Domenica
di Risurrezione – Anno A – 12 aprile 2020
Rito
Romano
At
10, 34a. 37-43; Sal 117; Col 3, 1-4; Gv 20, 1-9
Rito
Ambrosiano
At
1,1-8a; Sal 117; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18
Il
calendario ci dice che la primavera è iniziata una ventina di giorni
fa, e l’inverno sembra finito. In questo periodo di “confinamento”
in casa a causa del Covid-19, che conserva l’inverno nei nostri
cuori, se guardiamo fuori dalla finestra di casa possiamo vedere le
piante che hanno vinto il gelo e il freddo dell’inverno climatico.
Osservandole, viene da pensare che tutte le cose, tutte le nostre
cose, possono rifiorire grazie a quella forza, a quella potenza
creatrice che riveste le piante davanti a noi con foglie verdi e
nuove.
Ma
questa forza riceve la sua forza da una “Forza misteriosa”, che
ha voluto farsi vedere, rendendosi famigliare al nostro cammino di
uomini. Così, il Dio Forte, il Dio Santo, il Dio Immortale dice a
ciascuno di noi: “Io sono con te sempre, sono diventato figlio di
una donna come sei figlio tu, ho vissuto quello che hai vissuto tu,
sono stato ingiustamente condannato, ho subito dolori, sono stato
ucciso e ho accettato tutto questo, perché tu capissi che Io
condivido la fatica per il compito che ti ho chiamato a compiere”.
Celebrando
la Pasqua, annunciamo che Gesù di Nazareth è risorto. La lieta
verità, che Lui vuole far risentire nell’animo di ognuno di noi, è
che non nasciamo per morire, ma per vivere e che la morte non è che
l’ultima e drammatica porta da attraversare e che Lui ci accompagna
in questa avventura.
Con
la celebrazione della Pasqua, non annunciamo solo un messaggio di
speranza, annunciamo il fatto che il Dio, venuto tra noi, è risorto
dalla morte che noi gli abbiamo inflitto, e libera il nostro cuore
dalla tristezza di morte che lo ingombra. Cristo morto e risorto è
la ragione della speranza che vince la tristezza del mondo,
compimento della promessa antica, quella cioè fatta al popolo di
Israele. Perciò Lui è la ragione di ogni nuovo inizio. Quando ogni
mattina ci alziamo possiamo riprendere nelle nostre mani la certezza
della positività e bontà ultima delle cose: quel che ci sta a cuore
e che amiamo non lo perderemo più.
Con
gioia, mista a paura e dolore a causa della grave pandemia che sta
ancora colpendo l’umanità, celebriamo la Pasqua non come semplice
commemorazione di un fatto passato, ma come partecipazione al mistero
della passione, morte e risurrezione di Cristo.
Ora
non è più il Capo che deve adagiarsi sulla croce per, poi,
rialzarsi dalla tomba. E’ il suo corpo, la Chiesa, con tutte le sue
membra rappresentate da ciascuno di noi: siamo noi che dobbiamo
condividere questa passione per poter condividere la sua
resurrezione.
La
Pasqua ci insegna che il cristiano nella Chiesa deve morire con il
Cristo per resuscitare con lui.
La
Pasqua non opera alcuna magia. Come dopo la traversata del Mar Rosso
gli Ebrei trovarono il deserto, così la Chiesa, dopo la
Risurrezione, trova sempre la storia con le sue gioie e le sue
speranze, i suoi dolori e le sue angosce. La speranza, in questo
mondo e, in particolare, in questo periodo di pandemia, non può non
fare i conti con la durezza del male e del dolore fisico e
spirituale. Non è soltanto il muro della malattia e della morte a
ostacolare questa speranza, l’ostacolo alla speranza è dovuto ai
nostri peccati, all’invidia e all’orgoglio, alla menzogna e alla
violenza.
Gesù
Risorto è passato attraverso questo intreccio mortale, per aprirci
il passaggio verso il Regno della vita e donarci la luce vera. Come i
raggi del sole, a primavera, fanno spuntare e schiudere le gemme sui
rami degli alberi, così la luce, che promana dalla Risurrezione di
Cristo, non solamente dà forza e significato ad ogni speranza umana,
ma gioia profonda che viene dal fatto che la risurrezione mostra che
l’amore è più forte della morte.
