Domenica
XXI del Tempo Ordinario – Anno B – 26 agosto 2018
Rito
Romano
Gs
24,1-2.15-17.18; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69
Rito
Ambrosiano
2Mac
7,1-2. 20-41; Sal 16; 2Cor 4,7-14; Mt 10,28-42
Domenica
che precede il martirio di san Giovanni il Precursore
1)
Parole dure, che regalano l’eternità.
Nelle
precedenti domeniche di questo mese di agosto, la Liturgia ha
proposto alla nostra meditazione il discorso sul “Pane della vita”,
che Gesù pronunciò nella sinagoga di Cafarnao dopo aver sfamato
migliaia di persone con cinque pani e due pesci. Il Vangelo della
Messa di oggi presenta la reazione dei discepoli a quel discorso.
Questa reazione di incredulità non è più solo della gente comune,
o dei giudei, ma coinvolge anche la cerchia dei discepoli. Essi
“mormorano” esattamente come Israele nel deserto e come i giudei
che si scandalizzano di fronte a Gesù che pretende essere disceso
dal cielo e essere la salvezza del mondo.
Qual
è la ragione di questa loro incredulità? Eccola: “Questa parola è
dura! Chi può ascoltarla?” (Gv
6, 60) frase che potremmo riscrivere così: “Questo discorso è
difficile, come possiamo accettarlo?”. E questa difficoltà,
seconde me, non riguarda solamente la fede nell’Eucaristia, cioè
nella presenza reale del Cristo nel pane e nel vino, una presenza
giudicata impossibile. La durezza e la difficoltà del discorso si
riferisce a tutto il contenuto del capitolo sesto del Vangelo di San
Giovanni: l’offerta di una salvezza che supera le anguste
aspettative della gente comune, e dei capi del popolo ebraico, la
presenza del Figlio di Dio nel figlio del falegname; soprattutto la
necessità di condividere la sua esistenza in dono.
Questa
rivelazione era incomprensibile anche ai discepoli, perché la
intendevano in senso materiale, mentre in quelle parole era
preannunciato il mistero pasquale di Gesù, in cui Egli avrebbe
donato se stesso per la salvezza del mondo: la nuova presenza nella
Sacra Eucaristia.
Dunque,
“da quel momento molti dei suoi
discepoli tornarono indietro” (Gv 6, 66): tornare indietro è
proprio il contrario della sequela, che è un movimento in avanti,
proteso verso la condivisione sempre più profonda. Di fronte
all'incredulità che ha ormai raggiunto il cuore della sua comunità,
Gesù non muta le sue parole né le rispiega. Spinge, invece, la
riflessione alla radice della fede, in quella misteriosa profondità
in cui la grazia del Padre e la responsabilità dell'uomo sono
chiamate a incontrarsi.
E
allora Cristo chiede: “Volete
andarvene anche voi?” (Gv
6, 67). Anche in questo caso è Pietro a rispondere a nome dei
Dodici: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna
e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”
(Gv 6,68-69).
Facciamo
nostra la risposta del Primo degli Apostoli e aiutiamoci a capirla
con questa commento di Sant’Agostino d’Ippona che scrive: “Vedete
come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo,
ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole
di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo
[risorto] e il tuo sangue[, Te stesso]. E noi abbiamo creduto e
conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e poi creduto, ma abbiamo
creduto e poi conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se,
infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo
riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e
che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio,
cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci
dai ciò che tu stesso sei” (Commento al Vangelo di Giovanni,
27, 9).
2)
L’incontro con la Verità da mangiare.
Come
rendere salda la nostra fede e credere in ciò che Sant’Agostino ci
ricorda nella frase appena citata? In primo luogo dobbiamo avere un
cuore non ottuso ma teso. In secondo luogo, non dare ascolto alle
parole per ascoltare la Parola, che incontriamo nel silenzio.
Le
parole della Parola, del Verbo di Dio, non solamente informano o
narrano o istruiscono, ma danno la vita vera e la nutrono per
l’eternità.
L’importante
che ci sia la nostra adesione di fede, che ha le sua radici nel
cuore. San Paolo scrive: “E’ con il cuore che si crede per
ottenere la giustizia » e aggiunge: «e con la bocca si fa la
professione per avere la salvezza” (Rm 10,10). E’ dalle
radici del cuore che sorge la professione di fede (cfr s. Agostino,
Comm al Vangelo d Giovanni, Om. 26, 12) ed è col cuore
alimentato dal Pane vero che ci si radica nella comunità dei
santi, delle persone che dimorano in Cristo e nella quali Cristo
dimora, stabilmente.
