IV
Domenica di Quaresima - LAETARE – Anno A – 26 marzo 2017
Rito
Romano
Sam
16,1.4.6-7.10-13; Sal 22; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41
Rito
Ambrosiano
Es
34,27-35,1; Sal 35; 2Cor 3,7-18; Gv 9,1-38b
Domenica
del cieco
1)
Luce per gli occhi dell’anima.
Mentre
domenica scorsa, attraverso il Vangelo della Samaritana Gesù ha
promesso anche a noi il dono dell’acqua viva (Gv 4, 10.11) in
questa IV domenica di Quaresima, chiamata anche “Laetare” (=
Gioite), ci presenta Cristo “luce del mondo”, che guarisce un
“cieco nato” (cfr Gv 9,1-41) .
Chi
è un cieco nato? E’ una persona che non sa cosa sia la bellezza
del creato e delle creature. E’ uno che vive senza potere o sapere
dare un volto alle persone che gli sono accanto. E’ uno che vive
senza vedere l’arcobaleno del cielo, i colori dei campi,
l’imponenza delle montagna, la dolcezza dei campi, i colori dei
fiori e degli alberi.
Questo
cieco è, soprattutto, uno che non conosce la gioia di poter fissare
negli occhi con amore una persona cara. E’ una grande tristezza
avere gli occhi e non vedere, affidandosi solo a quanto l’orecchio
e il tatto fanno percepire, ed ad essere costretti a camminare per le
vie con un bastone tra le mani, indovinando gli ostacoli senza sapere
dove siano.
Tuttavia
vi è una cecità molto peggiore, nell'uomo che non ha fede, che non
conosce Gesù, che è la sola Verità che illumina il mondo, che dà
senso ai fatti, spazio all'intelligenza, profondità all'amore, gusto
a tutto ciò che siamo e facciamo, affetti compresi. Costui davvero è
cieco: che ne sa della Luce, o meglio con quale luce cammina, giudica
cose e fatti?
Provvidenzialmente,
Cristo gli sana gli occhi del corpo e quelli dell’anima, con il
tocco delle sue dita. Fatto questo che ci fa ricordare anche quanto
accadde a noi il giorno del nostro battesimo, quando i nostri occhi
furono stati accarezzati e benedetti dal sacerdote, perché si
schiudessero alla Luce, che è Cristo. Questa luce di Cristo ci è
data per vivere da figli della luce, dopo avere avuto guariti gli
occhi del cuore, che “malati” rendevano cieca l’anima.
Immaginiamoci
la scena, soprattutto quando Gesù prende un po’ di terra e la
mischia con la sua saliva. Ne fa del fango e lo spalma sugli occhi
del cieco. Questo gesto allude alla creazione dell’uomo, che la
Bibbia racconta con il simbolo della terra plasmata e animata dal
soffio di Dio (cfr Gn 2,7). “Adamo” infatti significa “terrestre,
impastato di terra” (Adamo deriva dalla parola ebraica adamah che
vuol dire terra), e il corpo umano in effetti è composto di elementi
della terra. Guarendo l’uomo, Gesù opera una nuova creazione. Dare
la vista, in certo senso, equivale dare la vita. Non a caso si dice
che un donna dà alla luce un bambino. Venire alla luce è godere dei
colori del mondo, della libertà di muoversi senza paura, di correre
nella luce e saltare di gioia. Tuttavia il significato più profondo
di questo miracolo della luce è che non solo gli occhi del corpo
possono vedere, ma anche quelli dell’anima e così si può guardare
nella profondità del mistero di Cristo, vedere la sua verità ed il
suo amore ed esclamare: “Io credo, Signore” (Gv 9, 38),
prostrandoci davanti a Lui, in un gesto che è adorazione, come ha
fatto il cieco nato appena fu guarito. Da quel momento per quell’uomo
ebbe inizio un cammino di fede.
2)
Cammino nella luce.
Il
cammino a cui Gesù invitò il miracolato oggi ci è riproposto dalla
Chiesa.
E’
un cammino di crescita nella conoscenza del Mistero di Cristo, e
nell’esperienza di Lui, che è luce, e ci conduce alla pienezza
della visione, anche, in mezzo agli ostacoli e alle zone d’ombra
della vita.
Per
questo miracolato anonimo – che, quindi, rappresenta ciascuno di
noi - la grazia più grande che riceve da Cristo non è tanto quella
di vedere, quanto quella di conoscere Lui, vederLo come “la luce
del mondo” (Gv 9,5). Il miracolo è che Cristo non fa vedere
solo la luce del sole, ma anche quella della verità.
Nel
miracolo del cieco nato vediamo che la conversione è un lasciarsi
aprire gli occhi su una realtà com’è davvero: in Dio e non come
la vediamo quando guardiamo con occhi non di fede.
