sabato 5 marzo 2022

Quaresima: tempo per portare la misericordia di Dio nel deserto dell’uomo.

 

Rito Romano

I Domenica di Quaresima – Anno C – 6 marzo 2022

Dt 26,4-10; Sal 90; Rm 10,8-13; Lc 4,1-13


Rito Ambrosiano

I Domenica di Quaresima

Gl 2,12b-18; Sal 50; 1Cor 9,24-27; Mt 4,1-11

 


1) La Quaresima come esodo.

I quaranta giorni di Gesù nei luoghi deserti di Israele sono l’eco dell’esodo, cioè dei quarant’anni trascorsi dal popolo ebreo nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto. Dunque, se vogliamo capire il senso dell’esperienza di Gesù, se vogliamo capire il senso del nostro cammino quaresimale insieme con Cristo, allora dobbiamo meditare sugli eventi della storia di Israele e della vita del Redentore. Tuttavia, se vogliamo che questa meditazione non sia una semplice riflessione intellettuale, dobbiamo fare questo cammino di conversione ritornando al Signore con tutto “con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti” (Gl 2,12). “Con tutto il cuore” vuol dire che questa conversione deve partire dal centro dei nostri pensieri e sentimenti, dalle radici delle nostre decisioni, scelte e azioni, con un gesto di totale e radicale libertà. Ma com’è possibile questo esodo, questo ritorno a Dio? E’ possibile grazie a una forza che non risiede nel nostro cuore, ma che si sprigiona dal cuore stesso di Dio. E’ la forza della sua misericordia.

La Quaresima è il tempo ricco di grazia e di misericordia, che la Chiesa ci offre perché ci impegniamo nell’esodo spirituale, nel cammino di conversione a Cristo attraverso l’ascolto più frequente della Parola di Dio, la preghiera più intensa, il digiuno e la carità.  La Chiesa ci propone la Quaresima come tempo favorevole per poter finalmente uscire dalla propria alienazione esistenziale grazie all’ascolto della Parola e alle opere di misericordia corporali e spirituali. E’ un tempo privilegiato per camminare sulla “via della povertà e della privazione (il digiuno), lo sguardo e i gesti d’amore per l’uomo ferito (l’elemosina) e il dialogo filiale con il Padre (la preghiera) ci permettono di incarnare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa” (Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2021).


La Quaresima è tempo favorevole per riscoprire la fede in Dio come criterio-base della nostra vita e di quella della Chiesa. Ciò implica sempre una lotta spirituale, perché il diavolo si oppone al nostro esodo di santificazione e cerca di farci deviare dalla via di Cristo che ci porta al Padre. Per questo, nella prima domenica di Quaresima, è proclamato ogni anno il Vangelo delle tentazioni di Gesù nel deserto.


2) Le tentazioni di Gesù.

Gesù fu tentato. Da quello che è scritto nel Vangelo di San Luca emerge che le tentazioni sono state ben di più di tre e che sono indicate come la tentazione del pane, quella del prestigio e quella del potere In effetti, San Luca racconta che il tentatore è con Gesù fin dall’inizio e cerca di agire su Gesù con “ogni tentazione”.

Ma perché Gesù fu tentato? Con i Padri della Chiesa possiamo rispondere che le tentazioni fanno parte della “discesa” di Gesù nella nostra condizione umana, nell’abisso del peccato e delle sue conseguenze. Una “discesa” che Gesù ha percorso sino alla fine, sino alla morte di croce e agli inferi dell’estrema lontananza da Dio. In questo modo, Lui è la mano che Dio ha teso all’uomo, alla pecorella smarrita, per riportarla in salvo. Come insegna sant’Agostino, “Gesù ha preso da noi le tentazioni, per donare a noi la sua vittoria” (cfr Enarr. in Psalmos, 60,3: PL 36, 724).

