Corpus
Domini – Anno A - 18 giugno 2017
Rito
Romano
Rito
Ambrosiano
Dt 8,2-3. 14b-16a; Sal 147; 1Cor 10,16-17; Gv 6, 51-58
- Stupore per un dono immenso.
Domenica
scorsa
abbiamo
celebrato
la
Trinità,
mistero
di
Amore,
che
è
fonte
inesauribile
di
Vita
che
incessantemente
si
dona
e
si
comunica,
e
che
fa
di
noi
Sua
dimora,
dove
ogni
cosa
ritrova
Dio,
ascolta
Dio,
sussurra
Dio,
spera
e
ama
Dio.
“Dio
è
amore:
per
questo
Lui
è
Trinità…
L’amore
suppone
uno
che
ama,
ciò
che
è
amato
e
l’amore
stesso”
(Sant’Agostino,
De
Trinitate,
VIII,
10,
14).
Il
Padre
è,
nella
Trinità,
colui
che
ama, la
fonte
e
il
principio
di
tutto;
il
Figlio
è
colui
che
è
amato; lo
Spirito
Santo
è
l’amore
con
cui
si
amano.
Oggi,
solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo o Corpus Domini
come ancora si usa chiamarla, siamo inviatati a celebrare nello
stupore il mistero della presenza reale del Signore nell’Eucaristia
che ci dona il cibo e la bevanda del cielo, per alimentare questa
nostra vita terrena e per affrontare il cammino verso la vita
celeste.
Oggi,
la
Chiesa
non
solo celebra
l’Eucarestia,
ma
la
reca
solennemente
in
processione.
Quello
che
il
Redentore
ci
ha
donato
nell’intimità
del
Cenacolo,
oggi
lo
manifestiamo
apertamente,
perché
l’amore
di
Cristo
non
è
riservato
ad
alcuni,
ma
è
destinato
a
tutti.
Oggi
annunciamo pubblicamente che
il
Sacrificio
di
Cristo
è
per
la
salvezza
del
mondo
intero.
E
ciò
non
vale
solo
per
il
passato. Il fatto che
Dio ha amato gli uomini al punto tale da mandare il suo Figlio a
riscattarli dalla loro misera condizione, non è un passato da
rimpiangere come ormai concluso: esso infatti si riversa nel
presente. Quell’amore è attuale, vivo e operante oggi in modo
stupefacente.
Oggi
la
Chiesa
ci
invita
ad
entrare
con
stupore
in
questo
“mistero
della
fede”,
che
il
sacerdote,
ogni
volta
che
celebra
la
Messa
così
sintetizza,
con
le
ineffabili
parole
di
Gesù
in
cui
si
compie
il
grande
dono
di
Sé:
“Prendete
e
mangiate,
questo
è
il
mio
corpo.
Prendete
e
bevete
questo
è
il
calice
del
mio
sangue.
Fate
questo
in
memoria
di
Me”
(Lc
22,
16).
Nella
sua enciclica sull’Eucarestia San Giovanni Paolo II così scriveva
manifestando questo stupore: “Quando penso all'Eucarestia,
guardando alla mia vita di sacerdote, di vescovo, di successore di
Pietro, mi viene spontaneo ricordare i tanti momenti e i tanti luoghi
in cui mi è successo di celebrarla... la cattedrale di Wawel, la
basilica di San Pietro... in cappelle poste sui sentieri di montagna,
sulle sponde di laghi, sulle rive dei mari, l'ho celebrata in altari
costruiti negli stadi, nelle piazze delle città. Questo scenario
così variegato, me ne fa sperimentare fortemente il carattere
universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico. Perché quando
viene celebrata sul piccolo altare di campagna, l'Eucarestia è
sempre celebrata, in un certo senso, sull'altare del mondo. Essa
unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato. Il
Figlio di Dio si è fatto uomo, per restituire tutto il creato, in un
supremo atto di lode, a Colui che lo ha fatto dal nulla... Davvero è
questo, il Mysterium Fidei, che si celebra nell’Eucarestia; il
mondo, uscito dalle mani di Dio creatore, torna a Lui, redento da
Cristo” (Lett. Enc. Ecclesia de Eucaristia,
n. 8).
Nella
Messa e per il dono di Gesù nell'Eucarestia ognuno di noi deve
vivere la stessa meraviglia, gioia e gratitudine, di cui parla S.
