Rito Romano
6 agosto 2023- Trasfigurazione – XVIII Domenica del Tempo Ordinario
Dn 7,9-10.13-14; Sal 96; 2Pt 1,16-19; Mt 17,1-9
Rito Ambrosiano
Domenica IX dopo Pentecoste – Trasfigurazione
2Pt 1,16-19; Sal 96; Eb 1,2b-9; Mt 17,1-9
1) Trasfigurazione di Cristo e nostra.
Oggi il Vangelo ci presenta l’evento della Trasfigurazione, partendo dal fatto che “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte” (Mt 17,1) a pregare (Lc 9,28). Mentre pregava, Cristo risplendette e rivelò ai discepoli eletti di essere luce da luce ineffabile e che più grandi Profeti erano con lui.
Dio è luce, e Gesù dona ai suoi amici più intimi l’esperienza di questa luce, che dimora in Lui. Così, dopo questo avvenimento, Egli sarà in loro luce interiore, capace di proteggerli dagli assalti delle tenebre. Anche nella notte più oscura, Gesù è la lampada che non si spegne mai. Sant’Agostino riassume questo mistero con una espressione bellissima, dice: «Ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è (Cristo) per gli occhi del cuore» (Sermo 78, 2: PL 38, 490).
Sul Tabor, monte sul quale Cristo sale per pregare, il Figlio di Dio fatto uomo, mostra che è la preghiera a “provocare” la splendida visione di ciò che Lui è e di quello a cui siamo destinati ad essere. Mentre si manifesta la verità divino-umana di Cristo avviene anche una trasfigurazione dei discepoli: “Si tratta infatti della trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, ma è quella soprattutto dei discepoli che vi assistevano, trasfigurazione che era per loro una certa visione della Divinità, un’immagine del mondo futuro, un preludio della venuta gloriosa del Signore” (Gregorio Palamas).
A noi in preghiera -come ai tre Apostoli come circa duemila anni sul monte Tabor, monte della preghiera, Gesù si mostra trasfigurato, luminoso, bellissimo. Anche a noi, testimoni scelti dal suo amore, il Signore manifesta la sua gloria, e quel corpo che gli è comune col resto degli uomini, lo illumina di tale fulgore, che il suo volto si fa splendente come il sole e le sue vesti divengono candide come la neve.
L’importante che anche noi saliamo con il Figlio di Dio, l’Amato, sul monte a pregare.
La montagna nella Bibbia rappresenta il luogo della vicinanza con Dio e dell’incontro intimo con Lui; il luogo della preghiera, dove stare alla presenza del Signore.
Saliamo anche noi con Cristo sul “monte” della preghiera, per contemplare sul suo volto umano la luce gloriosa di Dio.
Saliamo con Cristo sulla montagna per trovare noi stessi in Cristo e ascoltare Lui, perché nel luogo della vicinanza con Dio c’è pure dato lo spazio del silenzio dove percepiamo meglio la Sua voce.
Questo nostro salire per incontrare Dio non ci stacca dalla terra, anzi ci spinge a “scendere dalla montagna” e “ritornare” in basso, nella pianura, dove incontriamo sorelle e fratelli appesantiti da fatiche, malattie, ingiustizie, ignoranze, povertà materiale e spirituale. A questi nostri fratelli e sorelle che sono in difficoltà, siamo chiamati a portare i frutti dell’esperienza che abbiamo fatto con Dio, condividendo la grazia ricevuta la parola ascoltata” (Papa Francesco).
Questa parola è un suono carico di una presenza da accogliere con devozione e amore. E’ molto importante l’invito del Padre: “Questo è il mio Figlio, l’Amato, ascoltatelo” (Mt 17, 6).
Noi, discepoli di Gesù oggi, siamo chiamati ad essere persone che ascoltano la sua voce e prendono sul serio le sue parole.
2) Origine e destino.
