Rito
Romano
Dt
4,1-2.6-8 Sal 14; Gc 1,17-18.21b-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23
Rito
Ambrosiano
Is
29,13-21; Sal 84; Eb 12,18-25; Gv 3,25-36
Mostraci,
Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza
1)
Vicini con il cuore, non con le parole.
Sono
due i significati principali del brano evangelico, che la liturgia
romana ci propone oggi: a) non esistono
cibi puri ed impuri, perché solo quello che esce dal cuore dell'uomo
può insudiciarlo e guastarlo;
b)
il cuore è guarito dalla vicinanza di Dio, la cui Parola è da
ascoltare: «Chiunque
ascolta Dio Padre ed è istruito da lui si avvicina a me con fede»,
dice Gesù (Gv
11,45).
Quindi,
da una parte c’è il fermo invito di Cristo ad evitare
l’oppressione dei comandi degli uomini – in questo caso Dio viene
messo in disparte, gli uomini vengono sottomessi a norme assurde e,
persino, gli oggetti vengono discriminati fra di loro – e,
dall'altra parte, c’è il comportamento di Gesù che riafferma il
primato della Parola di Dio e rende possibile la guarigione del
cuore, purificandolo. Con il suo cuore purificato San Francesco
d’Assisi fu così vicino a Cristo al punto tale di assomigliarGli
anche fisicamente con le stigmate.
Due
cose in ogni persona umana sono da purificare: l'intelletto e
l'affetto; l'intelletto per conoscere, l'affetto per volere (cfr San
Bernardo).
Se
invece di “intelletto e affetto” vogliamo usare una parola sola,
possiamo dire “cuore”, seguendo la tradizione biblica
giudeo-cristiana ripresa anche da don Giussani ne “Il
Senso religioso”. Il
cuore -egli affermava- è la ragione aperta, e attraverso il cuore
l’uomo sa stupirsi delle cose, aprirsi all’infinito e riconoscere
in Cristo il Volto buono del Mistero infinito. «Il
cuore indica l’unità di sentimento e ragione. Esso implica una
concezione di ragione non bloccata, una ragione secondo tutta
l’ampiezza della sua possibilità: la ragione non può agire senza
quella che si chiama affezione. È il cuore – come ragione e
affettività – la condizione dell’attuarsi sano della ragione. La
condizione perché la ragione sia ragione è che l’affettività la
investa e così muova tutto l’uomo. Ragione e sentimento, ragione e
affezione: questo è il cuore dell’uomo»
(L. Giussani, L’uomo
e il suo destino,
Marietti, Genova 1999, pp. 116-117).
E il Card Špidlìk afferma: «Il
cuore include una conoscenza integrale ed intuitiva, la sua funzione
consiste nel sentire tutto ciò che tocca la persona dell’uomo; di
conseguenza, sempre e continuamente il cuore sente lo stato
dell’anima e del corpo nel medesimo tempo che le impressioni
multiformi prodotte dalle azioni particolari, spirituali e corporali,
gli oggetti che ci circondano od incontrano, la nostra posizione
esterna e, in generale, il corso della vita».(La Preghiera del
Cuore, Roma 2003, p. 97)
Per
capire e vivere quanto sto proponendo non occorre essere
particolarmente eruditi, basta pregare il Signore che faccia nascere
in noi, come l’ha fatta germinare nella Madonna, la Parola che
contiene la Verità e respira l’Amore, magari aiutandoci con questa
bella preghiera di P. Léonce de. Grandmaison:
"Santa
Maria, Madre di Dio,
conservami
un cuore di fanciullo puro e limpido come acqua di sorgente.
Ottienimi
un cuore semplice, che non si ripieghi ad assaporare le proprie
tristezze.
Ottienimi
un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione.
Un
cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene
e non serbi
rancore di alcun male.
Donami
un cuore dolce e umile, che ami senza esigere di essere riamato.
Un
cuore contento di scomparire in altri cuori,
sacrificandosi
davanti al tuo divin Figlio.
Dammi
un cuore grande e indomabile,
così
che nessuna ingratitudine lo possa chiudere,
nessuna
indifferenza lo possa stancare.