Queste tre seduzioni hanno un denominatore comune e possono essere considerate come tre modi diversi di un’unica tentazione, con la quale che Satana mette alla prova Gesù nel deserto, che però – come insegna la Bibbia – non è tanto il luogo della tentazione e della prova, quanto l’occasione di fare l'esperienza della vicinanza, della fedeltà, della misericordia del Signore: “Il Signore, tuo Dio... ti ha seguito nel tuo viaggio attraverso questo grande deserto. Il Signore, tuo Dio, è stato con te in questi quarant'anni e non ti è mancato nulla” (Dt 2, 7).

Portando il suo attacco alla libertà umana di Cristo, il diavolo vuol spingere il Messia contro Dio, facendo leva sull’avidità umana di possedere le cose, le persone e Dio stesso, e di cercare la realizzazione di sé disobbedendo al Padre perché sarebbe un Dio invidioso e rivale.

Infatti, che cosa suggerisce il diavolo a Gesù? Di seguire una via, di realizzare un’esistenza contraria a quella che il Padre aveva progettato per Lui, cercando di insinuare nel suo cuore il dubbio circa la bontà e la fedeltà di Dio. Dalla tentazione di Adamo ed Eva in poi, la “strategia” usata dal diavolo per indurci al peccato è sempre questa: farci dubitare dell’amore provvidente del Padre per indurci a disobbedire al divino disegno di bontà. Se nella mente e nel cuore dell’essere umano s’insinua la falsa idea che Dio sia invidioso della felicità umana, è più facile indurre al male, spingendo alla disobbedienza di una legge che non è più colta come proveniente dall’amore del Padre ricco di misericordia e di bontà, ma dalla gelosia di un Dio invidioso e nemico dell’umanità.

Dunque, nel deserto il diavolo tentò Cristo per distoglierlo dalla sua obbedienza al Padre, mostrando come vera vita un’esistenza contraria al progetto divino. Come? Ecco le tre forme che questa tentazione di base assume.

La prima: “Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane”. E’ un invito a dare prova della sua capacità di provvedere a se stesso, prescindendo dal Padre. Ma Gesù, che nel deserto aveva digiunato per 40 giorni, risponde: “Non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca del Padre”. Cristo risponde che Lui intende vivere invece la sua missione nell’ascolto obbediente del Padre. E con ciò mostra la relazione unica di Cristo con il Padre e l’abbandono confidente a Lui Padre.

Per questo che il digiuno è pratica quaresimale importante per far emergere in noi la fame di Dio come esigenza fondamentale. Dunque, digiunare non è solo mangiare poco o nulla in qualche giorno di quaresima, ma privarsi di qualcosa o di alcune cose per capire la necessità di Dio nella nostra vita

La seconda riguarda il potere che l’uomo vuole per realizzarsi. “Il diavolo condusse in alto il Messia e gli mostrò tutti i regni della terra”. Satana pensava di poter corrompere Gesù, promettendogli “il potere e la gloria” (Lc 4,6) del mondo se si fosse prostrato in adorazione dinanzi a lui (Id 4,7). E’ la tentazione di credere in un Dio pronto a risolvere i nostri egoismi, ciò che noi vogliamo. Gesù rispose: “Il Signore, Dio tuo, adorerai” (Id. 4,8).

Da ciò impariamo che il cristiano non serve se stesso o il popolo, ma solo Dio: è in perenne adorazione, a servizio del Padre e del suo amore, che ci spinge verso i fratelli. Per questo, la seconda pratica quaresimale è l’elemosina, che non è tanto dare alcune monetine ai poveri, ma vivere la carità fraterna praticano le opere di misericordia corporale e spirituale come Papa Francesco raccomanda.

