Rito
Romano – XXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 7
settembre 2014
Ez
33,1.7-9; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20
Rito
Ambrosiano
– II
Domenica
dopo il
martirio di
San
Giovanni il
Precursore
Is
60,16b-22; Sal 88; 1Cor 15,17-28; Gv 5,19-24
1)Il
perdono
come
correzione
per
guadagnare
un
fratello.
Il
brano
evangelico
di questa
domenica
segue
immediatamente
il racconto
della
parabola
della
pecorella
smarrita
della quale
è, quindi,
un’applicazione
concreta.
Se un
fratello ha
commesso
una colpa
si deve
applicare,
in primo
luogo, la
correzione
personale.
Se non
ascolta,
bisogna
chiamare in
aiuto
qualche
testimone.
Se continua
a non
ascoltare
il richiamo
alla
conversione,
bisogna
rivolgersi
alla
comunità.
Se
non ascolta
neppure
questa, si
deve, solo
allora,
considerarlo
come un
pagano o
pubblicano,
cioè come
uno che
s’è
messo fuori
comunità.
A
questo
insegnamento
sulla
correzione
fraterna
Gesù
unisce
quello sul
perdono
dare 70
volte 7,
vale a
dire
sempre,
e sulla
onnipotenza
della
preghiera,
purché fatta
in
comunità,
anche se
è
costituita
da solo
due o
tre
persone.
Naturalmente queste
persone per
pregare Dio
devono
essere
riconciliate
tra di
loro.
Quantunque
in questo
passo
evangelico
si parli
molto di
perdono
senza
limite,
è detto
chiaramente
che il
male va
denunciato
e che
bisogna
correggere
chi lo
compie.
Le parole
del Vangelo
di oggi
illuminano
come i
fratelli
possono
distruggere
le barriere
che il
diavolo
costruisce
tra di
loro. La
Chiesa,
infatti, ha
la
consapevolezza
che il
“peccato”
ha il
potere di
distruggere
la
comunione e
far perdere
così al
sale il
sapore.
Una
comunità
divisa
perché
qualche
“fratello
ha commesso
una colpa”
e non
è stato
“guadagnato”
al perdono,
non può
compiere la
sua
missione
nel mondo,
vale solo
per essere
calpestata
dagli
uomini come
si fa
col sale
che non
serve più
a niente.
Gesù
ci dice
di non
restare
indifferenti
“se
qualcuno ha
peccato”,
perché c’è
di mezzo
la vita
di
comunione
con Dio
e tra
di noi,
perché c’è
di mezzo
il Cielo
da
schiudere
agli uomini
attraverso
la Chiesa.
Non
si tratta
di una
semplice
questione
giudiziaria
per
salvaguardare
l’ordine
della
società o
della
famiglia.
Gesù non
offre la
propria
versione
dei
differenti
gradi di
giudizio in
un processo
per il
buon ordine
dello
Stato. Egli
mostra come
il giudizio
di
misericordia
del Padre
che è
nei cieli
si realizza
nella
Chiesa che
è sulla
terra.
Occorre
avere a
cuore il
destino del
nostro
fratello e
della
nostra
sorella
come aveva
ben intuito
San
Francesco
d’Assisi:
“E in
questo
voglio
conoscere
se tu
ami il
Signore ed
ami me
suo servo
e tuo,
se ti
comporterai
in questa
maniera, e
cioè:
che non
ci sia
alcun frate
al mondo,
che abbia
peccato,
quanto è
possibile
peccare,
che, dopo
aver visto
i tuoi
occhi, non
se ne
torni via
senza il
tuo
perdono,
se egli
lo chiede;e
se non
chiedesse
perdono,
chiedi tu
a lui
se vuole
essere
perdonato.
E se,
in seguito,
mille volte
peccasse
davanti ai
tuoi
occhi,
amalo più
di me
per
questo:
che tu
possa
attrarlo al
Signore; ed
abbi sempre
misericordia
per tali
fratelli”.
