Pentecoste
– Anno A - 4 giugno 2017
Rito
Romano
At
2,1-11; 1Cor 12,3-7.12-13; Gv 20,19-23
Rito
Ambrosiano
At
2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20
1)
Il significato
cristiano della
Pentecoste.
Cinquanta
giorni
dopo
la
Pasqua,
la
Liturgia
ci
fa
celebrare
la
Pentecoste,
cioè
la
discesa
dello
Spirito
Santo
sulla
Chiesa
nascente
e
sulla
Chiesa
di
oggi.
Non
facciamo
memoria
di
un
fatto
accaduto
circa
duemila
anni
fa,
ma
di
un
evento
che
riaccade
perché
“la Chiesa ha bisogno della sua perenne Pentecoste; ha
bisogno di fuoco nel cuore, di parola sulle labbra, di profezia nello
sguardo” (Paolo VI).
Dunque
celebriamo
oggi
l’annuale
festa
della
discesa
dello
Spirito
Santo;
ma
lo
Spirito
Santo
dobbiamo
averlo
nel
cuore
tutti
i
giorni.
“Non
celebriamo
la
Pentecoste
per
un
giorno
solo
ma
in
ogni
tempo,
se
vogliamo
essere
non
riprovati ma
approvati
dal
Signore
nel
giorno
della
sua
venuta.
Avendoci
in
antecedenza
dato
il
pegno,
ci
voglia
condurre
al
possesso
eterno
[dei
beni].
Cristo
infatti
ha
sposato
la
sua
Chiesa
e
ha
mandato
a
lei
lo
Spirito
Santo.
Lo
Spirito
Santo
è
come
l’anello
nuziale;
e
chi
le
ha
dato
l'anello
le
darà
anche
l'immortalità
e
il
riposo.
Lui
amiamo,
in
lui
speriamo,
in
lui
crediamo
(Sant’Agostino,
Discorso
272/
B
per
la
Pentecoste).
Purtroppo,
per molte persone e per molti Paesi dove anche il lunedì di
Pentecoste è festivo, la Pentecoste non è altro che il nome di un
lungo weekend. E sono contenti che la routine dei giorni feriali
sia interrotta da quella del tempo libero, che offre il vantaggio del
divertimento, l’illusione forse della libertà, ma veri momenti di
elevazione e di contentezza per il tempo che si può passare con le
persone amate.
È
ovvio che chi vive coscientemente non potrà accontentarsi
di passare in modo non riflesso e passivo dal lavoro al tempo libero
e dal tempo libero al lavoro. Di tanto in tanto, dovrà fermarsi
e chiedere in che direzione si muova la sua vita, verso dove si
dirigano tutte le cose, gli uomini ed il mondo. Dovrà assumersi
un po’ di responsabilità per questo movimento e per la sua
direzione e non potrà limitarsi a partecipare semplicemente
all’offerta consumistica, che costantemente si diffonde, senza
chiedersi da dove essa venga e dove conduca.
Dunque
questa Solennità della Pentecoste è un invito a passare dalla
logica del fine settimana a quella della festa, nella quale
- facciamo memoria di un fatto accaduto nel passato;
- celebriamo un fatto o che accade ora fra noi discepoli di Gesù;
- viviamo l’attesa che quanto è ricordato e vissuto raggiunga la sua pienezza nella vita eterna.
Nella Pentecoste
facciamo memoria, celebriamo e viviamo il fatto che quello
che
avvenne
nella
Vergine
Maria,
avviene
in
ogni
credente
in
Cristo,
che
“con
il
dono
dello
Spirito
Santo
riallaccia la nostra relazione con il Padre,
rovinata
dal
peccato; ci
toglie
dalla condizione di orfani e ci restituisce a quella di figli”
(Papa
Francesco,
15
maggio
2016)
Vengono
i
brividi
solo
a
pensarlo
che
Dio
- non solamente ha visitato la terra, discendendo quaggiù nel mondo,
- non solo ha pagato con la Croce il prezzo del suo amore per noi,
- ma Dio si dona a noi, vive in noi. Ciascuno di noi diventa capace di Dio, accoglie Dio in sé, perché in ognuno di noi si rinnovi il mistero della nostre unione col Verbo.
Il
fatto che
oggi ricordiamo
e celebriamo
è che
il Regno
di Dio
nel quale
Gesù vuol
introdurci e
al quale
noi siamo
chiamati è
un cielo
interiore, dentro
di noi
perché come
dice San
Gregorio Magno:
“Il cielo
è l’anima
del giusto”.
E noi
siamo giusti
perché immersi
nel Battesimo
in Cristo,
che oggi
si immerge
in noi
con il
suo Spirito.
L’unione
nostra
con
Dio
e
di
Dio
con
noi
si
realizza
in
questo
dono
dello
Spirito
e
in
questo
dono
dello
Spirito
che
ci
unisce
a
Dio,
si
realizza
anche,
come
frutto
divino
di
unione,
la
nostra
trasformazione
in
Cristo,
Figlio
di
Dio
e
fratello
nostro.