Facciamo,
quindi, nostra la frase di Madre Teresa di Calcutta, che ha bene
conosciuto il dolore dell’umanità piagata, ma “osava” dire::
"Non lasciare che nulla ti riempia così di dolore da farti
dimenticare la gioia di Cristo risorto" (M. Teresa di Calcutta).
1)
Gesù è risorto davvero ed è apparso in primo luogo ad una donna:
la prima nella fede perché la prima nell’amore.
Con
la celebrazione della Pasqua non solo ricordiamo la Risurrezione, ma
la rendiamo presente nella gioia, che nasce dall’incontro con il
Signore risorto.
Il
racconto evangelico proposto dalla Liturgia di oggi ci è di aiuto
per capire e vivere tutto ciò. Si tratta di un racconto molto
lineare: c’è Maria Maddalena che aspetta la prima luce per correre
al sepolcro, lo trova vuoto, pensa che Gesù sia stato rubato; e ci
sono gli Apostoli Pietro e Giovanni che corrono al sepolcro per
vedere se è vero quello che Maria e le altre donne dicono. L’amore
a Cristo, anche se morto, permaneva in loro e, per amore, loro si
erano recate alla tomba quando spuntava l’aurora del giorno nuovo,
del primo giorno dopo il sabato, dell’inizio della nuova creazione.
Di
per sé il racconto su Maria continua poi dal v. 11 e seguenti, che
non sono nel brano scelto oggi ma che varrà la pena di andare a
rileggere perché la liturgia oggi si ferma al v. 10. Ma credo utile
commentare prima i versetti che vengono dopo, e che mi permettono una
riflessione pertinente a oggi.
Dunque,
vedendo la Tomba vuota, questa donna è smarrita, sconvolta. Ai suoi
occhi il corpo morto del Crocifisso era l’unica cosa che era
rimasta del Signore tanto amato, a cui da vivo lei aveva lavato i
piedi con le proprie lacrime e con un profumo preziosissimo.
A
un tratto Lui è lì accanto a lei con il Suo corpo risorto, ma Maria
Maddalena non lo riconosce. Persa nei suoi pensieri e nel suo
progetto di ritrovare il corpo sfigurato dalla passione, avrà
cercato di guardare bene quell’estraneo che inaspettatamente si era
messo accanto a lei? Sarà stata capace di
presumere
che questo supposto “ortolano” potesse essere Colui che le
aveva perdonato tutti i peccati di una vita destinata alla morte,
facendola “risorgere” alla vita vera? Sì! Per colei che aveva
fatto esperienza che l’amore di Gesù è più grande del peccato, è
bastata una parola: “Maria”. All’udire il suo nome pronunciato
nel primo chiarore dell’alba da una voce ben conosciuta, riconobbe
il Maestro risorto. Allora nel suo cuore si sprigionò la luce e in
lei fiorì la fede che è riconoscere la presenza del Cristo risorto
davanti a sé, accanto a sé, dentro di sé. E da quel momento nulla
potrà strappare dal cuore di questa donna la certezza che si era
impossessata del suo cuore e della sua mente.
L’Evangelista
Giovanni, nel descrivere l’incontro di Maria di Magdala con Gesù,
evidenzia tre aspetti fondamentali della fede cristiana:
l’iniziativa, il riconoscimento e la missione. A colei che cerca
una persona morta Cristo si mostra vivente (l’iniziativa): una
conoscenza del Risorto che non avviene, però, con un incontro
percettivo, e per questo Egli rimane ancora uno sconosciuto. Tutto
cambia quando la Sua presenza diventa un appello personale (il
riconoscimento): Gesù la chiama per nome, e Maria risponde come
aveva sempre fatto durante la sua vita terrena: “Rabbunì”
(titolo famigliare di Rabbì che significa mio maestro). Alla
rivelazione segue l’investitura (la missione) dell’annuncio:
mentre Maria vuole toccarLo, il Messia le affida il grande messaggio,
espresso nel tipico linguaggio giovanneo, da portare ai fratelli:
“Va’ dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre
vostro, Dio mio e Dio vostro”. Cristo la fece così diventare
“apostola degli apostoli” (San Tommaso d’Aquino, Commento al
vangelo di Giovanni, XX, 2519.10). Questo invito oggi è affidato in
modo particolare alle Vergini consacrate che mostrano come la loro
esistenza sia presa dall’iniziativa di Dio, sia vissuta nel
riconoscimento di Cristo, che le manda in missione nel mondo. Loro
esplicitano questo compito seguendo l’invito della Chiesa, come lo
raccomandano i Prenotanda al Rito di Consacrazione dell’Ordo
Virginum, n. 2°: “Loro si dedicano in effetti alla preghiera, alla
penitenza, al servizio del prossimo ed al lavoro apostolico, seguendo
il loro stato di vita…”. Ciò mostra che la preghiera è l’anima
di ogni apostolato. Questo invito è pure confermato nell’ “Invio”
(n.° 36, quando il Vescovo invoca lo Spirito Santo sulla
consacrata:” Lo Spirito Santo che fu donato alla Vergine Maria e
che consacra oggi il tuo cuore, ti animi della sua forza per il
servizio di Dio e della Chiesa”).
