Rito
Romano – XXV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A – 21
settembre 2014
Is
55,6-9; Sal 144; Fil 1,20c-27a; Mt 20,1-16.
Rito
Ambrosiano – IV Domenica dopo il martirio di San Giovanni il
Precursore
Is
63,19b-64,10; Sal 76; Eb 9,1-12; Gv 6,24-35
1)
Un’apparente ingiustizia.
Con
la parabola del padrone della vigna che a diverse ore del giorno
chiama operai a lavorare nella sua vigna e che la sera dà a tutti la
stessa paga, un denaro1,
suscitando la protesta di quelli della prima ora, Gesù ci aiuta ad
entrare nella logica di Dio il cui modo di pensare è davvero
differente dal nostro: “I miei
pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie
vie. Oracolo del Signore” (Is
55, 8)2.
Questa
parabola è fin dall’inizio consolante perché ci assicura:
l’umanità è la vigna, la passione, il campo preferito di Dio, che
se ne occupa con cura uscendo per ben cinque volte3
a cercare operai.
Il
punto critico del racconto risiede nel momento della paga: Dio, il
Signore della vigna comincia dagli ultimi, gli operai dell’undicesima
ora, e a chi ha lavorato un’ora sola dà un salario uguale a quello
concordato con coloro che avevano sudato per dodici ore.
Gli
operai assunti per primi, invece di essere contenti di aver lavorato
per un Padrone buono, si dispiacciono di questa apparente
ingiustizia, che invece è una più generosa giustizia. In effetti
Lui dà a tutti quanto ha promesso, ma riconosce a chi è arrivato
ultimo, ma che ha lavorato con eguale speranza, il diritto di godere,
come gli altri, di quel Regno per il quale ha lavorato fino al
tramonto.
Se
il primo insegnamento della parabola è quello di ricordare che Dio
si occupa con sollecitudine dell’umanità simboleggiata dalla
vigna, il secondo è che l’essere chiamati a questa collaborazione
è già la prima ricompensa: poter lavorare nella vigna del Signore,
mettersi al suo servizio, collaborare alla sua opera, costituisce di
per sé un premio inestimabile, che ripaga di ogni fatica. Certo,
questo insegnamento è capito unicamente da chi ama il Signore e il
suo Regno. Chi invece vi lavora solamente per il suo interesse non si
accorgerà mai del valore di questo grandissimo tesoro.
Il
denaro di cui parla la parabola non è tanto la moneta che permette
di vivere per un giorno, è Dio stesso che si dona per farci vivere
nel giorno senza fine. Dio non può donare meno che tutto, agendo con
giustizia e carità, che solo per noi uomini sono due realtà
differenti. Noi uomini distinguiamo attentamente un atto giusto da un
atto d’amore. Giusto per noi è “ciò che è all’altro dovuto”,
mentre misericordioso è ciò che è donato per bontà. E una cosa
sembra escludere l’altra. Ma per Dio non è così: in Lui giustizia
e carità coincidono; non c’è un’azione giusta che non sia anche
atto di misericordia e di perdono e, nello stesso tempo, non c’è
un’azione misericordiosa che non sia perfettamente giusta.
E’
davvero lontana la nostra logica da quella di Dio dalla nostra. E’
davvero diverso dal nostro il modo di agire di Dio, che ci invita a
cogliere e osservare il vero spirito della legge, per darle pieno
compimento nell’amore verso chi è nel bisogno. “Pieno compimento
della legge è l’amore”, scrive san Paolo (Rm
13,10): la nostra giustizia sarà tanto più perfetta quanto più
sarà animata dall’amore per Dio e per i fratelli.
2)
La vocazione a lavorare nella vigna di Dio.
Con
il pretesto di affermare il nostro umano e limitato concetto di
giustizia rischiamo di contestare la bontà e la misericordia di Dio.
Rischiamo di essere invidiosi perché egli è buono. Se ripensiamo
alla parabola del Figlio prodigo vediamo che accade qualcosa di
simile quando il Padre misericordioso accoglie a braccia aperte il
figlio scapestrato, che ha dissipato nel peggiore dei modi tutta
l’eredità che aveva preteso, ed organizza per lui una grande
festa, che però suscita l'indignazione e l’invidia del fratello
maggiore. Anche questo figlio si ritiene ingiustamente vittima di
un’evidente, ma in realtà apparente, ingiustizia.