A
questo
riguardo
Papa
Francesco
insegna
“Mediante
il
Fratello
universale,
che
è
Gesù,
possiamo
relazionarci
agli
altri
in
modo
nuovo,
non
più
come
orfani,
ma
come
figli
dello
stesso
Padre
buono
e
misericordioso.
E
questo
cambia
tutto!
Possiamo
guardarci
come
fratelli,
e
le
nostre
differenze
non
fanno
che
moltiplicare
la
gioia
e
la
meraviglia
di
appartenere
a
quest’unica
paternità
e
fraternità”
(Omelia
di
Pentecoste,
15
maggio
2016).
2)
Da Babele a
Pentecoste, dalla
divisione all’unità.
La
luce della
Pentecoste ci
conduce
all’essenziale:
ci rivela
la dignità
e la
vocazione che
ci sono
donate: quella
di essere
figli destinati
all’immortalità
e testimoni
dell’uguaglianza
nell’amore
e nel
dono di
noi stessi
a Dio
e ai
fratelli.
San
Luca racconta
la discesa
dello Spirito
(I
lettura: At
2,1-11)
utilizzando i
simboli
classici che
accompagnano
l’azione
di Dio:
il vento,
il terremoto
e il
fuoco. Sotto
forma di
lingue questo
fuoco si
posa sui
presenti nel
Cenacolo,
che “cominciarono
a parlare
in altre
lingue”.
Con questo
diventa chiaro
il compito
di unità
e di
universalità a
cui lo
Spirito chiama
la sua
Chiesa.
Con
la venuta
dello Spirito
a Pentecoste
e la
nascita della
comunità
cristiana inizia
in seno
all’umanità
una storia
nuova.
Alla
luce del
racconto della
torre di
Babele
comprendiamo
meglio l’evento
di Pentecoste,
di cui
oggi facciamo
memoria. E’
iniziata dentro
l’umanità
la costruzione
di una
vera comunione
fra le
persone: vera,
perché donata
dall’alto,
per opera
dello Spirito
di Gesù
e l’annuncio
apostolico delle
grandi meraviglie
di Dio.
Con il
dono dello
Spirito Santo
il seme
dell’unità
è posto
nel campo
dei conflitti
umani.
La
celebrazione che siamo chiamati a vivere in questa domenica rende
attuale l’evento accaduto circa duemila anni fa. Mediante la fede
noi diventiamo contemporanei ad esso e possiamo testimoniare che esso
è la risposta vera al desiderio di unità che è insito nel cuore
umano.
A
Babele uomini
della
stessa lingua
non si
capirono più.
A Pentecoste,
di allora
e di
oggi, invece
uomini di
lingue diverse
si incontrano
e si
intendono. Il
compito che
lo Spirito
affida alla
sua Chiesa
è di
imprimere alla
storia umana
un movimento
di
riunificazione:
movimento nello
Spirito, nella
verità, nella
libertà e
attorno a
Dio.
Anche
nel Vangelo
di oggi
(Gv
20,19-23) è
detto che
lo Spirito
ricrea
la comunità
degli apostoli,
la apre
alla missione
(allora come
oggi), ricordando
che lo
Spirito è
il dono
di Cristo:
“Ricevete
lo Spirito
Santo”.
San
Giovanni mette
un relazione
stretta tra
lo Spirito,
la comunità
dei discepoli
e la
missione di
portare nel
mondo il
Vangelo di
Cristo e
il suo
perdono.
Le
vergini consacrate sono chiamate in modo particolare ad essere
testimoni di questa misericordia del Signore, nella quale l'uomo
trova la propria salvezza. Queste donne tengono viva l'esperienza del
perdono di Dio, perché hanno la consapevolezza di essere persone
salvate, di essere grandi quando si riconoscono piccole, di sentirsi
rinnovate ed avvolte dalla santità di Dio quando riconoscono il
proprio peccato.
Le
vergini
consacrate
accettano
con
umiltà
le
indicazioni
che
San
Cipriano,
lodandole,
rivolge loro
nel suo
libro De
habitu
virginum
in cui
descrive come
deve essere
il loro
comportamento:
“Ora il
nostro discorso
si rivolge
a voi,
vergini, delle
quali quanto
è più
sublime la
gloria, tanto
maggiore deve
essere la
cura; fiore
della stirpe
della Chiesa,
decoro ed
ornamento della
grazia
spirituale,
stirpe eletta
e lieta,
opera integra
ed incorrotta
di lode
e di
amore, immagine
di Dio
che rappresenta
la santità
del Signore,
la più
illustre porzione
del gregge
di Cristo.
Attraverso le
vergini gode
e nelle
vergini
abbondantemente
fiorisce la
gloriosa
fecondità della
Madre Chiesa”.
La
loro
vita
è
da
considerare
come
una
scuola
della
fiducia
nella
misericordia
di
Dio,
nel
suo
amore
che
mai
abbandona.
In
realtà,
più
ci
si
avvicina
a
Dio,
più
si
è
vicini
a
Lui,
più
si
è
utili
agli
altri.
