venerdì 31 agosto 2012

XXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 2 settembre 2012

Rito Romano
Dt 4,1-2.6-8 Sal 14; Gc 1,17-18.21b-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23

Rito Ambrosiano
Is 29,13-21; Sal 84; Eb 12,18-25; Gv 3,25-36
Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza

1) Vicini con il cuore, non con le parole.
Sono due i significati principali del brano evangelico, che la liturgia romana ci propone oggi: a) non esistono cibi puri ed impuri, perché solo quello che esce dal cuore dell'uomo può insudiciarlo e guastarlo;
b) il cuore è guarito dalla vicinanza di Dio, la cui Parola è da ascoltare: «Chiunque ascolta Dio Padre ed è istruito da lui si avvicina a me con fede», dice Gesù (Gv 11,45). 
Quindi, da una parte c’è il fermo invito di Cristo ad evitare l’oppressione dei comandi degli uomini – in questo caso Dio viene messo in disparte, gli uomini vengono sottomessi a norme assurde e, persino, gli oggetti vengono discriminati fra di loro – e, dall'altra parte, c’è il comportamento di Gesù che riafferma il primato della Parola di Dio e rende possibile la guarigione del cuore, purificandolo. Con il suo cuore purificato San Francesco d’Assisi fu così vicino a Cristo al punto tale di assomigliarGli anche fisicamente con le stigmate.
Due cose in ogni persona umana sono da purificare: l'intelletto e l'affetto; l'intelletto per conoscere, l'affetto per volere (cfr San Bernardo).
Se invece di “intelletto e affetto” vogliamo usare una parola sola, possiamo dire “cuore”, seguendo la tradizione biblica giudeo-cristiana ripresa anche da don Giussani ne “Il Senso religioso”. Il cuore -egli affermava- è la ragione aperta, e attraverso il cuore l’uomo sa stupirsi delle cose, aprirsi all’infinito e riconoscere in Cristo il Volto buono del Mistero infinito. «Il cuore indica l’unità di sentimento e ragione. Esso implica una concezione di ragione non bloccata, una ragione secondo tutta l’ampiezza della sua possibilità: la ragione non può agire senza quella che si chiama affezione. È il cuore – come ragione e affettività – la condizione dell’attuarsi sano della ragione. La condizione perché la ragione sia ragione è che l’affettività la investa e così muova tutto l’uomo. Ragione e sentimento, ragione e affezione: questo è il cuore dell’uomo» (L. Giussani, L’uomo e il suo destino, Marietti, Genova 1999, pp. 116-117).
E il Card Špidlìk afferma: «Il cuore include una conoscenza integrale ed intuitiva, la sua funzione consiste nel sentire tutto ciò che tocca la persona dell’uomo; di conseguenza, sempre e continuamente il cuore sente lo stato dell’anima e del corpo nel medesimo tempo che le impressioni multiformi prodotte dalle azioni particolari, spirituali e corporali, gli oggetti che ci circondano od incontrano, la nostra posizione esterna e, in generale, il corso della vita».(La Preghiera del Cuore, Roma 2003, p. 97)
Per capire e vivere quanto sto proponendo non occorre essere particolarmente eruditi, basta pregare il Signore che faccia nascere in noi, come l’ha fatta germinare nella Madonna, la Parola che contiene la Verità e respira l’Amore, magari aiutandoci con questa bella preghiera di P. Léonce de. Grandmaison:
"Santa Maria, Madre di Dio, 

conservami un cuore di fanciullo puro e limpido come acqua di sorgente. 

Ottienimi un cuore semplice, che non si ripieghi ad assaporare le proprie tristezze.
Ottienimi un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione. 

Un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene 
e non serbi rancore di alcun male. 

Donami un cuore dolce e umile, che ami senza esigere di essere riamato. 

Un cuore contento di scomparire in altri cuori, 
sacrificandosi davanti al tuo divin Figlio. 

Dammi un cuore grande e indomabile, 

così che nessuna ingratitudine lo possa chiudere,
nessuna indifferenza lo possa stancare. 

