Domenica
di
Risurrezione
– Anno
A
– 20
aprile
2014
Rito
Romano
At
10, 34a. 37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; Gv 20, 1-9
Rito
Ambrosiano
At
1,1-8a; Sal 117; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18
Una
breve
premessa:
La
Pasqua che oggi con gioia celebriamo non è una semplice
commemorazione di un fatto passato, ma partecipazione al mistero
della passione, morte e risurrezione di Cristo. Ora non è più il
Capo che deve adagiarsi sulla croce per rialzarsi dalla tomba; è il
suo corpo, la Chiesa, con tutte le sue membra rappresentate da
ciascuno di noi. La Pasqua ci insegna che il cristiano nella Chiesa
deve morire con il Cristo per resuscitare con lui. E non solo lo
insegna, essa lo mette in pratica. La Pasqua è il Cristo che un
tempo è morto e risuscitato, facendoci morire della sua morte e
resuscitandoci alla sua vita.
1)
Gesù
è
risorto
davvero
ed
è
apparso
in
primo
luogo
ad
una
donna.
Con
la celebrazione della Pasqua non solo ricordiamo la Risurrezione, ma
la rendiamo presente nella gioia, che nasce dall’incontro con il
Signore risorto.
Il
racconto evangelico proposto dalla Liturgia di oggi ci è di aiuto
per capire e vivere tutto ciò. Si tratta di un racconto molto
lineare: c’è Maria che aspetta la prima luce per correre al
sepolcro, lo trova vuoto, pensa che Gesù sia stato rubato; e ci sono
gli Apostoli Pietro e Giovanni che corrono al sepolcro per vedere se
è vero quello che Maria e le altre donne dicono. L’amore a Cristo,
anche se morto, permaneva in loro e, per amore, loro si erano recate
alla tomba quando spuntava l’aurora del giorno nuovo, del primo
giorno dopo il sabato, dell’inizio della nuova creazione.
Di
per sé il racconto su Maria continua poi dal v. 11 e seguenti, che
non sono nel brano scelto oggi ma che varrà la pena di andare a
rileggere perché la liturgia oggi si ferma al v. 10. Ma credo utile
commentare prima i versetti che vengono dopo, e che mi permettono una
riflessione pertinente a oggi.
Dunque,
avendo
visto la
Tomba
vuota,
questa
donna è
smarrita,
sconvolta.
Ai
suoi occhi
il corpo
morto del
Crocifisso
era l’unica
cosa che
era rimasta
del Signore
tanto
amato,
a cui
da vivo
lei aveva
lavato i
piedi con
le proprie
lacrime e
con un
profumo
preziosissimo.
A
un tratto
Lui è
lì accanto
a lei
con il
Suo corpo
risorto, ma
Maria
Maddalena
non lo
riconosce.
Persa nei
suoi
pensieri e
nel suo
progetto di
ritrovare
il corpo
sfigurato
dalla
passione,
avrà
cercato
di guardare
bene
quell’estraneo
che
inaspettatamente
si era
messo
accanto a
lei? Sarà
stata
capace di
supporre che
questo
supposto
“ortolano”
potesse
essere
Colui che
le aveva
perdonato
tutti i
peccati di
una vita
destinata
alla morte,
facendola
“risorgere”
alla vita
vera? Sì!
Per
colei che
aveva fatto
esperienza
che l’amore
di Gesù è
più grande
del
peccato, è
bastata una
parola:
“Maria”.
All’udire
il suo
nome
pronunciato
nel primo
chiarore
dell’alba
da una
voce ben
conosciuta,
riconobbe
il Maestro
risorto.
Allora nel
suo cuore
si
sprigionò
la luce
e in
lei fiorì
la fede
che è
riconoscere
la presenza
del Cristo
risorto
davanti a
sé,
accanto a
sé, dentro
di sé.
E da
quel
momento
nulla potrà
strappare
dal cuore
di questa
donna la
certezza
che si
era
impossessata
del suo
cuore e
della sua
mente.
L’Evangelista
Giovanni, nel descrivere l’incontro di Maria di Magdala con Gesù,
evidenzia tre aspetti fondamentali della fede cristiana:
l’iniziativa, il
riconoscimento e la
missione. A colei che cerca una persona morta Cristo si
mostra vivente (l’iniziativa): una conoscenza
del Risorto che non avviene, però, con un incontro percettivo, e per
questo Egli rimane ancora uno sconosciuto. Tutto cambia quando la Sua
presenza diventa un appello personale (il riconoscimento):
Gesù la chiama per nome, e Maria risponde come aveva sempre fatto
durante la sua vita terrena: “Rabbunì” (titolo famigliare
di Rabbì che significa mio maestro). Alla rivelazione segue
l’investitura (la missione) dell’annuncio:
mentre Maria vuole toccarLo, il Messia le affida il grande messaggio,
espresso nel tipico linguaggio giovanneo, da portare ai fratelli:
“Va’ dai miei fratelli
e dì loro: Io
salgo al Padre mio
e Padre vostro, Dio
mio e Dio vostro”.