Qui
il Vangelo di oggi ci rivela il segreto che permette alla fede di
nascere in ciascuno di noi. La fede ci è data da Gesù stesso che
viene accanto a noi quasi di nascosto, senza farsi riconoscere
immediatamente da noi. Gesù viene a tenerci compagnia, ad accendere
un fuoco in noi, sino all’istante in cui scopriamo che è proprio
Lui, che è qui, ci chiama per nome e gli diciamo di sì con la mente
e con il cuore.
Al
nostro umile, confidente atto di fede Lui risponde risorgendo anche
nel nostro cuore.
Come
la pianta esposta ed orientata alla luce vive, così orientiamoci
alla luce di Cristo, con la preghiera e la carità. Allora Cristo
entrerà nella nostra casa donando gioia e pace, vita e speranza,
doni di cui abbiamo bisogno per la nostra rinascita umana e
spirituale.
2)
Pietro e Giovanni: testimoni di un fatto, non di una teoria.
Ora
ritorniamo all’inizio del brano evangelico di oggi, che interrompe
la narrazione su Maria Maddalena e, prima di narrare l’incontro di
Cristo con lei, ci parla del correre di di Pietro e di Giovanni per
verificare quanto le pie donne hanno riferito a loro ed agli altri
Apostoli.
Nel
racconto di oggi Pietro fa “soltanto” una cosa: constata che il
sepolcro è vuoto. Non è cosa di poco conto, perché in tal modo il
Primo degli Apostoli attesta il dato oggettivo della fede,
constatando che la Tomba di Cristo è vuota in modo inspiegabile. In
effetti se il corpo di Gesù fosse stato rubato i lini sarebbero in
disordine e non stesi, e il sudario non sarebbe avvolto e messo in un
luogo determinato. Pietro constata dunque il dato oggettivo: il
sepolcro è vuoto e non si tratta di un furto. L’altro discepolo
invece, amico di Gesù, quello che Gesù amava, vedendo le stesse
cose, crede che Gesù è risorto. Quindi è sottolineato il fatto che
non basta l’elemento oggettivo, che il sepolcro sia vuoto, che si
sia sicuri che non è stato rubato. Ci vuole una spiegazione e ci
vuole l’amore e l’intelligenza del cuore oltre a quella della
testa, per credere alla risurrezione. Se ami una persona, la capisci,
sperimenti chi è lei, le credi e conosci la verità di lei.
Sant’Agostino scrive: “Non si entra nella verità se non per la
carità”.
Siccome
la risurrezione non è una teoria, ma un incontro con il Cristo
risorto, allora puoi dare anche mille prove che Cristo è risorto, ma
non basterà, perché il problema è un altro. Non sono le prove o i
segni che mancano; la spiegazione unica più ragionevole è che sia
risorto, ma non è questa; il problema è incontrare Lui e chi ama lo
incontra sempre. Gli basta poco, gli basta un segno per capire.
La notte della morte è passata, il “Sole” è risorto per non più
tramontare, il Bene ha vinto il male. Dove aveva abbondato il
crimine, sovrabbonda la grazia, la gioia di Cristo lenisce ogni
dolore e possiamo dire con serena sicurezza il Salmo 56 (57): “Saldo
è il mio cuore, o Dio, saldo è il mio cuore. Voglio cantare, a te
voglio inneggiare: svègliati, mio cuore, svègliati arpa, cetra,
voglio svegliare l'aurora” (vv 8-9).