Quindi,
facciamo nostro l’invito di San Bonaventura per un cammino della
mente verso Dio: “Apri dunque gli occhi, tendi l’orecchio
spirituale, apri le tue labbra e disponi il tuo cuore, perché tu
possa in tutte le creature vedere, ascoltare, lodare, amare,
venerare, glorificare, onorare il tuo Dio” (Itinerarium mentis
in Deum, I, 15).
E’
un cammino, che possiamo compiere seguendo l’esortazione di San
Paolo “Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel
Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; e il frutto
della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò
che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose
delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, poiché di
quanto viene fatto da costoro, in segreto, è vergognoso perfino
parlare. Tutte queste cose, che vengono apertamente condannate sono
rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce.
Per questo sta scritto: ‘Svegliati, o tu che dormi, destati dai
morti e Cristo ti illuminerà’”. (Ef 5, 8 14 - II lettura
di questa Domenica).
E’ un cammino in cui siamo chiamati ad essere testimoni della luce
e dell’amore che nasce dalla fede. “La fede ci mostra il Dio che
ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittoriosa
certezza che è proprio vero: Dio è amore! In questo modo essa
trasforma la nostra impazienza e i nostri dubbi nella sicura speranza
che Dio tiene il mondo nelle sue mani e che nonostante ogni oscurità
Egli vince. […] La fede… suscita a sua volta l’amore. Esso è
la luce – in fondo l’unica – che rischiara sempre di nuovo un
mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire. L’amore è
possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad
immagine di Dio” (Benedetto XVI, Deus caritas est, n.39).
Vivere
l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco
ciò a cui vorrei invitare tutti e ciascuno di noi.
Come
insegna Papa Francesco: “La nostra vita - a volte - è simile a
quella del cieco che si è aperto alla luce, a Dio e alla sua grazia.
A volte purtroppo è un po’ come quella dei dottori della legge,
dei farisei, che sprofondarono sempre più nella cecità interiore:
dall’alto del nostro orgoglio giudichiamo gli altri, e perfino il
Signore... Nell’episodio evangelico dell’uomo cieco dalla
nascita, al quale Gesù dona la vista: alla fine, mentre i “presunti
vedenti” continuano a rimanere ciechi, il cieco guarito approda
alla fede ed è questa la grazia più grande che gli viene fatta da
Cristo: conoscere Lui, che è la luce del mondo” (Angelus, del 18
marzo 2016).
3)
Verginità per la Luce.
Il
cieco nato andò - a occhi chiusi ma con una buona ragione: il
comando di Cristo – alla piscina di Siloe per lavarsi gli occhi
impastati di fango. Quando gli occhi furono tersi, vide, credette e
annunciò. La guarigione fu corporale e spirituale. Per questo vide
non solo persone e cose, ma la verità di Dio e dell’uomo. Vide che
Dio è per l’uomo, che Dio è amore, che Dio dona tutto, che Dio
dona se stesso, che Dio dona la libertà che la libertà è l’amore
e il servizio.
Questo
miracolo ci invita a chiedere al Signore di guarire gli occhi della
nostra anima, quindi di convertirci verso di Lui, per contemplarLo e
seguirLo.
Le
vergini consacrate nel mondo sono un esempio di questa conversione
resa costante cammino mediante la consacrazione, che implica
un’offerta piena della propria vita a Cristo. Dio “continuamente
le purifica e rinnova, per farle comparire davanti a sé immacolate
e sante, come spose adorne per le nozze. Nel mistero di questa
Chiesa, vergine e madre, per mezzo del tuo Spirito susciti la varietà
dei doni e dei carismi per l’edificazione del tuo regno. Sei tu che
parli, o Padre, al cuore delle tue figlie e le attiri con vincoli di
amore perché nell’attesa ardente e vigilante alimentino le loro
lampade e vadano incontro a Cristo, re della gloria” (Prefazio
della Messa del Rito di consacrazione delle Vergini).
Lettura
Patristica
Sant’Efrem,
il Siro (306 – 373)
Diatessaron,
16, 28-32
Il
cieco nato
E
perché essi avevano bestemmiato a proposito delle sue parole: "Prima
che Abramo fosse, io ero"
(Jn
8,58),
Gesù andò verso l’incontro con un uomo, cieco fin dalla nascita:
"E
i suoi discepoli lo interrogarono: Chi ha peccato, lui o i suoi
genitori? Egli disse loro: Né lui, né i suoi genitori, ma è perché
Dio sia glorificato. È necessario che io compia le opere di colui
che mi ha mandato, finché è giorno"
(Jn
9,2-4),
fintanto che sono con voi. "Sopraggiunge
la notte"
(Jn
9,4),
e il Figlio sarà esaltato, e voi che siete la luce del mondo,
scomparirete e non vi saranno più miracoli a causa dell’incredulità.