Donami un cuore
tormentato dalla gloria di Gesù Cristo,
ferito dal Suo Amore,
con una ferita che non si rimargini se non in Cielo.
Amen".


2) Acqua per il corpo, lacrime per il cuore.
Per purificare il cuore servono le lacrime. Scrivendo ciò, non penso solo alle lacrime fisiche o spirituali che sgorgano o devono sgorgare dai nostri occhi e dal nostro cuore. Penso in primo luogo alle lacrime versate da Gesù a causa di noi e su di noi. Lacrime che sgorgano dal suo Santo Volto insanguinato. Chi di noi non vorrebbe curarlo, per farlo smettere di sanguinare? La medicina per questo scopo sono le nostre lacrime, il dolore di noi poveretti, mendicanti di eternità, affamati di Infinito.
Sono lacrime vere, speciali, “utili”, che non hanno nulla a vedere con quelle versate per paura, rabbia, vendetta o disperazione. Le lacrime “utili” sono quelle versate per il sincero dolore dei peccati, possono nascere anche a causa del timore dell'inferno, ma sono ancor più feconde quando sgorgano dalla compassione per la passione di Cristo e del prossimo. 

Queste lacrime di amore e di condivisione sono in grado di consolare Cristo e di risanare le ferite e le storture dell'anima indicate nel vangelo di oggi: l'immoralità, i furti, gli omicidi, le infedeltà, le avidità, la cattiveria, la menzogna, la disonestà, l'invidia, il pettegolezzo, la presunzione, l'imbecillità. Queste lacrime portano bellezza e purezza, sono segno di dolore vero, che nasce dall’amore di carità.
Anche il Vangelo ha un cuore: il perdono che manifesta il Cuore misericordioso di Cristo, medico delle nostre ferite.
Saremo fedeli a questo Cuore? Se San Pietro, il Capo degli Apostoli, ha tradito le sue promesse di fedeltà al Redentore, potremo noi presumere di mantenere le nostre? Sì, se come San Pietro, piangeremo sinceramente per le nostre infedeltà.
Ciò che rese Pietro la Pietra salda, stabile e sicura su cui la Chiesa è fondata, fu il suo abbandonarsi alla misericordia di Cristo. Il Risorto, quando si incontrò con Pietro sul lago di Tiberiade, ebbe il cuore toccato dal dolore profondo del Primo degli Apostoli. Accettò il dolore di Pietro e lo confermò nel Suo amore, rendendo saldo e fedele un cuore umano che pochi giorni prima –durante la Passione- Lo aveva rinnegato meschinamente, cedendo alle piccole minacce di una povera serva.
Cristo ebbe il cuore toccato dall’umile atteggiamento di Pietro e vedendo che questo Apostolo lo amava più di tutti gli altri, gli affidò la Chiesa intera, rendendolo capace di affrontare il Mondo intero.
L’umile, fragile ma tenacemente amoroso pescatore di Galilea, appoggiato al suo Signore, divenne il saldo e solido sostegno delle nostre fragilità, il sicuro maestro della nostra fede, indicando con paterna autorità il fatto di “Cristo come orizzonte pieno di verità e per l’uomo” (Giovanni Paolo II, 29 settembre 1984).

3)Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza. Tale domanda proposta dalla liturgia ambrosiana di oggi, sintetizza bene questa mia riflessione domenicale.
La buona, vera e lieta novella del Vangelo di Cristo è l'annuncio della misericordia, che discende sovrabbondante sul mondo. E’ una misericordia senza confini, che purtroppo può avere una limitazione, quella dell’angustia meschina del cuore umano, quando non vuole chiedere perdono e perdonare. Se però mendicheremo il perdono di Dio, entreremo sempre più nell’infinito oceano della sua misericordia, armonizzeremo il nostro sguardo con quello di Cristo, il nostro cuore con il Suo cuore, perdonando e facendo trionfare la misericordia sulla giustizia.
Allora la nostra vita diverrà dono (per – dono = dono – per l’altro), gioia semplice e forte di chi ama senza calcolo, di chi si lascia voler bene dall’amore folle, immenso di Dio nella condivisione.

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