L’iniziale
mancanza di fede e l’incomprensione che hanno coinvolto Pietro e
Giovanni, c’è stata anche in Maria di Magdala. Per riconoscere il
Risorto, infatti, non basta la pura e semplice conoscenza fisica e
razionale, ma è necessario quel percorso nella fede che in Maria
avviene solo quando è chiamata per nome in un dialogo di profonda
intimità, riportato da Giovanni in modo veramente toccante.
L’apparizione è preceduta da una visione di angeli, quasi
increduli della tristezza della donna (perché piangi?), ai quali
Maria piangente spiega che hanno preso il suo Signore. È indicativo
come Giovanni “dipinga” la posizione dei due angeli “seduti
l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato
posto il corpo di Gesù”: un’immagine che ricorda l’Arca
dell’Alleanza, quasi a voler affermare che ogni profezia
dell’Antico Testamento si è ora realizzata in quella tomba vuota,
testimonianza del Cristo risorto.
La
Resurrezione di Gesù è il sì di Dio a Cristo e a noi, poiché
risuscitando l'uomo Gesù, Dio ha resuscitato tutta l'umanità e ha
ricreato cieli nuovi e terra nuova. Torna a vivere non un’idea di
Cristo, ma il Cristo in carne ed ossa, corpo immortale e
trasfigurato.
Pur
lodando la fede di Giovanni illuminata dall’amore, alla quale seguì
sicuramente anche quella di Pietro, l’Evangelista sembra tuttavia
rimproverare quel “ritardo” nel capire la grande verità (Non
avevano infatti ancora (fino a quel momento) compreso la Scrittura,
che egli cioè doveva risuscitare dai morti). La vera fede, infatti,
è quella che si affida totalmente alla parola di Dio e non cerca
qualche testimonianza, o qualche indizio di attendibilità come il
sepolcro vuoto; tutto questo è dovuto all’impreparazione perenne
dell’uomo carnale di fronte al mistero di Dio. Alla luce di tutto
questo, il “vedere” di Giovanni diventa testimonianza e impegno
di fede e di vita per ogni vero cristiano che vuole intraprendere il
difficile cammino verso la salvezza eterna perché, come affermava il
teologo protestante Dietrich Bonhoeffer, la Pasqua è un intervento
di Dio dall’eternità, è il preludio delle cose ultime, quelle che
si verificheranno quando sarà la volontà del compimento finale, e
di cui è possibile parlare soltanto in immagini o con parabole. La
Pasqua rivela tutta la gloria e la potenza di Dio. Egli è il padrone
della morte, non solo quella del Figlio, ma anche quella di ogni
essere umano, e come ha risuscitato Gesù così porterà il Suo
popolo santo dalla morte alla vita.
Lettura
Patristica
San
Gregorio di Nazianzo
Meditiamo
queste parole di San Gregorio di Nazianzo:
“Noi
vogliamo attestare, a voi Figli e Fratelli, e a quanti della gloria e
della speranza del nome cristiano sono rivestiti nel mondo, che
Cristo ancor oggi, è nella storia del mondo, ancor oggi più che
mai, Cristo è vivo, Cristo è reale. Vivo e reale, non nella
penombra del dubbio e dell'incertezza...Cristo è presente. Il tempo
non lo contiene e non lo consuma. La storia si evolve e può assai
modificare la faccia del mondo. Ma la sua presenza la illumina ..
Egli è il gaudio della terra; Egli è il medico d'ogni umana
infermità. Egli si personifica in ogni uomo che soffre; finché sarà
il dolore sulla terra, Egli se ne farà propria immagine per
suscitare l'energia della compassione e del generoso amore. Gesù
perciò è sempre e dappertutto presente...Egli è il Maestro, il
Fratello, il Pastore, l'Amico d'ognuno dei suoi, il Salvatore d'ogni
singola creatura umana che abbia la fortuna di essere da Lui
associato come cellula del corpo mistico, di cui Egli è il capo.
Ciascuno è autorizzato a chiamarlo per nome, non come personaggio
estraneo, lontano inaccessibile, ma come il "TU" del
supremo ed unico amore, come lo Sposo della propria felicità che
misteriosamente è più vicino di quanto ciascuno che lo cerchi può
immaginare, come è stato detto: "consolati, tu non mi
cercheresti, se già non mi avessi trovato”.
Queste
parole sono preghiera commossa che possiamo oggi fare nostra, nella
gioia.
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