Una
comunità che ripresenta oggi la Persona di Gesù Signore, che
viene per insegnare ad ogni uomo come si ascolta il Padre, come lo si
ama, come lo si adora in spirito e verità, come si consegna a Lui la
vita per intero perché Lui ne faccia uno strumento del suo amore e
della sua verità (come indica il Vangelo “ambrosiano” di oggi:
Matteo 10, 28-42) per sempre. Della Chiesa e dell’Eucaristia si può
dire: «O sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di
carità. Chi vuol vivere, ha dove vivere, ha donde attingere la vita.
Si accosti, creda, sarà incorporato, sarà vivificato» (S.
Agostino, Comm. al Vangelo d Giovanni, Om. 26, 1) . Nella
sua Provvidenza Dio non solo ci sostiene nell'essere, ma ci dona
giorno per giorno una forza che ci fa stare nel suo Amore, per
procedere sulla Via della Vita.
Paul
Claudel disse che “le grandi verità si comunicano soltanto nel
silenzio”, mi permetto di aggiungere che si colgono nell’adorazione
e si comprendono mangiando il Pane del Cielo.
L’atteggiamento che
sintetizza le parole di Pietro è quello di mettersi davanti al Ss.mo
Sacramento in adorazione umile e silenziosa, coltivando nel cuore non
il dubbio, ma il desiderio di chi desidera la comunione piena con
Lui.
L’Amen,
che la Chiesa ci fa dire quando riceviamo la Comunione acquista così
un significato profondo, perché ripete la stessa professione di fede
di Pietro: “Non senza ragione dici Amen riconoscendo che
prendi il corpo di Cristo; quando ti presenti per riceverlo il
Vescovo ti dice: il corpo di Cristo! E tu rispondi: Amen! Cioè: è
vero. Il tuo animo custodisca ciò che la tua parola riconosce.” (S.
Ambrogio).
La
Madonna che ha detto il suo fiat, il suo sì, ci ottenga
l’umiltà di cuore per riconoscere il desiderio e la grandezza del
Dono divino datoci nel Pane di Vita.
Anche
San Pietro con la risposta sulla quale stiamo meditando rinnova il
suo fiat, il suo sì a Cristo. Come possiamo imitarlo? Affidandoci
completamente a Cristo rinnovando anche noi il nostro sì, con la
preghiera, con l’adorazione eucaristica, con la comunione per
ricevere la quale diciamo: “Amen”, cioè “Sì”.
Il
problema di fondo non è andare e abbandonare l’opera intrapresa
perché le parole sono “dure”, “ma è da chi andare.
Da quell’interrogativo di Pietro, noi comprendiamo che la fedeltà
a Dio è questione di fedeltà a una persona, con la quale ci si lega
per camminare insieme sulla stessa strada. E questa persona è Gesù.
Tutto quello che abbiamo nel mondo non sazia la nostra fame
d’infinito. Abbiamo bisogno di Gesù, di stare con Lui, di nutrirci
alla sua mensa, alle sue parole di vita eterna” (Papa Francesco)
Credere in Cristo, la Verità incarnata, significa fare di Lui il
centro della nostra vita.
Un
particolare esempio di come mettere Cristo al centro della vita è
dato dalle Vergini consacrate nel mondo. Queste donne hanno capito
che il Signore è colui le cui parole fanno viva la vita e con la
loro vita consacrata testimoniano che Cristo è il cuore del mondo.
Ogni
giorno ognuna di loro dice a Cristo: “Tu hai parole di vita eterna”
(Gv 6,68) non tanto con le parole ma con la propria vita
offerta pienamente allo Sposo. La loro vita verginale, infatti
rimanda a Cristo, si alimenta alla Sua Parola di vita e si nutre del
Suo Pane che non perisce.