Giovanni Paolo II nel brano che ho appena citato.
Mettiamoci
in
adorazione
davanti
a
questo
Mistero
grande
e
di
misericordia.
Il
Cristo
non
poteva
fare
di
più
per
noi.
Davvero,
nell’Eucaristia,
il
Redentore
ci
mostra
un
amore
che
va
fino
“all’estremo”
(cfr. Gv 13,1),
un
amore
che
non
conosce
misura
e
confini.
Questo
aspetto
di
carità
universale
del
Sacramento
eucaristico
è
fondato
sulle
parole
stesse
del
Salvatore.
Istituendolo,
egli
non
si
limitò
a
dire
“Questo
è
il
mio
corpo »,
« questo
è
il
mio
sangue »,
ma
aggiunse
“dato
per
voi...versato
per
voi”
(Lc 22,19-20).
Non
affermò
soltanto
che
ciò
che
dava
loro
da
mangiare
e
da
bere
era
il
suo
corpo
e
il
suo
sangue,
ma
ne
espresse
anche il
valore
sacrificale,
rendendo
presente
in
modo
sacramentale
il
suo
sacrificio,
che
si
sarebbe
compiuto
sulla
Croce
alcune
ore
dopo
per
la
salvezza
di
tutti.
- Mendicare il Corpo di Cristo crocifisso.
Nell’Eucarestia
Gesù è presente non come una cosa, ma come una Persona, cioè come
un “Io” che si dona a un “tu”, che lo mendica.
Quando
andiamo a ricevere la Comunione, tendiamo la mano per ricevere il
Signore della vita, siamo, quindi, dei mendicanti che tendono la mano
per chiedere la carità del Pane di vita eterna. Riconosciamo di
essere poveri che riceviamo tutto. Anzi riceviamo il Tutto, che non è
qualcosa ma Qualcuno, che si dona a noi. Il ricevere il Pane di vita
è comunione di persone, incontriamo Cristo e il suo Cuore parla al
nostro cuore.
In
questo incontro eucaristico il Redentore non solo ci parla, ma
agisce: “E’
Cristo
che
lì
agisce,
che
è
sull’altare.
E’
un
dono
di
Cristo,
il
quale
si
rende
presente
e
ci
raccoglie
attorno
a
sé,
per
nutrirci
della
sua
Parola
e
della
sua
vita.
Attraverso
l’Eucarestia,
Cristo
vuole
entrare
nella
nostra
esistenza
e
permearla
della
sua
grazia.
Viviamo
quindi
l'Eucarestia
con
spirito
di
fede,
di
preghiera,
di
perdono,
di
penitenza,
di
gioia
comunitaria,
di
preoccupazione
per
i
bisognosi
e
per
i
bisogni
di
tanti
fratelli
e
sorelle,
nella
certezza
che
il
Signore
compirà
quello
che
ci
ha
promesso:
la
vita
eterna”
(Papa
Francesco).
La vita è la relazione d’amore col Padre che la dona e coi
fratelli che sono figli come te e questa è già vita eterna, è la
vita di Dio, ed è quella che Gesù ci vuol comunicare.
Attraverso
l’Eucaristia,
si
attua
una
relazione
di
comunione
piena
tra
Gesù
e
noi
perché
possiamo
sperimentare
quel
Dio
che
ha
tanto
amato
il
mondo
da
dare
il
proprio
Figlio,
perché
il
mondo
viva.
“Mangiare
il
pane
vivo...mangiare
il
corpo...”:
mangiare
la
carne,
mangiare
l'Amore,
mangiare
Dio:
tutto
è
estremamente
concreto
e
tutto
è
di
una
densità
infinita.
Mangiare
l'Amore
incarnato
di
Dio
perché
Dio
continui
ad
incarnarsi
e
la
carne
dell'uomo
sperimenti
la
vita
di
Dio:
l'amore
dell'uomo
diventi
l'Amore
di
Dio
risplenda
la
sua
Gloria.
Tutto
è
Dio
e
tutto
è
così
concretamente
umano.
Tutto
è
stupendo:
tutto
richiede
“soltanto”
il
coraggio
di
credere
l’
“Amore”
infinito
di
Dio
nell'oscurità
della
Croce
di
Gesù.
L’Ostia
è strettamente legata alla Croce. “Nell'Eucaristia
Cristo
attua
sempre
nuovamente
il
dono
di
sé
che
ha
fatto
sulla
Croce.