Dio
nella sua infinita bontà dona se stesso e tutti i suoi beni non in
modo arbitrario, ma secondo la logica del suo amore infinito. Lui
invita, dà la vocazione a tutti e se i primi hanno risposto con
piena disponibilità e sincero amore al suo invito, questi hanno da
più tempo la gioia di lavorare per Dio.
Penso,
dunque, che il tema profondo della parabola degli operai chiamati a
lavorare nella vigna sia la “salvezza”, che è un dono che
Dio riserva a tutti a larghe mani e che ciascuno può accogliere
anche all’ultima ora. A questo riguardo, viene in mente il
commovente episodio, narrato dall’evangelista Luca, sul “buon
ladrone” crocifisso accanto a Gesù sul Golgota. L’invito si è
manifestato come iniziativa misericordiosa di Dio a lui che spirando
diceva: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.
Dalla bocca del Redentore, condannato alla morte in croce uscì la
vocazione per lui: “In verità ti dico, oggi sarai con me in
paradiso” (Lc 23,42-43).
Per
annunciare il Vangelo, Gesù Cristo non ha usato il criterio del
merito o della reciprocità: ha donato e perdonato. Non ha donato
qualcosa, ma ha offerto se stesso. Lui, che aveva lodato la vedova
che aveva donato tutto quanto aveva per vivere (cfr Lc 21, 4), ha
donato tutto quanto era, la Sua vita, perché di essa l’intera
umanità vivesse.
Per
annunciare il Vangelo, noi dobbiamo rispondere umilmente ma
prontamente alla vocazione del Signore, che ci invita ad essere
operai operosi nella Sua vigna.
Subito
sorge la domanda: “Come?”. Se coltiviamo il seme della fede,
mediante la partecipazione ai sacramenti, saremo in grado di dedicare
la nostra esistenza alla missione, a cui Cristo chiama tutti noi,
testimoniando con la vita che la salvezza non è questione di
interessi economici, né scaturisce da un rapporto fra datore di
lavoro e dipendente. Questa collaborazione si attua a partire dalla
sola, gratuita benevolenza di Dio, il quale non usa il criterio del
“do ut des” (=ti do perché tu mi dia), ma del “do ut
es”, cioè “ti do perché tu sia”.
Tutti
noi cristiani dobbiamo usare questo metodo di
Cristo e di una vita donata a Dio senza calcolo e senza misura ne
sono una particolare testimonianza le Vergini consacrate nel mondo.
Con l’offerta di se stesse a Cristo mostrano che la vigna non è
solo il popolo di Dio ma è Cristo stesso, a cui aderire come tralci
alla vite. Ripetiamoci spesso queste parole
di Gesù: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo
(...). Rimanete in me e io in voi” (Gv
15, 1-4). Queste semplici parole ci
rivelano la comunione misteriosa che lega in unità il Signore e i
discepoli, Cristo e i battezzati.
Queste
donne vivendo unite a Cristo ed ai fratelli mostrano una comunione
viva e vivificante, per la quale i cristiani non appartengono a se
stessi ma sono di Cristo, come i tralci sono della vite.
Ma
queste consacrate sono testimoni “di un modo diverso di fare, di
agire, di vivere! E’ possibile vivere diversamente in questo mondo.
Stiamo parlando di uno sguardo escatologico, dei valori del Regno
incarnati qui, su questa terra. Si tratta di lasciare tutto per
seguire il Signore. No, non voglio dire ‘radicale’. La radicalità
non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi
seguono il Signore, in modo profetico. Io mi attendo da voi questa
testimonianza. I religiosi devono essere uomini e donne capaci di
svegliare il mondo” (Papa
Francesco).
Le consacrate sono donne che con la
profezia della loro vita annunciano lo spirito del vangelo. Ed
è perché la loro vita sia sempre una profezia che, stendendo le
mani su di loro, il Vescovo prega: “Accorda, Signore, il tuo
sostegno e la tua protezione a quelle che stanno davanti a Te e che
attendono dalla loro consacrazione un aumento di speranza e di forza,
su di loro (Rituale di Consacrazione delle Vergini, n. 64).