La terza forma di tentazione è la più acuta. Il diavolo propone a Cristo: “Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù” (Id. 4,9) dal pinnacolo del tempio. E’ come se Satana dicesse: “Metti alla prova tuo Padre per verificare se mantiene le sue promesse”. La risposta di Gesù è decisa: questo significa “tentare Dio”, non fidarsi del Padre, Vita e sorgente di Vita. Cristo vive in questo totale abbandono al Padre e confermerà questo suo affidamento sempre fino ad andare in Croce e dire: “Nelle tue mani o Dio affido il mio spirito”.

Alla luce di ciò, viviamo la terza pratica di quaresima: la preghiera più intensa e perché questo tempo di penitenza e conversione sia fruttuoso per ciascuno di noi, preghiamo: “Concedici, Dio onnipotente, che, durante gli esercizi annuali della santa Quaresima, possiamo progredire nell’intelligenza del mistero di Cristo e ricercarne l’effetto (nella nostra vita) con una condotta degna”1 (Colletta della I Domenica di Quaresima).


3) Aprire la nostra miseria alla misericordia di Dio.

Questa terza pratica di quaresima: la preghiera più intensa è molto importante perché quando preghiamo ci lasciamo raggiungere da Dio che in Cristo è venuto a cercarci (si pensi alla parabola della pecorella smarrita Lc 15) e prende sulle sue spalle non solo i nostri peccati ma noi stessi. La preghiera quindi apre la nostra miseria alla misericordia di Gesù, che oggi ci insegna l’affidamento totale al Padre.

Affidamento totale che le Vergini consacrate nel mondo vivono attraverso il dono completo di sé a Cristo, Sposo che nel deserto parla al loro cuore (cfr Osea 2,2,), attraverso la preghiera, che permette di ascoltare la parola di amore di Dio e di imparare dal cuore di Cristo, attraverso la carità, perché “pregare è pensare a Dio amandolo” (Charles de Foucauld) e riconoscendolo nel prossimo, che è icona e presenza autentica di Cristo.

Certo per riconoscere Cristo nell’altro ci vuole una “purezza angelica” (M. Teresa di Calcutta) che è testimoniata in modo particolare da chi vive la verginità consacrata perché “la verginità trasforma in angeli le persone che l'abbracciano veramente” (San Giovanni Crisostomo).


1 Traduzione letterale di “Concéde nobis, omnípotens Deus, ut, per ánnua quadragesimális exercítia sacraménti, et ad intellegéndum Christi proficiámus arcánum, et efféctus eius digna conversatióne sectémur ”.


Lettura patristica

Ambrogio di Milano

In Luc., 4, 7-9.41 s.



       "Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo" (Lc 4,1-2 Mt 4,1). Conviene ricordare come avvenne che il primo Adamo fu cacciato dal paradiso nel deserto, affinché tu rifletta in qual modo il secondo Adamo dal deserto sia tornato al paradiso.


       Osservate come la condanna sia stata revocata, e i benefici di Dio reintegrati nei loro disegni. Adamo fu plasmato con la terra vergine, Cristo è nato da una vergine; quegli fu fatto ad immagine di Dio, questi è la stessa immagine di Dio; quello fu posto al di sopra di tutti gli animali sprovvisti di ragione, questo è al di sopra di tutti i viventi; per mezzo di una donna venne la perdizione, per mezzo di una vergine viene la sapienza la morte per mezzo di un albero, la vita per la croce.


       L’uno, spoglio delle cose spirituali, si coprì con le foglie di un albero; l’altro, spoglio delle cose del mondo, non ebbe bisogno del rivestimento corporale. Nel deserto Adamo, nel deserto Cristo; questi infatti sapeva dove poter trovare l’uomo condannato per ricondurlo al paradiso, dopo averne cancellato la colpa. Ma, poiché l’uomo non poteva tornare al paradiso coperto delle spoglie di questo mondo, - e non può essere cittadino del cielo se non chi si è spogliato di ogni colpa, - abbandonò il vecchio uomo, e si rivestì del nuovo, di modo che si avesse più un mutamento di persona che di sentenza, poiché non si possono abrogare i decreti divini.