Le
persone
consacrate
testimoniano
la
grazia,
la
misericordia
e
il
perdono
di
Dio
non
solo
per
sé,
ma
anche
per
i
fratelli,
essendo
chiamate
a
portare
nel
cuore
e
nella
preghiera
le
angosce
e
le
attese
degli
uomini,
specie
di
quelli
che
sono
lontani
da
Dio.
Lettura
Patristica
San
Cirillo di
Alessandria
Catechesis
XVI,
De
Spir.
Sancto,
I, 22-24
Qualcosa
di
grande,
e
onnipotente
nei
doni,
e
ammirabile,
lo
Spirito
Santo.
Pensa,
quanti
ora
sedete
qui,
quante
anime
siamo.
Di
ciascuno
egli
si
occupa
convenientemente;
e
stando
in
mezzo
(Ag
2,6)
(a
noi)
vede
di
che
cosa
ciascuno
è
fatto;
vede
anche
il
pensiero
e
la
coscienza,
ciò
che
diciamo
e
abbiamo
nella
mente.
È
certamente
cosa
grande
ciò
che
adesso
ho
detto,
ma
ancora
poco.
Vorrei
che
tu
considerassi,
illuminato
da
lui
nella
mente,
quanti
sono
i
cristiani
di
tutta
questa
diocesi,
e
quanti
di
tutta
la
provincia
della
Palestina.
Di
nuovo
spazia
col
pensiero
da
questa
provincia
a
tutto
l’impero
romano;
e
da
questo
rivolgi
lo
sguardo
a
tutto
il
mondo;
le
stirpi
dei
Persiani,
e
le
nazioni
degli
Indi,
Goti
e
Sarmati,
Galli,
e
Ispani,
Mauri
ed
Afri
ed
Etiopi,
e
tutti
gli
altri,
dei
quali
non
conosciamo
neanche
i
nomi;
ci
sono
molti
popoli,
infatti,
dei
cui
nomi
non
ci
venne
neppure
notizia.
Considera
di
ciascun
popolo
i
vescovi,
i
presbiteri,
i
diaconi,
i
monaci,
le
vergini,
e
tutti
gli
altri
laici;
e
guarda
il
grande
reggitore
e
capo,
e
largitore
dei
doni;
come
in
tutto
il
mondo
a
uno
dà
la
pudicizia,
a
un
altro
la
perpetua
verginità,
a
un
altro
ancora
la
misericordia
(o
la
passione
dell’elemosina),
a
uno
la
passione
della
povertà,
ad
un
altro
la
forza
di
fugare
gli
spiriti
avversi;
e
come
la
luce
con
un
solo
raggio
illumina
tutto,
così
anche
lo
Spirito
Santo
illumina
coloro
che
hanno
occhi.
Poiché
se
uno
che
vede
poco
con
l’aiuto
della
grazia
non
si
dona
affatto,
non
accusi
lo
Spirito
ma
la
sua
propria
incredulità.
Avete visto la sua potestà che egli esercita in tutto il mondo. Ora, perché la tua mente non sia rivolta alla terra, tu sali in alto: sali col pensiero fino al primo cielo, e contempla le innumerevoli miriadi di angeli che ivi esistono. Sempre col pensiero, sforzati di salire a cose ancora più alte, se puoi; mira gli arcangeli, mira gli spiriti; guarda le virtù, guarda i principati; guarda le potestà, i troni, le dominazioni. Di tutti questi è stato dato da Dio chi stia loro a capo, il Paraclito. Di lui hanno bisogno Elia ed Eliseo e Is tra gli uomini; di lui, tra gli angeli, Michele e Gabriele. Nessuna delle cose generate (o meglio create) è pari a lui nell’onore; infatti tutti i generi degli angeli, e gli eserciti tutti insieme riuniti, non possono avere alcuna parità ed uguaglianza con lo Spirito Santo. Tutte queste cose ricopre e oscura totalmente la buona potestà del Paraclito. Quelli infatti sono inviati per il ministero e questi scruta anche le profondità di Dio; come dice l’Apostolo: "Lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio" (1Co 2,10ss).
Fu lui a predicare del Cristo nei profeti: lui ad operare negli apostoli: ed è lui che fino ad oggi segna le anime nel Battesimo. E il Padre dà al Figlio e il Figlio comunica allo Spirito Santo. È lo stesso Gesù, infatti, non io, che dice: "Tutto mi è stato dato dal Padre mio" (Mt 11,27); e dello Spirito Santo dice: "Quando però verrà lo Spirito di verità, ecc., egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà" (Jn 16,13-14). Il Padre dona tutto attraverso il Figlio con lo Spirito Santo. Non è che una cosa sono i doni del Padre, e altri quelli del Figlio, e altri quelli dello Spirito Santo; una infatti è la salvezza, una la potenza, una la fede. Un solo Dio, il Padre un solo Signore, il suo Figlio unigenito; un solo Spirito Santo, il Paraclito.
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