II
Domenica di Pasqua – della Divina Misericordia1
– Anno A – 19 aprile 2020
Rito
Romano
At
2,42-47; Sal 117; 1 Pt 1, 3-9; Gv 20, 19-31
Rito
Ambrosiano
At
4,8-24; Sal 117; Col 2,8-15; Gv 20,19-31
-
La misericordia di Dio.
In
questi giorni di grande preoccupazione per la pandemia che continua a
seminare dolore e morte, facciamo fatica ad accogliere la gioia che
viene dalla Pasqua, che abbiamo celebrato una settimana fa.
Come
è possibile vivere il clima di gioia, che
proviene dalla fede in Cristo risorto, se intorno a noi e tra
noi c’è malattia, morte e paura? Vivendo in comunione di stupore e
in fiduciosa impazienza nella prova.
Che
cosa ci porteranno i
prossimi mesi?
Come sarà l’avvenire
dell’umanità
sulla
terra? A noi non è dato di saperlo. Umanamente
parlando, ci sono segni di speranza, ma con difficoltà si intravede
alla fine del tunnel la luce flebile portata da nuovi
progressi nella
ricerca del vaccino per il Covid-19 e delle cure per chi ne è
colpito.
Purtroppo, non
mancheranno altre
esperienze dolorose. Ma in
questa Domenica della Misericordia, la
luce della divina compassione
illumina
il cammino degli uomini di
oggi.
Però non basta
dire che Cristo è il Figlio di Dio compassionevole, dal quale noi
ricaviamo i nostri sentimenti di misericordia e di fraternità. Lui è
anche vittima del nostro male. Lui è l’Agnello innocente, immolato
dai nostri peccati, che vince il male con il dono di sé in Croce.
Come
gli Apostoli circa
duemila anni fa,
è necessario che
nel
cenacolo della storia
noi oggi
accogliamo
Cristo risorto, che mostra le ferite della sua crocifissione e
ripete: “Pace
a voi”.
Occorre che la
nostra povera umanità
si lasci raggiungere e pervadere dallo Spirito,
che Cristo risorto le dona. E’
lo Spirito che risana le ferite del cuore, abbatte le barriere che ci
distaccano da Dio e che
ci
dividono tra di noi, restituendo
la
gioia dell’amore
del Padre e quella dell’unità
fraterna.
E’
importante,
allora,
che accogliamo nella
sua integralità l’insegnamento, che
ci viene dalla tre
letture di
questa seconda Domenica di Pasqua.
Oggi la
liturgia mostra il
cammino della misericordia che, mentre ricostruisce il rapporto di
ciascuno con Dio, suscita anche tra gli uomini nuovi rapporti di
fraterna solidarietà. Cristo ci ha insegnato che “l’uomo
non soltanto riceve e sperimenta la misericordia di Dio, ma è pure
chiamato a ‘usare
misericordia’
verso gli altri: Beati i misericordiosi, perché troveranno
misericordia (Mt 5, 7)”
(S. Giovanni Paolo
II, Lett. Enc. Dives
in misericordia, 14).
“La
misericordia è, infatti, l’atto ultimo e supremo con il quale Dio
ci viene incontro e che apre il nostro cuore alla speranza di essere
amati per sempre, qualunque sia la nostra povertà, qualunque sia il
nostro peccato. L’amore di Dio per noi non è una parola astratta.
Si è reso visibile e tangibile in Gesù Cristo. Per questo è sulla
stessa lunghezza d’onda che si deve orientare l’amore
misericordioso dei cristiani”
(Papa Francesco, Udienza alle realtà francesi dedite alla
misericordia divina, 13 dicembre 2019).
La
misericordia insegnata e praticata da Cristo non
perdona soltanto i peccati, ma va
anche incontro a tutte le necessità degli uomini. Gesù si è
chinato su ogni miseria umana, materiale e spirituale. L'esperienza
della misericordia
continua a raggiungere
l’umanità
attraverso il gesto delle nostre
mani
tese in suo nome
verso
le persone che
soffrono.
La
tenerezza misericordiosa e consolante
di Cristo
si rivolge soprattutto a chi, afflitto da una prova particolarmente
dura o schiacciato dal peso dei peccati commessi, ha smarrito ogni
fiducia nella vita ed è tentato di cedere alla disperazione. A lui
si presenta il volto dolce di Cristo, su di lui arrivano quei raggi
che partono dal suo cuore e illuminano, riscaldano, indicano il
cammino e infondono speranza.
