venerdì 10 aprile 2020

Cristo è risorto: l’Amore ha vinto.

Domenica di Risurrezione – Anno A – 12 aprile 2020
Rito Romano
At 10, 34a. 37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; Gv 20, 1-9

Rito Ambrosiano
At 1,1-8a; Sal 117; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18

Una premessa:
Il calendario ci dice che la primavera è iniziata una ventina di giorni fa, e l’inverno sembra finito. In questo periodo di “confinamento” in casa a causa del Covid-19, che conserva l’inverno nei nostri cuori, se guardiamo fuori dalla finestra di casa possiamo vedere le piante che hanno vinto il gelo e il freddo dell’inverno climatico. Osservandole, viene da pensare che tutte le cose, tutte le nostre cose, possono rifiorire grazie a quella forza, a quella potenza creatrice che riveste le piante davanti a noi con foglie verdi e nuove.
Ma questa forza riceve la sua forza da una “Forza misteriosa”, che ha voluto farsi vedere, rendendosi famigliare al nostro cammino di uomini. Così, il Dio Forte, il Dio Santo, il Dio Immortale dice a ciascuno di noi: “Io sono con te sempre, sono diventato figlio di una donna come sei figlio tu, ho vissuto quello che hai vissuto tu, sono stato ingiustamente condannato, ho subito dolori, sono stato ucciso e ho accettato tutto questo, perché tu capissi che Io condivido la fatica per il compito che ti ho chiamato a compiere”.
Celebrando la Pasqua, annunciamo che Gesù di Nazareth è risorto. La lieta verità, che Lui vuole far risentire nell’animo di ognuno di noi, è che non nasciamo per morire, ma per vivere e che la morte non è che l’ultima e drammatica porta da attraversare e che Lui ci accompagna in questa avventura.
Con la celebrazione della Pasqua, non annunciamo solo un messaggio di speranza, annunciamo il fatto che il Dio, venuto tra noi, è risorto dalla morte che noi gli abbiamo inflitto, e libera il nostro cuore dalla tristezza di morte che lo ingombra. Cristo morto e risorto è la ragione della speranza che vince la tristezza del mondo, compimento della promessa antica, quella cioè fatta al popolo di Israele. Perciò Lui è la ragione di ogni nuovo inizio. Quando ogni mattina ci alziamo possiamo riprendere nelle nostre mani la certezza della positività e bontà ultima delle cose: quel che ci sta a cuore e che amiamo non lo perderemo più.
Con gioia, mista a paura e dolore a causa della grave pandemia che sta ancora colpendo l’umanità, celebriamo la Pasqua non come semplice commemorazione di un fatto passato, ma come partecipazione al mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo.
Ora non è più il Capo che deve adagiarsi sulla croce per, poi, rialzarsi dalla tomba. E’ il suo corpo, la Chiesa, con tutte le sue membra rappresentate da ciascuno di noi: siamo noi che dobbiamo condividere questa passione per poter condividere la sua resurrezione.
La Pasqua ci insegna che il cristiano nella Chiesa deve morire con il Cristo per resuscitare con lui.
La Pasqua non opera alcuna magia. Come dopo la traversata del Mar Rosso gli Ebrei trovarono il deserto, così la Chiesa, dopo la Risurrezione, trova sempre la storia con le sue gioie e le sue speranze, i suoi dolori e le sue angosce. La speranza, in questo mondo e, in particolare, in questo periodo di pandemia, non può non fare i conti con la durezza del male e del dolore fisico e spirituale. Non è soltanto il muro della malattia e della morte a ostacolare questa speranza, l’ostacolo alla speranza è dovuto ai nostri peccati, all’invidia e all’orgoglio, alla menzogna e alla violenza.
Gesù Risorto è passato attraverso questo intreccio mortale, per aprirci il passaggio verso il Regno della vita e donarci la luce vera. Come i raggi del sole, a primavera, fanno spuntare e schiudere le gemme sui rami degli alberi, così la luce, che promana dalla Risurrezione di Cristo, non solamente dà forza e significato ad ogni speranza umana, ma gioia profonda che viene dal fatto che la risurrezione mostra che l’amore è più forte della morte.
Facciamo, quindi, nostra la frase di Madre Teresa di Calcutta, che ha bene conosciuto il dolore dell’umanità piagata, ma “osava” dire:: "Non lasciare che nulla ti riempia così di dolore da farti dimenticare la gioia di Cristo risorto" (M. Teresa di Calcutta).