Queste
donne mostrano che Cristo ha “parole di vita eterna” non solo
perché guarisce l’anima e il corpo, ma perché Cristo è il senso
dell’umano, la sua stella polare, devono professare l’orgogliosa
coscienza che Cristo è l’uomo nuovo. Il suo progetto di vita è
la via e la verità dell’esperienza umana, perché ne è la vita
in pienezza. E possono dirlo mostrando prima di tutto in loro che
questo le fa crescere, sperare e amare. Se Cristo è il medico, lo è
perché è il dono del Padre per ogni uomo e ogni donna. Se Cristo è
la verità, lo è perché si fa valere come una verità attraente per
il cuore di ciascuno. Se Cristo è la via, lo è perché ci ha dato
lo Spirito dell’amore che ci conduce nel cuore di Dio. Se Cristo è
tutto questo, allora è la vita, sì: la vita buona e piena. Insomma
loro sono testimoni che solo Cristo “parola di vita” dà vita e
pace e gioia: si sono date all’Amore e ricevono amore da diffondere
nella vita quotidiana.
Lo
stesso possiamo fare noi, davanti all’Eucaristia domenicale,
davanti a questo gesto che a volte ci appare duro e lontano. La
tentazione di sospenderne la pratica in attesa di comprenderla meglio
indica una prospettiva illusoria: infatti soltanto praticando il
sacramento noi possiamo approfondirne il significato. Soltanto
ascoltando Cristo e affidandoci a Lui, che si affida a noi nella
comunione, capiremo che solo il Signore ha parole che fanno viva la
vita.
Lettura
Patristica
San
Cirillo di Gerusalemme
Catech.
IV mist., 1-6.9
Nella
notte in cui nostro Signore Gesù Cristo fu tradito, prese il pane e
dopo aver reso grazie lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli
dicendo: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Poi prese il
calice e reso grazie disse: Prendete e bevete, questo è il mio
sangue (1Co
11,23-25).
Gesù stesso si è manifestato dicendo del pane: «Questo è il mio
corpo». Chi avrebbe ora il coraggio di dubitarne? Egli stesso l’ha
dichiarato dicendo: «Questo è il mio sangue». Chi lo metterebbe in
dubbio dicendo che non è il suo sangue?
Egli di sua volontà una volta cambiò a Cana di Galilea (Jn 2,1-11) l’acqua in vino, e non è degno di fede se muta il vino in sangue? Invitato alle nozze fisiche fece questo miracolo strepitoso. E noi non lo confesseremo molto più, avendo dato ai figli dello sposo (Mt 9,15 Lc 5,34) la gioia del suo corpo e del suo sangue?
Con ogni sicurezza partecipiamo al corpo e al sangue di Cristo. Sotto la specie del pane ti è dato il corpo, e sotto la specie del vino ti è dato il sangue perché tu divenga, partecipando al corpo e al sangue di Cristo, un solo corpo e un solo sangue col Cristo. Così diveniamo portatori di Cristo spandendosi il suo corpo e il suo sangue per le nostre membra. Così secondo il beato Pietro noi diveniamo "partecipi della natura divina" (2P 1,4).
Una volta Cristo parlando ai giudei disse: "Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avete in voi la vita" (Jn 6,53). Quelli non intendendo spiritualmente le sue parole se ne andarono scandalizzati (Jn 6,61 Jn 66), credendo che il Salvatore li invitasse alla sarcofagia.
C’erano nell’Antico Testamento i pani della proposizione (Lv 24,5-93 1M 1,22 2M 10,3) i quali proprio perché dell’Antico Testamento sono terminati. Nel Nuovo Testamento è un pane celeste e un calice di salvezza (Ps 116,4) che santificano l’anima e il corpo. Come il pane è proprio per il corpo, così il Logos è proprio per l’anima.
Non ritenerli come semplici e naturali quel pane e quel vino; sono invece, secondo la dichiarazione del Signore, il corpo e il sangue. Anche se i sensi ti inducono a questo, la fede però ti sia salda. Non giudicare la cosa dal gusto, ma per fede abbi la piena convinzione tu che sei giudicato degno del corpo e del sangue di Cristo...
Avendo appreso queste cose hai piena coscienza che ciò che ti pare pane non è pane, anche se al gusto è tale, ma corpo di Cristo, e il vino che pare vino non è vino, anche se il gusto l’avverte come tale, ma sangue di Cristo. Di ciò anticamente David cantando disse: "Il pane fortifica il cuore dell’uomo, e il suo volto brilla d’olio" (Ps 104,15). Fortifica il tuo cuore, prendendo il pane come spirituale e si rallegri il volto della tua anima. Il tuo volto discoperto in una coscienza pura possa riflettere come in uno specchio la gloria del Signore (2Co 3,18) e progredire di gloria in gloria nel Cristo Gesù nostro Signore al quale sia gloria nei secoli dei secoli.
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