venerdì 24 agosto 2012

XXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 26 agosto 2012

Rito Romano
Gs 24,1-2a.15-17.18b; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69


Rito Ambrosiano
Domenica che precede il Martirio di San Giovanni il Precursore.
2Mac 7,1-2. 20-41; Sal 16; 2Cor 4,7-14; Mt 10,28-42


1) Andare: verbo di stato!
Domenica scorsa, abbiamo meditato sui verbi “rimanere e dimorare” come verbi di moto o movimento. Oggi mediteremo sul verbo “andare” come verbo di stato. In effetti, se Cristo è la Via, se camminiamo su questa Via che è Lui, “stiamo” con Lui.
Ma procediamo con ordine, esaminiamo insieme e in maniera più approfondita la domanda di Cristo ai suoi Apostoli: “Volete andarvene anche voi?”, e la risposta di Pietro: “Maestro, da chi andremo, tu solo hai parole di vita eterna!”, che si trovano nel vangelo “romano” di questa domenica.
Per fare ciò, riandiamo brevemente al Vangelo della domenica precedente, in cui abbiamo ascoltato queste frasi: «La mia carne è vero cibo», «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui », che ci dicono che siamo fatti non per la morte, ma per la vita. Vivendo nel tempo che passa, la vita se ne va, giorno dopo giorno. Mangiando il Corpo di Cristo riceviamo la sua vita immutabile e ferma. Vivendo di Lui e in Lui la nostra vita è immortale.
Come non gioire di questo Evangelo, cioè di questa lieta e vera notizia, che soddisfa il nostro desiderio di vita piena e duratura?
Eppure, nel Vangelo di oggi, vediamo la reazione della gente e dei discepoli al donarsi di Cristo come Pane di Vita e commentano: «Sono dure questa parole».
Oggi come allora, molti reagiscono negativamente a queste parole, dichiarate “dure”, perché difficili da capire, da accettare. Si potrebbe dire che, in fondo, la gente non voglia avere Dio così vicino, così alla mano, così partecipe delle sue vicende. La gente lo vuole grande e, in definitiva anche noi spesso lo vogliamo un po' lontano da noi, per vivere più comodi, per condurre un’esistenza con quello che chiamiamo buon senso.
Credo, però, che questa reazione non sia dovuta solamente alla difficoltà di questa parole dure, ma al fatto che Chi le dice è povero. In effetti il figlio del falegname non ha neppure dove posare il capo. Secondo la mentalità corrente, secondo il cosiddetto buon senso non conviene seguire un povero che dice parole dure. E’ paradossale, oggi come allora si è più disposti a credere a chi è ricco e potente, anche se fa promesse assurde, che al Povero che ci dichiara il suo amore, che è Amore.


2) Parole di un Povero a dei mendicanti.
Cristo è povero non tanto perché è nato in una modesta famiglia, ma perché Dio è Povero, cioè l’Amore che è dono completo di sé nella Trinità e in noi. Dio non ha in mano le briglie del potere. «Dio non vuole nessun potere, se non quello di donare e donarsi. In Lui non c’è che l’amore. Lui non può toccarci che con il suo amore, come noi non possiamo raggiungerlo che con il nostro amore… Per incontrarlo, occorre ascoltarlo e fare del nostro essere un silenzio inginocchiato e allora la sua voce risuona in noi» (Maurice Zundel) e le sue parole ci diventano chiare.
Di fronte alla contestazione di queste parole stupefacenti, Gesù avrebbe potuto ripiegare su parole rassicuranti: «Amici -avrebbe potuto dire- non preoccupatevi! Ho parlato in modo figurato di carne. Si tratta soltanto di un simbolo. Ciò che intendo è solo una profonda comunione di sentimenti».
No, Gesù non ha fatto ricorso a simili compromessi per trattenere il suo “pubblico” che fino a poco prima lo applaudiva. Ha mantenuto ferma la propria affermazione, tutto il suo realismo, anche di fronte al rischio del rifiuto di molti suoi discepoli. Anzi, Egli si è dimostrato disposto ad accettare persino la defezione degli stessi suoi apostoli, pur di non mutare in nulla la concretezza del suo discorso. «Volete andarvene?», domandò allora e domanda a noi oggi. E noi oggi, come Pietro allora, possiamo dare la risposta: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,66-68), Tu solo hai parole per una vita non effimera e piena di significato, ricca di amore che dura.
Come fare nostra, con piena consapevolezza, questa risposta? Come non cadere nell’incredulità, che non è più solo della folla, o dei giudei, ma coinvolge anche la cerchia dei discepoli. Essi «mormorano» esattamente come Israele nel deserto e come i giudei che si scandalizzano di fronte a Gesù che pretende essere disceso dal cielo ed essere la salvezza del mondo, offrendosi come cibo e bevanda.
Qual è la ragione di questa loro e nostra incredulità? La causa di questa mancanza di fede è che non siamo medicanti, che non siamo affamati di eternità, e sostituiamo la domanda di infinito con la pretesa di una infinità di cose da possedere.
Gesù, l’Amore incarnato, costringe i dodici, la cerchia più ristretta della sua comunità, a non sfuggire il problema e chiede: «Volete andarvene anche voi?» A nome dell'intero gruppo, Pietro risponde con parole che esprimono la fede di ogni discepolo: «Tu solo hai parole di verità!». Gesù è l'unico salvatore, l'unico che rende la salvezza di Dio presente in mezzo a noi. Dio non si impone si propone. Per accoglierlo occorre un sano realismo.




3) Il Realismo cristiano.
Dobbiamo avere il senso concreto di Pietro, povero pescatore di Galilea, che aveva capito che la proposta cristiana è una proposta realista.
Il Papa ha descritto il realismo cristiano nel modo seguente: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Lett. Enc. Deus Caritas est, 1).
La proposta di Cristo non è solo parola che informa o narra o istruisce. E’ una proposta che realizza in chi la accoglie ciò che dice. L’importante che ci sia la nostra adesione di fede, che ha le sua radici nel cuore. San Paolo scrive: «E’ con il cuore che si crede per ottenere la giustizia » e aggiunge: «e con la bocca si fa la professione per avere la salvezza» (Rm 10,10). E’ dalle radici del cuore che sorge la professione di fede (cfr s. Agostino, Comm al Vangelo d Giovanni, Om. 26, 12) ed è col cuore alimentato dal Pane vero che ci si radica nella comunità dei santi, delle persone che dimorano in Cristo e nella quali Cristo dimora, stabilmente.
Una comunità che ripresenta oggi la Persona di Gesù Signore, che viene per insegnare ad ogni uomo come si ascolta il Padre, come lo si ama, come lo si adora in spirito e verità, come si consegna a Lui la vita per intero perché Lui ne faccia uno strumento del suo amore e della sua verità (come indica il Vangelo “ambrosiano” di oggi: Matteo 10, 28-42) per sempre. Della Chiesa e dell’Eucaristia si può dire: «O sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di carità. Chi vuol vivere, ha dove vivere, ha donde attingere la vita. Si accosti, creda, sarà incorporato, sarà vivificato» (S. Agostino, Comm. al Vangelo d Giovanni, Om. 26, 1) . Nella sua Provvidenza Dio ci non solo ci sostiene nell'essere, ma ci dona giorno per giorno una forza che ci fa stare nel suo Amore, per procedere sulla Via della Vita.
Paul Claudel disse che «le grandi verità si comunicano soltanto nel silenzio», mi permetto di aggiungere che si colgono nell’adorazione e si comprendono mangiando il Pane del Cielo.

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