Per
fare esperienza di questa misericordia ripetiamo spesso
l’invocazione:
“Gesù,
confido in Te”,
che la Provvidenza ha suggerito attraverso la
Santa polacca, Suor
Faustina Kowalska
(1905 - 1938
Questo semplice atto di abbandono a Gesù squarcia le nubi più dense
e fa passare un raggio di luce nella vita di ciascuno
di noi.
2)
Il costato trafitto: sorgente di luce e di misericordia.
Questa
domenica, che tradizionalmente era chiamata “Domenica in Albis”,
dal 2000 è stata proclamata Festa della Misericordia da San Giovanni
Paolo II. Questo Santo Papa ha così voluto evidenziare lo stretto
legame che esiste tra il Mistero di Pasqua e la Festa della
misericordia: “L’opera della Redenzione è collegata con
l’opera della Misericordia” (Sr. Faustina).
E’
vero che, secondo un’antica tradizione, l’odierna domenica aveva
il nome di Domenica “in Albis”, perché in questo giorno, nei
primi secoli della Chiesa, i battezzati durante della Veglia pasquale
indossavano ancora una volta la loro veste bianca, simbolo della luce
che il Signore aveva loro donato nel Battesimo. In seguito, avrebbero
poi deposto la veste bianca2, ma la nuova luminosità che era stata
loro comunicata doveva essere introdotta nella loro quotidianità.
La fiamma delicata della verità e del bene, che il Signore aveva
acceso in loro, doveva da loro essere custodita
diligentemente per portare così in questo nostro mondo qualcosa
della luminosità e della bontà di Dio.
E’
altrettanto vero che battesimo2
è il sacramento di misericordia, con il quale Dio non solamente ci
perdona il peccato originale ma ci incorpora a Cristo e ci rende
Tempio dello Spirito Santo. Questo sacramento “sgorga” dal
costato trafitto di Cristo, “sorgente
di misericordia, fontana di perdono”
(Simeone
il Nuovo Teologo,
Inno XLV)
e il Vangelo di oggi ci mostra l’Apostolo Tommaso che ha il dono
della fede mettendo il dito in questo costato, quasi per toccare il
Cuore di Cristo compassionevole
da cui escono il sangue
e
l’acqua della grazia: la tenera misericordia di Dio.
Dio
non può tradire il suo nome: Amore, che si dona e che perdona. Con
il Mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo una nuova
creazione è fatta, e come dal costato di Adamo dormiente è stata
formata Eva, dal costato di Cristo dormiente sulla Croce Dio Padre
trasse la Chiesa3.
La
Chiesa è nata dal cuore trafitto di Cristo4
e San Tommaso, perdonato della sua incredulità, ebbe l’impegnativo
dono di mettere la sua mano nel costato e di arrivare vicino al Cuore
del Crocifisso risorto. Toccò l’uomo e riconobbe Dio, che gli
manifestava ancora una volta la Sua misericordia.
A
noi come a San Tommaso, Gesù dice: “Metti qua il tuo dito,
stendi la tua mano, tocca!” A Tommaso bastò quel gesto. Anche
a noi può e deve bastare sapere e fare esperienza che il prossimo,
il fratello e la sorella, colui che tende le mani verso di te, voce
che non ti giudica ma ti incoraggia e ti chiama, corpo offerto ai
dubbi dei suoi amici, è Gesù.
Non
non poté sbagliarsi. C’era un foro nelle mani di Cristo, c’era
il colpo di lancia nel Suo fianco: sono i segni dell'amore, che Gesù
non nasconde, anzi, quasi esibisce: il foro dei chiodi, lo squarcio
nel costato.
Guardiamo
frequentemente il Crocifisso che c’è in ogni chiesa e, spero, in
ogni nostra casa, con gli occhi vedremo piaghe che non ci saremmo
aspettati, con le mani del cuore potremo anche noi toccare e credere.
Forse,
pensavamo che la Risurrezione avrebbe rimarginato per sempre le
ferite del Venerdì santo. E invece no. L'amore ha scritto il suo
racconto sul corpo di Gesù con l'alfabeto delle ferite. Indelebili
ormai, proprio come l'amore. Ma dalle piaghe aperte non sgorga più
sangue, bensì luce e misericordia. E nella mano di Tommaso, guidata
da Cristo verso il suo costato, ci sono tutte le nostre mani.
3)
Dalla paura alla gioia.
“Le
porte erano sprangate per paura dei Giudei” (Gv 20, 19).
