Rito Romano
4ª Domenica di Avvento - Anno B - 20 dicembre 2020
2 Sam 7,1-5.8-12.14.16; Sal 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38
Rito Ambrosiano
6ª Domenica di Avvento – Domenica dell’Incarnazione o della Divina Maternità della Beata Vergine Maria
Is 62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1, 26-38a
Introduzione
Pochissimi giorni separano questa quarta domenica di Avvento dalla festa del Natale, che è molto ricca di simboli, legati alle diverse culture. Tra tutti, il più importante è certamente il presepe, che “suscita tanto stupore e ci commuove, perché ”manifesta la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato” (Papa Francesco, Lettera Apostolica, Admirabile signum, 3)
Accanto al presepe troviamo il tradizionale “albero di Natale”. Un’usanza anch’essa antica, che esalta il valore della vita perché nella stagione invernale, l’abete sempre verde diviene segno della vita che non muore. Di solito sull’albero addobbato e ai suoi piedi vengono posti i doni natalizi. Il simbolo diventa così eloquente anche in senso tipicamente cristiano: richiama alla mente l’ “albero della vita” (cfr Gn 2,9), figura di Cristo, supremo dono di Dio all’umanità.
Il messaggio dell’albero di Natale è pertanto che la vita resta “sempre verde” se si fa dono: non tanto di cose materiali, ma di sé stessi: nell’amicizia e nell’affetto sincero, nell’aiuto fraterno e nel perdono, nel tempo condiviso e nell’ascolto reciproco
Niente è più bello, urgente ed importante che ridonare gratuitamente agli uomini quanto gratuitamente abbiamo ricevuto da Dio. Niente ci può esimere o sollevare da questo oneroso ed affascinante impegno. La gioia del Natale, che già pregustiamo, mentre ci colma di speranza, ci spinge al tempo stesso ad annunciare a tutti la presenza di Dio in mezzo a noi.
1) Il tempo del “Sì”.
Nelle domeniche precedenti la Liturgia ha attirato l’attenzione sulla figura di Giovanni il Battista, il Precursore. Oggi è Maria, la Madre Sua che Lui ci ha donata e che è proposta come esempio di attesa di Cristo, per accoglierlo nella nostra vita, nella nostra carne.
Quindi, è importante cogliere l’atteggiamento della Vergine nei confronti di Colui che viene per prendere casa tra noi, che si fa Carne per salvare la nostra carne, perché anche noi “concepiamo” il Verbo di Dio concretamente. Con il suo “fiat” (=sì), Maria concepì Gesù sotto il suo cuore, con nostro fiat noi Lo concepiamo nel nostro cuore. Ci insegni Maria Annunziata a dire la grande parola: “Sì, fiat, sia fatta, o Signore, la Tua volontà”1.
Il “sì”, il “fiat” della Madonna non fu pronunciato da un cuore ottuso, addormentato, ma teso e vigile. Anche se pronunciato da un’umile, giovanissima donna, questo “sì” sponsale fu espressione di un cuore semplice e profondo. Maria è madre di Dio non solo perché ha dato la vita fisica a Gesù, ma perché prima di concepirLo nel suo ventre, L’ha ascoltato con l’orecchio e concepito nel cuore. Lei è madre perché ascolta e accoglie il Figlio e lo lascia vivere com’è, non solo perché Lo porta in grembo e lo mette alla luce2.
Il “sì” di Maria fu l’espressione della libertà di questa Vergine pura, feconda e cosciente di appartenere ad una storia, a una storia grande, che portava nel mondo Dio.
Un fatto è storico non solo perché avviene nel tempo, ma perché avviene in un luogo.