Cristo la fece così diventare
“apostola
degli
apostoli”
(San
Tommaso
d’Aquino,
Commento
al
vangelo
di
Giovanni,
XX,
2519.10).
Questo
invito oggi
è affidato
in modo
particolare
alle
Vergini
consacrate
che
mostrano
come la
loro
esistenza
sia presa
dall’iniziativa
di Dio,
sia vissuta
nel
riconoscimento
di Cristo,
che le
manda in
missione
nel mondo.
Loro
esplicitano
questo compito
seguendo
l'invito della
Chiesa,
come lo
raccomandano
i
Prenotanda
al n.
2°: “Loro
si dedicano
in effetti
alla
preghiera,
alla
penitenza,
al servizio
del
prossimo ed
al lavoro
apostolico,
seguendo il
loro stato
di vita…”.
Ciò mostra
che la
preghiera è
l’anima
di ogni
apostolato. Questo
invito è
pure
confermato
nell’
“Invio”
(n.° 36,
quando il
Vescovo
invoca lo
Spirito
Santo sulla
consacrata:”
Lo Spirito
Santo che
fu donato
alla
Vergine Maria e
che
consacra
oggi il
tuo cuore,
ti animi
della sua
forza per
il servizio
di Dio
e della
Chiesa”.
Qui
il Vangelo
di oggi
ci rivela
il segreto
che
permette
alla fede
di nascere
in ciascuno
di noi.
La fede
ci è
data da
Gesù stesso
che viene
accanto a
noi quasi
di
nascosto,
senza farsi
riconoscere
immediatamente
da noi.
Gesù viene
a tenerci
compagnia,
ad
accendere
un fuoco
in noi,
sino
all’istante
in cui
scopriamo
che è
proprio
Lui,
che è
qui, ci
chiama per
nome e
gli diciamo
di sì
con la
mente e
con il
cuore.
Al
nostro
umile,
confidente
atto di
fede Lui
risponde
risorgendo
anche nel
nostro
cuore.
Come
la pianta esposta ed orientata alla luce vive, così orientiamoci
alla luce di Cristo, con la preghiera e la carità. Allora Cristo
entrerà nella nostra casa donando gioia e pace, vita e speranza,
doni di cui abbiamo bisogno per la nostra rinascita umana e
spirituale.
2)
Pietro e
Giovanni: testimoni
di un fatto,
non di una
teoria.
Ora
ritorniamo all’inizio del brano evangelico di oggi, che interrompe
la narrazione su Maria Maddalena e, prima di narrare l’incontro di
Cristo con lei, ci parla del correre di Pietro e di Giovanni per
verificare quanto le pie donne hanno riferito a loro ed agli altri
Apostoli.
Nel
racconto di oggi Pietro fa “soltanto” una cosa: constata che il
sepolcro è vuoto. Non è cosa di poco conto, perché in tal modo il
Primo degli Apostoli attesta il dato oggettivo della fede,
constatando che la Tomba di Cristo è vuota in modo inspiegabile. In
effetti se il corpo di Gesù fosse stato rubato i lini sarebbero in
disordine e non stesi, e il sudario non sarebbe avvolto e messo in un
luogo determinato. Pietro constata dunque il dato oggettivo: il
sepolcro è vuoto e non si tratta di un furto. L’altro discepolo
invece, amico di Gesù, quello che Gesù amava, vedendo le stesse
cose, crede che Gesù è risorto. Quindi è sottolineato il fatto che
non basta l’elemento oggettivo, che il sepolcro sia vuoto, che si
sia sicuri che non è stato rubato. Ci vuole una spiegazione e ci
vuole l’amore e l’intelligenza del cuore oltre a quella della
testa, per credere alla risurrezione. Se ami una persona, la capisci,
sperimenti chi è lei, le credi e
conosci la
verità di
lei.
Sant’Agostino
scrive:
“Non
si
entra
nella
verità
se
non
per
la
carità”.
Siccome
la
risurrezione
non è
una teoria,
ma un
incontro
con il
Cristo
risorto,
allora puoi
dare anche
mille prove
che Cristo
è risorto,
ma non
basterà,
perché il
problema è
un altro.
Non sono
le prove
o i
segni che
mancano; la
spiegazione
unica più
ragionevole
è che
sia
risorto, ma
non è
questa; il
problema è
incontrare
Lui e
chi ama
lo incontra
sempre. Gli
basta poco,
gli basta
un segno
per capire.
La notte
della morte
è passata,
il “Sole”
è risorto
per non
più
tramontare,
il Bene
ha vinto
il male.
Dove aveva
abbondato
il crimine,
sovrabbonda
la grazia,
la gioia
di Cristo
lenisce
ogni dolore
e possiamo
dire con
serena
sicurezza
il Salmo
56 (57):
“Saldo è il mio
cuore, o Dio, saldo
è il mio cuore.