Paura improbabile, ma quasi tutte le paure sono improbabili, però ci
sono e sono realissime. Queste paure che ti chiudono totalmente agli
altri, che fanno buio nell’esistenza e che fanno del loro cuore e
del cenacolo un sepolcro; il cenacolo è il luogo dove Gesù aveva
dato il pane, dove adesso entrerà, ma ormai la loro stanza è un
sepolcro, vivono di paura, di paura della morte. Come la pietra che
chiudeva il Sepolcro non impedì a Cristo di uscire e portare la
Luce, le porte chiuse del Cenacolo non Gli impediscono di entrare e
di rischiare il luogo ed i cuori dei suoi discepoli. Il Signore è
risorto non c'è più ragione di avere alcuna paura. Persino la morte
è vinta: di che cosa avere allora paura? “Si rallegrarono al
vedere il Signore”: i discepoli passano dalla paura alla gioia.
La gioia, dono del Signore risorto, è una partecipazione alla sua
stessa gioia.
Non
ci sono due gioie differenti, una per Dio e una per l'uomo. In tutte
e due i casi si tratta di una gioia che affonda le sue radici
nell'amore. Questa gioia non sta nell'assenza della Croce, ma nel
comprendere che il Crocifisso è risorto. La fede permette una
comprensione vera della Croce e del dramma dell'uomo.
Insieme
con la gioia c’è un altro dono da parte del Risorto: la pace.
Ricordiamo però che pace e gioia sono “doni” di Cristo e, al
tempo stesso, “tracce” per riconoscerLo. Ma occorre infrangere
l’attaccamento a se stessi. La pace e la gioia fioriscono soltanto
nella libertà e nel dono di sé.
L'offerta
di se stessi a Dio, ha recentemente5
spiegato Papa Francesco, “riguarda ogni cristiano, perché tutti
siamo consacrati a Lui mediante il Battesimo. Tutti siamo chiamati ad
offrirci al Padre con Gesù e come Gesù, facendo della nostra vita
un dono generoso, nella famiglia, nel lavoro, nel servizio alla
Chiesa, nelle opere di misericordia”. Tuttavia, “tale
consacrazione è vissuta in modo particolare dai religiosi, dai
monaci, dai laici consacrati, che con la professione dei voti
appartengono a Dio in modo pieno ed esclusivo. Questa appartenenza al
Signore permette a quanti la vivono in modo autentico di offrire una
testimonianza speciale al Vangelo del Regno di Dio. Totalmente
consacrati a Dio, sono totalmente consegnati ai fratelli, per portare
la luce di Cristo là dove più fitte sono le tenebre e per
diffondere la sua speranza nei cuori sfiduciati”.
Le Vergini consacrate sono segno di Dio nei diversi ambienti di vita,
sono lievito per la crescita di una società più giusta e fraterna,
sono profezia di condivisione con i piccoli e i poveri. Così intesa
e vissuta, la vita consacrata ci appare proprio come essa è
realmente: è un dono di Dio, un dono di Dio alla Chiesa, un dono di
Dio al suo popolo.
4)
Il perdono come missione.
L’incontro
di misericordia di Cristo con Tommaso fu possibile perché Gesù
stava in mezzo ai discepoli. Non solo Tommaso, ma lui e la comunità
riconoscono il Signore dalle sue ferite, che restano sempre aperte
per accogliere tutti. Da esse scaturisce la gioia di chi è amato e
l’invio ad amare come siamo amati. La missione della chiesa è la
stessa di Gesù, inviato dal Padre verso i fratelli. Per questo siamo
creature nuove, vivificate dal suo Spirito, che è amore, dono e
perdono da offrire a tutti. Se perdoniamo, siamo come Gesù Cristo ed
avremo la sua pace: “Pace a voi”.
Ma
è una pace diversa rispetto a quella del mondo. Diversa perché dono
di Dio e perché va alla radice, là dove l’uomo si decide per la
menzogna o per la verità. Diversa perché è una pace che sa pagare
il prezzo della giustizia. La pace di Gesù non promette di eliminare
la Croce - né nella vita del cristiano, né nella storia del mondo -
ma rende certi della sua vittoria: “Io ho vinto il mondo”
(Gv 16,33).
Al
dono della pace Gesù aggiunge quello dello Spirito: “Ricevete
lo Spirito Santo”: lo Spirito è il testimone di Gesù. Davanti
all’ostilità che incontreranno, i discepoli saranno esposti al
dubbio, allo scandalo, allo scoraggiamento: lo Spirito difenderà
Gesù nel loro cuore, li renderà sicuri e saldi. Anche a noi,
discepoli di oggi, lo Spirito offre questa certezza e ci da la forza
di portare nel mondo il perdono di Dio.