Il tempo è indicato così: “Era il sesto mese dal concepimento di San Giovanni il Battista da parte di Elisabetta”. E’ l’episodio precedente a quello di cui parla il Vangelo di oggi. Ora, al sesto mese uno non è completo. Il Battista rappresenta l’Antico Testamento e la promessa. E’ importante notare che l’Annunciazione compie la promessa con un certo anticipo. Quand’è che avviene il compimento? Al sesto mese, cioè quando la promessa non è ancora matura. Il che, secondo me vuole dire che la realizzazione di una promessa non dipende unicamente da Dio. Dio la promessa l’ha fatta, la realizzerebbe anche subito, la realizza di fatto al sesto mese, aspetta solo che uno dica “sì, avvenga di me secondo la tua parola, accolgo la Parola”. Insomma, da sempre Dio è “Sì” per l’uomo. quando finalmente anche noi diciamo sì come ha fatto la Madonna, allora avviene il compimento. Anche noi diventiamo persone mature, complete quando diciamo sì a Dio. Dunque non aspettiamo domani per dire “Sì”. Normalmente noi pensiamo al domani, aspettando tempi migliori. No. L’unico tempo che abbiamo è il presente. Il presente è l’unico momento nel quale tocchiamo l’eterno: il passato non c’è più, il futuro non c’è ancora. Quello che stiamo vivendo è il tempo dell’ascolto. Non dobbiamo aspettarne uno migliore, altrimenti passiamo metà della vita a pensare al futuro e l’altra metà a rimpiangere il passato, e così non viviamo mai. Dio invece è “presente”3 e la sua proposta avviene “ora”. Non era ieri, non era per domani, è per oggi. Nel Vangelo di Luca tipico l’oggi, ricordiamo le prime parole di Gesù: “Oggi si compie questa parola”.
2) Il luogo e i personaggi del Sì.
In questa giornata del Sì, è importante capire anche il luogo dove esso è stato pronunciato. La localizzazione che l’Evangelista Luca presenta in voluta contrapposizione con la precedente storia di Giovanni Battista.
L’annuncio della nascita del Battista avviene nel Tempio di Gerusalemme, è fatto a un sacerdote che sta svolgendo la sua funzione e avviene, per così dire, nell’ordinamento ufficiale, come è prescritto dalla legge, in conformità al culto, al luogo e alle funzioni ebraiche.
L’annuncio della nascita del Messia è fatto a Maria, una donna che vive a Nazareth, un piccolo, insignificante paese della semi-pagana Galilea, a Nazareth, che per noi oggi vuol dire: il luogo della vita quotidiana. E’ come per insegnarci che il luogo della Parola è dove quotidianamente viviamo. E’ nella nostra vita quotidiana, che possiamo e dobbiamo vivere da figli di Dio e ascoltiamo la Parola. Poi sarà utile andare nei Santuari, nelle Basiliche e nei luoghi in cui ci si riunisce in tanti, perché questo ci richiama ad una vita di comunione nella Chiesa. Ma l’importante è il “qui e ora”: il presente e il luogo della vita quotidiana. E’ lì che quotidianamente la Parola si fa carne, come nel quotidiano di Maria, divenuta il “luogo” di accoglienza, la vita nuova ha inizio. Questa vita cominciò non nel tempio ma nell’umanità semplice di Gesù Cristo, che divenne il vero tempio, la tenda dell'incontro.
Dopo aver considerato il “luogo” dove Dio ama rivelare il suo amore: la povera casa dell’umile Maria, guardiamo i personaggi di questo annuncio.
Cominciamo dall’angelo Gabriele, il cui nome vuol dire “Potenza di Dio”, che si rivolge a Maria, che con il suo “sì” porterà frutto per la potenza della grazia di Dio.
Il saluto dell’Angelo a Maria è “Gioisci, piena di Grazia”, che potremmo parafrasare così: “Sii nella gioia tu, donna amata gratuitamente e per sempre da Dio”. La Madonna è chiamata per una missione, ma prima è invitata alla gioia, è sollevata dall’angoscia perché il Signore “è con lei” per salvare lei e l’umanità intera.
Fissiamo ora gli occhi del cuore su Maria, che si autodefinisce “serva” e che l’Angelo di Dio definisce piena di grazia. Grazia e servizio: in questi due termini è racchiusa tutta la comprensione cristiana dell'esistenza. Il dono ricevuto continua a farsi dono.
Maria rimane turbata dalle parole dell’Angelo. Però, il suo turbamento non deriva dalla non comprensione o dalla paura. Deriva dalla commozione prodotta dall’incontro con Dio, che attraverso l’Angelo le dice che l’“essere amata gratuitamente” da Dio è il suo nuovo nome.