Tutta
la
sua
vita
è
un
atto
di
totale
condivisione
di
sé
per
amore”
(Papa
Francesco).
L’Eucarestia
è il Sacramento della Passione e Morte di Cristo per eccellenza.
Gesù l’istituì in un “eccesso” d’amore, nella notte in cui
fu tradito, quando, dopo avere benedetto e spezzato il pane e dopo
aver benedetto il vino, li distribuì agli Apostoli dicendo: “Fate
questo in memoria di me”. La Santa Messa rinnova misticamente la
Morte di Cristo, ne proclama la Risurrezione nell’attesa della Sua
venuta.
Va
però tenuto presente che il sacrificio di Cristo è un sacrificio di
comunione e di lode.
Già
nell’Antico
Testamento
fra
i
vari
tipi
di
sacrifici
vi
era
quello
chiamato
“sacrificio
di
comunione”
o
“offerta
di
pace”
perché
voleva
esprimere
l’unione
tra
Dio
e
il
donatore
attraverso
un’offerta
di
ringraziamento1.
La
vittima
veniva
spartita
tra
Dio,
il
sacerdote
e
l’offerente.
La
parte
destinata
a
Dio
veniva
bruciata
sull’altare.
Il
fedele
mangiava
dinanzi
a
Jahwé,
quasi
in
sua
compagnia.
Era
il
pasto
sacrificale,
nel
quale
si
stabiliva
una
comunione
spirituale,
un’alleanza
tra
Jahwé
e
l’offerente.
E’
chiara
qui
l’idea
di
“mangiare2
alla
mensa
del
Signore”,
con
Lui,
come
suoi
commensali.
Nella
Messa il
rendimento di
grazie è
l’aspetto
più
significativo e
sorprendentemente
si trova
fin dall’inizio.
Notiamo che
Gesù, anche
prima di
risuscitare
Lazzaro,
alza gli
occhi e
dice: “Padre,
ti ringrazio
che mi
hai ascoltato”
(Gv 11,41).
Ringrazia prima
di compiere
il miracolo,
sicuro che
il Padre
lo compirà.
Trasformando
la propria morte in sacrificio di ringraziamento, Gesù ci fa capire
che per lui la passione è un dono del Padre, è la sua
glorificazione (cf Gv 12,28-33; 13,31-32). La morte stessa viene
trasformata in vittoria; Gesù vince la morte con la morte; la morte
sua diventa sacrificio di ringraziamento.
L’Eucaristia
domenicale o quella quotidiana dovrebbero avere l’effetto di
trasformare tutta la vita in perenne sacrificio di ringraziamento per
mezzo di Cristo, e farci vivere ogni evento come un dono. Dico
dovrebbe, perché spesso ci accostiamo con distrazione, per
abitudine, o con pretesa, per vanità. L’Eucarestia è un dono di
misericordia che possiamo ricevere dopo avere chiesto perdono e aver
detto: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma
dì soltanto una parola e io sarò salvato”.
La
Chiesa ha scelto, come ultimo momento in preparazione al ricevimento
dell’eucarestia, di riprendere le parole del centurione romano di
Cafarnao quando chiese a Gesù di guarire il suo servo fedele,
purtroppo paralizzato e molto sofferente: “Signore, io non sono
degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e
il mio servo sarà guarito” (Mt 8,8). L’atteggiamento
di estrema umiltà e di profonda fiducia che caratterizzò la domanda
di questo ufficiale pagano nel richiedere l’intervento salvifico di
Cristo nella sua casa - una vera e propria professione di fede -
vuole e deve essere l’atteggiamento di tutti noi, sacerdoti e
fedeli (queste parole devono essere dette dal prete insieme con i
fedeli) nel momento in cui stiamo per ricevere il Signore nel nostro
cuore.
- Le Vergini consacrate e l’Eucarestia.
Di
sicuro nessuno di noi è “degno” di Gesù, della sua presenza e
del suo amore, ma sappiamo nella fede che ci basta anche solo un suo
cenno, una parola, un solo sguardo ed Egli ci può salvare.
Attente
a questa parola e con gli occhi del cuore aperti per ricevere questo
sguardo, le Vergini consacrate sono testimoni significative di questa
umiltà che fa sì che Cristo prenda dimora nel cuore umano e sia
portato nel mondo.