La
Chiesa nel Cenacolo è nata dalla contemplazione dell’amore del
Cristo Crocifisso e Risorto ed è inviata a testimoniare e
condividere questo amore che perdona.
1 Nella
parola “misericordia” S. Giovanni Paolo II trovava riassunto e
nuovamente interpretato per il nostro tempo l’intero mistero della
Redenzione, quindi
il 30 aprile 2000 questo Papa, che è stato proclamato Santo insieme
con Giovanni XXIII, istituì
la Festa della Divina Misericordia e volle che fosse celebrata in
questa II Domenica di Pasqua.
2 “Il
santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il
vestibolo d'ingresso alla
vita nello Spirito («
vitae spiritualis ianua »), e la porta che apre l'accesso agli
altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e
rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo
incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione:
«
Baptismus est sacramentum regenerationis per aquam in verbo – Il
Battesimo può definirsi il sacramento della rigenerazione cristiana
mediante l'acqua e la parola ».”(Catechismo
della Chiesa Cattolica,
n. 1213).
3 Cfr
Concilio
Vaticano II, Cost. Sacrosanctum
Concilium,
5: AAS 56 (1964) 99.
4 Cfr
Sant'Ambrogio, Expositio
evangelii secundum Lucam,
2, 85-89: CCL 14, 69-72 (PL 15, 1666-1668)
5
Discorso del 2 febbraio 2014.
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona (354 – 430)
Dal
Commento alla Prima Lettera di S. Giovanni
(In
Io. Ep. tr. 1, 3)
Tommaso
toccò l’uomo e riconobbe Dio!
“Noi
- dice Giovanni - siamo testimoni e vi annunciamo la vita
eterna che era presso il Padre e si è manifestata in noi (1
Gv 1, 2-3), cioè in mezzo a noi; piú chiaramente si
direbbe: manifestata a noi. Le cose dunque che abbiamo visto e
sentito le annunciamo a voi. Faccia bene attenzione la vostra
Carità: Le cose che abbiamo visto e udito noi vi
annunciamo. Essi videro presente nella carne il Signore stesso,
da quella bocca raccolsero le sue parole e ce le hanno trasmesse.
Perciò anche noi abbiamo sentito, sebbene non abbiamo visto. Siamo
forse meno felici di quelli che videro ed udirono? Ma perché allora
aggiunse: Affinché anche voi abbiate parte insieme con noi (1
Gv 1, 3-4)? Essi videro, noi no, e tuttavia ci
troviamo insieme; la ragione è questa, che abbiamo comune tra noi la
fede. Ci fu un tale che, avendo visto, non credette e volle palpare
per arrivare in questo modo alla fede. Disse costui: Io non
crederò se non metterò le mie dita nel segno dei chiodi e non
toccherò le sue cicatrici. Il Signore permise che le mani
degli uomini lo palpassero per un poco, lui che sempre si offre allo
sguardo degli angeli. Il discepolo dunque palpò ed esclamò: Signor
mio e Dio mio. Egli toccò l'uomo e riconobbe Dio. Il
Signore allora, per consolare noi che non possiamo stringerlo con le
mani, essendo egli già in cielo, ma possiamo raggiungerlo con la
fede, gli disse: Tu hai creduto, perché hai veduto: beati
quelli che non vedono e credono (Gv 20, 25-29). In questo
passo siamo noi stessi ritratti e designati. S'avveri dunque in noi
quella beatitudine che il Signore ha preannunziato per le future
generazioni; restiamo saldamente attaccati a ciò che non vediamo,
perché essi che videro ce lo attestano. Affinché -
afferma Giovanni - anche voi abbiate parte con
noi. Che c'è di straordinario a far parte della società degli
uomini? Aspetta ad obiettare; considera ciò che egli aggiunge: E
la nostra vita sia in comune con Dio Padre e Gesú Cristo suo Figlio.
Queste cose ve le abbiamo scritte, perché sia piena la vostra gioia
(1 Gv 1, 3-4). Proprio nella vita in comune, proprio nella
carità e nella unità, Giovanni afferma che c'è la pienezza della
gioia.”
In
breve...
Vedeva
e toccava l’uomo, ma confessava Dio che non vedeva e non toccava.
Attraverso ciò che vedeva e toccava, rimosso ormai ogni dubbio,
credette in ciò che non vedeva. (In Io. Ev. tr. 121, 5)
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