Voglio cantare, a te
voglio inneggiare: svègliati,
mio cuore, svègliati
arpa, cetra, voglio
svegliare l'aurora” (vv 8-9).
L’iniziale mancanza di fede e l’incomprensione che hanno
coinvolto Pietro e Giovanni, c’è stata anche in Maria di Magdala.
Per riconoscere il Risorto, infatti, non basta la pura e semplice
conoscenza fisica e razionale, ma è necessario quel percorso nella
fede che in Maria avviene solo quando è chiamata per nome in un
dialogo di profonda intimità, riportato da Giovanni in modo
veramente toccante. L’apparizione è preceduta da una visione di
angeli, quasi increduli della tristezza della donna (perché
piangi?), ai quali Maria piangente spiega che hanno preso
il suo Signore. È indicativo come Giovanni “dipinga” la
posizione dei due angeli “seduti l’uno
dalla parte del capo
e l’altro dei
piedi, dove era stato
posto il corpo di
Gesù”: un’immagine che ricorda l’Arca
dell’Alleanza, quasi a voler affermare che ogni profezia
dell’Antico Testamento si è ora realizzata in quella tomba vuota,
testimonianza del Cristo risorto.
La
Resurrezione di Gesù è il sì di Dio a Cristo e a noi, poiché
risuscitando l'uomo Gesù, Dio ha resuscitato tutta l'umanità e ha
ricreato cieli nuovi e terra nuova. Torna a vivere non un’idea di
Cristo, ma il Cristo in carne ed ossa, corpo immortale e
trasfigurato.
Pur
lodando la fede di Giovanni illuminata dall’amore, alla quale seguì
sicuramente anche quella di Pietro, l’Evangelista sembra tuttavia
rimproverare quel “ritardo” nel capire la grande verità (Non
avevano infatti ancora (fino a
quel momento) compreso la Scrittura,
che egli cioè doveva
risuscitare dai morti). La
vera fede, infatti, è quella che si affida totalmente alla parola di
Dio e non cerca qualche testimonianza, o qualche indizio di
attendibilità come il sepolcro vuoto; tutto questo è dovuto
all’impreparazione perenne dell’uomo carnale di fronte al mistero
di Dio. Alla luce di tutto questo, il “vedere” di Giovanni
diventa testimonianza e impegno di fede e di vita per ogni vero
cristiano che vuole intraprendere il difficile cammino verso la
salvezza eterna perché, come affermava il teologo protestante
Dietrich Bonhoeffer, la Pasqua è un intervento di Dio dall’eternità,
è il preludio delle cose ultime, quelle che si verificheranno quando
sarà la volontà del compimento finale, e di cui è possibile
parlare soltanto in immagini o con parabole. La Pasqua rivela tutta
la gloria e la potenza di Dio. Egli è il padrone della morte, non
solo quella del Figlio, ma anche quella di ogni essere umano, e come
ha risuscitato Gesù così porterà il Suo popolo santo dalla morte
alla vita.
Lettura
Patristica
San
Gregorio di Nazianzo
Meditiamo
queste parole di San Gregorio di Nazianzo:
“Noi
vogliamo attestare, a voi
Figli e Fratelli, e
a quanti della gloria
e della speranza del
nome cristiano sono
rivestiti nel mondo, che
Cristo ancor oggi, è
nella storia del mondo,
ancor oggi più che
mai, Cristo è vivo,
Cristo è reale. Vivo
e reale, non nella
penombra del dubbio e
dell'incertezza...Cristo è presente.
Il tempo non lo
contiene e non lo
consuma. La storia si
evolve e può assai
modificare la faccia del
mondo. Ma la sua
presenza la illumina ..
Egli è il gaudio
della terra; Egli è
il medico d'ogni umana
infermità. Egli si
personifica in ogni uomo
che soffre; finché sarà
il dolore sulla terra,
Egli se ne farà
propria immagine per
suscitare l'energia della
compassione e del generoso
amore. Gesù perciò è
sempre e dappertutto
presente...Egli è il
Maestro, il Fratello, il
Pastore, l'Amico d'ognuno
dei suoi, il Salvatore
d'ogni singola creatura
umana che abbia la
fortuna di essere da
Lui associato come cellula
del corpo mistico, di
cui Egli è il
capo. Ciascuno è
autorizzato a chiamarlo per
nome, non come personaggio
estraneo, lontano inaccessibile,
ma come il "TU"
del supremo ed unico
amore, come lo Sposo
della propria felicità che
misteriosamente è più
vicino di quanto ciascuno
che lo cerchi può
immaginare, come è stato
detto: "consolati, tu
non mi cercheresti,
se già non mi
avessi trovato”.
Queste
parole sono preghiera commossa che possiamo oggi fare nostra, nella
gioia.
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