A questo punto, credo sia utile ricordare che lo scopo principale della Trasfigurazione, fu ed è di permettere al cuore dei discepoli (e al nostro cuore) di non scandalizzarsi quando la Croce sfigura l’umanità di Cristo. Questa manifestazione di luce e di verità è voluta perché l’umiliazione della imminente passione volontaria di Cristo non turbasse la fede di coloro ai quali era stata rivelata la grandezza della sua dignità nascosta. Non è un caso che il racconto della Trasfigurazione sia collocato dal Vangelo durante l’ascesa di Gesù a Gerusalemme, in un contesto di passione annunciata ai discepoli. Lo ha ben compreso la liturgia della Chiesa d’Oriente, che nel Kondakion (testo poetico-musicale liturgico) della festa canta: “I discepoli, per quanto ne erano capaci, contemplavano la tua gloria, Signore, affinché nell’ora della croce comprendessero che la tua passione era volontaria”. San Gregorio di Nazianzo vide giustamente nella Trasfigurazione la sintesi del Vangelo, l’annuncio del mistero pasquale: annunciato davanti alla Chiesa, raffigurata da Pietro, Giacomo e Giovanni, e davanti all’Antico Testamento: la Legge (rappresentata da Mosé) e i profeti (rappresentati da Elia), apparsi a condividere la gloria del Figlio di Dio.
Va pure ricordato che il fatto della Trasfigurazione è fondamento della speranza della Chiesa: infatti “l’intero Corpo mistico di Cristo diventava consapevole della trasformazione che gli era riservata e le membra potevano ripromettersi la partecipazione a quella gloria, che avevano vista risplendere nel capo (San Leone Magno, Sermo LI, 2-3, 5-8: PL 54, 310-313). Dunque, la trasfigurazione è un mistero centrale nella fede cristiana, caparra della resurrezione e profezia della trasfigurazione di ogni carne, di ciascuno di noi in Dio. Gesù sul Tabor, monte della preghiera, mostra chi è e che “traeva quello splendore dalla propria natura; perciò non aveva bisogno di pregare per far risplendere di luce divina il suo corpo ma, pregando, non fece altro che indicare l’origine sua e il destino nostro: lo splendore di Dio che rischiara e sostiene con la luce del suo volto, come è detto nel Vangelo: “I giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro” (Mt 13, 43) (Sant’Ambrogio da Milano).
Sorpresi dalla gioia della trasfigurazione del Figlio di Dio e di noi discepoli ci viene spontaneo fare nostra l’esclamazione di San Pietro: “Signore è bello per noi stare qui; se vuoi farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”(Mt 17, 4). Ma dando ascolto a Cristo che manifesta l’amore di Dio capiremmo che non ha senso preparare una tenda terrena a colui che abita nei cieli. Il Redentore non è venuto per avere una casa sulla terra, Lui che non volle possedere neanche una pietra su cui posare il capo. Non è venuto per abitare sulla terra in una casa costruita da noi ma per sollevarci nella dimora che Lui ci ha preparato lassù.
“E’ bello per noi stare qui”. Certo, è bello restare con Cristo sul monte, ma è di gran lunga più bello andare là dove saremo veramente felici, nella patria eterna. Se è bella questa gioia momentanea, pensiamo quanto più bella sarà la felicità eterna. Se ci fa gioire la vista dell’umanità di Cristo anche se per breve tempo rivestita di gloria, proviamo a immaginare quale e quanta sarà la gioia che colmerà la nostra anima nella contemplazione eterna dell’Amore eterna che per sempre ci tiene nelle sue braccia.
Ma prima, come Cristo ha patito per noi, così anche noi dobbiamo soffrire per Lui. E’ davvero necessario che, scendendo a valle, noi gli siamo compagni nella passione affinché, dopo, possiamo essere partecipi della sua gloria. Là egli stesso accoglierà ciascuno di noi e quanti amiamo nelle tende eterne. Là, veramente, sono preparate non tre tende, una per Cristo, una per Mosè e una per Ella, ma una sola tenda, per il Padre, per il Figlio e per lo Spinto Santo: e questa tenda sarai tu stesso. Allora “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor 15,28), quando, come leggiamo nell’Apocalisse: “La dimora di Dio sarà con gli uomini ed essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio-con- loro” (Ap 21,3). In quanto battezzati siamo già questa dimora, questo Tempio dello Spirito Santo. E per vivere questo essere dimora divina guardiamo alla testimonianza profetica delle vergini consacrate. Queste donne con il loro “proposita” hanno accolto completamente Cristo abbandonandosi totalmente a Lui e affidandosi alla potenza del suo amore. Continuano ad accoglierlo collaborando attivamente con lui portando il suo amore incarnato e redentivo nel mondo dove lavorano. dell'Incarnazione redentrice. Non cessano mai di accoglierlo nella loro vita, ascoltando nella preghiera e servendolo tra i loro fratelli e sorelle in umanità. Queste consacrate testimoniano che La trasfigurazione non è un avvenimento che arriva a un certo momento dell’esistenza, dopo la morte, ma dal momento che si aderisce a Gesù. Dal momento di questa adesione a Cristo c’è una trasformazione costante. Più si accoglie il suo amore e più ci si trasforma, di gloria in gloria, cioè si rende visibile l’amore ricevuto, comunicandolo agli altri.