1) Gesù è risorto davvero ed è apparso in primo luogo ad una donna: la prima nella fede perché la prima nell’amore.
Con la celebrazione della Pasqua non solo ricordiamo la Risurrezione, ma la rendiamo presente nella gioia, che nasce dall’incontro con il Signore risorto.
Il racconto evangelico proposto dalla Liturgia di oggi ci è di aiuto per capire e vivere tutto ciò. Si tratta di un racconto molto lineare: c’è Maria Maddalena che aspetta la prima luce per correre al sepolcro, lo trova vuoto, pensa che Gesù sia stato rubato; e ci sono gli Apostoli Pietro e Giovanni che corrono al sepolcro per vedere se è vero quello che Maria e le altre donne dicono. L’amore a Cristo, anche se morto, permaneva in loro e, per amore, loro si erano recate alla tomba quando spuntava l’aurora del giorno nuovo, del primo giorno dopo il sabato, dell’inizio della nuova creazione.
Di per sé il racconto su Maria continua poi dal v. 11 e seguenti, che non sono nel brano scelto oggi ma che varrà la pena di andare a rileggere perché la liturgia oggi si ferma al v. 10. Ma credo utile commentare prima i versetti che vengono dopo, e che mi permettono una riflessione pertinente a oggi.
Dunque, vedendo la Tomba vuota, questa donna è smarrita, sconvolta. Ai suoi occhi il corpo morto del Crocifisso era l’unica cosa che era rimasta del Signore tanto amato, a cui da vivo lei aveva lavato i piedi con le proprie lacrime e con un profumo preziosissimo.
A un tratto Lui è lì accanto a lei con il Suo corpo risorto, ma Maria Maddalena non lo riconosce. Persa nei suoi pensieri e nel suo progetto di ritrovare il corpo sfigurato dalla passione, avrà cercato di guardare bene quell’estraneo che inaspettatamente si era messo accanto a lei? Sarà stata capace di presumere che questo supposto “ortolano” potesse essere Colui che le aveva perdonato tutti i peccati di una vita destinata alla morte, facendola “risorgere” alla vita vera? Sì! Per colei che aveva fatto esperienza che l’amore di Gesù è più grande del peccato, è bastata una parola: “Maria”. All’udire il suo nome pronunciato nel primo chiarore dell’alba da una voce ben conosciuta, riconobbe il Maestro risorto. Allora nel suo cuore si sprigionò la luce e in lei fiorì la fede che è riconoscere la presenza del Cristo risorto davanti a sé, accanto a sé, dentro di sé. E da quel momento nulla potrà strappare dal cuore di questa donna la certezza che si era impossessata del suo cuore e della sua mente.
L’Evangelista Giovanni, nel descrivere l’incontro di Maria di Magdala con Gesù, evidenzia tre aspetti fondamentali della fede cristiana: l’iniziativa, il riconoscimento e la missione. A colei che cerca una persona morta Cristo si mostra vivente (l’iniziativa): una conoscenza del Risorto che non avviene, però, con un incontro percettivo, e per questo Egli rimane ancora uno sconosciuto. Tutto cambia quando la Sua presenza diventa un appello personale (il riconoscimento): Gesù la chiama per nome, e Maria risponde come aveva sempre fatto durante la sua vita terrena: “Rabbunì” (titolo famigliare di Rabbì che significa mio maestro). Alla rivelazione segue l’investitura (la missione) dell’annuncio: mentre Maria vuole toccarLo, il Messia le affida il grande messaggio, espresso nel tipico linguaggio giovanneo, da portare ai fratelli: “Va’ dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Cristo la fece così diventare “apostola degli apostoli” (San Tommaso d’Aquino, Commento al vangelo di Giovanni, XX, 2519.10). Questo invito oggi è affidato in modo particolare alle Vergini consacrate che mostrano come la loro esistenza sia presa dall’iniziativa di Dio, sia vissuta nel riconoscimento di Cristo, che le manda in missione nel mondo. Loro esplicitano questo compito seguendo l’invito della Chiesa, come lo raccomandano i Prenotanda al Rito di Consacrazione dell’Ordo Virginum, n. 2°: “Loro si dedicano in effetti alla preghiera, alla penitenza, al servizio del prossimo ed al lavoro apostolico, seguendo il loro stato di vita…”. Ciò mostra che la preghiera è l’anima di ogni apostolato. Questo invito è pure confermato nell’ “Invio” (n.° 36, quando il Vescovo invoca lo Spirito Santo sulla consacrata:” Lo Spirito Santo che fu donato alla Vergine Maria e che consacra oggi il tuo cuore, ti animi della sua forza per il servizio di Dio e della Chiesa”).
Qui il Vangelo di oggi ci rivela il segreto che permette alla fede di nascere in ciascuno di noi. La fede ci è data da Gesù stesso che viene accanto a noi quasi di nascosto, senza farsi riconoscere immediatamente da noi. Gesù viene a tenerci compagnia, ad accendere un fuoco in noi, sino all’istante in cui scopriamo che è proprio Lui, che è qui, ci chiama per nome e gli diciamo di sì con la mente e con il cuore.
Al nostro umile, confidente atto di fede Lui risponde risorgendo anche nel nostro cuore.
Come la pianta esposta ed orientata alla luce vive, così orientiamoci alla luce di Cristo, con la preghiera e la carità. Allora Cristo entrerà nella nostra casa donando gioia e pace, vita e speranza, doni di cui abbiamo bisogno per la nostra rinascita umana e spirituale.