1
Un denaro
era ciò che era sufficiente per vivere una giornata ad una
famiglia. Allora il padrone non pensa solamente ai lavoratori, ma
anche a quelli che hanno a casa. Sa che se un uomo non lavora una
giornata, tutta la famiglia non mangia.
Se
questi che hanno lavorato un’ora ricevono tanto quanto era stato
pattuito con i primi lavoratori, quelli delle sei del mattino, che
hanno lavorato undici ore in più, per una giornata intera, che
hanno sopportato il peso della giornata e la calura, si aspettano
almeno tre volte tanto. Ma quando questi vedono che sono retribuiti
con un denaro (d'altronde era stato concordato così), sfogano la
loro delusione e il loro malumore, perché erano certi “che
avrebbero ricevuto di più” (Mt
20,10), e ritengono il padrone ingiusto.
Infatti,
dice il Vangelo, mormorano (Mt
20,11): “Ma come? Questi che hanno lavorato un'ora sola li tratti
come noi?”. Osservate che mormorano: non gli dicono la loro
insoddisfazione apertamente, parlano al di sotto, alle spalle. E'
tipico di chi mormora, di chi “dietro le spalle” ha sempre da
dire.
Gesù
prende di mira il capoccia che urla e protesta di più e gli
risponde: “Amico, (lett. “caro mio, collega” con tono bonario
e di rimprovero) non avevamo convenuto questo?”. "Non è
quello che avevamo stabilito?". “Sì!”. “Ti tolgo
qualcosa di ciò che si era detto?”: “No!”. “E allora, cosa
vuoi da me? Prendi ciò che è tuo e vattene. Non posso delle mie
cose fare quello che voglio?”. Ma è stato ingiusto il padrone o è
stato generoso? Il padrone in realtà non è ingiusto (quel che
aveva pattuito è quel che è stato dato), ma generoso. Il padrone
non toglie nulla a nessuno, anzi.
2
Prima
lettura della Messa di questa Domenica, mentre la parabola degli
operai chiamati alla vigna ne è il Vangelo.
3
Le ore
del giorno
chiamate
nell'antico modo (ora terza, sesta, nona...) fanno pensare anche
alla preghiera della Chiesa distribuita nel corso della giornata.
Anche questa è una chiamata quotidiana; anche questa è un'opera
necessaria e capace di dissodare la vigna perché i frutti maturino.
Lettura
Patristica
Gregorio
Magno,
Homelia
XIX, 1-3.5-6
1.
Le ore della divina chiamata
L’operaio, dunque, (che fu
chiamato) al mattino, all’ora terza, sesta e nona, indica
quell’antico popolo ebraico che fin dagli inizi del mondo, nei suoi
eletti, si studiò di onorare Dio con retta fede, come se non
cessasse di faticare nel coltivare la vigna. All’undicesima ora
sono chiamati i pagani, ai quali anche è chiesto: "Perché
ve ne state qui tutto il giorno oziosi?"
(Mt
20,6).
Essi, infatti, per così lungo tempo non si erano curati di lavorare
per la loro vita, come se stessero in ozio tutto il giorno. Ma
pensate, fratelli carissimi, cosa risposero alla domanda: Gli
risposero: "Perché
nessuno ci ha presi"
(Mt
20,7).
Nessun patriarca, nessun profeta era stato mandato loro. E cosa
significa: «Nessuno ci ha presi a lavorare», se non questo:
«Nessuno ci ha predicato le vie della vita»? Cosa dunque diremo a
nostra scusa, quando abbiamo omesso di fare il bene noi che fin dal
grembo della madre siamo venuti alla fede, che fin dalla culla
abbiamo udito le parole di vita, che insieme al latte carnale abbiamo
attinto il liquore della predicazione celeste al seno della santa
Chiesa?