(San
Francesco
d’Assisi, Lettera
a
un
ministro)
Anche
la prima
lettura
della Messa
di oggi
con il
brano del
profeta
Ezechiele
mette in
evidenza
questo
medesimo
insegnamento:
il profeta
è come
una
sentinella,
e ha
l’imprescindibile
dovere di
annunciare
le esigenze
di Dio,
di
denunciare
la menzogna
dovunque si
trovi. Ma
lo scopo
è sempre
quello di
aiutare il
fratello a
prendere
coscienza
del suo
stato di
peccato,
perché
possa
pentirsi.
Lo scopo
è di
creare nei
peccatori
un disagio,
perché è
proprio in
una
situazione
di disagio
che spesso
Dio si
inserisce e
spinge al
ritorno.
Alla
luce di
queste
brevi
riflessioni,
si capisce
la seconda
frase di
Gesù
riportata
in questo
brano del
Vangelo di
San Matteo:
“perdonare
non sette
volte,
ma settanta
volte
sette”.
Occorre
dunque
perdonare
sempre, un
perdono
senza
misura,
perché Dio
ci ha
fatto
oggetto
di un
perdono
senza
misura.
Il perdono
al prossimo
è la
diretta
conseguenza
del perdono
di Dio
verso di
noi. Se
è un
dovere di
carità
denunciare
il male
e
correggere
chi lo
compie, è
perché tu
hai già
perdonato e
ami il
peccatore.
per questo
hai il
diritto di
correggerlo.
Nella
comunità
cristiana
continua il
peccato, ma
parallelamente
continua,
ancora più
“ostinato”,
il perdono
dei
peccati.
2)
La
preghiera
come
correzione
e
intercessione
Anche
se è
necessaria
una
severità,
a volte
anche
grande,
essa deve
nascere da
un cuore
misericordioso
come quello
del Pastore
buono, che
dopo averla
tolta dalle
spine dei
rovi,
prende la
pecorella
sulle
spalle. La
corregge
sorreggendola.
Come
suggerisce
l’etimologia,
il verbo
“correggere”
che significa
"reggere
insieme"
e non
punizione.
Per
correggere
nella
verità
-
occorre
amare
l’altro
al punto
di
desiderare
di portare
con lui
il peso
dei suoi
peccati,
come ha
fatto
Cristo
prendendo
su di
sé il
peccato del
mondo;
-
occorre
amare
in Cristo,
che ci
chiama a
prendere il
suo giogo
dolce e
leggero: la
Croce che
purifica e
perdona;
-
occorre
pregare
insieme con
Cristo.
Gesù non
è un
altro tra
noi, ma
è Colui
che tutti
ci unisce
in solo
corpo,
tutti ci
unisce in
un medesimo
Spirito.
Lui ci
unisce
tutti in
un medesimo
amore che
corregge
perdonando,
perché in
noi
peccatori
vede delle
persone non
condannabili,
ma
perdonabili.
Gesù
ha
implorato
il
perdono
e
noi
ci
uniamo
a
Lui
nella
preghiera,
soprattutto eucaristica,
chiedendo
ad
“Abbà,
Papà”
che
la
sua
volontà
sia
fatta,
cioè
che
nessuno
si
perda.
Pregando
in
comunione
di
carità
esercitiamo
–in
un
certo
senso
-
il
ministero
di
“sciogliere”
dai
lacci
del
peccato
e
di
“legare”
di
nuovo
alla
comunione1
con
il
Padre
e
con
i
“fratelli”.
Questa
preghiere di “correzione” e di intercessione è esercitata in
modo particolare dalla Vergini Consacrate nel mondo.