Lettura Patristica
San Leone Magno (400 – 460)
Sermo 38 [51], 2-3.5
[Il Salvatore] insegnò che coloro che avessero in mente di seguirlo debbono rinunciare a se stessi e tenere in poco conto la perdita dei beni materiali in vista di quelli eterni; infatti, salverà sicuramente la propria anima chi non avrà avuto paura di perderla per Cristo (Mt 16,25).
Era per altro necessario che gli apostoli concepissero davvero nel loro cuore quella forte e beata fermezza, e non tremassero di fronte alla rudezza della croce che dovevano assumersi occorreva che non arrossissero minimamente del supplizio di Cristo, né che stimassero vergogna per lui la pazienza con la quale doveva subire gli strazi della sua Passione senza perdere la gloria della sua potestà. Cosi, Gesù prese con sé Pietro, Jc e Giovanni suo fratello (Mt 17,1), e, dopo aver salito con essi l’erta di un monte appartato, si manifestò loro nello splendore della sua gloria; infatti, benché avessero compreso che la maestà di Dio era in lui, ignoravano ancora la potenza detenuta da quel corpo che celava la Divinità. Ecco perché aveva promesso in termini netti e precisi "che alcuni dei discepoli non avrebbero gustato la morte prima di aver visto il Figlio dell’uomo venire nel suo regno" (Mt 16,28), cioè nello splendore regale che egli voleva rendere visibile a quei tre uomini, in modo conveniente alla natura umana da lui assunta. Infatti, in ciò che attiene la visione ineffabile e inaccessibile della Divinità in sé, visione riservata ai puri di cuore (Mt 5,8) nella vita eterna, esseri ancora rivestiti di carne mortale non avrebbero potuto in alcun modo né contemplarla né vederla.
Il Signore svela dunque la sua gloria alla presenza di testimoni scelti e illumina questa comune forma mortale di splendore tale che il suo viso diviene simile al sole e le sue vesti sono paragonabili al bianco della neve (Mt 17,2). Senza dubbio, la Trasfigurazione aveva soprattutto lo scopo di rimuovere dal cuore dei discepoli lo scandalo della croce, affinché l’umiltà della Passione volontariamente subita non turbasse la fede di coloro ai quali sarebbe stata rivelata l’eccellenza della dignità nascosta.
Con eguale previdenza, egli dava però nel contempo un fondamento alla speranza della santa Chiesa, in modo che il corpo di Cristo conoscesse di quale trasformazione sarebbe stato gratificato, e i membri si sforzassero da sé di partecipare all’onore che aveva rifulso nel Capo. A tal proposito, il Signore stesso aveva detto, parlando della maestà del suo avvento: "Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del loro Padre" (Mt 13,43); e il beato apostolo Paolo afferma la stessa cosa in questi termini: "Stimo, infatti, che le sofferenze del tempo presente non siano da paragonare con la gloria di cui saremo rivestiti" (Rm 8,18); e ancora: "Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio; quando Cristo sarà manifestato, egli che è la vostra vita, anche voi sarete manifestati con lui nella gloria"(Col 3,3-4).
Animato da questa rivelazione dei misteri, preso da disprezzo per i beni di questo mondo e da disgusto per le cose terrene lo spirito dell’apostolo Pietro era come rapito in estasi nel desiderio dei beni eterni; pieno di gioia per quella visione, si augurava di abitare con Gesù in quel luogo in cui la sua gloria si era così manifestata, costituendo tutta la sua gioia; così disse: "Signore è bello per noi restar qui; se vuoi facciamo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia" (Mt 17,4). Ma il Signore non rispose a quella proposta, volendo dimostrare non certo che quel desiderio fosse cattivo, bensì che era fuori posto il mondo, infatti, non poteva essere salvato se non dalla morte di Cristo e l’esempio del Signore invitava la fede dei credenti a comprendere che, senza arrivare a dubitare della felicità promessa, dobbiamo tuttavia, in mezzo alle tentazioni di questa vita, chiedere la pazienza prima della gloria; la felicità del Regno non può, in effetti, precedere il tempo della sofferenza.
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