Possiamo anche distinguere le
diverse ore in relazione ad ogni uomo, secondo i diversi momenti
delle sue età. Così il mattino è la puerizia del nostro
intelletto. L’ora terza può indicare l’adolescenza, perché
quando cresce il calore dell’età è come se il sole salisse in
alto. L’ora sesta è la gioventù, perché come il sole sembra
fermarsi nel mezzo (del cielo), in essa viene raggiunto il pieno
vigore. L’ora nona raffigura la maturità, nella quale il sole
comincia a declinare, perché in questa età comincia a venir meno il
calore della gioventù. L’undicesima ora è quella età che viene
detta decrepita, cioè la vecchiaia... Siccome poi uno chiamato alla
vita santa durante la puerizia, un altro nell’adolescenza, un altro
nella gioventù, un altro nella vecchiaia, un altro ancora nell’età
decrepita, ecco che gli operai sono chiamati alla vigna in ore
diverse. Osservate pertanto i vostri costumi, fratelli carissimi, e
vedete se siete già operai di Dio. Ciascuno esamini le sue opere e
consideri se sta faticando nella vigna del Signore. Chi infatti in
questa vita cerca le cose sue, non è ancora giunto alla vigna del
Signore. Lavorano invece per lui coloro che pensano non ai propri
guadagni, ma a quelli del Signore, e che per lo zelo della carità si
dedicano ad opere pie, si adoperano a conquistar anime, si affrettano
a condurre con sé anche gli altri alla vita. Chi invece vive per sé
e si pasce dei piaceri della sua carne, è giustamente accusato di
essere ozioso, perché non aspira al frutto dell’opera divina.
Chi poi ha trascurato fino a tarda
età di vivere per Dio, è come se fosse stato in ozio fino
all’undicesima ora. Per cui, giustamente, vien detto a coloro che
sono rimasti indolenti fino all’undicesima ora: "Perché ve
ne state qui tutto il giorno oziosi"? È lo stesso
che dire: «Anche se non avete voluto vivere per Dio nella puerizia e
nella giovinezza, ravvedetevi almeno nell’ultima età, e, sia pure
in ritardo, quando ormai non c’è più molto da faticare, venite
alla via della vita». Anche questi chiama il padrone di casa, e il
più delle volte essi sono ricompensati prima, perché uscendo prima
dal corpo, vanno al regno prima di quelli che sembravano essere stati
chiamati fin dalla puerizia. Non giunse forse all’undicesima ora il
buon ladrone? Se non giunse a quell’ora per l’età, vi giunse
certo quanto alla sofferenza, egli che riconobbe Dio mentre era in
croce e spirò quasi mentre faceva tale professione. Il padrone di
casa cominciò così la distribuzione della paga dall’ultimo,
perché condusse al riposo del paradiso il ladrone prima di Pietro.
Quanti patriarchi vissero prima della Legge, quanti sotto la Legge, e
tuttavia coloro che furono chiamati alla venuta del Signore giunsero
senza alcun indugio al regno dei cieli!...
Ma è terribile ciò che segue a
queste (parole): "Molti
sono chiamati, ma pochi eletti"
(Mt
26,16),
perché molti vengono alla fede, pochi giungono al regno dei cieli.
Ecco infatti in quanti siamo convenuti alla festa di oggi e riempiamo
le mura di questa chiesa; e tuttavia chissà quanto pochi sono quelli
che sono annoverati nel gregge degli eletti di Dio! Ecco infatti la
voce di tutti grida: «Cristo!», ma la vita di tutti non grida
altrettanto. I più seguono Dio a parole, lo fuggono con la condotta
pratica di vita...
Di questi tali, fratelli carissimi,
ne vedete molti nella Chiesa, ma non dovete né imitarli e neppure
disperare (della loro salvezza). Noi vediamo infatti quello che è
oggi ciascuno, ma non sappiamo che cosa potrà diventare domani.
Molte volte anche chi sembra venire dopo di noi ci precede con
l’agilità delle buone opere, e a stento seguiamo quello che oggi
crediamo di precedere. Certamente, mentre Stefano moriva per la fede,
Saulo custodiva le vesti di coloro che lo lapidavano. Egli dunque
lapidò con le mani di tutti, perché rese tutti più spediti nel
lapidare; e tuttavia con le sue fatiche precedette nella santa Chiesa
quello stesso che con le sue persecuzioni aveva reso martire. Ci sono
dunque due cose alle quali dobbiamo seriamente pensare. Siccome
infatti "molti sono chiamati, ma pochi eletti", per
prima cosa nessuno deve minimamente presumere di se stesso, perché
anche se è già stato chiamato alla fede non sa se è degno del
regno eterno. La seconda cosa è che nessuno osi disperare del
prossimo, che forse ha visto giacere nei vizi, perché ignora le
ricchezze della misericordia divina.
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