"Ciò
dicendo, sputò per terra, formò del fango con la saliva, e fece
degli occhi con il suo fango"
(Jn
9,6),
e la luce scaturí dalla terra, come al principio, quando l’ombra
del cielo, "la
tenebra, era estesa su tutto"
ed egli comandò alla luce e quella nacque dalle tenebre (Gn
1,2-3).
Così «egli formò del fango con la saliva», e guarì il difetto
che esisteva dalla nascita, per mostrare che lui, la cui mano
completava ciò che mancava alla natura, era proprio colui la cui
mano aveva modellato la creazione al principio. E siccome rifiutavano
di crederlo anteriore ad Abramo, egli provò loro con quest’opera
che era il Figlio di colui che, con la sua mano, "formò"
il primo "Adamo
con la terra"
(Gn
2,7):
in effetti, egli guarì la tara del cieco con i gesti del proprio
corpo.
Fece
ciò inoltre per confondere coloro che dicono che l’uomo è fatto
di quattro elementi, poiché rifece le membra carenti con terra e
saliva, fece ciò a utilità di coloro che cercavano i miracoli per
credere: "I
Giudei cercano i miracoli"
(1Co
1,22).
Non fu la piscina di Siloe che aprì gli occhi del cieco (Jn
9,7
Jn
11),
come non furono le acque del Giordano che purificarono Naaman; è il
comando del Signore che compie tutto. Ben più, non è l’acqua del
nostro Battesimo, ma i nomi che si pronunciano su di essa, che ci
purificano. "Unse
i suoi occhi con il fango"
(Jn
9,6),
perché i Giudei ripulissero l’accecamento del loro cuore. Quando
il cieco se ne andò tra la folla e chiese: «Dov’è Siloe?», si
vide il fango cosparso sui suoi occhi. Le persone lo interrogarono,
egli le informò, ed esse lo seguirono, per vedere se i suoi occhi si
fossero aperti.
Coloro
che vedevano la luce materiale erano guidati da un cieco che vedeva
la luce dello spirito, e, nella sua notte, il cieco era guidato da
coloro che vedevano esteriormente, ma che erano spiritualmente
ciechi. Il cieco lavò il fango dai suoi occhi, e vide se stesso; gli
altri lavarono la cecità del loro cuore ed esaminarono sé stessi.
Nostro Signore apriva segretamente gli occhi di molti altri ciechi.
Quel cieco fu una bella e inattesa fortuna per Nostro Signore; per
suo tramite, acquistò numerosi ciechi, che egli guarì dalla cecità
del cuore.
In
quelle poche parole del Signore si celavano mirabili tesori, e, in
quella guarigione era delineato un simbolo: Gesù figlio del
Creatore. "Va’,
lavati il viso"
(Jn
9,7),
per evitare che qualcuno consideri quella guarigione più come un
stratagemma che come un miracolo, egli lo mandò a lavarsi. Disse ciò
per mostrare che il cieco non dubitava del potere di guarigione del
Signore, e perché, camminando e parlando, pubblicizzasse l’evento
e mostrasse la sua fede.
La
saliva del Signore servì da chiave agli occhi chiusi, e guarì
l’occhio e la pupilla con le acque, con le acque formò il fango e
riparò il difetto. Agì così, affinché, allorché gli avrebbero
sputato in faccia, gli occhi dei ciechi, aperti dalla sua saliva,
avessero reso testimonianza contro di essi. Ma essi non compresero il
rimprovero che egli volle fare a proposito degli occhi guariti dei
ciechi: "Perché
coloro che vedono diventino ciechi"
(Mt
26,27);
diceva questo dei ciechi perché lo vedano corporalmente, e di quelli
che vedono perché i loro cuori non lo conoscano. Egli ha formato il
fango durante il sabato (Jn
9,14).
Omisero il fatto della guarigione e gli rimproverarono di aver
formato del fango. Lo stesso dissero a colui "che
era malato da trentotto anni: Chi ti ha detto di portare il tuo
lettuccio?"
(Jn
5,5
Jn
12),
e non: Chi ti ha guarito? Qui, analogamente: «Ha fatto del fango
durante il sabato». E così, anzi per molto meno, non si
ingelosirono di lui e non lo rinnegarono, quando guarì un idropico,
con una sola parola, in giorno di sabato? (Lc
14,1-6).
Cosa gli fece dunque guarendolo? Egli fu purificato e guarito con la
sola parola. Quindi, secondo le loro teorie, chiunque parla viola il
sabato; ma allora - si dirà - chi ha maggiormente violato il sabato,
il nostro Salvatore che guarisce, o coloro che ne parlano con
gelosia?
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