempio della sua pazienza; di
modo che, tutte le volte che soffriamo a causa di uomini malvagi,
siamo portati a rispondere con la dottrina piuttosto che con la
vendetta. Pensate quanto è grande la pazienza di Dio e quanto è
grande la nostra impazienza! Noi, se siamo provocati con qualche
ingiuria o con qualche offesa, ci infuriamo e ci vendichiamo quanto
possiamo, o minacciamo ciò che non possiamo fare. Invece il Signore
sperimentò l’avversità del diavolo e non gli rispose se non con
parole di mitezza. Sopportò colui che poteva punire, affinché gli
tornasse a maggior gloria il fatto di aver vinto il nemico non
annientandolo, ma bensì sopportandolo.
Bisogna
fare attenzione a quello che segue, che cioè gli angeli lo servivano
dopo che il diavolo se ne fu andato. Cos’altro si ricava da ciò se
non la duplice natura nell’unità della persona? È un uomo,
infatti, colui che il diavolo tenta, ma è anche Dio colui che è
servito dagli angeli. Riconosciamo dunque in lui la nostra natura, in
quanto se il diavolo non l’avesse conosciuto uomo, non l’avrebbe
tentato, adoriamo in lui la divinità, in quanto se non fosse Dio che
è al di sopra di tutte le cose, gli angeli non lo servirebbero.
Ma
poiché questa lettura si adatta al presente periodo - infatti, noi
che iniziamo il tempo quaresimale, abbiamo udito che la penitenza del
nostro Redentore è durata quaranta giorni -, dobbiamo cercar di
capire perché questa penitenza è osservata per quaranta giorni...
Mentre l’anno è composto di trecentosessantacinque giorni, noi
facciamo penitenza per trentasei giorni, come se dessimo a Dio la
decima sul nostro anno, affinché, dopo aver vissuto per noi stessi
il resto dell’anno, ci mortifichiamo nell’astinenza in onore del
nostro Creatore per la decima parte dell’anno stesso. Perciò,
fratelli carissimi, come nella Legge ci è imposto di offrire le
decime di tutte le cose (cf. Lv
27,30s),
così dovete cercare di offrire a lui anche la decima dei vostri
giorni. Ognuno, secondo quanto gli è possibile, maceri la sua carne
e ne affligga le brame, ne uccida le concupiscenze disoneste,
affinché, secondo la parola di Paolo, divenga una vittima viva (Rm
12,1).
Certo la vittima è immolata ed è viva, quando l’uomo non muore e
tuttavia uccide se stesso nei desideri carnali. La nostra carne,
soddisfatta, ci portò al peccato; mortificata, ci conduca al
perdono. Colui che fu autore della nostra morte trasgredì i precetti
della vita mediante il frutto dell’albero proibito. Noi dunque, che
ci siamo allontanati dalle gioie del paradiso per colpa del cibo,
procuriamo di tornare ad esse grazie all’astinenza.
Ma
nessuno creda che l’astinenza da sola possa bastargli dal momento
che il Signore dice per bocca del Profeta: "Non
è forse maggiore di questo il digiuno che bramo?",
aggiungendo: "Dividi
il pane con l’affamato, e introduci in casa tua i miseri, senza
tetto; quando vedrai uno nudo, soccorrilo, e non disprezzare la tua
carne"
(Is
58,6
Is
58,7).
Dio dunque gradisce quel digiuno che una mano piena di elemosine
presenta ai suoi occhi, quel digiuno che si congiunge all’amore del
prossimo ed è ornato dalla pietà. Ciò che togli a te stesso, dallo
a un altro, affinché cio di cui si affligge la tua carne serva di
ristoro alla carne del povero. Così infatti dice il Signore per
bocca del Profeta: "Quando
avete fatto digiuni e lamenti, forse avete digiunato per me? E quando
avete mangiato e bevuto, forse non avete mangiato bevuto per voi
stessi?"
(Za
7,5-6).
Infatti mangia e beve per sé chi prende i cibi del corpo, i quali
sono donati a tutti dal Creatore, senza parteciparli ai bisognosi. E
digiuna per sé chi non distribuisce ai poveri quelle cose di cui si
è privato temporaneamente, ma anzi le serba per darle al suo ventre
in altra occasione. Perciò è detto per bocca di Gioele:
"Santificate
il digiuno"
(Jl
1,14
Jl
2,15).
Santificare il digiuno significa offrire un’astinenza dalle carni
degna di Dio, dopo aver aggiunto altri doni. Cessi l’ira, si
plachino i litigi. Invano la carne è afflitta, se l’animo non si
frena nei suoi malvagi desideri, come dice il Signore per bocca del
Profeta: "Ecco,
nel giorno del vostro digiuno si trova la vostra volontà. Ecco, voi
digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui, e
ricercate tutti i vostri debitori"
(Is
58,3).
Né commette ingiustizia chi richiede dal suo debitore quanto gli
aveva prestato; è bene tuttavia che quando uno si macera nella
penitenza, si astenga anche da ciò che gli spetta con giustizia.
Così Dio perdona a noi, afflitti e penitenti, ciò che abbiamo fatto
di male, se per amor suo rinunciamo anche a ciò che giustamente
potremmo esigere.
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