       Colui che nel paradiso, senza guida, smarrì la via assegnatagli, come avrebbe potuto, senza guida, riprendere nel deserto la via smarrita, lì dove le tentazioni sono moltissime, difficile lo sforzo verso la virtù, facile la caduta nell’errore? La virtù è un po’ come le piante dei boschi: quando sono ancora basse salgono da terra verso il cielo; quando la loro età cresce nel tenero fogliame, esposte come sono al pericolo di denti crudeli, possono essere facilmente tagliate e inaridite. Ma quando l’albero si sia stabilito su profonde radici, e si erga con l’altezza dei rami, invano sarebbe attaccato dai morsi delle fiere, dalle braccia dei contadini e dal soffio delle procelle.


       Quale guida dunque egli avrebbe potuto seguire contro tanti adescamenti di questo mondo, contro tanti inganni del diavolo, sapendo che noi dobbiamo lottare prima di tutto «contro la carne e il sangue», poi contro le "potenze, contro i principi del mondo delle tenebre, e contro gli spiriti del male che circolano nell’aria" (Ep 6,11-12)?


       Avrebbe potuto seguire un angelo? Ma l’angelo stesso è caduto; le legioni degli angeli a malapena sono state utili a qualcuno (Mt 26,53 2Re Mt 6,17-18). Sarebbe potuto essere inviato un serafino? Ma un serafino discese sulla terra in mezzo a un popolo che aveva le labbra immonde (Is 6,6-7), e riuscì soltanto a purificare le labbra di un profeta con un carbone ardente. Si dovette cercare un’altra guida, che tutti quanti noi potessimo seguire.


       E chi poteva essere una guida così grande che potesse aiutare tutti, se non colui che è al di sopra di tutti? Chi avrebbe potuto mettersi al di sopra del mondo, se non chi è più grande del mondo? Chi poteva essere una guida così sicura, che potesse condurre nella stessa direzione l’uomo e la donna, il giudeo e il greco, il barbaro e lo scita, il servo e l’uomo libero, se non il solo che è tutto in tutti, cioè il Cristo?...


       Noi dunque non temiamo le tentazioni, ma piuttosto vantiamocene e diciamo: "È nella debolezza che siamo potenti" (2Co 12,10), è allora infatti che viene intrecciata per noi la corona della giustizia (2Tm 4,8). Ma questa corona di cui si parla è quella adatta a Paolo, mentre noi, dato che vi sono diverse corone, dobbiamo sperare di riceverne una qualsiasi. In questo mondo corona è l’alloro, e corona è lo scudo. Ma ecco, a te viene offerta una corona di delizie, perché "una corona di delizie ti farà ombra" (Pr 8,6); e altrove: "Ti circonderà con lo scudo della sua benevolenza" (Ps 5,13 Ps 90,5); infine, il Signore "ha coronato di gloria e onore colui che amava" (Ps 8,6). Dunque, colui che vuol darci la corona permette anche le prove: se sarai tentato, sappi che egli ti sta preparando la corona. Togli i combattimenti dei martiri, hai tolto le corone; togli i loro tormenti, hai tolto i loro trionfi.


       Forse che la tentazione di Giuseppe non è stata la consacrazione della sua virtù (cf. Gn 39,7ss), l’ingiustizia del carcere la corona della sua castità? In qual modo avrebbe potuto ottenere di essere associato in Egitto alla dignità regale, se non fosse stato venduto come schiavo dai suoi fratelli? (Gn 41,43). Egli stesso dimostrò che tutto questo fu voluto da Dio per mettere alla prova il giusto, dicendo: "in modo da far sì che oggi molta gente si salvasse" (Gn 50,20). Non dobbiamo quindi temere come fossero sciagure le prove del mondo, grazie alle quali si preparano per noi le buone ricompense; piuttosto, tenendo conto della condizione umana, dobbiamo chiedere di subire quelle prove che possiamo sopportare.


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