Al
sacrificio eucaristico di Cristo queste donne uniscono il loro
sacrificio nel dono esclusivo di loro stesse a Cristo, in questo modo
manifestano in modo speciale la dimensione eucaristica della vita
quotidiana di ogni cristiano.
Il
sacrificio è necessario alla vera vita, che per essere tale va
vissuta eucaristicamente. A nessuno sfugge la forza che questa
tentazione possiede nell’odierno panorama culturale. Le sirene del
nostro tempo cantano la melodia di una vita senza sacrificio negli
affetti, nel lavoro… E in questo modo, di fatto, condannano gli
uomini a rimanere incagliati nelle prove della vita quotidiana,
illudendoli che queste non dovrebbero esistere.
Come
capire
e
vivere
questa
“strana
necessità
del
sacrificio”?
Facendo
esperienza
del
dono
di
sé
e
della
gratuità.
C’è
un
rapporto
tra
la
rinuncia
e
la
gioia,
tra
il
sacrificio
e
la
dilatazione
del
cuore.
Il
sacrificio
compiuto
dall’amore
casto
spalanca
il
cuore,
attesta
l’amore
preferenziale
per
il
Signore
e
simboleggia,
nel
modo
più
eminente
e
assoluto,
il
mistero
dell’unione
del
corpo
mistico
al
suo
corpo,
della
sposa
all’eterno
suo
sposo.
La
verginità
consacrata,
infine,
raggiunge,
trasforma
e
penetra
l’essere
umano
fin
nel
suo
intimo,
mediante
una
misteriosa
somiglianza
con
il
Cristo,
che
nell’Eucaristia
ci
offre
il
suo
Corpo,
Pane
di
vita.
1 Zebah selamin in ebraico, eucharisto in greco,
2 Ciò si compie nel gesto di Gesù che mangia con i peccatori e soprattutto nell’Eucaristia. Ilsacrificio di lode (tôdâ = grazie) descritto in Lv 7,11-
17, ricorre spesso nei Salmi (cf Sal 22;116; 107 ...). Lo schema è semplice: una persona si trova in un pericolo, invoca il Signorepromettendo un sacrificio di rendimento di grazie, arriva l’aiuto desiderato, la persona va altempio per offrire il sacrificio promesso.
Lettura
Patristica
Sant’Agostino
d’Ippona
Cons.
Evan. 303
Cominciamo
l'analisi
seguendo
Matteo,
che
scrive:
Mentre
cenavano,
Gesù
prese
il
pane
e,
pronunziata
la
benedizione,
lo
spezzo
e
lo
diede
ai
discepoli
dicendo:
"
Prendete
e
mangiate;
questo
è
il
mio
corpo
"
(Mt
26,26).
Le
stesse
cose
narrano
Marco
e
Luca
(Mc
14,17-22 Lc
22,14-23);
solo
che
Luca
parla
due
volte
del
calice,
una
volta
prima
della
distribuzione
del
pane
e
un'altra
dopo.
La
prima
volta
è
un'anticipazione,
frequente
in
lui;
la
seconda
volta,
da
non
confondersi
con
quella
ricordata
prima,
sta
veramente
a
posto
suo.
Il
racconto
cosi
combinato
delle
due
volte
rende
bene
il
pensiero
com'è
espresso
anche
dagli
altri.
Quanto
a
Giovanni,
egli
in
questo
contesto
non
parla
affatto
del
corpo
e
del
sangue
del
Signore,
ma,
com'è
risaputo,
in
un
altro
capitolo
ci
informa
che
il
Signore
tenne
su
questo
tema
un
amplissimo
discorso
(Jn
6,12-21).
Al
presente
egli
racconta
del
Signore
che
si
alza
da
mensa
e
lava
i
piedi
ai
discepoli
spiegando
loro
anche
il
motivo
del
gesto
che
aveva
compiuto
(Jn
13,2-22).
Nel proporre questo motivo il Signore, ricorrendo a una testimonianza scritturale, indica velatamente che il traditore era uno che stava mangiando il pane con lui (Mt 22,21 Mc 14,17 Lc 22,14). Terminata questa digressione, egli si unisce al racconto riportato concordemente dagli altri tre. Scrive: Detto questo, Gesù si turbo nello spirito, s'indigno e disse: " In verità, in verità vi dico che uno di voi mi tradirà ".