Quando Dio chiama qualcuno per farne uno strumento di salvezza, non soltanto lo chiama per nome, ma gli dà un nome nuovo, capace veramente di esprimere la sua identità e la sua vocazione. Per Maria il nome nuovo è “Piena di Grazia” cioè “amata gratuitamente e per sempre da Dio”. Questo nome nuovo di Maria dice immediatamente la gratuità e la fedeltà dell'amore di Dio, radice di ogni corretta comprensione di Dio, dell'uomo e del mondo. Di questa radice Maria è l’icona luminosa e trasparente. E questo è già la lieta notizia del miracolo del Natale, che ormai è imminente.
“Accettare, accogliere il miracolo del Natale, è accettare che Maria sia realmente la ‘Madre di Dio’ e ‘Madre Vergine’; niente qui contro la sessualità, contro l’amore umano. Il senso è tutt’altro. Noi sappiamo bene che la vita che diamo, che trasmettiamo, è una vita per la morte. Occorreva un intervento di Dio, ci voleva che la catena delle nascite per morte fosse spezzata perché sorgesse con Gesù un vivente totalmente vivo, un vivente che non sarebbe più all'interno della morte come noi, ma si sarebbe volontariamente lasciato afferrare da essa per distruggerla. La verginità feconda di Maria, così come le apparizioni del Risorto tutte a porte chiuse, segnalano questa vita più vivente della nostra, una materialità trasfigurata”4.
L’esempio di Maria, che dà la vita al totalmente vivo, oggi è in modo particolare portato avanti dalle Vergini consacrate. Nella verginità liberamente scelta, queste donne confermano se stesse come persone mature e capaci di vita. Al tempo stesso realizzano il valore personale della propria femminilità, diventando “un dono sincero e totale” a Cristo, Redentore dell’uomo e Sposo delle anime. La naturale disposizione sponsale della personalità femminile trova una risposta nella verginità così intesa. La donna, chiamata fin dal “principio” ad essere amata e ad amare, trova nella vocazione alla verginità, anzitutto, il Cristo come il Redentore che “amò sino alla fine” per mezzo del dono totale di sé, ed essa risponde a questo dono con un “dono sincero” di tutta la sua vita (cfr. S. Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 34).
Le vergini consacrate nel mondo ci mostrano come sia possibile seguire l’esempio fecondo di Maria, vivendo come lei la grazia della semplicità. In effetti, esse testimoniano con semplice umiltà che non dobbiamo forzare noi stessi a pensare cose grandi, né tanto meno a farle, perché diventiamo ridicoli nella nostra presunzione, ma come la Madonna dobbiamo riconoscere ed accettare la presenza del Verbo di Dio in noi.
Preghiamo la Madonna perché quello che è accaduto in lei, accada in noi. Chiediamo al Signore che il Suo amore attecchisca come un fiore dentro la fragilità della nostra carne.
E tutti facciamoci forza ad imitare l’atteggiamento di Maria di Nazareth la quale ci mostra che “l’essere viene prima del fare, e che occorre lasciar fare a Dio per essere veramente come Lui ci vuole. E’ Lui che fa in noi tante meraviglie. Maria è ricettiva, ma non passiva. Come, a livello fisico, riceve la potenza dello Spirito Santo ma poi dona carne e sangue al Figlio di Dio che si forma in Lei, così, sul piano spirituale, accoglie la grazia e corrisponde ad essa con la fede” (Papa Francesco, Angelus, 8 dicembre 2014).
1 Se per caso uno dice il Rosario, per 50 volte di fila ripete quello che è il nocciolo del brano evangelico di questa domenica. E tre volte al giorno suonano le campane; le aveva introdotte dal ritorno dall’Oriente San Francesco d’Assisi, proprio in ricordo dell’Annunciazione. L’Incarnazione del Verbo, il sì di Maria sta al principio e alla fine della giornata e nel cuore della giornata.
2 A questo riguardo ricordiamo quando dicono a Gesù: “Tua madre e i tuoi fratelli sono fuori che ti cercano”, Gesù dice: “Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli? Chi ascolta e fa la Parola”. Maria è sua madre perché ascolta la Parola e fa la Parola. E a una donna gli dice: beato il ventre che ti ha portato e il seno che ti ha allattato, Gesù dice: beati piuttosto quelli che ascoltano e fanno la parola. Quindi Maria è sempre presentata come il prototipo di chi ascolta e attraverso l’ascolto fa ciò che ascolta.