Queste
donne,
figlie
della Chiesa, sanno che il
Signore non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva
(cfr Ez 18,23; 33,11). In effetti, il desiderio di Dio è
sempre quello di perdonare, salvare, dare vita, trasformare il male
in bene. Ebbene, è proprio questo desiderio divino che, nella
preghiera, diventa desiderio della persona umana e si esprime
attraverso le parole dell’intercessione. Con la preghiera di
intercessione si presta la propria voce ed anche il proprio cuore,
alla volontà divina: il desiderio di Dio è misericordia, amore e
volontà di salvezza, e questo desiderio di Dio trova in queste donne
(e anche in ciascuno dei cristiani) e nella loro preghiera la
possibilità di manifestarsi in modo concreto all’interno della
storia degli uomini, per essere presente dove c’è bisogno di
grazia.
L’insegnamento
della Chiesa, luogo del perdono, e l’esempio delle Vergini
consacrate ci educhi ad aprire sempre di più il cuore alla
misericordia smisurata di Dio, perché nella preghiera quotidiana
sappiamo desiderare la salvezza dell’umanità e chiederla con
perseveranza e con fiducia al Signore che è grande nell’amore, un
amore sorprendente e sconfinato.
Consegnando
il libro
della
Liturgia
delle Ore,
il Vescovo
si rivolge
alla
consacrata
con queste
parole: “La
preghiera
della
Chiesa
risuoni
senza
interruzione
nel tuo
cuore e
sulle tue
labbra come
lode
perenne al
Padre e
viva
intercessione
per la
salvezza
del mondo”
(Rituale
della
Consacrazione
delle
Vergini,
riti
esplicativi,
n. 48),
perché il
primo e
irrinunciabile
impegno
delle
vergini
consacrate
è quello
della
preghiera,
come viene
espressamente
richiesto
durante il
rito di
consacrazione
(cfr.
Ibid.,
Premesse,
n. 2).
Per questo,
ogni vergine appartenente all’Ordo tiene costantemente
presente che la preghiera non è solamente una personale, generosa
risposta alla voce dello Sposo e un’umile richiesta di aiuto per
mantenersi fedele al santo proposito e al dono ricevuto, ma è intima
partecipazione alla vita del Corpo mistico di Cristo, intercessione
instancabile per la Chiesa e per il mondo.
1
Il
termine
comunione
traduce la
parola
greca koinonia ,
che
a
sua
volta
traduce
la
parola
ebraica khaburah.
Tutte
e
due
indicavano,
in
origine,
una
cooperativa,
una
società,
come
quella
dedita
alla
pesca
composta
da
Pietro,
Giacomo
e
Giovanni.
Nell'ambiente
giudaico
contemporaneo
a
Gesù khaburah indicava,
tra
l'altro,
la
comunità
di
almeno
dieci
persone
riunita
per
celebrare
la
Pasqua.
Quindi
anche
gli
apostoli
riuniti
con
Gesù
durante
la
sua
ultima
cena
formavano
una
khaburah:
la
partecipazione
al
Mistero
Pasquale
del
Signore
gettava
le
fondamenta
della
comunione.
In
effetti,
nella
Pasqua
celebrata
da
Cristo
nel
Cenacolo
avviene
qualcosa
di
assolutamente
nuovo:
Dio
che
s'era
fatto
carne,
provocando
scandalo
e
rifiuto,
diviene
tanto
prossimo
all'uomo
da
farsi
carne
da
mangiare
e
sangue
da
bere.
La
comunione
tra
gli
uomini
si
fonda
nella comunione con
Gesù;
in
virtù
del
suo
Mistero
Pasquale,
il
Figlio
di
Dio comunica se
stesso
ai
suoi
apostoli
che,
uniti
a
Lui,
divengono
così
figli
del
suo
stesso
Padre.
Per
questo,
la
comunione
non
è
il
frutto
degli
sforzi
dell'uomo,
delle
sue
capacità
di
mediazione,
non
nasce
dal
voto
di
fiducia
della
maggioranza,
non
si
stabilisce
nei
palazzi
del
potere
politico,
non
si
fonda
sulle
affinità
umane
o
su
comuni
ideali.