2) Pietro e Giovanni: testimoni di un fatto, non di una teoria.
Ora ritorniamo all’inizio del brano evangelico di oggi, che interrompe la narrazione su Maria Maddalena e, prima di narrare l’incontro di Cristo con lei, ci parla del correre di di Pietro e di Giovanni per verificare quanto le pie donne hanno riferito a loro ed agli altri Apostoli.
Nel racconto di oggi Pietro fa “soltanto” una cosa: constata che il sepolcro è vuoto. Non è cosa di poco conto, perché in tal modo il Primo degli Apostoli attesta il dato oggettivo della fede, constatando che la Tomba di Cristo è vuota in modo inspiegabile. In effetti se il corpo di Gesù fosse stato rubato i lini sarebbero in disordine e non stesi, e il sudario non sarebbe avvolto e messo in un luogo determinato. Pietro constata dunque il dato oggettivo: il sepolcro è vuoto e non si tratta di un furto. L’altro discepolo invece, amico di Gesù, quello che Gesù amava, vedendo le stesse cose, crede che Gesù è risorto. Quindi è sottolineato il fatto che non basta l’elemento oggettivo, che il sepolcro sia vuoto, che si sia sicuri che non è stato rubato. Ci vuole una spiegazione e ci vuole l’amore e l’intelligenza del cuore oltre a quella della testa, per credere alla risurrezione. Se ami una persona, la capisci, sperimenti chi è lei, le credi e conosci la verità di lei. Sant’Agostino scrive: “Non si entra nella verità se non per la carità”.
Siccome la risurrezione non è una teoria, ma un incontro con il Cristo risorto, allora puoi dare anche mille prove che Cristo è risorto, ma non basterà, perché il problema è un altro. Non sono le prove o i segni che mancano; la spiegazione unica più ragionevole è che sia risorto, ma non è questa; il problema è incontrare Lui e chi ama lo incontra sempre. Gli basta poco, gli basta un segno per capire.
La notte della morte è passata, il “Sole” è risorto per non più tramontare, il Bene ha vinto il male. Dove aveva abbondato il crimine, sovrabbonda la grazia, la gioia di Cristo lenisce ogni dolore e possiamo dire con serena sicurezza il Salmo 56 (57): “Saldo è il mio cuore, o Dio, saldo è il mio cuore. Voglio cantare, a te voglio inneggiare: svègliati, mio cuore, svègliati arpa, cetra, voglio svegliare l'aurora” (vv 8-9).
            L’iniziale mancanza di fede e l’incomprensione che hanno coinvolto Pietro e Giovanni, c’è stata anche in Maria di Magdala. Per riconoscere il Risorto, infatti, non basta la pura e semplice conoscenza fisica e razionale, ma è necessario quel percorso nella fede che in Maria avviene solo quando è chiamata per nome in un dialogo di profonda intimità, riportato da Giovanni in modo veramente toccante. L’apparizione è preceduta da una visione di angeli, quasi increduli della tristezza della donna (perché piangi?), ai quali Maria piangente spiega che hanno preso il suo Signore. È indicativo come Giovanni “dipinga” la posizione dei due angeli “seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù”: un’immagine che ricorda l’Arca dell’Alleanza, quasi a voler affermare che ogni profezia dell’Antico Testamento si è ora realizzata in quella tomba vuota, testimonianza del Cristo risorto.
La Resurrezione di Gesù è il sì di Dio a Cristo e a noi, poiché risuscitando l'uomo Gesù, Dio ha resuscitato tutta l'umanità e ha ricreato cieli nuovi e terra nuova. Torna a vivere non un’idea di Cristo, ma il Cristo in carne ed ossa, corpo immortale e trasfigurato.
Pur lodando la fede di Giovanni illuminata dall’amore, alla quale seguì sicuramente anche quella di Pietro, l’Evangelista sembra tuttavia rimproverare quel “ritardo” nel capire la grande verità (Non avevano infatti ancora (fino a quel momento) compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti). La vera fede, infatti, è quella che si affida totalmente alla parola di Dio e non cerca qualche testimonianza, o qualche indizio di attendibilità come il sepolcro vuoto; tutto questo è dovuto all’impreparazione perenne dell’uomo carnale di fronte al mistero di Dio. Alla luce di tutto questo, il “vedere” di Giovanni diventa testimonianza e impegno di fede e di vita per ogni vero cristiano che vuole intraprendere il difficile cammino verso la salvezza eterna perché, come affermava il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, la Pasqua è un intervento di Dio dall’eternità, è il preludio delle cose ultime, quelle che si verificheranno quando sarà la volontà del compimento finale, e di cui è possibile parlare soltanto in immagini o con parabole. La Pasqua rivela tutta la gloria e la potenza di Dio. Egli è il padrone della morte, non solo quella del Figlio, ma anche quella di ogni essere umano, e come ha risuscitato Gesù così porterà il Suo popolo santo dalla morte alla vita.