3 Fra l’altro, oltre a vivere spiritualmente bene quanto Cristo dice “A ogni giorno basta la sua pena”, il vivere il presente è pure questione di sanità mentale. Invece, viviamo pensando al futuro, in ansia, sospesi nel vuoto dell’incertezza, e al passato, annegati nel rimpianto e nella frustrazione.
4 Olivier Clément. La mère de Dieu, un éclairage orthodoxe”,in Jean Comby (ed), Théologie, histoire et piété mariale. Actes du colloque de la faculté de théologie de Lyon, 1-3 octobre 1996, Lyon, Profac (1997), 209-221.
Lettura Patristica
Bernardo di Chiaravalle,
Oratio IV de B.M.V., 8 s.
Hai sentito [o Maria] che concepirai e partorirai un figlio; hai sentito che ciò avverrà senza concorso di uomo, bensì per opera dello Spirito Santo. L’angelo aspetta la risposta: è ormai tempo che a Dio faccia ritorno colui che egli ha inviato.
Anche noi aspettiamo, o Signora, la parola di misericordia, noi cui pesa miserevolmente la sentenza di condanna.
Ecco che ti si offre il prezzo della nostra salvezza; se acconsenti, saremo liberati sul momento.
Nel Verbo eterno di Dio tutti siamo stati creati, ed ecco che moriamo; nella tua breve risposta siamo destinati ad essere ricreati, sì da esser richiamati alla vita. È ciò che ti chiede supplichevole, o pia Vergine, il fedele Adamo, esule dal paradiso con la sua progenie; è ciò che ti chiedono Abramo e David. Lo sollecitano del pari gli altri santi Padri, o meglio i tuoi padri, che pure popolano la regione dell’ombra di morte. Lo attende tutto il mondo, prostrato ai tuoi ginocchi. E non a torto, dal momento che dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, il riscatto degli schiavi, la liberazione dei condannati, e per finire, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutta la tua stirpe.
Da’ in fretta, o Vergine, la tua risposta. Pronuncia, o Signora, la parola che la terra, gli inferi e i cieli aspettano.
Lo stesso Re e Signore di tutti, tanto desidera il tuo cenno di risposta, quanto ha bramato il tuo splendore: risposta in cui, certamente, ha stabilito di salvare il mondo. E a chi piacesti nel silenzio, ora maggiormente piacerai per la parola, quando ti chiamerà dal cielo: «O bella tra tutte le donne, fammi udire la tua voce!».
Se tu dunque gli fai sentire la tua voce, egli ti farà vedere la nostra salvezza.
Non è forse questo che chiedevi, che gemevi, che giorno e notte, pregando, sospiravi? Che dunque? Sei tu colei cui tutto questo è stato promesso, o dobbiamo aspettarne un’altra? Sì, sei proprio tu, e non un’altra. Tu, voglio dire, la promessa, tu la attesa, tu la desiderata, dalla quale il santo padre tuo Giacobbe, già vicino a morire, sperava la vita eterna, quando diceva: "Aspetterò la tua salvezza, o Signore" (Gn 49,18). Colei, nella quale e per la quale, finalmente, lo stesso Dio e nostro Re dispose prima dei secoli di operare la nostra salvezza.
Speri forse da un’altra ciò che è offerto a te? Aspetti attraverso un’altra ciò che tosto verrà operato per tuo tramite, purché tu esprima l’assenso, pronunci la tua risposta?
Rispondi perciò al più presto all’angelo, o meglio al Signore tramite l’angelo.
Pronuncia la parola, e accogli la Parola; proferisci la tua, e concepirai la divina; emetti la transeunte, e abbraccia l’eterna!
Perché indugi? Perché trepidi? Credi, confida, e accetta!
L’umiltà assuma l’audacia e fiducia la verecondia. Mai come ora si conviene che la verginale semplicità dimentichi la prudenza.
Solo in questo caso non temere, o Vergine prudente, la presunzione; infatti, anche se è gradita la verecondia nel silenzio, è ora tuttavia più necessaria la pietà nella parola.
Apri, o Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra alla confessione, il grembo al Creatore.
Ecco, il desiderato di tutte le genti è fuori e bussa alla porta. O se, per il tuo indugiare, dovesse egli passare oltre; dolente, tu cominceresti di nuovo a cercare colui che la tua anima ama!
Alzati, corri, apri. Alzati per fede; corri per devozione; apri per confessione.
"Eccomi", rispose, "sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola" (Lc 1,38).
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