La
comunione
è
un
dono
dello
Spirito
Santo,
il
soffio
della
vita eterna
che
la
mattina
di
Pentecoste
irruppe
nel
Cenacolo
e
prese
dimora
nella
Vergine
Maria
e
negli
Apostoli,
dando
alla
luce
la
Chiesa. Da
quel
giorno,
nel
corso
della
storia,
lo
Spirito
di
Cristo
risorto
rompe
le
barriere
di
razza,
lingua
e
cultura,
e unisce i
cristiani
nel
suo amore che
ha
vinto
il
peccato
e
la
morte.
Lettura
Patristica
Dalle
«Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om.
sul diavolo tentatore 2, 6; PG 49, 263-264)
Le
cinque
vie
della
riconciliazione
con
Dio
“Volete che parli
delle vie della riconciliazione con Dio? Sono molte e svariate, però
tutte conducono al cielo.
La prima è quella della condanna dei
propri peccati. Confessa per primo il tuo peccato e sarai
giustificato (cfr. Is 43, 25-26). Perciò anche il profeta diceva:
«Dissi: Confesserò al Signore le mie colpe, e tu hai rimesso la
malizia del mio peccato» (Sal 31, 5).
Condanna dunque anche tu le
tue colpe. Questo è sufficiente al Signore per la tua liberazione. E
poi se condanni le tue colpe sarai più cauto nel ricadervi. Eccita
la tua coscienza a divenire la tua interna accusatrice, perché non
lo sia poi dinanzi al tribunale del Signore.
Questa è dunque una
via di remissione, e ottima; ma ve n'è un'altra per nulla inferiore:
non ricordare le colpe dei nemici, dominare l`'ira, perdonare i
fratelli che ci hanno offeso. Anche così avremo il perdono delle
offese da noi fatte al Signore. E questo è un secondo modo di
espiare i peccati. «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro
colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi» (Mt 6,
14).
Vuoi imparare ancora una terza via di purificazione? E' quella
della preghiera fervorosa e ben fatta che proviene dall'intimo del
cuore.
Se poi ne vuoi conoscere anche una quarta, dirò che è
l'elemosina. Questa ha un valore molto grande. Aggiungiamo poi
questo: Se uno si comporta con temperanza e umiltà, distruggerà
alla radice i suoi peccati con non minore efficacia dei mezzi
ricordati sopra. Ne è testimone il pubblicano che non era in grado
di ricordare opere buone, ma al loro posto offrì l'umile
riconoscimento delle sue colpe e così si liberò dal grave fardello
che aveva sulla coscienza.
Abbiamo indicato cinque vie di
riconciliazione con Dio. La prima è la condanna dei propri peccati.
La seconda è il perdono delle offese. La terza consiste nella
preghiera, la quarta nell'elemosina e la quinta nell'umiltà.
Non
stare dunque senza far nulla, anzi ogni giorno cerca di avanzare per
tutte queste vie, perché sono facili, né puoi addurre la tua
povertà per esimertene. Ma quand'anche ti trovassi a vivere in
miseria piuttosto grave, potrai sempre deporre l'ira, praticare
l'umiltà, pregare continuamente e riprovare i peccati, e la povertà
non ti sarà mai di intralcio. Ma che dico? Neppure in quella via di
perdono in cui è richiesta la distribuzione del denaro cioè
l'elemosina, la povertà è di impedimento. No. Lo dimostra la vedova
che offrì i due spiccioli.
Avendo dunque imparato il modo di
guarire le nostre ferite, adoperiamo questi rimedi. Riacquistata poi
la vera sanità, godremo con fiducia della sacra mensa e con grande
gloria andremo incontro a Cristo, re della gloria, e conquisteremo
per sempre i beni eterni per la grazia, la misericordia e la bontà
del Signore nostro Gesù Cristo.”
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