Nel proporre questo motivo il Signore, ricorrendo a una testimonianza scritturale, indica velatamente che il traditore era uno che stava mangiando il pane con lui (Mt 22,21 Mc 14,17 Lc 22,14). Terminata questa digressione, egli si unisce al racconto riportato concordemente dagli altri tre. Scrive: Detto questo, Gesù si turbo nello spirito, s'indigno e disse: " In verità, in verità vi dico che uno di voi mi tradirà ".
E continua ancora Giovanni: I discepoli si guardavano l'un l'altro, incerti di chi parlasse (Jn 13,21-22). Matteo e Marco scrivono: Rattristati, cominciarono a chiedergli uno dopo l'altro: " Sono forse io? "(Mt 26,22 Mc 14,17). Rispondendo Gesù disse (cosi Matteo): " Colui che insieme con me bagna la mano nel piatto è lui quello che mi tradirà ". E continua ancora Matteo inserendo le seguenti parole: Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato! (Mt 26,23-24 Mc 14,20-21). In questo racconto concorda anche Marco, che procede nello stesso ordine. Poi Matteo aggiunge: Rispondendo a Giuda, che lo tradiva e gli chiedeva: " Rabbi, sono forse io? ", gli rispose: " Tu l'hai detto " (Mt 26,25). Nemmeno qui è detto espressamente che fosse proprio lui il traditore. Infatti queste parole potrebbero intendersi come: Ma io non ho detto ecc. , e la frase poté essere pronunciata da Giuda - come del resto la risposta del Signore - in modo che non tutti se ne accorgessero.
3. Matteo continua con il racconto del mistero del corpo e del sangue del Signore dato ai discepoli, e lo stesso riferiscono Marco e Luca (Mt 26,26-28 Mc 14,22-24 Lc 22,17-20). Quand'ebbe consegnato il calice il Signore torno di nuovo a parlare del traditore, come segnala Luca: Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo dal quale è tradito! (Lc 22,21-22) Da cio si lascia ben comprendere che seguirono a questo punto le parole riportate da Giovanni e omesse dagli altri evangelisti. Del resto anche Giovanni: tralascia dei particolari che gli altri invece riferiscono. Il Signore pertanto passo il calice ai discepoli e poi proferi le parole di cui Luca: Ma ecco che la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. A queste parole sono da collegarsi quelle riportate da Giovanni; Uno dei suoi discepoli, quello che Gesù amava, stava reclinato sul petto di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: " Di', chi è colui a cui si riferisce? ". Ed egli, reclinandosi cosi sul petto di Gesù, gli disse: " Signore, chi è? ". Rispose allora Gesù: " E colui per il quale intingero un boccone e glielo daro ". E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entro in lui (Jn 13,23-27).
4. A questo riguardo c'è da esaminare in che senso Giovanni non sia in contrasto con Luca, se costui, parlando di Giuda, segnala che il diavolo era entrato nel suo cuore già prima, quando cioè contratto con i Giudei e, ricevuto il denaro, s'incarico di tradire il Maestro (Lc 22,3-5). Non solo, ma Giovanni sembrerebbe essere in contraddizione con se stesso, in quanto sopra dice che prima di ricevere il pezzetto di pane, quando era terminata la cena, il diavolo aveva già cacciato nel cuore di Giuda il proposito di tradirlo (Jn 13,2). Come puo infatti il diavolo entrare nel cuore dei malvagi se non cacciando nei loro disegni perversi altri suggerimenti perversi? Ne segue che in questo secondo momento Giuda dovette esser invasato dal demonio in una maniera più radicale: come, in senso diametralmente opposto, accadde agli Apostoli nel ricevere lo Spirito Santo. Essi lo avevano già ricevuto dopo la resurrezione del Signore quando egli, alitando su di loro, disse: Ricevete lo Spirito Santo (Jn 20,22). Che se poi il giorno di Pentecoste lo Spirito fu loro inviato dall'alto, vuol dire che lo ricevettero in misura più abbondante (Cf. At 2,1 ss). Preso dunque il boccone di pane, non c'è dubbio che anche allora satana entro in Giuda e, come immediatamente prosegue Giovanni, in seguito a questo gli disse Gesù: " Quello che devi fare fallo al più presto ". Nessuno dei commensali capi perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: " Compra quello che ci occorre per la festa ", oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone egli subito usci. Ed era notte. Quand'egli fu uscito, Gesù disse: " Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. E Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito "(Jn 13,27-32).
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