Lettura Patristica
San Gregorio di Nazianzo

Meditiamo queste parole di San Gregorio di Nazianzo:
  “Noi vogliamo attestare, a voi Figli e Fratelli, e a quanti della gloria e della speranza del nome cristiano sono rivestiti nel mondo, che Cristo ancor oggi, è nella storia del mondo, ancor oggi più che mai, Cristo è vivo, Cristo è reale. Vivo e reale, non nella penombra del dubbio e dell'incertezza...Cristo è presente. Il tempo non lo contiene e non lo consuma. La storia si evolve e può assai modificare la faccia del mondo. Ma la sua presenza la illumina .. Egli è il gaudio della terra; Egli è il medico d'ogni umana infermità. Egli si personifica in ogni uomo che soffre; finché sarà il dolore sulla terra, Egli se ne farà propria immagine per suscitare l'energia della compassione e del generoso amore. Gesù perciò è sempre e dappertutto presente...Egli è il Maestro, il Fratello, il Pastore, l'Amico d'ognuno dei suoi, il Salvatore d'ogni singola creatura umana che abbia la fortuna di essere da Lui associato come cellula del corpo mistico, di cui Egli è il capo. Ciascuno è autorizzato a chiamarlo per nome, non come personaggio estraneo, lontano inaccessibile, ma come il "TU" del supremo ed unico amore, come lo Sposo della propria felicità che misteriosamente è più vicino di quanto ciascuno che lo cerchi può immaginare, come è stato detto: "consolati, tu non mi cercheresti, se già non mi avessi trovato”.
Queste parole sono preghiera commossa che possiamo oggi fare nostra, nella gioia.


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