Donami
un cuore
tormentato
dalla gloria di Gesù Cristo,
ferito
dal Suo Amore,
con
una ferita che non si rimargini se non in Cielo.
Amen".
2)
Acqua per il corpo, lacrime per il cuore.
Per
purificare il cuore servono le lacrime.
Scrivendo ciò, non penso solo alle lacrime fisiche o spirituali che
sgorgano o devono sgorgare dai nostri occhi e dal nostro cuore. Penso
in primo luogo alle lacrime versate da Gesù a causa di noi e su di
noi. Lacrime che sgorgano dal suo Santo Volto insanguinato. Chi di
noi non vorrebbe curarlo, per farlo smettere di sanguinare? La
medicina per questo scopo sono le nostre lacrime, il dolore di noi
poveretti, mendicanti di eternità, affamati di Infinito.
Sono
lacrime vere, speciali, “utili”, che non hanno nulla a vedere con
quelle versate per paura, rabbia, vendetta o disperazione. Le lacrime
“utili” sono quelle versate per il sincero dolore dei peccati,
possono nascere anche a causa del timore dell'inferno, ma sono ancor
più feconde quando sgorgano dalla compassione per la passione di
Cristo e del prossimo.
Queste
lacrime di amore e di condivisione sono in grado di consolare Cristo
e di risanare le ferite e le storture dell'anima indicate nel vangelo
di oggi: l'immoralità, i furti, gli omicidi, le infedeltà, le
avidità, la cattiveria, la menzogna, la disonestà, l'invidia, il
pettegolezzo, la presunzione, l'imbecillità. Queste lacrime portano
bellezza e purezza, sono segno di dolore vero, che nasce dall’amore
di carità.
Anche
il Vangelo ha un cuore: il perdono che manifesta il Cuore
misericordioso di Cristo, medico delle nostre ferite.
Saremo
fedeli a questo Cuore? Se San Pietro, il Capo degli Apostoli, ha
tradito le sue promesse di fedeltà al Redentore, potremo noi
presumere di mantenere le nostre? Sì, se come San Pietro, piangeremo
sinceramente per le nostre infedeltà.
Ciò
che rese Pietro la Pietra salda, stabile e sicura su cui la Chiesa è
fondata, fu il suo abbandonarsi alla misericordia di Cristo. Il
Risorto, quando si incontrò con Pietro sul lago di Tiberiade, ebbe
il cuore toccato dal dolore profondo del Primo degli Apostoli.
Accettò il dolore di Pietro e lo confermò nel Suo amore, rendendo
saldo e fedele un cuore umano che pochi giorni prima –durante la
Passione- Lo aveva rinnegato meschinamente, cedendo alle piccole
minacce di una povera serva.
Cristo
ebbe il cuore toccato dall’umile atteggiamento di Pietro e vedendo
che questo Apostolo lo amava più di tutti gli altri, gli affidò la
Chiesa intera, rendendolo capace di affrontare il Mondo intero.
L’umile,
fragile ma tenacemente amoroso pescatore di Galilea, appoggiato al
suo Signore, divenne il saldo e solido sostegno delle nostre
fragilità, il sicuro maestro della nostra fede, indicando con
paterna autorità il fatto di “Cristo
come orizzonte pieno di verità e per l’uomo”
(Giovanni Paolo II, 29 settembre 1984).
3)Mostraci,
Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza. Tale
domanda proposta dalla liturgia ambrosiana di oggi, sintetizza bene
questa mia riflessione domenicale.
La
buona, vera e lieta novella del Vangelo di Cristo è l'annuncio della
misericordia, che discende sovrabbondante sul mondo. E’ una
misericordia senza confini, che purtroppo può avere una limitazione,
quella dell’angustia meschina del cuore umano, quando non vuole
chiedere perdono e perdonare. Se però mendicheremo il perdono di
Dio, entreremo sempre più nell’infinito oceano della sua
misericordia, armonizzeremo il nostro sguardo con quello di Cristo,
il nostro cuore con il Suo cuore, perdonando e facendo trionfare la
misericordia sulla giustizia.
Allora
la nostra vita diverrà dono (per – dono = dono – per l’altro),
gioia semplice e forte di chi ama senza calcolo, di chi si lascia
voler bene dall’amore folle, immenso di Dio nella condivisione.
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